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Messaggio Da Different Staff Mer Apr 07, 2021 9:12 pm

Sto morendo, e se non fosse destino morirei lo stesso per la puzza che devo sopportare. Io, il grande pittore Claudius Flavinius, il cultore della bellezza e della raffinatezza, a morire così male nel giardino che ho sempre tenuto perfettamente curato, assieme a questo assurdo infermiere.
E’ andata così, maledizione. Mio padre mi aveva avvertito, mai legarsi a qualcuno. Per questo ho vissuto evitando di affezionarmi. Ho schivato per quanto possibile donne e uomini, mi sono sempre dedicato a coltivare le passioni, la cultura, il piacere, e a cinquantaquattro anni ha fatto breccia Decimus, è entrato a piè pari nella mia vita. E così gli ultimi sei mesi sono stati bellissimi, e l’ultima settimana una catastrofe. No, non volevo questo, e so che ho creato io le circostanze; se non fossi onesto, e se avessi fede, le imputerei ai capricci delle Parche. Ciò che è successo è innato alla mia natura, al nuovo sentimento natomi dal cuore, alla mia pietà e alla ricerca di una estetica esasperata che mi porta a distruggere ciò che non soddisfa il mio gusto.
La bellezza l’ho coltivata attraverso le mie opere di ingegneria domestica, con la ricerca e lo studio dei filosofi greci e romani tramite i libri più rari e costosi in circolazione, con l’arte della pittura con la quale ho impreziosito le tante pareti delle ville patrizie e soprattutto la mia domus. Sono sempre stato alla ricerca della perfezione, così tanto ossessionato da liberarmi spesso dei miei dipinti imperfetti, dei libri comprati troppo incautamente, di tutti i rapporti con le persone. Non che ne sia pentito: i molti papiri che non erano perfettamente tenuti o i cui contenuti erano deludenti svilivano la mia biblioteca, e le mura divisorie della mia casa, solo i miei schiavi sanno quante volte le ho fatte demolire per spostarle anche solo di mezzo dito, per il nuovo progetto architettonico. Per non parlare dei miei arazzi che ho coperto con nuovi intonaci per dipingerli ancora con soggetti più coinvolgenti, per sperimentare nuovi colori che arrivavano dalla Spagna o da Cipro, o perché alla fine ci trovavo “il difetto”. E mi sono liberato anche del superfluo: i rapporti umani, sempre pettegoli e deludenti; le amicizie che vivono solo per gozzovigliare nel mio giardino e giocare ai dadi o alle noci; la fede nell’intervento salvifico degli Dei, che quando occorrono non ci sono mai. E soprattutto mi sono affrancato dalla peggiore umanità, le insulse donne imbellettate di gesso e biacca nella faccia e nelle braccia, coi loro frivoli discorsi sui gioielli o su come ringiovanire col latte d’asina, col loro sesso che sembra una ferita che non rimargina. Non che abbia rinunciato al piacere, ma non certo con quelle insulse femmine.
Ricordo bene, come potrei dimenticare quei bellissimi giorni, quando andai per la prima volta nella magnifica città di Messalina. In quel tempo frequentavo già i bordelli di Neapolis. Erano stanze luride, con letti in pietra, giacigli umidi, donne disfatte. Mio padre lo sapeva, sorrideva, mi scherzava ma non mi spiegava. E poi mi portò con se a Roma, per insegnarmi il mestiere. Avrebbe affrescato una villa patrizia sull’Esquilino. Fu lì che scoprii le varie sfumature del piacere. Ogni sera andavamo al lupanare del Palatino, quello voluto da Caligola per i patrizi e per la classe facoltosa, e nel mentre io mi soddisfavo con le meretrici, vedevo lui appartarsi con bambini bellissimi. E ho voluto provare anche io. E non sarebbe stata più la stessa cosa. Nel corso degli anni ho comprato diversi schiavi che mi hanno dato la possibilità di sperimentare ogni possibile sfumatura del sesso, e quando sono usciti dalla pubertà li ho poi impiegati in lavori poco faticosi come riconoscimento per il loro servizio reso.
E sempre da mio padre ho ereditato la passione di dipingere quella che lui chiamava “tempio del desiderio”, la camera da letto. Nella mia ho dipinto il bello, gli unici arazzi della casa che non ho mai coperto, dove la perfezione l’ho quasi raggiunta. Non ho mai affrescato una delle quattro pareti. Mi sono sempre reso conto che quel vuoto stonava, ma mi mancava il soggetto giusto; il tramezzo era pronto per il campione ideale che tuttavia non avevo ancora individuato.
Eppure tutto quanto sta finendo, perde d’importanza, ora che sto morendo. Tutti quei libri, i miei dipinti, quegli arazzi che fanno della mia villa la più bella di Ercolano, chissà che fine faranno. Presto sarò accolto nell’Averno e non potrò portare nulla di tutto ciò.  
Anche la natura sta disperando. Da giorni le scosse fanno tremare la terra, e pennacchi di fumo inquietanti minacciano la città dalla montagna. No, il vulcano non si dispera per me, non versa lacrime perché sono in fin di vita.
Sento la febbre che mi debilita, respiro a fatica, il mio sputo è doloroso e colloso, e so per certo che non ne avrò per molto, che morirò alla ricerca spasmodica d’aria. E’ una disgrazia da troppo amore, non ha a che fare con la collera degli Dei, non credo nel loro intervento. Lucrezio, già più di un secolo prima, scandalizzando Cicerone, con la sua poesia non negava l’esistenza delle divinità. Nel De Rerum Natura invocava Venere perché lo ispirasse, ma poi spiegava gli eventi naturali e le loro conseguenze sull’uomo, di fatto sancendo l’inazione divina. E io, come lui, non è che non creda in loro. E’ solo che questi Numi sono insensibili e indifferenti all’uomo, sia a dare che a togliere. 
E la prova la sto subendo ora, disteso sul giaciglio, mentre sento i borboglii dell’inquieto Vesuvio. Dove siete Dei Consenti? Non certo qui, in giardino, dove comparite come fredde statue agli angoli delle siepi di alloro e rosmarino, e dove sto cercando aria disteso sul baldacchino, alla mercé dell’infermiere praticone; qui che in solitudine godevo, tra un rutto e l’altro, della frescura sotto i graticci delle viti, con la tavola imbandita di mammelle di vitella cotte coi datteri e il miglior vino a dissetarmi. Si, dove siete anche voi Olimpici dal volto greco, ora che i miei polmoni cercano aria fresca, cercano qualsiasi altra aria, tranne quella che proviene dai miasmi di cataplasmi di urina, sangue di cavallo e cavoli che l’infermiere mi sta applicando. E devo anche sopportare le sue litanie che durano da ore, con la testa che mi scoppia:
-         …motas uaeta daries dardaries, asiadarides una te pes… -
-         …haut haut istasis tarsis ardannabon… -
…e vorrei dirgli anche basta, basta con quelle suppliche, ma non ne ho la forza. Ne sono certo, nemmeno lui sa cosa vogliono dire queste giaculatorie. Sono riti che attengono più alla magia che agli insegnamenti di Ippocrate. E io sono un nobile emancipato, ben poco incline alla stregoneria, avvezzo al bello e ispirato dal modello epicureo. Non ne ha colpa, lo so, l’infermiere fa quello che il suo padrone gli ha ordinato, ma non mi può certo confortare.  
Già, il suo padrone, quel medico codardo che ho pagato bene e che appena mi ha visto e gli ho spiegato i sintomi ha cominciato a allontanarsi e ha incaricato il suo accolito schiavo di assistermi con quei rimedi. Nella stanza dei papiri ho quel testo di Catone dove spiega come curare le lussazioni e i raffreddori, e quel tipo di unguenti sono farmaci per quelle malattie. Quello da cui sono affetto è noto, altro che raffreddore. Almeno i puzzolenti cataplasmi, che non servono a nulla, avrebbe potuto risparmiarmeli. E comunque vorrei morire presto, non mi interessa più vivere, dopo che Decimus se n’è andato, facendo in tempo purtroppo a vomitare sui mosaici del mio tempio del desiderio. Vorrei evitare la sofferenza, questo sì, e invece mi si spalma addosso le pomate di piscio, e che assomigliano alle tempere che mischio per dipingere la mia casa. Ma i miei colori sono lo strumento per creare bellezza, contengono i profumi dei solventi, il pesto di fiori e piante resinose, la cera più pura; quelle pomate ideate da qualche Dio per umiliare l’uomo sono solo poltiglie per esperimenti sulla morte.
Non volevo far del male a Decimus. Quando me lo portarono, sei mesi fa, dalla Giudea, gli diedi subito il nuovo nome romano, lo feci pulire per bene e lo portai a letto. Ricordo come si spaventò quando vide l’affresco che avevo dipinto nella camera da letto, quella bellissima pittura di Pan che possedeva una capra. Ma, i Numi mi siano testimoni, la prima volta sono stato molto delicato con lui. Non volevo che gli accadesse quanto occorso a Primus, il mio primo schiavo del piacere; non avevo mai visto prima di allora un bambino di undici anni togliersi la vita; negli anni avevo imparato che vanno presi per mano e iniziati alla bellezza. E lui era gracile, il più minuto di quei bambini che avevo già comprato negli anni scorsi. Pochi giorni, veramente pochi, e ero già invaghito di lui. Non era particolarmente intelligente, anzi, non capiva la lingua e non l’ha mai imparata. Ho provato a spiegargli che era fortunato a essere stato fatto schiavo, che si sapeva che le madri giudee quando avevano fame si mangiavano i loro figli e che con me era salvo. Lui non capiva, era solamente spaventato e montava in me quell’istinto paterno di protezione. Si, lo amavo, per quanto si possa amare uno schiavo, ma la storia di Roma è sempre stata piena di patrizi innamorati dei loro servitori, e loro dei Romani.
La mia camera da letto, è quello il luogo che più adoro della mia villa, il tempio del piacere dove festeggiavo ogni giorno il baccanale, lì dove forse sarebbe più onorevole andarmene. Ho disegnato e colorato le tre facciate, una più bella dell’altra, non certo con le insulse opere che mi commissionavano gli altri possidenti per le loro ville, coi loro mari piatti, le greggi o gli eroi mitici che indossano armature sfavillanti e calzano ghette del colore del cuoio. Il mio pennello, in quello spazio privato, può affrescare esclusivamente il piacere; uva e sesso, uomini e animali coi loro membri turgidi, semidei e umani in promiscuità. E non permetto a nessuno di vedere quella stanza, chi ci entra non può più uscire dalla mia vita. Quantomeno vivo.
Dopo averlo ucciso, già con la febbre e respirando a fatica, ho comunque provato a dipingere il liscio intonaco ancora bianco del tempio del desiderio; volevo fare un nuovo affresco raffigurando Decimus ancora vivo e perfetto. Con lui avrei usato il cinabro, la tempera più preziosa e difficile da trovare, che mi facevo portare dalla città di Sisapo. E, pur debilitato, avrei impiegato ogni mia capacità e attenzione a ricreare il suo volto da efebo, per cogliere col pennello la sua anima. Per le sue natiche scure ero riuscito a combinare il rosso d’uovo con le foglie bruciate dei vitigni e la cera. E poi, prima di intingere il pennello nei colori, sono crollato a terra impossibilitato a fare qualsiasi cosa.
La testa mi scoppia, il puzzo di piscio e sangue è forte anche all’aperto, qui in giardino, e mi fa vomitare, o forse rimetterei anche senza quell’odioso unguento. E poi la terra che trema, un’altra forte scossa di terremoto che mi smuove il basso ventre, che mi fa cagare addosso. E’ un caldo anomalo per il periodo, che dalla metà di agosto a Ercolano ogni anno cominciano a soffiare i venti e sopraggiunge la frescura marina. La febbre monta anche sotto la pergola di viti.
-         …ardannabon, ardannabon, ardannabon… -
Non lo sopporto più questo infermiere. Non ho forza di guardarlo, così tanto schiavo, impaurito di ammalarsi da contagio, scosso dall’inquieto e minaccioso Vesuvio, certo di morire per mano del suo padrone medico se mi abbandonasse senza cure, lui però scappato via al sicuro col sacchetto pieno di sesterzi. 
Quando quattro giorni fa ho visto Decimus sputare quel scuro e colloso muco e perdere le forze, quando l’ho sentito respirare a fatica e ho avvertito la sua pelle bruciante, ho capito subito che aveva il tifo bianco. Eravamo entrambi finiti. Avevo un testo di Aristotele sulla medicina. L’ho riletto, ma ricordavo bene ciò che c’era scritto. I sintomi erano inequivocabili, e la malattia mortale si trasmetteva per contagio umano. Era ovvio che, per i nostri trascorsi intimi, per quei baci appassionati col quale gli mostravo tutto il mio amore, sarebbe arrivato il mio turno. Decimus si sarebbe presto imbruttito, si era già sfigurato, e quando sarebbe toccato a me fare i conti con i primi sintomi della malattia, oltre a disperarmi per l’infausta affezione, avrei dovuto sopportare di assistere agli ultimi respiri di un bambino con la gola gonfia, pallido da far paura, con la tosse, puzzante di sudore e dei suoi schifosi reflui dalla bocca e dal culo, un bambino che non rispettava più il mio concetto di perfezione estetica. Ma non sono un mostro, e sono riconoscente a chi mi ha dato piacere. Con un vassoio colmo di fichi dolci e maturi cosparsi di miele di eucalipto l’ho portato nella nostra alcova. Coi gesti gli ho mostrato che doveva mangiarli, che il miele gli avrebbe alleviato il dolore, gli avrebbe facilitato la respirazione, ma non capiva altro se non che doveva mangiare. E ci ha provato, e ha vomitato sui mosaici del tempio, non l’avevo previsto, non potevo sopportare quel puzzo, quel mio luogo sacro così insozzato. Non potevo fare altro, chiunque può capirmi. Gli sono andato alle spalle pensando con malinconia a quando gli ero dietro per amarci, a quando era perfetto. Con un braccio teneramente ho abbracciato il suo corpicino, e con l’altro, dopo averlo accarezzato, gli ho spezzato l’osso del collo. Pur sapendo di avergli risparmiato una fine orribile non mi sono sentito meglio, ho guardato il vomito e il corpicino esanime, ancora il vomito sui miei mosaici, sui miei meravigliosi mosaici! E ho pianto, ma non ho pregato. A che sarebbe servito? Gli Dei Consenti non ci ascoltano.
-         …ardannabon, ardannabom, ardannabom…-
Sto morendo, sarà a giorni o a ore, e per me faccio una eccezione e sto invocando ogni divinità che sia capace di ascoltare. Prego che qualcuno venga misericordiosamente a sopprimere l’infermiere e a uccidermi. Se gli Dei ascoltassero, se sbagliasse Lucrezio a dire che sono indifferenti agli uomini, li prego di far esplodere quel maledetto vulcano, che con la vampata perfetta mi dissolvano, o che mi trasformino all’istante in una maestosa quanto tragica statua, così smetto di soffrire.
Ecco, la natura esplode, è un boato mai sentito. L’infermiere strabuzza gli occhi, guarda verso il Vesuvio e finalmente scappa. Questa bella giornata di sole si fa di colpo scura come la notte, è un colpo di scena, si fa “veramente” bella. E capisco. E ringrazio. E so che non è stato Marte, non è stato Giove. So che questo dono arriva dalla Dea dell’amore. Ripenso all’invocazione di Lucrezio e recito a memoria “…tu sola puoi gratificare i mortali con una tranquilla pace, poiché le…”  
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Messaggio Da Fante Scelto Gio Apr 08, 2021 11:49 pm

Altra storia bizzarra, particolare, mi ha colpito.
La vividezza di certe descrizioni, anche quelle inerenti al rapporto uomo-bambini, impressionano in positivo.
Il sesso femminile come ferita che non rimargina mi toglierà il sonno, ma ci sta.
Tematica dello scritto davvero interessante e, di solito, poco trattata o non con la giusta dose di schiettezza.

Il difetto che trovo in questo racconto riguarda lo stile. Di per sé non è male, si legge bene ed è abbastanza scorrevole, però di tanto in tanto ha degli intoppi, cade o su una frase troppo didascalica, come se si percepisse l'autore che spiega qualcosa al pubblico, oppure su un passaggio poco emotivo, poco carico, che fa perdere tensione al monologo di un moribondo.
Insomma, è un buon lavoro che andrebbe perfezionato per essere davvero molto buono.

EDIT - pollice verso per il titolo. Potevi trovare certamente qualcosa di più attinente ed evocativo!
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Messaggio Da miichiiiiiiiiiii Ven Apr 09, 2021 7:37 pm

È ambientato così bene che riesci a farci immaginare lì, in quell'epoca; le descrizioni, gli intrecci sono molto ricchi, il genere non lo so...
Non credo sia un monologo vero e proprio!

Ho notato però tantissimi, quasi in tutto il racconto, errori di punteggiatura! Attenzione!
Mi piace per come è scritto (come mi riferivo prima perché ti immedesimi in un personaggio difficile e non attuale), ma non gradisco più di tanto la trama.
Avrei giocato di più con meno descrizioni e più frasi decisive e secche, ricche di sentimento.
Dedicati più alle emozioni e alla punteggiatura, del resto credo che ci siamo!

Inoltre sono d'accordo con Fante Scelto riguardo il titolo, avresti dovuto trovarne uno più esaustivo.
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Messaggio Da Petunia Sab Apr 10, 2021 12:05 am

Sono tornata più e più volte a rileggere questo testo. Un po’ complice ‘sto benedetto muro di parole che mi affligge ogni volta che lo vedo. Poi il contenuto che è davvero concentrato e molto molto tosto.
Autore sei davvero bravissimo e competente. 
Si sentono uno studio accurato e una preparazione minuziosa. Nulla è lasciato al caso.
Certo tra le pieghe di tante descrizioni ricchissime si nascondono delle atrocità. Il tema della pedofilia occhieggia come un mostro nascosto dietro le tende di merletto e questo è un argomento che mi spezza il cuore sempre. E il mostro si mangia tutto.
Un testo che ha tanto da raccontare.
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Messaggio Da paluca66 Sab Apr 10, 2021 4:57 pm

I paletti innanzitutto.
Ci sono tutti, alcuni centrati in pieno, il disegnatore, Pompei, la camera da letto, altri solo sfiorati come il giardino e l'infermiere (ma quest'ultimo non era necessario essendoci già il disegnatore).
la perplessità mi rimane come sempre sul "monologo" ma ormai dopo averne letti tanti comincio a pensare che sia un problema mio e di cosa intenda esattamente con tale definizione.
Il racconto è denso di avvenimenti e informazioni. 
C'è qualcosa che ritorna spesso nei racconti ambientati a Pompei, si legge un notevole studio e approfondimento su usi e costumi dell'epoca che spesso, però, si trasforma nel travasare tutto ciò in quantità eccessiva nell'economia del racconto.
La storia raccontata è forte, il tema della pedofilia, all'epoca consentita e probabilmente nemmeno considerata reato, colpisce e non può lasciare indifferenti: è coinvolgente.
Attenzione a rileggere sempre il proprio scritto, ci sono tanti, troppi errori di punteggiatura e qua e là refusi sfuggiti... 
Te ne cito un paio come esempi:
ho visto Decimus sputare quel scuro e colloso muco
per quei baci appassionati col quale gli mostravo

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Messaggio Da Byron.RN Sab Apr 10, 2021 8:24 pm

Riconosco all'autore una invidiabile preparazione storica, sugli usi e costumi dell'epoca.
La storia in sé non è assolutamente male, anche i riferimenti alla pedofilia che io a livello generale trovo odiosi, sono comunque da contestualizzare e caratterizzano il tempo in cui si svolge la narrazione.
Però, come ho già detto un paio di volte(e come credo ripeterò in tante altre occasioni per questo step) credo di avere una propria e vera idiosincrasia per i monologhi.
Dopo poche righe la mia attenzione vacilla, cerco di restare sul pezzo ma faccio una fatica inenarrabile. Mi chiedo come facciano a passare per la mente di una persona tutti quei pensieri, tutte quelle informazioni, quelle miriadi di fatti e annotazioni in un modo così preciso e analitico.
La forma per me è corretta, non ho trovato grandi cose, forse qualche refuso ma nulla più, però il mio coinvolgimento per le ragioni che ho espresso non è stato adeguato.
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Messaggio Da caipiroska Dom Apr 11, 2021 4:50 pm

Un bel racconto, forte, deciso, senza mezzi termini.
Mi piace il tono di quest'uomo che rivive la sua vita con lucidità e racconta il dolore per la cara perdita.
Il brano è logicamente, da contestualizzare: all'epoca lo schiavo non era una persona, ma un oggetto a uso e consumo del padrone, quindi il distacco con il quale viene narrato ciò che oggi ci fa atterrire lo trovo molto adatto al contesto: trovo nella scelta di non far mai mettere in dubbio il comportamento di Claudius la strada più diretta per entrare davvero in sintonia con l'epoca di cui si parla.
Probabilmente all'epoca quello che l'autore descrive era ciò che accadeva.

Riporto questo passaggio che mi ha ingarbugliato la lettura:
Non volevo che gli accadesse quanto occorso a Primus, il mio primo schiavo del piacere; non avevo mai visto prima di allora un bambino di undici anni togliersi la vita; negli anni avevo imparato che vanno presi per mano e iniziati alla bellezza. E lui era gracile, il più minuto di quei bambini che avevo già comprato negli anni scorsi. Pochi giorni, veramente pochi, e ero già invaghito di lui. Non era particolarmente intelligente, anzi, non capiva la lingua e non l’ha mai imparata. 

Dalla frase sottolineata non ho capito se parla di Primus o di Decimus: continuo a rileggerlo ma il soggetto lui non mi aiuta. Credo sia Decimus, ma alla prima lettura pensavo fosse l'altro e mi sono un pò annodata...
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Messaggio Da Danilo Nucci Dom Apr 11, 2021 10:52 pm

Quello che mi è rimasto della lettura è una ricostruzione viva, quasi tangibile, della vita di quei tempi, con immagini talvolta crude, che oggi ci ripugnano, ma ben descritte, prova evidente di una conoscenza approfondita del mondo romano del primo secolo.
Condivido l’insofferenza espressa da altri nei confronti del monologo. Quando questo è farcito di descrizioni pesanti, dotte citazioni, continui riferimenti storici, rischia veramente di essere frainteso, nonostante tutte le buone intenzioni dell’autore. In questo caso le riflessioni intime dell’uomo giunto al fine della sua esistenza, rischiano di apparire al lettore come desiderio di fare sfoggio gratuito di cultura, cosa che spero proprio non sia in questo caso.
Faccio alcune notazioni senza pretese sulla forma:
“è entrato a piè pari nella mia vita”. E’ un’espressione che collocherei in tempi più recenti e che contrasta con la ricerca di un linguaggio “classico” presente in tutto il pezzo.
“… portarmi con l’arte della pittura…” mi pare che non si leghi bene con la frase in cui è contenuta.
“mi scherzava” mi pare improprio. Avrei detto: “scherzava con me” oppure “mi prendeva in giro”
“Anche la natura sta disperando”. Forse è meglio “si sta disperando” oppure può andar bene se è inteso nel senso “sta perdendo la speranza”
“per me faccio una eccezione” direi “un’eccezione”  
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Messaggio Da mirella Lun Apr 12, 2021 8:30 am

Il testo affronta temi sensibili, nell’intento di offrire uno spaccato dei vizi della società romana del primo secolo. All’epoca, la pedofilia è ritenuta un fatto normale, tanto che il protagonista viene iniziato a tale pratica sessuale addirittura dal proprio padre.
Flavinius è un esteta egocentrico e misogino, artista e cultore di letture filosofiche, attento a non farsi fregare dai sentimenti finché non si appassiona a Decimus, il giovanetto che gli fa vivere sei mesi di paradiso e una settimana d’inferno.
Flavinius è costretto ad assistere allo sfacelo della bellezza in Decimus a causa del tifo.
I passi in cui viene descritta la malattia sono – a mio parere – i punti forti del testo per il realismo crudo con cui Flavinius descrive le miserie del corpo prima nell’amante bambino poi sulla propria pelle, una volta contagiato e ridotto in fin di vita.
Sotto il profilo del genere, il racconto sembra viziato dall’indecisione, perché rimane a metà tra autobiografia e monologo. Data la situazione descritta, la tecnica narrativa più adatta sarebbe stata quella del monologo interiore, dove i ricordi del morente sarebbero affiorati, mescolandosi a sensazioni ed emozioni. Invece la narrazione ordinata, quasi cronologica di fatti, viaggi, esperienze appartiene al genere biografico.
Altro difetto riscontro nello stile oscillante tra citazioni dotte ed espressioni colloquiali, talora contorte nella forma.
Un ultimo appunto: mi è sembrato che l’insostenibilità della situazione, che spinge Flavinius a uccidere Decimus, sia di natura intellettualistica più che affettiva.
Nel complesso, un lavoro positivo che rispetta le indicazioni dello step.

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Messaggio Da ImaGiraffe Lun Apr 12, 2021 10:38 am

Un racconto cattivo. Crudo. Fa paura. Quindi visto che colpisce così tanto bene non posso che farti i miei complimenti. 
Riesci in poche righe a farmi odiare il protagonista. Ceselli quel disgusto per tutto il racconto e fa quasi male arrivare alla fine. 
Mi è piaciuto da matti. 
Ti sei immedesimato in quell'epoca alla perfezione senza sentimentalismi ne forzature. Sappiamo tutti che in quel periodo certe cose erano ritenute "normali" quindi perché scandalizzarci ora.

Per quanto riguarda i paletti ci sono e sono ben rispettati. 

Secondo me un testo con così tanta energia necessita di frasi più scarne. Delle immagini più nette. Lo dico come consiglio perché ne sei capace visto il sesso della donna descritto come una ferita. 
ultima cosa. Per piacere troviamo un titolo degno di questo testo così forte, se lo merita.

i miei più vivi complimenti.
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Messaggio Da Ospite Lun Apr 12, 2021 10:56 am

Da due giorni sono su questo monologo e non mi decido a commentarlo.
Qualcosa mi ha disturbato, più di qualcosa. Ma io sono un essere a parte e penso sia solo colpa mia quel disturbo. Cioè, penso che con tante cose da raccontare, migliaia, milioni di cose, la scelta è andata sulla storia più torrida e infame. Ho detto storia perché è ben chiaro che quegli avvenimenti accadevano davvero in quel periodo e nessuno si scandalizzava. E non si può dire che non ci fossero abili pensatori in quel mondo.
Sto andando a braccio, io non ho informazioni, né cultura per proporre contrasti. Ma da uomo terra terra, mi domando quale crescita letteraria e culturale possa mai scaturire dal conoscere così a fondo una malattia del corpo, il tifo, e dell'anima, lo strazio di quei schiavi bambini. 
Sicuramente sbaglio io, e sarò criticato, ma non ce la faccio proprio a giustificare un racconto scritto con tutta la bravura e il garbo possibile, che però descrive un 'inferno'. Chi scrive non può pensare di rivolgersi solo a un gruppo sparuto di competenti. Chi scrive deve pensare che le sue parole arriveranno a tutti. Sto pensando a un'antologia o a un libro qualsiasi da pubblicare.
Vabbè, sto esagerando e mi scuso. Ma questo mi passa per la testa e questo dico.


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Messaggio Da Susanna Lun Apr 12, 2021 2:15 pm

I paletti scelti dall’autor* ci sono, ben chiari.
La trama non è molto ricca, come storia a sé stante intendo: un pittore dall’ego smisurato,  culturalmente preparato ma che di questa cultura fa sfoggio più che altro per dichiarare l’ignoranza altrui. Per di più pedofilo con libertà di esserlo dalla società del tempo. Come malato: insoddisfatto dalle cure ricevute perché lui “sa”, lui ha libri.. Un po’ come ai giorni nostri, quando Internet ci consente non solo di autodiagnosticarci, ma di automedicarci (e coi tutorial a breve potremo operarci da soli, con appositi kit in vendita su Amazon) e quindi anche potenzialmente confutare un medico.
Il protagonista è tanto pieno di sé da addossare agli altri ogni difetto che sia semplicemente un altro punto di vista o un giudizio differente sulla propria persona o sulle sue opere. Ma anche semplicemente perché gli altri vivono la vita diversamente.
Devo dire che l’inserimento dell’argomento “pedofilia”, anche se coniugato con gli usi del tempo, mi ha stoppato e ha fatto perdere al racconto dei punti nella mia scala di valutazione, pur se tema necessario per la trama immaginata e nonostante sia stata trattata con un minimo di creanza.
Le descrizioni sono ricche, anche troppo quando si parla della malattia (bastava molto meno) frutto di ricerca minuziosa, anche se con la caduta sugli arazzi.
Arazzi: sono espressione dell’arte tessile, anche se i “cartoni” erano preparati da pittori, non erano dipinti sulle pareti, dovendo essere utilizzati dai tessitori per riproporre il disegno a telaio. (salvo le mie informazioni non siano corrette)
L’infermiere c’è, ma è l’occasione per elencare medicamenti dell’epoca, comunque suggeriti dal medico, e non parte attiva nella narrazione. Avrebbe potuto anche essere uno degli schiavi di casa a stendere pomate o somministrare bevande.
Punteggiatura da rivedere, diversi refusi, così come alcune frasi sembrano incomplete.
“Io, il grande pittore Claudius Flavinius, ….” la frase mi sembra monca, salvo non mettere un punto interrogativo ala fine.
“Sono sempre stato alla..” manca qualcosa
Mi scherzava?  soddisfavo? forse soddisfacevo
Piccola lezioncina di storia inserendo Cicerone che non aggiunge nulla al racconto.
Nel complesso il lavoro non è male, però non mi intriga rileggerlo:Di fatto non ho trovato spunti di riflessione come in altri monologhi. Posso solo riconoscere all'autor la molta ricerca sottostante, anzi il racconto sembra sviluppato attorno alle nozioni raccolte, che è comunque un approccio valido, dovendo rispettare dei paletti.
Il tema delle nozioni storiche pare proprio un elemento molto presente in questo step.

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Messaggio Da vivonic Lun Apr 12, 2021 3:55 pm

tommybean ha scritto:Da due giorni sono su questo monologo e non mi decido a commentarlo.
Qualcosa mi ha disturbato, più di qualcosa. Ma io sono un essere a parte e penso sia solo colpa mia quel disturbo. Cioè, penso che con tante cose da raccontare, migliaia, milioni di cose, la scelta è andata sulla storia più torrida e infame. Ho detto storia perché è ben chiaro che quegli avvenimenti accadevano davvero in quel periodo e nessuno si scandalizzava. E non si può dire che non ci fossero abili pensatori in quel mondo.
Sto andando a braccio, io non ho informazioni, né cultura per proporre contrasti. Ma da uomo terra terra, mi domando quale crescita letteraria e culturale possa mai scaturire dal conoscere così a fondo una malattia del corpo, il tifo, e dell'anima, lo strazio di quei schiavi bambini. 
Sicuramente sbaglio io, e sarò criticato, ma non ce la faccio proprio a giustificare un racconto scritto con tutta la bravura e il garbo possibile, che però descrive un 'inferno' solo per essere originale e strappare qualche voto in più o, ancor peggio, per mostrare l'altra faccia della storia a dei lettori come me che non conoscono la storia. Chi scrive non può pensare di rivolgersi solo a un gruppo sparuto di competenti. Chi scrive deve pensare che le sue parole arriveranno a tutti. Sto pensando a un'antologia o a un libro qualsiasi da pubblicare.
Vabbè, sto esagerando e mi scuso. Ma questo mi passa per la testa e questo dico.
INTERVENTO DI MODERAZIONE


Caro Tom, ho paura che il tuo commento possa risultare offensivo per l'autore. 
Converrai con me che la frase "solo per essere originale e strappare qualche voto in più " è un giudizio sull'Autore e non sul racconto, e come sai noi questo non lo facciamo mai.
In generale, e qui mi rivolgo a tutti, noi abbiamo sempre evitato di giudicare l'Autore, le sue motivazioni e qualsivoglia considerazione etica su di lui, e sempre dovremo continuare a farlo; mentre sul racconto, da sempre, avete carta bianca per il massacro.
Sono convinto che vorrai correggere il tiro, quindi se vuoi puoi commentare questo messaggio (cosa vietata in generale, ma non in questo caso, sempre in virtù del buonsenso) o, se preferisci, puoi rispondere all'Autore a giochi fermi, anche via mp.
Di una cosa, però, sono assolutamente certo e non posso concludere l'intervento senza esternarla o sarei intellettualmente disonesto: da tanti anni che è sul forum, Tom non ha mai offeso nessuno e mai lo farà; è per questo che mi metto entrambe le mani sul fuoco sulla bontà originaria di un commento che - può capitare a tutti - gli è solo uscito male.
 

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Messaggio Da Ospite Lun Apr 12, 2021 4:48 pm

vivonic ha scritto:
INTERVENTO DI MODERAZIONE


Caro Tom, ho paura che il tuo commento possa risultare offensivo per l'autore. 
Converrai con me che la frase "solo per essere originale e strappare qualche voto in più " è un giudizio sull'Autore e non sul racconto, e come sai noi questo non lo facciamo mai.
In generale, e qui mi rivolgo a tutti, noi abbiamo sempre evitato di giudicare l'Autore, le sue motivazioni e qualsivoglia considerazione etica su di lui, e sempre dovremo continuare a farlo; mentre sul racconto, da sempre, avete carta bianca per il massacro.
Sono convinto che vorrai correggere il tiro, quindi se vuoi puoi commentare questo messaggio (cosa vietata in generale, ma non in questo caso, sempre in virtù del buonsenso) o, se preferisci, puoi rispondere all'Autore a giochi fermi, anche via mp.
Di una cosa, però, sono assolutamente certo e non posso concludere l'intervento senza esternarla o sarei intellettualmente disonesto: da tanti anni che è sul forum, Tom non ha mai offeso nessuno e mai lo farà; è per questo che mi metto entrambe le mani sul fuoco sulla bontà originaria di un commento che - può capitare a tutti - gli è solo uscito male.
 

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Messaggio Da Molli Redigano Lun Apr 12, 2021 5:04 pm

Forse sbaglio, ma tenderei a definire questo testo più un flusso di coscienza che un monologo, anche se la differenza, nel caso di specie, è molto sottile. Però ci troviamo di fronte, come si dice, alla vita che passa davanti a una persona in procinto di morire. Questa è la sensazione che ho avuto. Il protagonista rende partecipe il lettore di quelle che sono state le sue passioni di una vita, ovvero l'arte e il sesso (l'orientamento sessuale, come notato, oggi fa rabbrividire, ma all'epoca non scandalizzava nessuno). Ecco, credo sia racchiusa in queste due passioni travolgenti del protagonista la vera forza di questo testo. Ed è una forza arricchita da una perfetta, a mio avviso, contestualizzazione storica, che denota un backround dell'aut veramente invidiabile. 
Ritengo inoltre che sia stata parimenti ben resa tutta la frustrazione, tutto il dolore, anche fisico, tutta l'angoscia che il protagonista prova sapendo che la fine è vicina. Perché? Perché lui ha paura di morire secondo me. E lo dimostra il fatto che continui a invocare una morte rapida, se la prende con gli dei che non ascoltano e con l'infermiere che lo accudisce. Alla fine ci pensa il Vesuvio.
Insomma, un delirio ben descritto, che non lascia indifferenti. Spesso si tende a ritenere alcuni monologhi troppo carichi di descrizioni, di stati d'animo, di situazioni. Non solo, lessico ricercato, eccessiva lunghezza dei periodi con conseguente uso semi scellerato della punteggiatura. A me tutto ciò non da fastidio, anzi. Se devo proprio essere pignolo, forse, il testo può sembrare, graficamente, un muro di parole che non invoglia alla lettura. Ma tant'è.

I paletti sono rispettati, il "ruolo" della camera da letto mi sembra centrale. 

Per me è un buon lavoro perché arriva al lettore in tutta la sua crudezza. Ciò che è narrato fa schifo, ma piace. Non so come spiegarmi meglio.

Anch'io mi accodo agli amici che hanno commentato prima di me: facciamo un casting per un titolo più degno per questo bel testo. Sempre tenendo presente che all'autor non si comanda.

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Orazio, Ars Poetica, vv. 343-344


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Messaggio Da SisypheMalheureux Mar Apr 13, 2021 12:05 am

Mentre leggevo questo bel monologo immaginavo già che avrebbe potuto sollevare un polverone a motivo delle tematiche affrontate. E, leggendo i commenti, vedo che ho avuto solo in parte ragione; pensavo peggio. Vuol dire che hai saputo trattare un tema così delicato come la pedofilia senza ipocrisia e senza dare giudizi di sorta. L'hai contestualizzato in modo molto furbo e lo hai trattato con grande naturalezza. Hai "dipinto" la realtà degli schiavi-bambini in modo estremamente crudo e vivido, e il giudizio sui costumi dell'epoca se c'è, è dato dal lettore, tu lo sospendi.
Ne viene fuori un ritratto di un uomo estremamente misogino, totalmente incapace di amare qualcuno che non sia se stesso. Un bambino di 11 anni sta morendo di tifo e l'unica cosa di cui il protagonista si preoccupa è il fatto che abbia vomitato sui mosaici. Solo questo aneddoto ci fa capire il narcisismo estremo di Claudius molto meglio di tanti aggettivi o descrizioni.
I paletti ci sono tutti, sono ben centrati e devo ammettere che questo racconto a mio parere è superiore a molti di quelli che ho letto finora. Forse non da podio, ma di sicuro tra i primi 5.

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Messaggio Da Midgardsormr Mar Apr 13, 2021 7:32 am

Ciao autor*

Ho trovato il tuo racconto storicamente ed emotivamente coinvolgente. Penso ormai si sia capito che il genere storico sia ciò che mi attira di più, e in questo monologo ne ho trovata tanta, di storia.
I paletti imposti li hai rispettati, alcuni con ruolo centrale e altri meno, ma sei riuscito a giocattoli bene.
Alcuni refusi di punteggiatura, che forse in un monologo sono tra le cose più importanti. Non mi disturba la forma, in stile muro di parole, che mi è parsa scorrevole alla lettura. La scelta delle parole in lingua antica, mi hanno colpito e lasciato piacevolmente sorpreso.

A essere precisi, il tuo minuzioso racconto sulla malattia non mi ha disturbato, anzi farei un plauso per la ricerca effettuata. Così come l'argomento pedofilia, ti faccio i complimenti. Trattare determinati argomenti, non è semplice. E per il mio modestissimo parere, tu lo hai fatto egregiamente.

Complimenti.
Grazie per la lettura.

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Messaggio Da vivonic Mar Apr 13, 2021 10:26 am

Probabilmente questo è il racconto più disturbante dello step, perché hai scelto di inserire nel tuo testo degli argomenti molto importanti.
C'è da dire che non sei caduto nel facile tranello di esprimere giudizi. Relativismo storico e culturale!
Non c'è dubbio che sia difficile commentare questo testo, perché è innegabile che faccia male ma allo stesso tempo è un racconto equilibrato nella sua follia, coerente in ogni sua parte, scritto abbastanza bene e che rispetta i paletti dello step.
Chissà come ti è venuto in mente di raccontarci questa storia, dati i paletti che avevamo proposto...
Come monologo è un po' forzato, ma in questo step sono quasi tutti un po' forzati: è evidente che il genere non sia stato congeniale a molti. Faccio mio il commento di Mirella, a tal proposito.
Insomma, un testo che ha un valore molto alto e che ti ha impegnato sicuramente nelle ricerche (oggi con internet basta averne la voglia e si scoprono tante cose meravigliose).
Una piccola curiosità personale, che non c'entra niente: la mia tesi di maturità si intitolava "L'innominabile vizio dei greci" (messo proprio tra virgolette) e, tra gli altri, portavo proprio il De rerum natura.
Con me hai giocato in casa, caro Autore...

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Messaggio Da Achillu Mer Apr 14, 2021 5:06 pm

Ciao Aut-.

Tra i difetti del racconto, secondo me c'è qualche narrazione da semplificare, ma poco poco, giusto per alleggerire. Qualche errore: scherzare è intransitivo (tranne che in una canzone); li chiami arazzi ma mi sembra di capire che in realtà siano affreschi, poi saltano fuori dei mosaici e non si capisce da dove; "Lucrezio, già più di un secolo prima" se è prima di adesso sarebbe "un secolo fa"; "miasmi di cataplasmi" per evitare la cacofonia potevi usare un sinonimo di "miasmi". Una cosa che forse non sai, pare che non fosse agosto ma ottobre; inoltre Ercolano fu l'ultima città a essere sepolta, uno o due giorni dopo Pompei. Il titolo non è evocativo, infatti continuo a confondere il tuo racconto con un altro.
Ti ringrazio per avermi fatto conoscere i "borboglii". Ottima la costruzione della trama per rispettare tutti i paletti. Il protagonista è onesto nel raccontare la sua vita, ti devo fare i complimenti per come sei entrat- nella psicologia, per lo meno mi sembra una narrazione plausibile.

Grazie e alla prossima.

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Messaggio Da Arianna 2016 Gio Apr 15, 2021 12:20 am

C’è una scena, in “Schindler’s list”, in cui due soldati, durante lo sgombero del ghetto, mentre si sentono i mitra sparare e la gente morire, si mettono a suonare un pianoforte e si scambiano piacevolmente pareri musicali. Sono due uomini colti, si capisce, che stanno trucidando persone.
Poi c’è una frase – non mi ricordo chi ne è l’autore, l’ho letta una volta appesa alla porta di una sala insegnanti – che più o meno dice che bisogna stare attenti a crescere persone molto colte ma prive di umanità, di compassione: non è detto necessariamente che la cultura sia il rimedio per il male del mondo. La conoscenza si deve unire alla coscienza.
Ecco, il pregio di questo racconto, secondo me, è mettere in luce proprio questo; si assiste allo svelamento progressivo della crudeltà e della personalità patologica del coltissimo e raffinato protagonista.
Nelle prime righe sembra semplicemente un cultore dell’arte, quando nomina Decimus lo fa quasi parlando di una relazione basata sull’affetto. Poi, un po’ alla volta, si svela una personalità ossessiva e maniacale, noncurante degli esseri umani, fino ad arrivare alle atrocità finali.
Io credo che l’autore abbia voluto ottenere, in questo racconto, un po’ lo stesso effetto del regista di Schindler’s list, mostrare la noncuranza con cui si può fare il male.
 
Sinceramente, sfronderei parecchio tutte le parti “enciclopediche”, che diventano quasi un trattato di cultura romana. Capisco che servano a mostrare la cultura di Flavinius, ma sono eccessive, appesantiscono e rallentano troppo la narrazione.
I termini latini andrebbero tradotti, dato che si suppone che il monologo sia in latino.
 
La forma è buona, con qualche imprecisione:
- dei miei arazzi=  affreschi
- mi scherzava=  prendeva in giro
- con se= sé
- “sì” affermazione va accentato
 
I paletti ci sono tutti.
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Messaggio Da Yoghi69 Gio Apr 15, 2021 8:10 am

Un monologo/flusso di coscienza che tratta temi molto forti. A mio parere ci sono troppe digressioni storiche che ne appesantiscono la lettura e "distraggono" dalla crudezza della trama. Ben descritta la psicologia del personaggio e ottima la descrizione dei sintomi della malattia. Paletti ben rispettati.
"Infermiere praticone" mi suona molto male e avrei usato qualcosa di diverso.  Come sottolineato da molti un titolo diverso avrebbe valorizzato ancor di più il racconto.

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Messaggio Da digitoergosum Ven Apr 16, 2021 12:53 pm

Questo è un racconto che mi piacerebbe commentare dalla tastiera del computer. Eppure ho l''urgenza di parlarne, quindi scrivo dal cellulare. È un bel racconto. Ci trovo qualche problema di punteggiatura, soprattutto in una frase, ma non mi disturba così tanto. Il personaggio è invece disturbante. Ma il personaggio stesso sa di essere "disturbante". Il fatto che chieda sempre conferme - "Non sono un mostro" , "...li ho impiegati in lavori leggeri come riconoscimento del loro servizio svolto", "Chiunque può capirmi"...ecco...in questa sua necessità di giustificarsi sento che ha bisogno di conferme per il suo essere "orrendo". Ma c'è qualcosa di ancora più disturbante. Chiama i suoi schiavi - bambini, li battezza "Primus" e "Decimus", facendo intendere, credo, che quei bambini che negli anni ha comprato sono dieci, e che a prescindere da una psicologia che lo porta a giustificarsi, sono certo che sì è "innamorato" di tutti e dieci fino a quando crescevano troppo, e che per lui comunque erano numerati, erano solamente "numeri". Non uccide Decimus veramente per pietà ma perché gli ha vomitato sui mosaici. È un racconto forte, penso che l'autore lo volesse così, che volesse "infastidire" e fare pensare. E penso. E penso che avrebbe potuto causare qualche fastidio, che in realtà è risultato contenuto.
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Messaggio Da gemma vitali Ven Apr 16, 2021 5:02 pm

Un racconto che ha sapore di morte, non solo per l'eruzione che a breve colpirà la città di Ercolano ponendo fine alle sofferenze del protagonista, malato e destinato comununque a finire. 
Il protagonista del monologo si racconta senza nascondere nulla della sua sciagurata esistenza e lo fa in maniera netta, cruda, tanto da scuotere il lettore compreso l' assassinio che quasi si veste da gesto benevolo. I paletti ci sono e il monologo colpisce anche se in me lascia un senso di vuoto.
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Messaggio Da gdiluna Ven Apr 16, 2021 6:36 pm

Ho trovato questo testo, scritto davvero bene, troppo carico di cultura e di "superiorità" per essere gradevole. Un commento precedente ha fatto riferimento ai nazisti, a me ha ricordato un romanzo altrettanto sgradevole, carico di cultura e "superiorità" naziste: Le benevole di Littell. 
Un testo non deve necessariamente essere gradevole, un personaggio, un protagonista non deve necessariamente essere gradevole, però aiuta. La contestualizzazione storico culturale può sicuramente alleggerire la valutazione etica ma, almeno per me, non riesce a ridurre la distanza emotiva, il rifiuto di accettare, capire, giustificare(?). Mi ha  creato le stesso disagio di quando vedo personaggi resi famosi dalla televisione, sicuramente colti e intelligenti, cercare di conquistarsi spazi di notorietà insultando o essendo politicamente scorretti (ogni riferimento a critici d'arte è assolutamente voluto). Peccato! Le capacità di scrittura dell'aut* sono comunque incontestabili.
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Messaggio Da Caterpillar Dom Apr 18, 2021 11:20 pm

Ma quanto siete bravi! Ho letto questo racconto stamattina ed è stato il caffè più forte. Mi ha disturbato, indubbiamente, ma ho colto il racconto. Non sono ancora entrata pienamente nel vostro mondo, provo a interagire. Ho letto i commenti a questo racconto. Mi sono chiesta come "Lolita" di Nabokov sia stato accolto dal pubblico. In questo racconto ho letto una descrizione spietata di un personaggio scomodo, fastidioso, eppure condannato dall'autore, sempre che sia maschio. Ho letto solamente quattro o cinque racconti di questa vostra gara ma questo, che mi ha sorpreso, è il migliore. Ma non sono così seria, ora vado a cercare qualcosa per ridere.

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