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Il dono - Fuori Concorso
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Il dono - Fuori Concorso
Il Dono era lì, al fondo del corridoio.
Un passaggio in buona parte oscuro, istoriato coi volti, le ali, le mani adunche degli abitatori del profondo. L’odore di morte, denso, sospeso nell’aria.
Metro dopo metro, il chiarore più forte, ceruleo, al fondo del camminamento.
Il tremore alla mano destra si era fatto più intenso che mai.
Metro dopo metro, lì, a un battito di cuore dall’abisso.
*
La spiaggia.
Il sole già alto.
Azzurro d’acqua e biancore abbacinante della sabbia.
Un tremore alla mano destra, leggero, incontrollabile; si era intensificato nelle ultime settimane, come certi segni, le forme bizzarre delle alghe spazzate dalle onde sul litorale: ricordavano corpi annegati, raccolti, scuri, morti. Il capitano respirava salsedine e abbandono.
Amargo, il podenco che era stato di suo padre, vagava senza suono sul bagnasciuga, trascinando quei detriti e resti che attiravano la sua attenzione tra gli scheletri delle due scialuppe arenate.
“Capitano,” Castillo indicava le file di tracce sulla sabbia che andavano svanendo nella vegetazione.
Navarro Bernal, assente, preferì osservare di lontano il grosso cadavere della caravella, quasi del tutto affondata sul profilo della secca, svariate centinaia di metri al largo; la Felicia, al contrario, rollava alla fonda a poca distanza dal promontorio.
“Che facciamo, capitano?”
Lui lasciò scorrere volutamente il tempo, per dare più valore alla decisione e, assieme, rinviarla del necessario. I marinai che aveva reclutato a Mandinas non erano gente di valore; il pugno di armigeri della Terza Iberica, concessi dal viceré, poco meglio. La protezione di Dio stava nelle mani emaciate di Padre Firmino.
“Avanziamo,” disse solo, lasciando a un guizzo delle iridi il suo carico d’autorità.
Si diedero voce tra loro, scaricarono le imbarcazioni, formarono un sommario ordine di marcia; lui s’incamminò per primo, un fischio a richiamare Amargo: il cane lo raggiunse in poche, frenetiche falcate.
Si addentrarono nella boscaglia.
*
Era come un’eco lontana, atavica, il pulsare dell’aria e quello immaginario del terreno, sotto gli stivali.
La piramide era apparsa e scomparsa già molte volte, in lontananza, qualcosa a metà tra un miraggio e un’intossicazione sensoriale. Di animali mitologici e demoni del bestiario non un segno: Amargo aveva ringhiato spesso al vento, per poco, disinteressandosi presto. Il Mondo Nuovo, intorno, sembrava defilarsi al loro passaggio, schivo e cauto come solo i fantasmi.
“Così non va, così non va,” ripeteva di tanto in tanto il missionario, una nenia che aveva preso più a cullare i sensi che a disturbarli, allo stesso modo il fischio basso e costante dei volatili, intervallato a gracchi e stridii, fin troppo simili alle grida di uomini lacerati di lontano.
“Così non va,” scandì Firmino, genuflesso, quando trovarono ossa umane, spolpate dagli scarabei, dentro una conca naturale del terreno: un berretto frigio, sporco di sabbia, abbandonato accanto.
“Quest’uomo era sulla Soledad,” Castillo, chino sul corpo, fece un segno devozionale e sputò in terra. “Ne troveremo altri.”
Navarro osservava la vegetazione, più rada, intorno. “Sei certo che sia un uomo?”
“Dio mi folgori, sì, signore.”
Amargo guardava il vuoto allo stesso identico modo del padrone.
“Proseguiamo.”
“Capitano,” Planco, un mezzo lusitano, allampanato, pallido come il vetro, indicava la costa da qualche parte dietro di loro, ma era come se alludesse allo scheletro, “siamo qui solo per la Soledad, vero?”
Navarro tirò su col naso; percepì quel tremore alla mano e lo celò poggiandola sull’elsa del coltello. “Per la Soledad, sì.”
“E l’abbiamo trovata: sta lì, tra le onde, rovesciata.”
“Dobbiamo cercare i passeggeri.”
“Ma è passato troppo tempo, saranno tutti…”
Le ossa nella conca del terreno. Gli sguardi dei presenti, muti.
“Dobbiamo cercare i passeggeri.”
Le orecchie tese del cane. Si rimisero in cammino seguendo le poche tracce umane sopravvissute ai mesi.
*
I nativi li seguivano a distanza, se ne erano resi conto ormai da ore; silenziosi come insetti, strisciavano intorno, fuori vista, celati tra le frasche o dietro i tronchi degli alberi, vicini abbastanza da guardarli sfilare, lontani abbastanza da lasciare un esile dubbio. Persino Amargo, a volte, sembrava fingere che non ci fossero.
I soldati erano nervosi. Troppo spesso un archibugio o una balestra finivano puntati sull’oscurità verdeggiante, troppo spesso il dito sul grilletto aveva un fremito pericoloso.
C’erano state altre ossa, stavolta sparse dagli animali. Due resti, due anime perite nel nulla boscoso, il mondo degli albori. Sempre uomini, a detta di Castillo.
Cosa, se non uomini?
Navarro Bernal annuiva e tirava oltre, così il suo cane. Che non fosse solo per i passeggeri periti della Soledad era chiaro a tutti.
“Se non gli uomini, che cosa cerchiamo, capitano?” Padre Firmino si era fermato, appoggiato alla croce di legno che gli faceva da bastone, a riprender fiato.
“So io.”
“Se sapessi anch’io, chiederei una mano a Nostro Signore. Per abbreviare le ricerche.”
Navarro rise, nel suo modo tacito, con gli occhi chiari socchiusi e il biondo della chioma scossa nel gesto, sotto l’elaborato elmo.
Non disse altro.
I nativi, da qualche parte intorno, erano le iridi della foresta.
I passeggeri superstiti della Soledad avevano toccato terra su due scialuppe malconce e si erano addentrati nella boscaglia. Avevano perso effettivi un poco alla volta, per le ferite, gli stenti. Poi erano svaniti.
“Così non va.”
“Manderanno una nave a cercare i nostri, di resti.”
La spedizione aveva vagato per tre giorni, dormito in ripari di fortuna e tende sommarie, sopportato gli scrosci di pioggia. I nativi non erano usciti dalle pieghe degli incubi di cui si erano circondati, la piramide neppure: aveva biancheggiato di tanto in tanto, a cavallo tra un pensiero cosciente e l’altro.
Navarro non parlava, seguiva i percorsi tortuosi della mente e quella visione, o voce dentro la testa, che lo aveva portato lì.
C’era un corridoio, istoriato coi demoni del Mondo Nuovo, un corridoio che sembrava allungarsi a ogni passo per non portarlo mai al compimento, alla fine. Ma una fine c’era, anche se si vedeva solo di lontano e nella luce cerulea.
“Perché qui?” Padre Firmino aveva radunato il coraggio per tutti gli altri e glielo aveva domandato, durante una sosta, mentre il capitano se ne stava seduto sotto un riparo, col cane tra le ginocchia e l’elmo sempre calcato sulla testa. Non aveva perso una goccia del suo piglio marziale, lo stesso di quando guidava i tercios nelle guerre del re, nonostante il caldo, gli insetti, la pioggia.
Navarro aveva gli occhi chiari e la barba inumidita d’acqua. “Al morire dell’anno, re Carlo sarà nominato Imperatore.”
“Non avete risposto alla domanda.”
Sorriso tenue. “Per una vita nuova. Per non dover ancora ingoiare la polvere delle Fiandre di Sua Maestà. Assistere all’incoronazione? Ho visto a sufficienza, del mondo di prima.”
“Ma per cercare cosa, insomma?” Firmino era il ritratto della debolezza fisica. “Di ogni resto che troviamo chiedete se è appartenuto a un uomo: a cos’altro potrebbe, altrimenti?”
Nello sguardo del capitano Bernal veleggiò per un attimo la Soledad, la tempesta, poi le mani adunche delle creature della notte, gli abitatori del profondo, infine il corridoio.
Era tutto lì, lucidamente incastonato nel suo sguardo.
“Dio vi ha mai inviato una certezza, Padre?”
“Molte, ma non saprei dirvene una in questo momento.”
“A me una soltanto. Da un po’ di tempo a questa parte.”
“Qui?”
“Qui?”
Un assenso, appena accennato. Il fiato di Amargo nell’umidità silvana.
*
La spianata dove gli alberi avevano ceduto il posto alla brughiera era enorme, come il cielo che la sovrastava, di un azzurro pallido, illuminato a strascichi dietro una leggera caligine.
La piramide a gradoni era lì: candida, immensa, attorniata da altre costruzioni; stavolta reale e tangibile, anche da quella distanza.
Navarro si avviò per primo, col cane accanto, e il resto del gruppo seguì d’inerzia. Non aveva avuto un fremito, un segno, qualsiasi cosa che fossero nel posto giusto: aveva solo raccomandato la calma.
I nativi erano lì, a loro volta. Sparsi tra rozze abitazioni di pietra e legno, avevano preso a raccogliersi intorno, un’adunanza di esseri dalla pelle di bronzo e piume colorate, monili, pitture sul corpo.
Loro, per contro, sfilavano in una piccola processione di abiti logori e armature opache, una croce di legno tenuta alta da un braccio smagrito.
Non avevano paura, i figli oscuri della foresta, del Mondo Nuovo. Maschi e femmine, adulti e bambini, guardavano con la curiosità aliena degli uccelli, sbattendo le palpebre in più sequenze, vociando sommessi, imbeccandosi l’uno con l’altro.
Navarro non si fermò: continuò a camminare, lento, col proprio malconcio seguito e la croce di Firmino accanto. Quel posto senza nome, per quanto grande, immenso, soverchiante, era più simile a un crepuscolo che a un’alba: c’erano i segni dell’incuria, un senso di vuoto, e la gente, che pure usciva dalle case a vederli, non era tanta quanta quella che un insediamento così grande poteva ospitare.
Nessuno provò a fermarli.
Camminarono tra due ali di folla sapendo che, se si fossero chiuse su di loro, non ne sarebbero usciti mai più.
Era come se fossero attesi, e non solo perché civette ed esploratori li avevano seguiti per giorni, nella foresta. Non c’era uno solo, tra i nativi, che avesse l’aspetto di un capo; Navarro si fermò, trattenne il cane accanto, cercò intorno. Ogni sguardo color pece era catalizzato dai suoi occhi chiarissimi.
La piramide bianca incombeva sulla terra, e così le statue contorte, i volti di pietra deformi e dai grandi bulbi. Aveva visto immagini fin troppo simili in certi sogni contorti, per mare, nel lungo viaggio da Cadice.
“Dove siamo qui?” Lo chiese con un tono più forte del voluto e una nota stridula. I selvaggi guardavano senza emettere un suono né fare alcun movimento.
“Che luogo è questo?!”
Amargo si agitò per un attimo, trattenuto.
Un Indio dal petto tinto di grigio fece un segno del braccio, qualcuno si mosse; Navarro chiese calma a quelli tra i suoi che avevano maneggiato nervosamente le armi. Si rese conto che aveva di nuovo il tremore alla mano destra: cercò di placarlo stringendo il cinturone sopra la corazza.
Ci fu un piccolo trambusto quando, dal fondo della calca, venne accompagnato avanti un vecchio, seminudo, dal corpo esile e la peluria canuta: aveva le sopracciglia cispose e una barba mal fatta, ma nello sguardo c’era ancora una certa pulsione vitale. Per quanto la sua pelle fosse abbronzata dal sole, per quanto indossasse un panno ai fianchi e bracciali e monili, non aveva i tratti dei nativi.
Rimasero a guardarsi, il vecchio e il capitano in armi, per un tempo che parve interminabile.
“Alla fine,” scandì il primo in uno spagnolo che portava già i primi segni della corruzione, “Dio ha mandato qualcuno.”
Padre Firmino aveva la croce ancora più alta, il braccio ormai raggelato in un gesto dal quale non osava recedere.
“La Soledad,” mormorò Navarro, “l’abbiamo trovata affondata a poca distanza dalla costa.”
“Sì,” annuì l’uomo, attorniato da ragazzini Indios, “io ero su quella nave.”
“Come sei sopravvissuto?”
“Gli Itzà ci hanno trovato, portato qui.”
“Dove sono gli altri?”
Nelle iridi del vecchio si contorsero, per un momento, gli stessi mostri della notte che c’erano in quel corridoio, quello che Navarro continuava a vedere ogni volta che chiudeva gli occhi.
“Tutti morti. Divorati da Kukulkan.”
Brivido.
“Perché tu no?”
Sui tratti smagriti dell’uomo comparve un lucore insano, un sorriso che forse non era suo. Mostrò le mani nodose. “Io creo i calzari, per loro. Facevo questo a Cordòva, prima di andare via, prima di cercare il Mondo Nuovo.”
Molti di loro, dei nativi, indossavano semplici calzature di pelle o legno d’una fattura diversa da altre che aveva visto, prodotto di una mano esperta, civile.
Era riuscito a farsi accettare da loro per questo, Dio sa come.
Uno degli Indio, lo stesso col petto colorato di grigio, disse qualcosa nella sua lingua. “Chiede,” tradusse per lui il vecchio, “se sei venuto per il Dono.”
Il capitano ebbe un fremito, la mano aveva rallentato il tremore ma lo percepiva ancora. “No,” scandì, assente, “sono venuto a cercare una persona.”
“Non la troverai, non più.”
“Ma qualcosa,” le immagini dentro la testa, il corridoio, i bassorilievi, la luce azzurra, “qualcosa mi ha guidato qui.”
“Allora sei chi questa gente stava aspettando.”
Navarro gli cinse un braccio, un gesto febbrile e assieme rassegnato. “C’era una donna a bordo, sulla Soledad.”
Lui annuì, aveva lo sguardo ancora più spiritato; non disse nulla, tese un arto ossuto verso la piramide a gradoni.
“Che cos’è?”
“Chichén Itzà: lo chiamano così.” Emise un mugugno che aveva il suono del trapasso. “È come… una grande testa, la bocca di Kukulkan che tutto ingoia. Ma una cosa, una soltanto, Kukulkan non l’ha voluta. L’ha restituita indietro.”
“Xenia,” la voce di Navarro aveva perso parte della sua compostezza. Non era successo neppure quando gli avevano dato notizia che la Soledad non sarebbe mai arrivata, aveva naufragato a nord di Cuba.
Il vecchio gli strinse il braccio in risposta e, accorato, continuò a indicare la piramide. Ci vollero svariati momenti perché lui infine cedesse e si lasciasse guidare.
L’Indio e il naufrago fecero strada: gli altri, come un fiume d’argilla, s’aprirono, permisero loro di continuare il cammino, diretti alla grande costruzione, e fluirono dietro di loro.
Castillo e gli altri soldati avevano i nervi tesi, Amargo camminava tenuto al collare.
“Una donna?” Firmino aveva il volto cupo. “Vostra moglie?”
“Non ancora.”
Raggiunsero la piramide e presero a salire la miriade di gradini, scortati da quello stesso torrente di nativi; si fermarono sulla sommità, dalla quale si vedeva per miglia intorno, una città che doveva essere stata gloriosa in un passato ancor più antico e che ora iniziava a sentire il peso del tempo.
Sacerdoti dalle alte piume verdi e dai nasi inanellati gli fecero velo, a lui soltanto, nativi e la sua scorta fermati fuori del tunnel che portava nelle viscere della costruzione.
“Senza la protezione di Dio?” protestò Firmino, “Così non va!” ma il capitano lo liquidò con un gesto. Affidò il cane a Castillo.
Il vecchio artigiano di Cordòva gli cinse le spalle senza timore e con uno sguardo che traboccava di tinte nuove. “Questa gente serve dei oscuri, ma voi siete stato portato qui da entità più benevole.”
“Non ne sono certo, a questo punto.”
“Lasciate qui fuori la paura. Dentro non vi servirà.”
Lo ringraziò con un cenno del capo. “Tornerai a casa con noi, quando tutto sarà finito?”
L’uomo rise, la dentatura storta. “Per riprendere a suolare stivali in nome di re Carlo? No, signore, questa è la mia casa, ora.” Sembrò abbracciare l’intera spianata e Chichén Itzà tutta.
Navarro si congedò con un assenso e prese la via del buio.
Camminò solo, scendendo una gradinata verso il cuore oscuro della terra, con i sacerdoti che seguivano a debita distanza. Nel silenzio, nel vuoto, c’era il passo dei suoi stivali, il tintinnare della spada, il frusciare del mantello.
Al fondo della scala, il corridoio.
Un passaggio simile a quello visto nei suoi sogni maledetti, nati e morti anche alla luce del sole, con le pareti istoriate, i demoni, le ali, le mani adunche. L’odore acre di quel luogo.
E il chiarore, ceruleo, alla fine del camminamento.
I suoi sensi presero a scomporsi e sovrapporsi ad altri sensi, quelli di chi era passato prima di lui. C’erano le grida d’orrore e gli scalpiti degli uomini, i passeggeri superstiti della Soledad, trascinati nel buio.
La paura come un sudario, denso, rimasto sospeso tra i muri portanti.
E poi Xenia, scalza, provata. Non ancora moglie né altro, solo una prostituta di Segovia, ma per lui molto di più. Una passione ostinata, riluttante a piegarsi alle regole della loro società.
Il viaggio pagato a bordo di una caravella per raggiungerlo a Cuba, contrarre matrimonio.
La promessa di una vita nuova, un Mondo Nuovo, per ricominciare tutto lontano, infinitamente lontano, dalle loro esistenze precedenti. Insieme.
Man mano che il chiarore azzurro cresceva e aumentava, Navarro si accorse che il passaggio non era più solo un percorso attraverso fantasmi e orrori di quella terra vergine. Si rese conto che i bassorilievi non parlavano solo di morte ma anche d’altro, di vita, di rinascita, d’un ciclo eterno che era lo stesso, in qualunque parte del mondo, Vecchio o Nuovo, da sempre e per sempre.
Un singolo essere, che avesse il nome di Dio Padre o Grande Serpente, come lo aveva per questa gente perduta, non era abbastanza per dare un senso a quella consapevolezza.
Pure, qualcosa lo aveva condotto lì.
Il corridoio terminò e con esso la sua apnea sensoriale.
Nella luce azzurra, filtrata, c’era una grande grotta e un altare lordo di sangue essiccato. Più oltre, un pozzo immenso scavato nella pietra antica. I fantasmi dei passeggeri della Soledad aleggiavano ancora lì, trascinati all’altare, pugnalati, gettati nell’abisso.
La fame infinita di Kukulkan.
Xenia.
Il capitano ebbe un singolo sussulto: la mano aveva preso a tremargli come mai prima.
Sopra l’altare sporco di sangue secco c’era qualcosa.
Si avvicinò con un tumulto dentro che echeggiava e rimbombava contro lo sterno, perché stava guardando tutto ciò che restava di Xenia: l’ultima, ostinata, traccia di lei.
Il Dono era lì.
Adagiato sul sangue ormai secco: un cesto di legno intrecciato, una coperta di tessuto colorato. Dentro, l’agitare di minuscole dita e un vagito gioviale.
Due occhi cristallini, color acqua sorgiva, identici ai suoi.
Navarro Bernal permise a una lacrima di rigargli il volto.
La sua mano aveva infine smesso di tremare.
Different Staff- Admin
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Re: Il dono - Fuori Concorso
Un racconto bellissimo. Non ho badato ai paletti che forse ti hanno messo fuori gioco ma se non fosse per quelli saresti veramente sul mio primo gradino. E' scritto molto bene ed è veramente avvincente tanto da poter sembrare perfino accaduto. E questa è vera bravura. Super.
Antonio Borghesi- Padawan
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Re: Il dono - Fuori Concorso
Indipendentemente dal contest, devo dire che questo è uno dei migliori racconti che ho letto qui su DT.
È scritto benissimo e si legge senza alcuno sforzo; cattura il lettore e lo trascina fino a un finale ricco di speranza, nel quale nuovo mondo e nuova vita si fondono nell'agitarsi di minuscole dita e nel suono di un vagito gioviale.
Nessun errore, nessun refuso.
Il testo si scioglie fra descrizioni di luoghi ignoti che si svelano agli occhi del lettore e di sensazioni vivide ricamate sulla pelle dei vari personaggi.
Un testo intrigante, avvincente, che mi ha fatto davvero piacere leggere.
Complimenti autore, e grazie per averci dato la possibilità di leggere questo ottimo lavoro.
M.
È scritto benissimo e si legge senza alcuno sforzo; cattura il lettore e lo trascina fino a un finale ricco di speranza, nel quale nuovo mondo e nuova vita si fondono nell'agitarsi di minuscole dita e nel suono di un vagito gioviale.
Nessun errore, nessun refuso.
Il testo si scioglie fra descrizioni di luoghi ignoti che si svelano agli occhi del lettore e di sensazioni vivide ricamate sulla pelle dei vari personaggi.
Un testo intrigante, avvincente, che mi ha fatto davvero piacere leggere.
Complimenti autore, e grazie per averci dato la possibilità di leggere questo ottimo lavoro.
M.
M. Mark o'Knee- Padawan
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Re: Il dono - Fuori Concorso
Meraviglioso.
Non vado oltre con il commento.
Tu, autore, hai tutta la mia ammirazione anche se so' benissimo che non basterà a guarire la ferita di non sentirti adeguato, in concorso.
Non vado oltre con il commento.
Tu, autore, hai tutta la mia ammirazione anche se so' benissimo che non basterà a guarire la ferita di non sentirti adeguato, in concorso.
tommybe- Cavaliere Jedi
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Re: Il dono - Fuori Concorso
Ma che bel racconto! Scritto magnificamente da un autore che di sicuro ama la storia e la conosce.
I personaggi bucano il foglio, le descrizioni sono spettacolari e il dipanarsi degli eventi è carico di tensione fino al finale dolce amaro.
Proprio un bel racconto che ti auguro possa venire inserito in antologia (come quello di uno step precedente sempre dia un autore fuori concorso) Mi piacerebbe che alla fine del contest, dopo l’ultima stanza, venisse aperto un sondaggio o una votazione per inserire i migliori racconti tra quelli fuori concorso.
Più che meritevole. Complimenti.
I personaggi bucano il foglio, le descrizioni sono spettacolari e il dipanarsi degli eventi è carico di tensione fino al finale dolce amaro.
Proprio un bel racconto che ti auguro possa venire inserito in antologia (come quello di uno step precedente sempre dia un autore fuori concorso) Mi piacerebbe che alla fine del contest, dopo l’ultima stanza, venisse aperto un sondaggio o una votazione per inserire i migliori racconti tra quelli fuori concorso.
Più che meritevole. Complimenti.
Petunia- Moderatore
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Re: Il dono - Fuori Concorso
Spesso si nota una particolare indulgenza nei confronti dei brani fuori concorso. Qui, direi che non c'è indulgenza nel dire che il racconto è proprio bello e i commenti precedenti mi confortano in questa convinzione.
Credo che il problema sia stato il genere che non definirei certamente thriller, ma va bene così. Piegare il testo alle esigenze dello step sarebbe stato un vero peccato e avrebbe forse tolto qualcosa alla qualità.
Credo che il problema sia stato il genere che non definirei certamente thriller, ma va bene così. Piegare il testo alle esigenze dello step sarebbe stato un vero peccato e avrebbe forse tolto qualcosa alla qualità.
Danilo Nucci- Cavaliere Jedi
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Re: Il dono - Fuori Concorso
credo sia il racconto migliore dello step, sebbene fuori concorso.
scritto benissimo, trascinante e scorrevole al contempo, capace di coinvolgere il lettore e portarlo dentro le varie scene.
davvero un pezzo meritevole, complimenti vivissimi.
scritto benissimo, trascinante e scorrevole al contempo, capace di coinvolgere il lettore e portarlo dentro le varie scene.
davvero un pezzo meritevole, complimenti vivissimi.
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Re: Il dono - Fuori Concorso
"Non aveva avuto un fremito, un segno, qualsiasi cosa che fossero al posto giusto: aveva solo raccomandato la calma."
Mi perdonerà l'Autore, ma ho un dubbio sul "qualsiasi cosa che fossero" che, per come mi suona meglio, dovrebbe essere "qualsiasi cosa che fosse".
Unica, davvero, "imperfezione" che ho trovato. Mi complimento per la scrittura che è una chiara espressione di stile.
Dato che non posso dare suggerimenti su un racconto così ben scritto e sviluppato; immaginando che l'esclusione dal concorso riguardi esclusivamente il genere; faccio una polemica a favore di DT.
Mi chiedo: questo bel racconto, così scritto, con la sua trama e i suoi personaggi, sarebbe apprezzato al di fuori della nostra realtà? Intendo dire, i nostri gioielli li lustriamo e ne godiamo soltanto a casa nostra o li gettiamo in pasto ai concorsi letterari senza sapere se, quando e perché non vengono minimamente considerati?
Il mio ragionamento potrà risultare banale e sterile, ma non so quante giurie hanno il piacere di leggere racconti come questo cogliendo veramente la bellezza che sta alla base dell'arte della scrittura.
Grazie
Mi perdonerà l'Autore, ma ho un dubbio sul "qualsiasi cosa che fossero" che, per come mi suona meglio, dovrebbe essere "qualsiasi cosa che fosse".
Unica, davvero, "imperfezione" che ho trovato. Mi complimento per la scrittura che è una chiara espressione di stile.
Dato che non posso dare suggerimenti su un racconto così ben scritto e sviluppato; immaginando che l'esclusione dal concorso riguardi esclusivamente il genere; faccio una polemica a favore di DT.
Mi chiedo: questo bel racconto, così scritto, con la sua trama e i suoi personaggi, sarebbe apprezzato al di fuori della nostra realtà? Intendo dire, i nostri gioielli li lustriamo e ne godiamo soltanto a casa nostra o li gettiamo in pasto ai concorsi letterari senza sapere se, quando e perché non vengono minimamente considerati?
Il mio ragionamento potrà risultare banale e sterile, ma non so quante giurie hanno il piacere di leggere racconti come questo cogliendo veramente la bellezza che sta alla base dell'arte della scrittura.
Grazie
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Molli Redigano- Cavaliere Jedi
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Re: Il dono - Fuori Concorso
Un racconto complesso, ricco di descrizioni che rimandano agli stati d’animo del protagonista, ad una piccola parentesi storica per inquadrare il periodo, a una storia che all’inizio ricorda molto la ricerca di ricchezze favolose.
Un racconto che ho letto lentamente, con attenzione, perché attenzione merita, con questa scrittura ricca, importante e decisamente portante per la trama immaginata.
Una vicenda che si snoda in pochi giorni, sempre uguali eppure sempre diversi - penso per dare un senso di ansiosa attesa per il culmine della storia - alla ricerca di qualcosa che solo Navarro conosce, qualcosa che pare essere solo nella sua mente, forse distorta o malata, persa in un mondo complicato e semplice al contempo: un obiettivo da raggiungere.
Un racconto cui non saprei se associare proprio il genere thriller: c’è sì la tensione dell’attesa per il momento in cui la storia si apre, ma non c’è l’azione di momenti in cui il protagonista è realmente in pericolo. I nativi lo seguono, osservano il gruppo ma non li aggrediscono né tendono imboscate. È qualcosa che mi ha ricordato racconti d’avventura con una nota di noir.
Il paletto “calzolaio” è ben inserito, sia pure molto brevemente, dando vita a una persona che nel Mondo Nuovo ha trovato davvero una vita nuova, semplice, senza desideri di ricchezza e potere.
Un buon lavoro, che non sfigurerebbe come capitolo di un romanzo.
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Susanna- Maestro Jedi
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Re: Il dono - Fuori Concorso
Ancora quel benedetto genere thriller, ha fatto più vittime di un thriller vero!
Non c'è molto altro da aggiungere per commentare uno dei più bei racconti che mi sia capitato di leggere da quando frequento DT.
Ci sono tutti i paletti così bene incastrati da non riuscire a scorgerli se non essendone a conoscenza.
Ma, soprattutto, c'è un racconto scritto in maniera perfetta, privo di refusi, con una capacità di indagare l'interiorità dei personaggi, in particolare di Navarro Bernal, naturalmente, ma non solo; lo stesso Padre Firmino, seppure con pochi tratti, è reso in maniera perfetta.
E poi la ricostruzione storica così credibile e accurata... Credo che avresti vinto facilmente ma il thriller ancora una volta ci ha messo lo zampino.
Non c'è molto altro da aggiungere per commentare uno dei più bei racconti che mi sia capitato di leggere da quando frequento DT.
Ci sono tutti i paletti così bene incastrati da non riuscire a scorgerli se non essendone a conoscenza.
Ma, soprattutto, c'è un racconto scritto in maniera perfetta, privo di refusi, con una capacità di indagare l'interiorità dei personaggi, in particolare di Navarro Bernal, naturalmente, ma non solo; lo stesso Padre Firmino, seppure con pochi tratti, è reso in maniera perfetta.
E poi la ricostruzione storica così credibile e accurata... Credo che avresti vinto facilmente ma il thriller ancora una volta ci ha messo lo zampino.
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paluca66- Cavaliere Jedi
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Re: Il dono - Fuori Concorso
Perchè sia fuori concorso non lo capisco.
I paletti mi sembra ci siano tutti, forse alcuni accennati, ma come in tanti altri racconti che ho letto.
La data c'è, l'attesa e la suspense di un thriller pure.
I personaggi sono ben definiti; caratteri, pensieri, timori, emozioni indagate con accuratezza.
La scrittura non è nel mio genere: troppi termini ricercati, troppe descrizioni ridondanti che sembrano dare sfoggio di una padronanza linguistica indubbia, ma eccessiva.
Comunque complimenti.
I paletti mi sembra ci siano tutti, forse alcuni accennati, ma come in tanti altri racconti che ho letto.
La data c'è, l'attesa e la suspense di un thriller pure.
I personaggi sono ben definiti; caratteri, pensieri, timori, emozioni indagate con accuratezza.
La scrittura non è nel mio genere: troppi termini ricercati, troppe descrizioni ridondanti che sembrano dare sfoggio di una padronanza linguistica indubbia, ma eccessiva.
Comunque complimenti.
FedericoChiesa- Padawan
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