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Buio - Fuori Concorso
Una volta al mese Jacob entra come un uragano nella grande casa dei nonni, nella campagna intorno a Berlino, portando tutta la freschezza e l’entusiasmo della sua età: il primo giorno del nuovo millennio diventerà finalmente maggiorenne!
Nonna Miriam lo aspetta come sempre in cucina, pronta a sfornare la sua torta preferita, nonno Yeoshua è nel suo studio ma appena sente la voce del nipote compare sulla soglia della cucina con un sorriso che raramente gli illumina il viso durante le sue giornate.
Oggi Jacob sembra più eccitato del solito, prima ancora di finire tra le braccia del nonno lo travolge di parole: “Nonno, ieri sera abbiamo fatto una cosa bellissima, siamo andati al “Das Abendmahl” e abbiamo cenato al buio! Il mese prossimo ho deciso di portarti lì per festeggiare i tuoi 77 anni” dice tutto d’un fiato.
Un’ombra attraversa il volto del nonno, è solo un attimo ma non sfugge al nipote.
“Che c’è, nonno, qualcosa non va?”
Yeoshua guarda per un attimo la moglie e lei capisce che deve intervenire: “È una vecchia storia Jacob, niente di importante; piuttosto, raccontaci di ieri sera”.
Ma Jacob è disorientato, guarda il nonno e gli sorride con grande dolcezza poi, inesorabile: “Nonno, non mi inganni… raccontami questa storia, ti va?”
A Yeoshua non va, è una storia difficile, dolorosa, ma lo sguardo del nipote lo tocca nel profondo, in quel punto del cuore dove l’amore per il ragazzo non ha confini.
“Miriam, taglia una bella fetta di torta per Jacob e una per me e portaci due bicchieri di vino, di quello buono…” dice Yeoshua, e quando la moglie li ha serviti e si è seduta accanto a lui, le prende la mano e comincia a raccontare.
Lasciate ogni speranza o voi che entrate.
La scritta, in perfetto italiano, campeggiava su un foglio A4 attaccato sul vetro della porta di ingresso del ristorante.
Tutte le sere, verso le ventidue, la piccola e stretta Wodna si animava improvvisamente di persone di ogni età che si dirigevano al n.5 dove ad attenderli sulla soglia del locale c’era il “vecchio cieco”.
Così era conosciuto da tutti nella piccola Gleiwitz il proprietario di “Dante”, il semplice nome del ristorante di cui era titolare da poco più di un lustro, da quando l’aggressione di cinque ragazzotti in uniforme nazista, lungo un corridoio dell’Università di Berlino, lo aveva privato della vista ponendo fine alla sua luminosa e trentennale carriera accademica.
Nessuno diceva “andiamo a mangiare da Dante stasera”, per tutti si andava dall’Ebreo cieco.
Io avevo la tua età all’epoca e per guadagnare qualche soldo la sera andavo al secondo turno, quello che cominciava alle 22.15, per fare le pulizie.
“Tuo nonno veniva al ristorante per vedere me, altro che fare le pulizie!” nonna Miriam interviene a interrompere il racconto del marito.
“Io facevo la cameriera e lui si era invaghito di me, così con la scusa di guadagnare qualcosa per la famiglia si era fatto assumere come tuttofare per due soldi”.
“Non darle retta, Jacob” borbotta nonno Yeoshua.
“Nonno, perché c’erano due turni?”
Yeoshua beve un sorso di vino e riprende il racconto.
Ogni sera, tranne il sabato, il ristornate apriva alle diciannove e, mezz’ora dopo, serviva al tavolo i clienti del primo turno che alle 21.30 dovevano avere finito di cenare e lasciato il locale.
A quel punto cominciava la trasformazione: si abbassavano le luci, si sistemava un piccolo palco e alle 22.15 in punto si aprivano le porte agli avventori del secondo turno che, una volta entrati e seduti, piombavano nel buio.
Tutte le luci si spegnevano, il vecchio in persona portava i piatti ai tavoli – bada bene, nessuno conosceva il menu che cambiava ogni sera – e, dopo che tutti i clienti erano serviti, l’ospite della serata saliva sul palchetto e cominciava a raccontare una storia.
“Che figata, nonno!” Jacob non riesce a trattenersi; pensare che mezzo secolo prima qualcuno avesse già avuto l’idea del ristorante al buio lo sconcerta e in più c’è questo aspetto letterario che è decisamente intrigante.
“Quindi, chiunque poteva salire sul palco e raccontare una storia”.
“Non proprio chiunque, il “professore” invitava i suoi vecchi amici dell’Università, in cambio di una cena loro si prestavano a questo giochino che li divertiva tanto”.
“Raccontare una storia nel buio assoluto mentre gli altri stavano cenando doveva essere un’esperienza pazzesca” ribatte Jacob immaginandosi su quel palco.
“E dovevi sentire che silenzio che c’era in quella sala, nessuno parlava, bisbigliava, interrompeva… tutti mangiavano e ascoltavano rapiti dalla voce che raccontava nel buio più assoluto” aggiunge nonna Miriam.
“Io e tua nonna approfittavamo per appartarci nel lungo corridoio che congiungeva il ristorante con gli appartamenti del proprietario”.
“Non pensare male, Jacob, non facevamo niente di particolare, ci scambiavamo qualche bacio, se ero in vena gli lasciavo toccare il mio seno, ma per lo più restavamo abbracciati ad ascoltare le storie che venivano raccontate sera dopo sera”.
“Fu un periodo bellissimo fino a quella sera” conclude nonno Yeoshua con tono improvvisamente cupo e sottolineando l’aggettivo “quella”.
“Cosa successe, nonno?”.
“Ascolta bene, Jacob, perché è la prima volta che racconto questa storia a qualcuno e non credo che arrivato in fondo avrò voglia di raccontarla nuovamente” gli risponde il nonno e, dopo un nuovo sorso di vino, lascia libero sfogo al ricordo.
Era stata una giornata particolare, c’era fermento in città, tensioni, ma come tutte le sere, il ristorante era pieno quando si spensero le luci e l’ebreo cominciò a servire i tavoli; quando ebbe finito presentò con poche parole un suo caro amico, un ex collega della facoltà di lettere ormai come lui fuori dal giro accademico.
Disse che aveva scritto e pubblicato per pochi intimi una serie di racconti gotici e che anche quella sera avrebbe intrattenuto il gentile pubblico con un noir, dopodiché cedette la parola all’amico.
Come sempre io e la nonna ci eravamo appartati nel corridoio a scambiarci tenere effusioni ma anche noi non eravamo sereni come al solito, c’era qualcosa che ci turbava e così ci mettemmo all’ascolto del racconto.
L’anziano docente aprì il portone di casa e appena fu nell’androne non poté fare a meno di notare la busta gialla che sporgeva dalla sua cassetta della posta.
La prese e, incuriosito, la aprì mentre saliva le scale che portavano al secondo piano dell’appartamento in Dorotheenstrasse.
All’interno c’era un semplice biglietto scritto a mano: GUARDATI LE SPALLE SPORCO EBREO.
Rilesse il biglietto per essere certo di aver capito bene e poi lo archiviò nel cestino della spazzatura senza dargli alcuna importanza.
Cenò e poi si mise alla scrivania a correggere i compiti che aveva assegnato agli studenti la settimana prima.
Estremamente abitudinario, alle undici in punto chiuse tutto e cominciò a prepararsi per la notte quando squillò il telefono; benché l’orario fosse alquanto insolito, rispose ma dall’altra parte nessuno parlò.
Chiese più volte chi fosse finché la linea si interruppe.
Appoggiò la cornetta e rimase qualche secondo pensieroso prima di avviarsi nuovamente in bagno a prepararsi per la notte.
Il giorno dopo si recò come sempre in Università.
Quanto successo la sera prima era solo un vago retropensiero in una zona recondita della sua mente ma riaffiorò con forza e chiarezza non appena aprì il suo armadietto e vi trovò una svastica disegnata su una delle due pareti laterali.
Prese i suoi libri e, nonostante un certo subbuglio interno, richiuse l’armadietto e si avviò verso l’aula della lezione come se nulla fosse successo.
Durante la lezione osservò attentamente i suoi alunni cercando di intuire se dietro la loro aria apparentemente annoiata si nascondesse l’autore di quel gesto stupido e vile.
La giornata trascorse senza ulteriori incidenti e la sera, mentre si apprestava, ultimo come sempre, a lasciare l’Università, la sua mente aveva cancellato ogni brutto pensiero.
Stava percorrendo il lungo corridoio che portava agli armadietti quando improvvisamente si spensero le luci; rimase immobile al centro del corridoio mentre un brivido gli percorreva la schiena.
Dopo un tempo che gli sembrò non finire mai ma che in realtà non durò più di trenta secondi, le luci si riaccesero. Si affrettò agli armadietti, lasciò i libri e uscì dall’Università.
Ora una certa inquietudine accompagnava i suoi passi mentre rincasava, nella sua testa era tutto un ronzare di pensieri che si affollavano, si sovrapponevano, si inseguivano. Cercava un filo logico in quel susseguirsi di piccoli avvenimenti ma l’unica spiegazione che riusciva a darsi era che in qualche modo gli stessero mandando degli avvertimenti.
Entrò nell’androne e subito il suo sguardo andò alla cassetta della posta: era vuota.
Salì le scale ed entrò in casa; si cambiò gli abiti, si preparò la cena e poi si distese sul divano a leggere, il tutto in attesa di sentire lo squillo del telefono.
Ma il telefono non squillò quella sera.
Nonostante tutto fece un buon sonno ristoratore e il mattino dopo gli sembrò di poter mettere in fila gli avvenimenti con una certa logica che non era più così spaventosa come gli era apparsa la sera prima.
Certo, c’era stato il biglietto nella busta gialla e la svastica nell’armadietto ma potevano essere considerati poco più che dei gesti goliardici figli del momento storico che stavano, loro malgrado, vivendo; e poi un professore, nel corso della sua carriera, chissà quante volte si era scontrato con qualche alunno che non era d’accordo con la valutazione di un esame!
Per un paio di giorni non accadde nulla e il docente si convinse che si era trattato solo di una serie di casualità che avevano finito per concentrarsi tutte nel giro di poche ore.
Quella sera mentre rientrava a casa, però, ebbe la sensazione di essere seguito.
Non ne era sicuro, ma gli sembrò di sentire dei passi, leggeri, scarpe basse, senza tacco.
Con aria fintamente distratta si voltò ma, alle sue spalle, la strada era deserta; un cane sbucò da un vicolo proprio davanti a lui facendolo sobbalzare ma riuscì a controllarsi e a non urlare.
Allungò il passo e cercò di non fare caso ai rumori attorno a lui, ma ora i passi sembravano più vicini e, soprattutto, più affrettati.
Si fermò e si voltò deciso ad affrontare chiunque fosse il suo inseguitore ma ancora una volta la strada dietro a lui era deserta.
Rincasò, infine, in un bagno di sudore: si accorse di avere paura.
Prese il telefono e chiamò un suo collega, il miglior amico che aveva in città e all’interno delle mura accademiche.
Gli raccontò tutto, fin dal principio, un vero e proprio sfogo liberatorio.
“Cosa aspetti ad andartene” gli disse l’altro “se fosse capitato a me avrei già fatto le valigie e ti avrei chiesto di accompagnarmi”.
“Ma non capisci che così gliela diamo vinta!” replicò l’anziano docente “Forse dovrei avvertire la polizia”.
“Bravo” replicò l‘altro “come se non sapessi che sono tutti dei loro…”
La telefonata andò avanti ancora un po’ su questo tono, dopodiché l’anziano docente salutò l’amico, si preparò la cena e si coricò.
Per un paio di giorni non accadde nulla di strano anche se l’amico sembrava non volerlo lasciare mai solo e insisteva perché si allontanasse dalla città almeno per qualche giorno. Poi un pomeriggio entrò in aula per l’ultima lezione e la trovò vuota: non c’era nemmeno un alunno.
Rimase perplesso, poi uscì e si avviò verso la segreteria.
L’ edificio era stranamente silenzioso, appariva deserto.
Girò l’angolo e si incamminò per il lungo corridoio che portava agli armadietti e in quel momento li vide: erano in due, in tenuta militare, due giovani nazisti.
Nonostante l’agitazione fece finta di nulla e proseguì finché non fu a pochi passi da loro.
Fu allora che in un lampo i due gli sbarrarono la strada: “Ehi vecchio, non ti ricorda nulla questa scena?” gli chiese il più alto sghignazzando.
“Non so di che state parlando” replicò tenendo lo sguardo a terra “lasciatemi passare che ho una lezione”.
“Non c’è nessuno qui oltre a noi tre, sono andati via tutti” gli rispose quello dei due che sembrava avere il comando dell’operazione.
“Non hai risposto alla mia domanda” ripeté il primo “Ricordi il tuo amato Manzoni?”
“Non so di che state parlando, ora devo proprio andare”.
Nel frattempo, da dietro l’angolo erano comparsi altri tre ragazzi, anche loro in divisa militare.
Fu il più anziano a parlare: “Ti abbiamo avvisato in tutti i modi sporco ebreo, ma tu hai continuato a fare finta di niente e ora ci troviamo costretti a spiegarci in un’altra maniera” e senza aggiungere altro lo colpì violentemente alla bocca dello stomaco.
Il docente non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo che una tempesta di pugni e calci lo travolse: lo colpirono ovunque con ferocia e crudeltà fino a lasciarlo esanime a terra, privo di uno dei doni più preziosi che il buon Dio ha fatto agli uomini, la vista.
Yeoshua fa una pausa, si passa la mano sul viso e si versa un altro po' di vino, ma non lo beve; nella stanza è calato il silenzio, si sentono le cicale frinire nel giardino, Jacob non dice nulla, capisce che il racconto di “quella” sera è solo all’inizio, intravede che nonna Miriam ha gli occhi lucidi.
Vorrebbe dire al nonno quanto gli vuole bene e che non gli interessa più sapere come va avanti l’incredibile storia che gli sta raccontando ma ne è affascinato in un modo raccapricciante e tace.
In sala calò il silenzio, la gente aveva capito, poi gli appalusi scrosciarono spontanei e convinti. Io e tua nonna eravamo leggermente impauriti, sentivamo ciascuno il proprio cuore battere un po’ più velocemente del normale.
Poi qualcosa sfiorò il polpaccio della nonna e contemporaneamente si sentì chiarissimo un miagolio prolungato.
La nonna lanciò un urlo di terrore nello stesso momento in cui sentimmo le campane battere la mezzanotte.
Nella sala si spalancò la porta d’ingresso e di colpo, mentre tutte le luci si accendevano, una mezza dozzina di SS in divisa entrarono nel ristorante urlando a tutti di stare seduti e di non muoversi per nessun motivo.
La nonna stava per crollare ma io ebbi la prontezza di metterle una mano sulla bocca: ci appiattimmo contro il muro.
Sentimmo i soldati che sbraitavano di un presunto attacco alla stazione radio tedesca avvenuto nel pomeriggio e che dovevano procedere a un breve interrogatorio; sentimmo la voce del vecchio ebreo protestare che quello era il suo ristorante e che non dovevano permettersi e che dovevano andarsene, poi il rumore secco di uno sparo e di nuovo il silenzio.
Sentimmo il rumore delle sedie che si spostavano mentre presumibilmente gli avventori si alzavano per seguire i militari e poi i passi di un paio di soldati che si avvicinavano, stavano percorrendo il corridoio.
La nonna tremava tra le mie braccia e io ebbi la prontezza di riflessi di aprire la porta alle mie spalle e scivolare dentro quello che presumevo essere uno sgabuzzino, trascinandola con me.
Percorsero su e giù il corridoio per un tempo che mi sembrò infinito ma che non dovette durare più di un minuto poi sentimmo la porta che si apriva.
Trattenemmo il fiato e ci spostammo impercettibilmente dietro a quello che poteva essere un armadio.
Vedevamo la figura del soldato inquadrata dalla porta, stava cercando un interruttore che, per fortuna, non c’era.
Sentivo la nonna piangere in silenzio, le sue guance bagnate appoggiate alle mie, mi facevano male i muscoli nel cercare di stare perfettamente immobile.
Il soldato fece qualche passo all’interno della stanza quando il gatto di poco prima miagolò schizzando rapido tra le sue gambe.
Lanciò un grido mentre faceva due passi indietro e, allo stesso tempo, il suo compagno scoppiava a ridere sguaiatamente e poi gli diceva di andarsene che dovevano sistemare ancora tutti gli avventori del ristornate.
Sentimmo ancora il micio che miagolava in una maniera ora completamente diversa mentre i due maledetti ridevano in un modo davvero terribile poi, finalmente, si allontanarono e tornò il silenzio.
Dovette passare un lungo tempo, forse un’ora, prima che mi decidessi ad aprire la porta e uscire.
Guardai a destra e sinistra e non c’era nessuno ma ciò che vidi mi fece rabbrividire: in mezzo al corridoio c’era la carcassa del povero gatto che i due soldati avevano straziato e sul muro di fronte a noi un’enorme scritta rosso sangue: MORTE AGLI EBREI e, poco oltre, WAR!
Quel giorno il buio cominciò lentamente e inesorabilmente a inglobare il nostro mondo per lunghi anni.
Jacob guarda i nonni, le loro mani strette convulsamente, gli occhi lucidi, sembrano ancora in quella stanza, terrorizzati.
“Non rivedemmo più nessuno” mormora il nonno, “probabilmente furono deportati quella notte stessa, chissà se qualcuno è sopravvissuto”.
Timidamente, quasi temendo di sbagliare, Jacob chiede “E voi due? Come avete fatto a salvarvi?”: anche lui sussurra.
“Questa è un’altra storia, tesoro, magari te la racconteremo un altro giorno”.
Il silenzio torna ad avvolgere la stanza quando Rocky, il micio dei nonni, lancia un miagolio lungo e sofferente, facendoli sobbalzare.
Finalmente la tensione si scioglie in una risata liberatoria, Jacob si alza e abbraccia i nonni, vorrebbe dire mille cose ma comprende che quell’abbraccio è sufficiente a esprimerle tutte.
Different Staff- Admin
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Re: Buio - Fuori Concorso
Ciao Penna.
L'insegnante di letteratura italiana in pensione c'è, il 31 agosto 1939 pure, il ristorante Dans Le Noir anche, forse difetta di genere (ma un po' di thriller c'è)? O forse per altri motivi.
Mi piace molto questo racconto con almeno tre diversi piani temporali. Sarà che è il primo racconto che commento in questo step o forse so quanto è stato difficile incastrare tutto, i difetti ci sono di sicuro ma non credo di avere la competenza per inquadrarli. Forse sono ben nascosti.
Grazie e alla prossima.
L'insegnante di letteratura italiana in pensione c'è, il 31 agosto 1939 pure, il ristorante Dans Le Noir anche, forse difetta di genere (ma un po' di thriller c'è)? O forse per altri motivi.
Mi piace molto questo racconto con almeno tre diversi piani temporali. Sarà che è il primo racconto che commento in questo step o forse so quanto è stato difficile incastrare tutto, i difetti ci sono di sicuro ma non credo di avere la competenza per inquadrarli. Forse sono ben nascosti.
Grazie e alla prossima.
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Re: Buio - Fuori Concorso
Forse è colpa del genere, che sicuramente non è comico ma neppure veramente thriller; o forse è per il corridoio, che all'interno della trama appare piuttosto marginale.
Forse sono questi i fattori che hanno spinto il testo fuori concorso.
Ed è un peccato, perché la storia è narrata benissimo, i personaggi sono vivi e tratteggiati con cura e i vari piani temporali che si intrecciano nel racconto sono stati gestiti con grande capacità.
La lettura scorre senza intoppi, non si notano refusi, e la storia è di quelle che difficilmente si fanno dimenticare.
Nient'altro da aggiungere, se non i complimenti all'autore del racconto e il rammarico personale per non poterlo votare.
Grazie per averlo lasciato comunque in lettura.
M.
Forse sono questi i fattori che hanno spinto il testo fuori concorso.
Ed è un peccato, perché la storia è narrata benissimo, i personaggi sono vivi e tratteggiati con cura e i vari piani temporali che si intrecciano nel racconto sono stati gestiti con grande capacità.
La lettura scorre senza intoppi, non si notano refusi, e la storia è di quelle che difficilmente si fanno dimenticare.
Nient'altro da aggiungere, se non i complimenti all'autore del racconto e il rammarico personale per non poterlo votare.
Grazie per averlo lasciato comunque in lettura.
M.
M. Mark o'Knee- Padawan
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Re: Buio - Fuori Concorso
Non mi è dispiaciuto per niente. Probabilmente i paletti sono piuttosto sottili e forse per quello sei fuori concorso. E' comunque meglio di alcuni altri che invece sono entrati in gioco. Peccato.
Antonio Borghesi- Padawan
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Re: Buio - Fuori Concorso
Un bel racconto della memoria. Penso che a un autore così bravo sarebbe bastato qualche piccolo aggiustamento per poter stare in gara, forse la sua è una scelta. E va bene così. Complimenti, mi è piaciuto leggerti.
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Re: Buio - Fuori Concorso
Non serve a niente dire che il tuo racconto meriterebbe un percorso migliore, in gara. I paletti stravaganti hanno fatto una carneficina e messo in sofferenza parecchi autori. Ce l'hanno fatta solo i più bravi, i più acrobatici.
tommybe- Cavaliere Jedi
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Re: Buio - Fuori Concorso
davvero peccato sia fuori gara, altrimenti sarebbe in cinquina.
bel racconto, trama solida e ben esposta, ottime descrizioni ed emozioni che arrivano al lettore.
ti faccio i complimenti.
bel racconto, trama solida e ben esposta, ottime descrizioni ed emozioni che arrivano al lettore.
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Re: Buio - Fuori Concorso
Il racconto è molto coinvolgente e ben scritto. Ho trovato presenti i vari elementi richiesti, alcuni più decisi, altri più sfumati. Il corridoio è presente e certamente lo è il professore. Il ristorante Dans le Noir c’è anche se non è proprio fondamentale nella storia. Avrebbe potuto essere un ristorante qualunque. Anche il genere in fondo è abbastanza rispettato, nonostante che il ritmo e la suspense non percorrano tutto il testo.
L’unico dubbio che ho è sulla veridicità storica. L’immagine che si ha è quella di una Polonia già sottomessa al potere nazista. Non credo che prima dell’invasione i nazisti fossero già così presenti a spadroneggiare in terra polacca. In altre parole quell’irruzione degli SS nel ristorante lo stesso giorno del falso attentato alla stazione radio, mi è sembrata poco credibile, ma magari mi sbaglio.
A parte questa osservazione il racconto è di mio completo gradimento.
L’unico dubbio che ho è sulla veridicità storica. L’immagine che si ha è quella di una Polonia già sottomessa al potere nazista. Non credo che prima dell’invasione i nazisti fossero già così presenti a spadroneggiare in terra polacca. In altre parole quell’irruzione degli SS nel ristorante lo stesso giorno del falso attentato alla stazione radio, mi è sembrata poco credibile, ma magari mi sbaglio.
A parte questa osservazione il racconto è di mio completo gradimento.
Danilo Nucci- Cavaliere Jedi
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Re: Buio - Fuori Concorso
La storia è scritta molto bene e il testo è ben curato.
Ma ci sono tanti aspetti che non mi hanno convinto, a partire dal più evidente: un certo scostamento tra il personaggio di Jacob e la narrazione della storia.
Voglio dire, Jacob si comporta davvero molto come un bambino, con la sua irruenza affettiva, i superlativi, l'entusiasmo: insomma, mi si è immediatamente disegnato in testa come un bambino di otto-dieci anni.
Nonostante la prima frase indichi di fatto la sua età, tra l'altro.
Quindi puoi capire che quando il nonno gli fa portare del vino ci sono rimasto un po' così, e allo stesso modo per tutto il resto del racconto: un sacco di informazioni e dettagli che a un bambino non ha senso esplicitare. Ma, volendo, a nessun ascoltatore, eccetto forse un investigatore che ha bisogno di tutti i dettagli possibili per ricostruire un fatto passato.
Ecco, se la storia Yeoshua l'avesse raccontata a un poliziotto, forse il racconto sarebbe stato più thriller (mentre il difetto di genere è ciò che lo ha condannato, a naso).
Sono sbiancato alla nonna che menziona il farsi toccare il seno: sono un po' retrogrado, ma penso che nessuno dei miei nonni avrebbe mai detto una cosa del genere nel raccontarmi una storia del passato, né sarebbe sceso in dettagli.
Figurati che ho letto poi tutta la storia credendo che Jacob fosse un bambino.
Ecco.
Non mi convince molto la storia nella storia, cioé quella narrata in corsivo.
Praticamente, "Dante" affida al suo amico di raccontare la propria storia nel ristorante al buio. Non lo so. Mi sembra un po' forzato, ma non so dirti perché, anche se scoprire che è di fatto la storia del proprietario del locale mi ha dato una certa soddisfazione, a livello di colpo di scena, così da collegare nome del ristorante, citazione dantesca, ecc.
Un po' forzata anche la metodologia dei giovani nazisti per spaventare il professore: credo non si andasse tanto sullo psicologico, all'epoca, specie con personaggi non di primo piano.
La primissima parte, quella dell'incontro tra nonni e nipote, brilla di luminosa luccicanza [cit.] che, sapete, su di me ha un effetto un poco repulsivo, ma tant'è.
C'è qualche uso del termine "ebreo" che non mi convince. Yeoshua e famiglia sembrano ebrei a loro volta, dai nomi, e quindi l'uso quasi dispregiativo che viene fatto del termine, a volte, stona in bocca al nonno.
Solidarietà infine al povero gatto massacrato. Questa cosa che i nazisti uccidono gli animaletti mi sta qui (come la scena di JoJo Rabbit in cui il bullo istruttore della Hitlerjugend spezza il collo al coniglietto perché loro devono essere pronti a uccidere, senza sentimentalismi).
Madonna quella scena quanto mi disturba (da ex possessore di coniglietto che ho amato tantissimo per 10 lunghi anni).
Comunque, per farla breve: ho trovato questa storia scritta molto bene e curatissima nei dettagli, ma è l'impianto generale, nonché alcune soluzioni narrative e stilistiche, a non avermi convinto.
Ma ci sono tanti aspetti che non mi hanno convinto, a partire dal più evidente: un certo scostamento tra il personaggio di Jacob e la narrazione della storia.
Voglio dire, Jacob si comporta davvero molto come un bambino, con la sua irruenza affettiva, i superlativi, l'entusiasmo: insomma, mi si è immediatamente disegnato in testa come un bambino di otto-dieci anni.
Nonostante la prima frase indichi di fatto la sua età, tra l'altro.
Quindi puoi capire che quando il nonno gli fa portare del vino ci sono rimasto un po' così, e allo stesso modo per tutto il resto del racconto: un sacco di informazioni e dettagli che a un bambino non ha senso esplicitare. Ma, volendo, a nessun ascoltatore, eccetto forse un investigatore che ha bisogno di tutti i dettagli possibili per ricostruire un fatto passato.
Ecco, se la storia Yeoshua l'avesse raccontata a un poliziotto, forse il racconto sarebbe stato più thriller (mentre il difetto di genere è ciò che lo ha condannato, a naso).
Sono sbiancato alla nonna che menziona il farsi toccare il seno: sono un po' retrogrado, ma penso che nessuno dei miei nonni avrebbe mai detto una cosa del genere nel raccontarmi una storia del passato, né sarebbe sceso in dettagli.

Figurati che ho letto poi tutta la storia credendo che Jacob fosse un bambino.
Ecco.
Non mi convince molto la storia nella storia, cioé quella narrata in corsivo.
Praticamente, "Dante" affida al suo amico di raccontare la propria storia nel ristorante al buio. Non lo so. Mi sembra un po' forzato, ma non so dirti perché, anche se scoprire che è di fatto la storia del proprietario del locale mi ha dato una certa soddisfazione, a livello di colpo di scena, così da collegare nome del ristorante, citazione dantesca, ecc.
Un po' forzata anche la metodologia dei giovani nazisti per spaventare il professore: credo non si andasse tanto sullo psicologico, all'epoca, specie con personaggi non di primo piano.
La primissima parte, quella dell'incontro tra nonni e nipote, brilla di luminosa luccicanza [cit.] che, sapete, su di me ha un effetto un poco repulsivo, ma tant'è.
C'è qualche uso del termine "ebreo" che non mi convince. Yeoshua e famiglia sembrano ebrei a loro volta, dai nomi, e quindi l'uso quasi dispregiativo che viene fatto del termine, a volte, stona in bocca al nonno.
Solidarietà infine al povero gatto massacrato. Questa cosa che i nazisti uccidono gli animaletti mi sta qui (come la scena di JoJo Rabbit in cui il bullo istruttore della Hitlerjugend spezza il collo al coniglietto perché loro devono essere pronti a uccidere, senza sentimentalismi).
Madonna quella scena quanto mi disturba (da ex possessore di coniglietto che ho amato tantissimo per 10 lunghi anni).
Comunque, per farla breve: ho trovato questa storia scritta molto bene e curatissima nei dettagli, ma è l'impianto generale, nonché alcune soluzioni narrative e stilistiche, a non avermi convinto.
Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Data di iscrizione : 08.01.21
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Re: Buio - Fuori Concorso
Racconto potente, tenero e spietato.
Solo la sensibilità di un autore esperto e capace poteva far arrivare tante emozioni
e farle restare a lungo nella memoria di chi legge.
È fuori per i motivi che credo di intuire, ma quello che ne è venuto fuori è degno di nota e attenzione.
La storia, probabilmente come ci fai intuire, è destinata ad avere un seguito.
Lo spero davvero.
Solo la sensibilità di un autore esperto e capace poteva far arrivare tante emozioni
e farle restare a lungo nella memoria di chi legge.
È fuori per i motivi che credo di intuire, ma quello che ne è venuto fuori è degno di nota e attenzione.
La storia, probabilmente come ci fai intuire, è destinata ad avere un seguito.
Lo spero davvero.
Resdei- Cavaliere Jedi
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Re: Buio - Fuori Concorso
I paletti non mi sembrano mancare.
Anche il genere ci sarebbe, almeno nella storia (raccontata nel locale): già, perchè qui c'è una storia, nella storia (raccontata dal nonno), nella storia (raccontata da te).
Scritto bene, coinvolgente.
Alle perplessità di Fante Scelto, aggiungo quella sulla scritta WAR, in inglese: non l'ho capita.
Anche il genere ci sarebbe, almeno nella storia (raccontata nel locale): già, perchè qui c'è una storia, nella storia (raccontata dal nonno), nella storia (raccontata da te).
Scritto bene, coinvolgente.
Alle perplessità di Fante Scelto, aggiungo quella sulla scritta WAR, in inglese: non l'ho capita.
FedericoChiesa- Padawan
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Re: Buio - Fuori Concorso
Un bel racconto, scritto bene, una scrittura semplice e diretta per una storia - la persecuzione degli ebrei - letta in tante versioni, ma non per questo perdendo di intensità e assurdità.
Francamente non sono riuscita a comprendere le ragioni del fuori concorso: I paletti mi sembrano gestiti bene, senza esagerazioni o forzature. Il genere forse? Eppure tensione ce n’è, anche se la trama alla fine ha un percorso abbastanza scontato, per il ripetersi di vicende analoghe. Il professore c’è, la data è quella che tanto ci ha fatto penare.
Comunque sia, ho letto un buon racconto nel suo insieme. Mi ha però colpito una sorta di “doppia velocità”: la prima e l’ultima parte, pur se scritte bene, scontano il difetto di una punteggiatura un pochino ballerina (e mi sono segnata alcuni punti che sottopongo alla Penna) mentre la parte centrale, il racconto narrato sul palcoscenico, pare quasi di un’altra Penna o forse è la parte lavorata per prima, su cui più si è ragionato? Ovvio che è una mia impressione.
Al di là delle mie note, il racconto prende, tiene legato il lettore anche se si immagina il proseguo: ogni storia come questa è una storia a sé stante, con i personaggi che ci raccontano le stesse vicende ma al contempo è la “loro” storia, sempre differente.
Peccato sia fuori concorso, davvero.
Alla fine magari ce ne verrà spiegata la ragione.
…un foglio A4 attaccato - un avviso affisso lo leggo meglio, inoltre il precisare le dimensioni non serve molto
al n. 5 - manca uno spazio
Ci sono alcune virgole mancanti, ovviamente secondo il mio modo di leggere le frasi, soprattutto quelle un po’ lunghe. Ti propongo le modifiche.
ad attenderli, sulla soglia del locale,
aveva privato della vista, ponendo
E dovevi sentire che silenzioche c’era in quella sala,: nessuno parlava, bisbigliava, interrompeva.… Tutti mangiavano e ascoltavano, rapiti dalla voce che raccontava nel buio più assoluto” aggiunge nonna Miriam
cicale frinire nel giardino:, Jacob non dice nulla, capisce che il racconto
il suo ristorante,e che non dovevano permettersi e che dovevano andarsene. Poi il
Percorsero su e - manca il soggetto, anche se è chiaro.
Francamente non sono riuscita a comprendere le ragioni del fuori concorso: I paletti mi sembrano gestiti bene, senza esagerazioni o forzature. Il genere forse? Eppure tensione ce n’è, anche se la trama alla fine ha un percorso abbastanza scontato, per il ripetersi di vicende analoghe. Il professore c’è, la data è quella che tanto ci ha fatto penare.
Comunque sia, ho letto un buon racconto nel suo insieme. Mi ha però colpito una sorta di “doppia velocità”: la prima e l’ultima parte, pur se scritte bene, scontano il difetto di una punteggiatura un pochino ballerina (e mi sono segnata alcuni punti che sottopongo alla Penna) mentre la parte centrale, il racconto narrato sul palcoscenico, pare quasi di un’altra Penna o forse è la parte lavorata per prima, su cui più si è ragionato? Ovvio che è una mia impressione.
Al di là delle mie note, il racconto prende, tiene legato il lettore anche se si immagina il proseguo: ogni storia come questa è una storia a sé stante, con i personaggi che ci raccontano le stesse vicende ma al contempo è la “loro” storia, sempre differente.
Peccato sia fuori concorso, davvero.
Alla fine magari ce ne verrà spiegata la ragione.
…un foglio A4 attaccato - un avviso affisso lo leggo meglio, inoltre il precisare le dimensioni non serve molto
al n. 5 - manca uno spazio
Ci sono alcune virgole mancanti, ovviamente secondo il mio modo di leggere le frasi, soprattutto quelle un po’ lunghe. Ti propongo le modifiche.
ad attenderli, sulla soglia del locale,
aveva privato della vista, ponendo
E dovevi sentire che silenzio
cicale frinire nel giardino:
il suo ristorante,
Percorsero su e - manca il soggetto, anche se è chiaro.
diceva di andarsene, che dovevano sistemare ancora tutti gli avventori del ristornate.
Sentimmo ancora - due “ancora” così ravvicinati stonano leggermente.______________________________________________________
"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
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