Nel palazzo fiorentino, due uomini siedono l’uno di fronte all’altro.
Il più anziano, in sedia a rotelle, stringe tra le mani una lettera antica. L’altro non distoglie lo sguardo dal documento. «Mi tenga informato» dice prima di voltargli le spalle e uscire di scena col passo leggero di un’ombra.
È ancora notte. Marcello si chiude nello studio, sceglie con misurata lentezza un vinile dalla collezione e indossa le cuffie. La puntina accarezza i solchi e lui si lascia avvolgere dalle note umanizzate del sax di Coltrane. Accende la lampada da tavolo, siede, avvia il computer e, come d’abitudine, scorre le prime informazioni della giornata sullo schermo.
Non è la fine dello stato di emergenza per la pandemia che lo colpisce; ad attirare la sua attenzione è la notizia che riguarda Emmanuel Carrère: lo scrittore dice addio a Putingrad. Solleva lo sguardo verso la libreria. La copia di “Un romanzo russo” occhieggia dallo scaffale; scuote la testa la letteratura è un’altra vittima della guerra, pensa.
È soprappensiero quando il display dello smartphone s’illumina: appare il nome di Duccio Neri. A quest’ora? Prima di rispondere si assicura che la porta dello studio sia ben chiusa.
«Pronto. Ma certo, dottore, che mi ricordo di lei. Che succede? No, no. Non sono più in servizio da tempo» posa lo sguardo sulla foto del nipotino.
«Ho urgente bisogno di vederla. Oggi stesso.»
La richiesta è inattesa come la neve a ferragosto. Marcello aggiorna la pagina del calendario da tavolo. «Le ho detto che sono fuori dal giro. Ormai, sono un nonno a tempo pieno e…»
«Lo consideri uno scambio di favori» risponde l’uomo senza fargli terminare la frase.
Marcello guarda l’orologio e fa un rapido calcolo. «D’accordo. Il tempo di fare una doccia e mi metto in viaggio.»
L’autostrada, prima dell’alba, è un nastro scuro proteso verso l’ignoto. Marcello spinge a fondo l’acceleratore.
La città rinascimentale lo accoglie col profumo di caffè e di paste appena sfornate.
Raggiunge palazzo Neri alle otto in punto. Preme l’unico pulsante sulla bottoniera lucidata a specchio e attende la risposta. L’occhio discreto di una telecamera proietta la sua immagine sul monitor. È la prima volta che l’avvocato Neri vede l’ex carabiniere in borghese. Aziona il citofono.
«Digito?» chiede con circospezione.
«Ergo sum!» risponde Marcello con prontezza.
La serratura del grande portone ligneo fa uno scatto. All’ingresso lo investe un sentore di chiuso. La luce fioca di lampade a basso consumo illumina la grande scala in pietra serena che conduce al piano nobile. Riconosce subito i virtuosismi de “L’isola dei morti” opera n. 29 di Rachmaninov diffusi nell’anticamera. Solleva lo sguardo verso la piccola finestra a mosaico. Il cielo coperto lascia filtrare timidi raggi che illuminano la parete affrescata. Granelli di polvere sembrano danzare lievi nell’aria.
Tanta bellezza vale sempre il prezzo del viaggio, pensa.
Il ronzio della sedia a rotelle precede il click dell’apriporta.
«Entri pure, Digito. Posso ancora chiamarla così, vero? Come ai tempi della nostra collaborazione.»
I due si scambiano una calorosa stretta di mano. Marcello ammira il soffitto a volta interamente affrescato. «È davvero splendido, complimenti.»
«Un tempo, questa era la chiesa di famiglia. Pensi che l’ho scoperto solo di recente; eppure il palazzo appartiene alla mia casata da secoli» dice l’avvocato «ma non voglio farle perdere tempo. Vengo subito al motivo del nostro incontro.» L’uomo apre un cassetto della scrivania, estrae un foglio ingiallito e glielo porge.
Marcello indossa gli occhiali e scorre il testo in silenzio. È costretto a tornare indietro più volte. Il documento è parecchio danneggiato.
“Mi accoglierà l’Eterno nella schiera dei santi per aver difeso la Chiesa? Oppure le mani mie lorde di sangue arderanno tra le fiamme? Lo confesso, sì. Per codardia non fui capace di distruggere il regale dono. Lo celai agli occhi del mondo e a guardia posi quattro paladini, sí che la Chiesa non corresse periglio alcuno. Donato Neri A.D. 1600.”
A lettura ultimata, una ruga profonda gli solca la fronte. «Dov’era?»
L’avvocato indica un’antica Bibbia nella libreria. «Fra quelle pagine, a metà del libro.»
Marcello raggiunge lo scaffale e preleva il prezioso volume.
All’interno, né una dedica, né un segno rivelatore, soltanto una frase sottolineata nel libro di Giosuè: “Fermati, sole, su Gàbaon, e tu, luna, sulla valle di Àialon”.
«Un’eclisse… sembra incredibile che queste parole abbiano avuto il potere di bloccare per secoli il progresso della scienza e fatto giustiziare parecchi uomini» pensa a voce alta.
«Già, proprio così: un’interpretazione cieca delle sacre scritture. Ma la storia dell’uomo è piena di errori» risponde l’avvocato.
I due restano in silenzio per qualche istante.
«Vede, da quando ho trovato la lettera non riesco a pensare ad altro. È come avere uno scheletro nell’armadio. Cosa può essere stato nascosto? Chi è stato ucciso? Queste domande mi danno il tormento. Digito, la prego, sono sicuro che lei può aiutarmi.»
«Grazie per la fiducia, ma perché ha pensato a me?» chiede senza distogliere lo sguardo.
«Perché lei è un uomo colto, arguto, e…» prosegue sottovoce «mi deve un favore» risponde l’avvocato.
Anni prima, l’indagine fiorentina gli aveva tolto il sonno per parecchio tempo. L’esito brillante di quell’operazione, risolta grazie all’aiuto dell’avvocato Duccio Neri, aveva fatto decollare la sua carriera nell’Arma.
Marcello sospira. Rilegge la lettera.
«Chi era Donato Neri? Immagino che lei abbia già fatto delle ricerche.»
«Un mio antenato. Pare avesse preso i voti e fosse un accanito detrattore di Giordano Bruno. In famiglia si tramanda la leggenda che abbia speso parecchio pur di assistere di persona al suo rogo. Questo è tutto.»
«Non è molto. Farò il possibile, ma temo che sarà un buco nell’acqua.»
Una stretta di mano sigilla l’accordo.
Una volta rimasto solo, l’avvocato fa una telefonata.
«È uscito adesso. Sì, ha accettato.»
Firenze è magnifica anche sotto la pioggia primaverile. Assorto nei propri pensieri, Marcello non si accorge dell’uomo che lo segue con discrezione.
Per la prima tappa della ricerca si reca alla biblioteca delle Oblate. Il fascino dell’antico convento è ancora intatto. Bere un caffè nel bar allestito all’ultimo piano dell’edificio, con vista sulla cupola del Brunelleschi, è quanto di meglio si possa desiderare.
L’ambiente è splendido ma è un vero labirinto: deve chiedere a più di uno studente le indicazioni per la sezione storica.
A giudicare dalla quantità d’informazioni disponibili, a Firenze l’evento più importante del secolo fu il matrimonio per procura tra Maria de’ Medici ed Enrico IV di Francia celebrato il 5 ottobre del 1600. Tutto è minuziosamente documentato: dagli abiti della nobiltà, al ricco menù, alla lista dei regali per gli sposi.
Per codardia non fui capace di distruggere il regale dono le parole della lettera gli ronzano in testa. Forse era un dono di nozze, pensa. Scorre l’elenco: gioielli, soprammobili, statuette, perfino un corsiero napoletano.
Nel girare le pagine, lo colpisce la didascalia sotto alla riproduzione di un dipinto: “Ritratto del giovane Damiano Adimari († 4 ottobre 1600). Morto il giorno prima del matrimonio reale. Un’idea si fa strada nella sua mente. Guarda l’orologio. Chissà se faccio ancora in tempo… Si affretta a uscire.
L’uomo seduto dietro di lui chiude il volume, si alza e continua a seguirlo in strada.
Palazzo Bastogi, sede dell’archivio storico della città di Firenze, si trova giusto nelle vicinanze.
La signorina della biglietteria blocca Marcello all’ingresso: «Ha prenotato?»
Sul badge spicca il nome “Daniela Adimari”.
Marcello gioca l’asso: «Se le dicessi che sto facendo una ricerca araldica proprio sulla sua famiglia? Sia gentile, la prego. Mi faccia entrare.»
«Mi spiace, ma senza prenotazione non posso» risponde quella con un mezzo sorriso.
Marcello sta per desistere, quando il suo inseguitore esce dall’ombra e mostra alla ragazza un tesserino. «Per oggi può fare un’eccezione» le dice con tono autorevole. Nell’asola sul bavero della giacca riluce una spilla d’oro.
L’ex militare ha già visto quel distintivo, ma non ricorda dove. «La ringrazio moltissimo» dice cercando di mettere a fuoco il soggetto.
L’uomo fa un cenno di assenso, entra insieme a lui e si dilegua nel buio del lungo corridoio.
Quando esce, Marcello ha in testa un mormorio di nomi, date, e informazioni ma un nuovo tassello si è aggiunto: Damiano Adimari è stato trovato morto nei pressi del Palazzo della Signoria.
Intanto, l’uomo che ha agevolato il suo accesso alla struttura esce da una porta laterale dell’edificio.
Marcello fa una rapida sosta nella vicina cattedrale di Santa Maria del Fiore; siede nel silenzio per radunare le idee. Potrei cercare all’archivio arcivescovile, decide.
È fortunato. Il primo ingresso è disponibile dopo un’ora e la sede, da lì, è raggiungibile a piedi.
Affretta il passo.
Un sacerdote, dopo una serie innumerevole di firme, lo conduce in una stanza asettica e gli fornisce un paio di guanti immacolati. Sul tavolino c’è già l’annuario richiesto per la consultazione.
I fogli sembrano fragili come ali di farfalla. La calligrafia ordinata è certo opera di qualche novizio, ma il linguaggio antico è ostico da decifrare. Molte registrazioni riguardano il matrimonio reale: un nutrito elenco di alte autorità ecclesiastiche intervenute alle nozze.
Marcello toglie gli occhiali e si stropiccia gli occhi. Il sacerdote controlla ogni sua mossa.
«Ha bisogno di aiuto?» chiede.
«Sì, grazie. Cerco notizie sulle esequie di Damiano Adimari un giovane nobile deceduto il giorno prima del matrimonio di Maria de’ Medici.»
Il prete aggrotta le sopracciglia. «Il rito funebre sarà stato celebrato di sicuro molto più tardi.» S’accarezza la barba e sfoglia con lentezza le pagine. Alla data 20 ottobre 1600 c’è l’annotazione di un funerale. L’officiante fu un certo Donato Neri, consacrato frate Cosma, domenicano.
Marcello si sofferma sui simboli accanto al nome: una croce, un ramo d’olivo e una spada racchiusi in un ovale. «Cosa significano?» chiede.
«È probabile che il frate fosse un membro dell’Inquisizione» risponde il religioso.
Donato Neri… un inquisitore! Si alza come folgorato da un’intuizione, ringrazia il prete e s’affretta a uscire.
San Cristoforo degli Adimari, oggi, è un’autorimessa per le ambulanze della Misericordia.
«La chiesa è stata sconsacrata alla fine del ’700» risponde uno dei volontari «un tempo era la cappella di famiglia, ma, come vede, non è rimasto molto.»
Gli stemmi della potente casata fiorentina non sono che cicatrici levigate dai secoli e dalle intemperie sulla facciata dell’antico edificio di culto.
Marcello si avvia a tornare dall’avvocato con poche idee confuse.
L’anticamera gli sembra meno affascinante. L’ambiente è umido, la sedia emette una specie di lamento lugubre a ogni minimo movimento.
«Allora, Digito, ha già scoperto qualcosa?»
«Dottore, mi spiace, ma ci sono pochi elementi per indagare. Ho più domande che risposte.»
Il più anziano, in sedia a rotelle, stringe tra le mani una lettera antica. L’altro non distoglie lo sguardo dal documento. «Mi tenga informato» dice prima di voltargli le spalle e uscire di scena col passo leggero di un’ombra.
È ancora notte. Marcello si chiude nello studio, sceglie con misurata lentezza un vinile dalla collezione e indossa le cuffie. La puntina accarezza i solchi e lui si lascia avvolgere dalle note umanizzate del sax di Coltrane. Accende la lampada da tavolo, siede, avvia il computer e, come d’abitudine, scorre le prime informazioni della giornata sullo schermo.
Non è la fine dello stato di emergenza per la pandemia che lo colpisce; ad attirare la sua attenzione è la notizia che riguarda Emmanuel Carrère: lo scrittore dice addio a Putingrad. Solleva lo sguardo verso la libreria. La copia di “Un romanzo russo” occhieggia dallo scaffale; scuote la testa la letteratura è un’altra vittima della guerra, pensa.
È soprappensiero quando il display dello smartphone s’illumina: appare il nome di Duccio Neri. A quest’ora? Prima di rispondere si assicura che la porta dello studio sia ben chiusa.
«Pronto. Ma certo, dottore, che mi ricordo di lei. Che succede? No, no. Non sono più in servizio da tempo» posa lo sguardo sulla foto del nipotino.
«Ho urgente bisogno di vederla. Oggi stesso.»
La richiesta è inattesa come la neve a ferragosto. Marcello aggiorna la pagina del calendario da tavolo. «Le ho detto che sono fuori dal giro. Ormai, sono un nonno a tempo pieno e…»
«Lo consideri uno scambio di favori» risponde l’uomo senza fargli terminare la frase.
Marcello guarda l’orologio e fa un rapido calcolo. «D’accordo. Il tempo di fare una doccia e mi metto in viaggio.»
L’autostrada, prima dell’alba, è un nastro scuro proteso verso l’ignoto. Marcello spinge a fondo l’acceleratore.
La città rinascimentale lo accoglie col profumo di caffè e di paste appena sfornate.
Raggiunge palazzo Neri alle otto in punto. Preme l’unico pulsante sulla bottoniera lucidata a specchio e attende la risposta. L’occhio discreto di una telecamera proietta la sua immagine sul monitor. È la prima volta che l’avvocato Neri vede l’ex carabiniere in borghese. Aziona il citofono.
«Digito?» chiede con circospezione.
«Ergo sum!» risponde Marcello con prontezza.
La serratura del grande portone ligneo fa uno scatto. All’ingresso lo investe un sentore di chiuso. La luce fioca di lampade a basso consumo illumina la grande scala in pietra serena che conduce al piano nobile. Riconosce subito i virtuosismi de “L’isola dei morti” opera n. 29 di Rachmaninov diffusi nell’anticamera. Solleva lo sguardo verso la piccola finestra a mosaico. Il cielo coperto lascia filtrare timidi raggi che illuminano la parete affrescata. Granelli di polvere sembrano danzare lievi nell’aria.
Tanta bellezza vale sempre il prezzo del viaggio, pensa.
Il ronzio della sedia a rotelle precede il click dell’apriporta.
«Entri pure, Digito. Posso ancora chiamarla così, vero? Come ai tempi della nostra collaborazione.»
I due si scambiano una calorosa stretta di mano. Marcello ammira il soffitto a volta interamente affrescato. «È davvero splendido, complimenti.»
«Un tempo, questa era la chiesa di famiglia. Pensi che l’ho scoperto solo di recente; eppure il palazzo appartiene alla mia casata da secoli» dice l’avvocato «ma non voglio farle perdere tempo. Vengo subito al motivo del nostro incontro.» L’uomo apre un cassetto della scrivania, estrae un foglio ingiallito e glielo porge.
Marcello indossa gli occhiali e scorre il testo in silenzio. È costretto a tornare indietro più volte. Il documento è parecchio danneggiato.
“Mi accoglierà l’Eterno nella schiera dei santi per aver difeso la Chiesa? Oppure le mani mie lorde di sangue arderanno tra le fiamme? Lo confesso, sì. Per codardia non fui capace di distruggere il regale dono. Lo celai agli occhi del mondo e a guardia posi quattro paladini, sí che la Chiesa non corresse periglio alcuno. Donato Neri A.D. 1600.”
A lettura ultimata, una ruga profonda gli solca la fronte. «Dov’era?»
L’avvocato indica un’antica Bibbia nella libreria. «Fra quelle pagine, a metà del libro.»
Marcello raggiunge lo scaffale e preleva il prezioso volume.
All’interno, né una dedica, né un segno rivelatore, soltanto una frase sottolineata nel libro di Giosuè: “Fermati, sole, su Gàbaon, e tu, luna, sulla valle di Àialon”.
«Un’eclisse… sembra incredibile che queste parole abbiano avuto il potere di bloccare per secoli il progresso della scienza e fatto giustiziare parecchi uomini» pensa a voce alta.
«Già, proprio così: un’interpretazione cieca delle sacre scritture. Ma la storia dell’uomo è piena di errori» risponde l’avvocato.
I due restano in silenzio per qualche istante.
«Vede, da quando ho trovato la lettera non riesco a pensare ad altro. È come avere uno scheletro nell’armadio. Cosa può essere stato nascosto? Chi è stato ucciso? Queste domande mi danno il tormento. Digito, la prego, sono sicuro che lei può aiutarmi.»
«Grazie per la fiducia, ma perché ha pensato a me?» chiede senza distogliere lo sguardo.
«Perché lei è un uomo colto, arguto, e…» prosegue sottovoce «mi deve un favore» risponde l’avvocato.
Anni prima, l’indagine fiorentina gli aveva tolto il sonno per parecchio tempo. L’esito brillante di quell’operazione, risolta grazie all’aiuto dell’avvocato Duccio Neri, aveva fatto decollare la sua carriera nell’Arma.
Marcello sospira. Rilegge la lettera.
«Chi era Donato Neri? Immagino che lei abbia già fatto delle ricerche.»
«Un mio antenato. Pare avesse preso i voti e fosse un accanito detrattore di Giordano Bruno. In famiglia si tramanda la leggenda che abbia speso parecchio pur di assistere di persona al suo rogo. Questo è tutto.»
«Non è molto. Farò il possibile, ma temo che sarà un buco nell’acqua.»
Una stretta di mano sigilla l’accordo.
Una volta rimasto solo, l’avvocato fa una telefonata.
«È uscito adesso. Sì, ha accettato.»
Firenze è magnifica anche sotto la pioggia primaverile. Assorto nei propri pensieri, Marcello non si accorge dell’uomo che lo segue con discrezione.
Per la prima tappa della ricerca si reca alla biblioteca delle Oblate. Il fascino dell’antico convento è ancora intatto. Bere un caffè nel bar allestito all’ultimo piano dell’edificio, con vista sulla cupola del Brunelleschi, è quanto di meglio si possa desiderare.
L’ambiente è splendido ma è un vero labirinto: deve chiedere a più di uno studente le indicazioni per la sezione storica.
A giudicare dalla quantità d’informazioni disponibili, a Firenze l’evento più importante del secolo fu il matrimonio per procura tra Maria de’ Medici ed Enrico IV di Francia celebrato il 5 ottobre del 1600. Tutto è minuziosamente documentato: dagli abiti della nobiltà, al ricco menù, alla lista dei regali per gli sposi.
Per codardia non fui capace di distruggere il regale dono le parole della lettera gli ronzano in testa. Forse era un dono di nozze, pensa. Scorre l’elenco: gioielli, soprammobili, statuette, perfino un corsiero napoletano.
Nel girare le pagine, lo colpisce la didascalia sotto alla riproduzione di un dipinto: “Ritratto del giovane Damiano Adimari († 4 ottobre 1600). Morto il giorno prima del matrimonio reale. Un’idea si fa strada nella sua mente. Guarda l’orologio. Chissà se faccio ancora in tempo… Si affretta a uscire.
L’uomo seduto dietro di lui chiude il volume, si alza e continua a seguirlo in strada.
Palazzo Bastogi, sede dell’archivio storico della città di Firenze, si trova giusto nelle vicinanze.
La signorina della biglietteria blocca Marcello all’ingresso: «Ha prenotato?»
Sul badge spicca il nome “Daniela Adimari”.
Marcello gioca l’asso: «Se le dicessi che sto facendo una ricerca araldica proprio sulla sua famiglia? Sia gentile, la prego. Mi faccia entrare.»
«Mi spiace, ma senza prenotazione non posso» risponde quella con un mezzo sorriso.
Marcello sta per desistere, quando il suo inseguitore esce dall’ombra e mostra alla ragazza un tesserino. «Per oggi può fare un’eccezione» le dice con tono autorevole. Nell’asola sul bavero della giacca riluce una spilla d’oro.
L’ex militare ha già visto quel distintivo, ma non ricorda dove. «La ringrazio moltissimo» dice cercando di mettere a fuoco il soggetto.
L’uomo fa un cenno di assenso, entra insieme a lui e si dilegua nel buio del lungo corridoio.
Quando esce, Marcello ha in testa un mormorio di nomi, date, e informazioni ma un nuovo tassello si è aggiunto: Damiano Adimari è stato trovato morto nei pressi del Palazzo della Signoria.
Intanto, l’uomo che ha agevolato il suo accesso alla struttura esce da una porta laterale dell’edificio.
Marcello fa una rapida sosta nella vicina cattedrale di Santa Maria del Fiore; siede nel silenzio per radunare le idee. Potrei cercare all’archivio arcivescovile, decide.
È fortunato. Il primo ingresso è disponibile dopo un’ora e la sede, da lì, è raggiungibile a piedi.
Affretta il passo.
Un sacerdote, dopo una serie innumerevole di firme, lo conduce in una stanza asettica e gli fornisce un paio di guanti immacolati. Sul tavolino c’è già l’annuario richiesto per la consultazione.
I fogli sembrano fragili come ali di farfalla. La calligrafia ordinata è certo opera di qualche novizio, ma il linguaggio antico è ostico da decifrare. Molte registrazioni riguardano il matrimonio reale: un nutrito elenco di alte autorità ecclesiastiche intervenute alle nozze.
Marcello toglie gli occhiali e si stropiccia gli occhi. Il sacerdote controlla ogni sua mossa.
«Ha bisogno di aiuto?» chiede.
«Sì, grazie. Cerco notizie sulle esequie di Damiano Adimari un giovane nobile deceduto il giorno prima del matrimonio di Maria de’ Medici.»
Il prete aggrotta le sopracciglia. «Il rito funebre sarà stato celebrato di sicuro molto più tardi.» S’accarezza la barba e sfoglia con lentezza le pagine. Alla data 20 ottobre 1600 c’è l’annotazione di un funerale. L’officiante fu un certo Donato Neri, consacrato frate Cosma, domenicano.
Marcello si sofferma sui simboli accanto al nome: una croce, un ramo d’olivo e una spada racchiusi in un ovale. «Cosa significano?» chiede.
«È probabile che il frate fosse un membro dell’Inquisizione» risponde il religioso.
Donato Neri… un inquisitore! Si alza come folgorato da un’intuizione, ringrazia il prete e s’affretta a uscire.
San Cristoforo degli Adimari, oggi, è un’autorimessa per le ambulanze della Misericordia.
«La chiesa è stata sconsacrata alla fine del ’700» risponde uno dei volontari «un tempo era la cappella di famiglia, ma, come vede, non è rimasto molto.»
Gli stemmi della potente casata fiorentina non sono che cicatrici levigate dai secoli e dalle intemperie sulla facciata dell’antico edificio di culto.
Marcello si avvia a tornare dall’avvocato con poche idee confuse.
L’anticamera gli sembra meno affascinante. L’ambiente è umido, la sedia emette una specie di lamento lugubre a ogni minimo movimento.
«Allora, Digito, ha già scoperto qualcosa?»
«Dottore, mi spiace, ma ci sono pochi elementi per indagare. Ho più domande che risposte.»
«Purtroppo, io ho solo la lettera che le ho mostrato. È riuscito almeno a farsi un’idea?»
«Niente di che. Da quanto ho potuto ricostruire, un giovane inventore protetto dalla famiglia Medici, certo Damiano Adimari, sembra sia stato assassinato e derubato il giorno prima delle nozze di Maria de’ Medici.»
«Interessante… nella lettera il mio antenato dice di aver agito in difesa della Chiesa. E se avesse ucciso l’Adimari perché aveva delle idee “pericolose”?»
«Non ne vedo il motivo. Forse lei non lo sa, ma il suo parente era un inquisitore. All’epoca avrebbe potuto far condannare a morte un eretico per un semplice sospetto. Perché sporcarsi le mani?»
«Per i Medici sarebbe stato uno scandalo… Un loro protetto condannato per eresia! Meglio evitarlo, no?»
«Si vede che lei è un bravo avvocato» risponde Marcello.
«Che ne è stato del dono regale? Dove può essere nascosto? Digito, vorrei che continuasse la ricerca. Si prenda il tempo necessario, la ricompensa sarà adeguata.»
«Ci penserò. Per oggi si è fatto tardi.»
Marcello apre la porta. Solleva lo sguardo verso la finestra dell’anticamera. Al tramonto i raggi, filtrati dalle tessere di vetro colorate, proiettano una luce dorata che illumina il globo terracqueo dipinto sulla parete. Il pianeta è sostenuto ai quattro lati dalle ali di arcangeli.
A guardia posi quattro paladini… La suggestione è irresistibile.
Rientra nella stanza, prende la scala della libreria, la porta nell’anticamera e sale per osservare da vicino l’affresco: le dita affusolate degli angeli puntano dritto verso il centro della Terra, proprio dove s’intravede un minuscolo foro.
Scende per avvisare l’avvocato ma lui è già lì. Nella mano destra stringe una piccola chiave. «Forse le serve questa» dice porgendogliela «era insieme alla lettera del mio antenato.»
Marcello lo guarda di traverso. «Perché non me l’ha detto subito? Credevo si fidasse di me.»
«Digito, la prego. Chiudiamo questa faccenda.»
La chiave entra alla perfezione nel foro. Occorrono tre giri per far scattare l’antica serratura. Il vano che si apre è piuttosto profondo. All’interno c’è un astuccio in pelle malridotto.
Marcello lo preleva con cura e lo consegna nelle mani del professionista.
Una volta aperto, la vista del contenuto lascia entrambi senza parole: un piccolo rotolo e due mezzi tubi in cuoio, ciascuno dei quali reca all’estremità una lente.
Marcello prende la pergamena. «Posso?» Ottenuto il tacito assenso, inizia a srotolare piano il documento costellato qua e là da infiorescenze di muffa e macchie scure.
Sulla parte superiore del foglio c’è una serie di disegni. Una stella racchiusa in un cerchio e quattro stelline che sembrano ruotarle intorno. Giove e i quattro satelliti: Io, Europa, Ganimede e Callisto… incredibile!
La lettera prosegue, ma il contenuto è molto deteriorato.
“Mia Regina, vi reco in dono un istrumento che mostra il cielo in tutta sua bellezza e movimento.”
L’unica cosa ben visibile è la firma: “D. Adimari A.D. 1600.”
Marcello esamina il documento alla luce della finestra. La data non presenta sbavature o correzioni.
«Il dono regale… un cannocchiale! Adimari l’aveva costruito nove anni prima di Galileo. Si rende conto della portata di tutto ciò, dottore? Si dovranno riscrivere i libri di storia!»
Ma l’avvocato, le spalle curve come schiacciate da un peso, dice: «A chi gioverebbe saperlo, Digito?»
In quel momento, un uomo sembra materializzarsi davanti a loro. Un raggio di luce fa risplendere il triangolo d’oro spillato sul bavero.
L’avvocato Neri si volta verso di lui e, senza dire una parola, gli consegna l’astuccio col prezioso contenuto.
«Il suo posto è nel museo di Galileo, grazie» dice il nuovo entrato.
Gli occhi di Marcello saettano dall’uno all’altro uomo. Col volto in fiamme, scatta: «Galileo ha subìto un processo ingiusto ma ha ceduto all’intransigenza della Chiesa rinnegando le sue scoperte. Questo giovane, al contrario, è morto senza ricevere alcun merito per la sua invenzione!»
«E chi vorrebbe mai vedere infangato il nome dello scienziato fiorentino più famoso al mondo?» chiede, glaciale, l’uomo prima di chiudere il reperto in una valigetta. «Per quanto ovvio, contiamo sulla sua assoluta discrezione riguardo a tutta la vicenda» conclude prima di uscire di scena.
Marcello siede con testa fra le mani. «Avvocato, era d’accordo con lei, vero?»
«Se questa storia venisse allo scoperto, sarebbe un danno irreparabile anche per il buon nome della mia famiglia» risponde senza scomporsi. «La prego, Digito, ora richiuda tutto e mi restituisca la chiave.»
La vena sul collo pulsa con vigore. «Dottore, credo che lei abbia un dovere morale nei confronti della Storia. Ha ancora le lettere. Può fare la cosa giusta.»
«Quali?» Con un gesto fulmineo, il dottor Neri estrae un accendino dalla tasca della giacca. Gli antichi documenti sfrigolano nel piccolo incendio divampato tra le sue dita.
L’ex carabiniere si avventa sulle carte divorate dalle fiamme, ma, di loro, non resta che un mucchietto di cenere sul pavimento.
Quando riprende la parola, il tono non lascia spazio all’indulgenza. «Con questo, dottore, credo di aver saldato il mio debito con lei.»
L’avvocato annuisce. «Da oggi in poi lascerò che Digito si goda la pensione, glielo prometto.» Un raggio obliquo che filtra dalla finestra accende di luce il piccolo triangolo d’oro spillato nella sua giacca.
Appena uscito, Marcello, senza indugio, elimina il contatto dell’avvocato Duccio Neri dalla rubrica dello smartphone.
La chiusura della giornata meriterebbe l’ascolto di una musica rilassante, ma nel viaggio di rientro sono le note del Carmina Burana di Orff a tenergli compagnia. Il segreto di cui è venuto a conoscenza continua a mulinargli nella testa. Una storia morta e sepolta. Mah…pensa alzando il volume della radio.
«Niente di che. Da quanto ho potuto ricostruire, un giovane inventore protetto dalla famiglia Medici, certo Damiano Adimari, sembra sia stato assassinato e derubato il giorno prima delle nozze di Maria de’ Medici.»
«Interessante… nella lettera il mio antenato dice di aver agito in difesa della Chiesa. E se avesse ucciso l’Adimari perché aveva delle idee “pericolose”?»
«Non ne vedo il motivo. Forse lei non lo sa, ma il suo parente era un inquisitore. All’epoca avrebbe potuto far condannare a morte un eretico per un semplice sospetto. Perché sporcarsi le mani?»
«Per i Medici sarebbe stato uno scandalo… Un loro protetto condannato per eresia! Meglio evitarlo, no?»
«Si vede che lei è un bravo avvocato» risponde Marcello.
«Che ne è stato del dono regale? Dove può essere nascosto? Digito, vorrei che continuasse la ricerca. Si prenda il tempo necessario, la ricompensa sarà adeguata.»
«Ci penserò. Per oggi si è fatto tardi.»
Marcello apre la porta. Solleva lo sguardo verso la finestra dell’anticamera. Al tramonto i raggi, filtrati dalle tessere di vetro colorate, proiettano una luce dorata che illumina il globo terracqueo dipinto sulla parete. Il pianeta è sostenuto ai quattro lati dalle ali di arcangeli.
A guardia posi quattro paladini… La suggestione è irresistibile.
Rientra nella stanza, prende la scala della libreria, la porta nell’anticamera e sale per osservare da vicino l’affresco: le dita affusolate degli angeli puntano dritto verso il centro della Terra, proprio dove s’intravede un minuscolo foro.
Scende per avvisare l’avvocato ma lui è già lì. Nella mano destra stringe una piccola chiave. «Forse le serve questa» dice porgendogliela «era insieme alla lettera del mio antenato.»
Marcello lo guarda di traverso. «Perché non me l’ha detto subito? Credevo si fidasse di me.»
«Digito, la prego. Chiudiamo questa faccenda.»
La chiave entra alla perfezione nel foro. Occorrono tre giri per far scattare l’antica serratura. Il vano che si apre è piuttosto profondo. All’interno c’è un astuccio in pelle malridotto.
Marcello lo preleva con cura e lo consegna nelle mani del professionista.
Una volta aperto, la vista del contenuto lascia entrambi senza parole: un piccolo rotolo e due mezzi tubi in cuoio, ciascuno dei quali reca all’estremità una lente.
Marcello prende la pergamena. «Posso?» Ottenuto il tacito assenso, inizia a srotolare piano il documento costellato qua e là da infiorescenze di muffa e macchie scure.
Sulla parte superiore del foglio c’è una serie di disegni. Una stella racchiusa in un cerchio e quattro stelline che sembrano ruotarle intorno. Giove e i quattro satelliti: Io, Europa, Ganimede e Callisto… incredibile!
La lettera prosegue, ma il contenuto è molto deteriorato.
“Mia Regina, vi reco in dono un istrumento che mostra il cielo in tutta sua bellezza e movimento.”
L’unica cosa ben visibile è la firma: “D. Adimari A.D. 1600.”
Marcello esamina il documento alla luce della finestra. La data non presenta sbavature o correzioni.
«Il dono regale… un cannocchiale! Adimari l’aveva costruito nove anni prima di Galileo. Si rende conto della portata di tutto ciò, dottore? Si dovranno riscrivere i libri di storia!»
Ma l’avvocato, le spalle curve come schiacciate da un peso, dice: «A chi gioverebbe saperlo, Digito?»
In quel momento, un uomo sembra materializzarsi davanti a loro. Un raggio di luce fa risplendere il triangolo d’oro spillato sul bavero.
L’avvocato Neri si volta verso di lui e, senza dire una parola, gli consegna l’astuccio col prezioso contenuto.
«Il suo posto è nel museo di Galileo, grazie» dice il nuovo entrato.
Gli occhi di Marcello saettano dall’uno all’altro uomo. Col volto in fiamme, scatta: «Galileo ha subìto un processo ingiusto ma ha ceduto all’intransigenza della Chiesa rinnegando le sue scoperte. Questo giovane, al contrario, è morto senza ricevere alcun merito per la sua invenzione!»
«E chi vorrebbe mai vedere infangato il nome dello scienziato fiorentino più famoso al mondo?» chiede, glaciale, l’uomo prima di chiudere il reperto in una valigetta. «Per quanto ovvio, contiamo sulla sua assoluta discrezione riguardo a tutta la vicenda» conclude prima di uscire di scena.
Marcello siede con testa fra le mani. «Avvocato, era d’accordo con lei, vero?»
«Se questa storia venisse allo scoperto, sarebbe un danno irreparabile anche per il buon nome della mia famiglia» risponde senza scomporsi. «La prego, Digito, ora richiuda tutto e mi restituisca la chiave.»
La vena sul collo pulsa con vigore. «Dottore, credo che lei abbia un dovere morale nei confronti della Storia. Ha ancora le lettere. Può fare la cosa giusta.»
«Quali?» Con un gesto fulmineo, il dottor Neri estrae un accendino dalla tasca della giacca. Gli antichi documenti sfrigolano nel piccolo incendio divampato tra le sue dita.
L’ex carabiniere si avventa sulle carte divorate dalle fiamme, ma, di loro, non resta che un mucchietto di cenere sul pavimento.
Quando riprende la parola, il tono non lascia spazio all’indulgenza. «Con questo, dottore, credo di aver saldato il mio debito con lei.»
L’avvocato annuisce. «Da oggi in poi lascerò che Digito si goda la pensione, glielo prometto.» Un raggio obliquo che filtra dalla finestra accende di luce il piccolo triangolo d’oro spillato nella sua giacca.
Appena uscito, Marcello, senza indugio, elimina il contatto dell’avvocato Duccio Neri dalla rubrica dello smartphone.
La chiusura della giornata meriterebbe l’ascolto di una musica rilassante, ma nel viaggio di rientro sono le note del Carmina Burana di Orff a tenergli compagnia. Il segreto di cui è venuto a conoscenza continua a mulinargli nella testa. Una storia morta e sepolta. Mah…pensa alzando il volume della radio.