Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
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Maggio 1805
Quanto vorrei essere da un’altra parte, pensò don Giuseppe.
Di certo non lì, davanti a Sua Eccellenza Giovanni Battista Caprara Montecuccoli, arcivescovo di Milano, potente diplomatico, uomo di fiducia sia del papa che dell’imperatore Napoleone I.
La mente volò via, trascinata dal desiderio di fuggire lontano dal fremito eccitato che percorreva Milano; volò avanti nel tempo, a quando anche tutto quel presente sarebbe diventato passato.
Regni, imperi. Tutti potenti. Tutti finiti.
L’imperatore che voleva una corona, per essere incoronato re d’Italia. Quella corona.
L’imperatore. Così potente. Così impotente e fragile, nel suo bisogno di un simbolo.
L’imperatore, l’incoronazione, la Corona Ferrea. Arrivata il giorno prima da Monza e deposta sull’altar maggiore del duomo.
L’altare. Il sangue. I corpi.
La mente di don Giuseppe precipitò a terra. Davanti ai due cadaveri, in mezzo al sangue.
E di nuovo desiderò non avere visto quello che invece aveva visto.
‒ Mi dispiace che siate stato voi a trovarli ‒ disse l’arcivescovo ‒ siete molto turbato.
‒ Questa corona è costata la vita di due giovani.
‒ È vero. Ma due giovani disposti a sacrificarsi, per proteggerla. E il loro sacrificio non è stato vano. La corona non è stata rubata.
Don Giuseppe tacque.
‒ Don Giuseppe, non abbiate paura di parlare.
Il sacerdote esitò un istante: ‒ Eccellenza, voi sapete che le cose non sono andate così.
‒ E lo sapete anche voi. Ma non lo saprà nessun altro. Vorreste forse trascinare nel fango il nome di due famiglie, accusando l’innocente insieme al colpevole? Che cosa sappiamo, di quello che davvero è successo la notte scorsa?
Don Giuseppe rivide se stesso entrare nel duomo dalla sagrestia, per scortare i giovani che avrebbero dato il cambio ai due rimasti di guardia alla corona durante la notte.
Che avevano chiaramente combattuto fra loro.
‒ La nostra, per quanto probabile, può essere solo una supposizione ‒ riprese monsignor Caprara ‒ non c’è prova che uno dei due volesse trafugare la corona. E anche fosse così, chi dei due è il traditore e chi il valoroso?
Don Giuseppe chinò il capo: ‒ Come dite voi, Eccellenza.
‒ Non siete convinto.
Don Giuseppe non voleva guai. Niente guai, per quanto possibile, nella sua vita. Non seppe nemmeno lui perché udì la sua voce dire: ‒ Le ferite… Eccellenza, io ho combattuto, da giovane. Uno dei due è stato ucciso dall’altro, che a sua volta è stato colpito dalla spada del primo…
‒ Dunque…?
‒ … le ferite inferte dalla spada non erano mortali. Il colpo mortale è stato inferto da uno stiletto, ma non c’era alcuno stiletto. Ho cercato ovunque.
‒ Quindi, dite che qualcun altro si è introdotto nel duomo per rubare la corona?
‒ Però la corona è ancora lì. Perché non l’ha portata via?
Il volto dell’arcivescovo si fece grave: ‒ Quello che dite ci impone ancor di più il silenzio. Due giovani coraggiosi sono morti per compiere il loro dovere. Questa sarà la versione ufficiale. Il resto è opportuno tenerlo per noi. Per ora comunque è meglio non diffondere la notizia di quanto è successo: l’incoronazione è fra tre giorni, il momento è troppo importante. Credo che concordiate, don Giuseppe.
‒ Senza dubbio, Eccellenza.
Don Giuseppe accennò a congedarsi, ma un gesto lo fermò: ‒ Questa notte ho fatto trattenere alcune persone sorprese ad aggirarsi attorno al duomo. Mendicanti e ubriachi, una prostituta. Li ho interrogati, per scrupolo, ma non mi sembrano coinvolti. Potete dire alle guardie di lasciarli andare.
Don Giuseppe uscì dallo studio dell’arcivescovo e si diresse verso le carceri.
Urla soffocate, gemiti, risate, colpi. In una cella aperta, un gruppo di guardie chine su qualcosa. Qualcuno.
‒ Cosa succede qui?
‒ Oh, reverendo! Nulla, nulla… ‒ Gli uomini si affrettarono a riallacciarsi i calzoni, già mezzo calati. Lasciarono le braccia di una donna stesa su un pagliericcio.
‒ Nulla di che… per passare il tempo… stiamo aspettando di sapere cosa farne, di lei… ‒ sghignazzò uno.
‒ La signorina è libera. Riferirò all’arcivescovo quanto è successo.
Il ghigno dell’uomo si incupì: ‒ Vediamo di non farla grave: lo sapete, lei cos’è. Cosa le costa, farci divertire un po’?
Don Giuseppe non rispose. Tese una mano alla ragazza, che si stava sistemando gli abiti alla bell’e meglio. Lei posò occhi scuri e ironici sul sacerdote. Un uomo né giovane né vecchio. Gli vide sul volto un’ombra di stanchezza. Non di un giorno, di una vita. Prese la mano che le veniva tesa, si alzò e lo seguì fuori dal palazzo.
Don Giuseppe la guardò allontanarsi, poi si dimenticò di lei e provò a dimenticare imperatori, corone, giovani trucidati.
Era nel confessionale, il pomeriggio seguente. Dietro la grata, una voce di donna. Giovane. Esitante.
‒ È vero che non potete dire a nessuno quello che vi racconto in confessione? Chiunque io sia? Qualunque cosa dica?
‒ Certo.
‒ Anche se poi qualcuno è morto?
Don Giuseppe uscì rapido dal confessionale. Inginocchiata, c’era la ragazza del giorno prima. Si alzò: ‒ Non potete non confessarmi, se ve lo chiedo.
Don Giuseppe rimase fermo un istante, poi annuì: ‒ Non qui.
La portò in una stanza vicina alla sagrestia e chiuse la porta.
‒ Credo di avere fatto una brutta cosa. Insomma, non credevo…
‒ Raccontate.
‒ Mi hanno pagato in anticipo. Molto. Dovevo avvicinare uno di quei giovani di Monza…
‒ Uno qualsiasi o uno di preciso?
‒ Me lo hanno indicato.
‒ Chi ve l’ha indicato?
‒ Non lo so, non lo conoscevo. Mi ha pagato e ordinato cosa fare. Dovevo convincere il ragazzo a portarmi dentro il duomo poi distrarlo mentre era di guardia, sapete come… L’ho avvicinato fuori. Gli ho detto che non volevo soldi, che invece mi sarebbe piaciuto tanto vedere la corona, anche solo una sbirciatina, perché una come me non ne avrebbe mai avuto la possibilità. Dopo avremmo fatto quello che lui voleva. Lui mi ha fatto entrare di nascosto…
‒ Come? Non è facile, in questi giorni.
‒ Non so come, ma non c’era nessuno, quando mi ha portato dentro. Mi ha nascosto. Durante il suo turno di guardia è venuto da me. Abbiamo guardato la corona da lontano, perché il suo compagno non ci vedesse…
‒ Come è possibile che l’altro gli abbia permesso di allontanarsi?
La ragazza alzò le spalle: ‒ Non lo so, non mi ha mica spiegato niente. E a me non interessava, dovevo solo fare quello per cui mi avevano pagato. Ho dato un’occhiata alla corona poi l’ho portato in sagrestia e lì… be’, insomma… Oggi ho sentito che è stato ucciso e… ecco, sì, mi è dispiaciuto. Non se lo meritava. Era un bravo ragazzo, sapete, abbiamo fatto una cosa veloce, perché non voleva assentarsi troppo.
‒ Come avete saputo che è stato ucciso? Lo abbiamo tenuto nascosto.
‒ Cose che si sentono. Poi magari non si dicono ad alta voce, per stare tranquilli.
‒ Quindi, dopo… dove vi siete lasciati?
‒ In sagrestia. Lui è tornato in chiesa.
‒ E voi?
‒ Sono uscita da dove mi aveva fatto entrare, ma fuori mi hanno preso le guardie. Quando monsignore mi ha interrogato, gli ho detto che ero lì per il mio solito giro e mi ha creduto.
‒ Perché ora siete venuta a confessarvi? Perché da me?
La ragazza rimase in silenzio qualche secondo, poi: ‒ Ho paura che adesso uccidano anche me. Non sapevo cosa fare. Mi ci voleva qualcuno che non raccontasse niente e magari mi aiutasse.
‒ Non dirò niente, ma come potete pensare che vi aiuterò? Quello che avete fatto è un vostro problema.
‒ Ma ora io sono diventata un problema vostro. O mi sbaglio?
Don Giuseppe tirò il fiato in un sospiro di insofferenza.
La ragazza sorrise: ‒ Ho un certo istinto, per gli uomini.
Il sacerdote alzò le sopracciglia.
‒ Be’, quasi sempre…
Don Giuseppe si alzò, camminò su e giù, guardò fuori dalla finestra. Una giornata di sole. Una vita senza guai.
Si girò: ‒ Chiederò aiuto all’arcivescovo. Non vi allarmate, gli dirò solo che avete bisogno di un luogo sicuro. Aspettatemi qui un istante.
Tornò avvolto da un ampio mantello e con un altro coprì la ragazza, nascondendole il capo sotto il cappuccio.
La scortò fino all’arcivescovado.
La ragazza lo attendeva in anticamera, quando lui uscì dal colloquio con l’arcivescovo.
‒ Sua Eccellenza ci ha dato una lettera di presentazione per un monastero femminile. Potrete rifugiarvi lì, per il momento.
‒ Sa di me?
‒ Non gli ho raccontato quello che mi avete confidato, ma gli ho dovuto dire chi siete. Si ricordava di voi, ma mi sono trovato in difficoltà quando mi ha chiesto come vi chiamate: non conosco il vostro nome.
‒ Teresa.
‒ Teresa…?
‒ Teresa e basta così.
Uscirono nel pomeriggio ormai diventato sera.
L’attacco arrivò all’improvviso, in un vicolo. Tre uomini col volto coperto. Colpirono don Giuseppe e afferrarono Teresa.
La spada che don Giuseppe tirò fuori da sotto il mantello giunse inaspettata. Sembrarono divertiti, per un istante, finché il sacerdote non iniziò a combattere.
In pochi minuti, don Giuseppe lasciò i tre uomini sanguinanti a terra, poi trascinò via Teresa di corsa.
Usciti dal vicolo, nascose di nuovo la spada e rallentò il passo. Guidò Teresa lungo un percorso tortuoso, guardandosi sempre alle spalle.
Era buio, quando si fermò infine davanti al portoncino laterale di un palazzo.
‒ Non è il convento… ‒ mormorò Teresa.
Don Giuseppe scosse il capo e bussò. Un bussare alternato a pause.
L’uscio si aprì quel tanto che bastava per farli scivolare all’interno della portineria del palazzo, poi si richiuse.
Un uomo sorrise a don Giuseppe e gli strinse il braccio: ‒ Giuseppe!
Il sacerdote ricambiò la stretta: ‒ Pietro, ho bisogno di un posto sicuro, per questa notte e forse per qualche giorno.
L’uomo buttò un’occhiata divertita a Teresa: ‒ Credevo che avessi smesso da un pezzo…
‒ La signorina si chiama Teresa. Teresa, non badate alle sue brutte maniere. Mi fido di lui come di me stesso.
Pietro accennò un inchino: ‒ Io e questo figuro ci siamo coperti le spalle per anni, in mille battaglie. Siete miei ospiti e vi aiuterò come posso.
Pietro li sistemò in una stanza dietro la portineria. Attizzò il fuoco nel camino, portò qualche coperta e da mangiare, poi li lasciò soli.
La voce di Teresa, accomodata su una poltrona, riscosse don Giuseppe dai mille pensieri che si mescolavano alle faville del fuoco: ‒ Che cosa faremo?
‒ Per ora, scompariamo fin dopo l’incoronazione. Poi… vedremo…
‒ Vi ho messo nei guai. Se volete da me qualcosa, in cambio… si può fare…
Don Giuseppe scosse la testa con un sorriso lieve.
‒ Siete una brava persona. Con voi forse non mi dispiacerebbe.
‒ Vi dispiace, di solito?
‒ Be’, non è che mi disgustino proprio tutti, gli uomini, ma non lo faccio mica per vocazione, come voi. Cioè, scusate, non intendevo…
Don Giuseppe rise: ‒ Non so se ho poi questa gran vocazione. ‒ Divenne serio: ‒ Alcuni uomini disgustano anche me, allora mi chiedo…
Tacque. Colse gli occhi di Teresa su di sé, curiosi, gentili e insieme un po’ ironici.
Scelte. Volute, non volute. Giuste, sbagliate?
Vite che seguivano strani percorsi. Tortuosi, inaspettati.
Che avevano condotto lì, insieme, due persone, forse non così tanto diverse.
‒ Aiutatemi a pensare, Teresa… ‒ iniziò don Giuseppe.
Ebbero due notti e un giorno per pensare, ricostruire eventi, farsi domande e cercare risposte.
All’alba del giorno seguente all’incoronazione, don Giuseppe lasciò Teresa alla portineria di Pietro e riprese la via dell’arcivescovado.
‒ Don Giuseppe! ‒ esclamò monsignor Caprara all’ingresso del sacerdote nel suo studio. ‒ Al convento non vi hanno visti arrivare…
‒ Siamo stati aggrediti.
‒ Aggrediti! Sì, temevo qualcosa del genere… Ma state bene, per fortuna. Chi è stato?
‒ Lo stesso che ha ucciso il giovane di Monza. No, non di persona, ha mandato qualcuno. Mi dispiace, Eccellenza, credo che i vostri uomini ci metteranno un po’ a riprendersi.
Don Giuseppe lo fissò: ‒ Immagino che sarà impossibile trovare lo stiletto.
Monsignor Caprara alzò le sopracciglia, poi distese il volto: ‒ Infatti. Come lo avete capito?
‒ Altrimenti non sarebbe stato possibile far entrare la ragazza con tanta facilità. Ed è stata lasciata uscire perché in quel momento il ragazzo non era ancora morto.
‒ Nessuno avrebbe dovuto morire. Ma io ero stato trattenuto. Ho tardato. Lui è tornato mentre stavo sostituendo la corona e mi ha visto. L’altro giovane, un mio uomo, l’ha dovuto uccidere.
‒ E voi avete ucciso lui.
‒ Un sacrificio necessario. Lo avrebbero interrogato. Non avrebbe resistito.
‒ Tutto questo, per sostituire la corona con una identica.
L’arcivescovo strinse gli occhi: ‒ Avete capito già troppo. Siete sicuro di volere sapere di più?
Don Giuseppe attese.
‒ Sarebbe stato un sacrilegio incoronare Napoleone con la Corona Ferrea, custode della reliquia più preziosa. Sapete ciò che ha fatto e sta facendo alla Chiesa.
‒ Voi siete al suo servizio…
‒ Una posizione privilegiata per fare quello che occorre.
‒ E ora, occorre uccidere anche noi?
‒ Non sono un assassino, don Giuseppe. Non mi piacciono le morti inutili e la vostra non è necessaria.
‒ Avete cercato di uccidere la ragazza.
‒ Certo. Prima dell’incoronazione lei era un pericolo. Ora invece non importa più: quello che doveva accadere è accaduto. Ormai la vera corona è lontana e nessuno la userà mai più.
‒ E se io parlassi?
‒ Chi vi crederebbe? O a chi converrebbe credervi? Ho la fiducia dell’imperatore e del papa. E anche vi credessero, ora non avrebbe più importanza. Ma non è per quello che non parlerete: non lo farete per paura di mettere in pericolo la ragazza. Conosco gli uomini: siete un cavaliere; uno strano tipo di cavaliere, vi interessano più le persone che gli ideali.
‒ Se parlasse lei?
‒ No: è concreta e scaltra. Capisce cosa le conviene fare. Andate tranquillo: nessuno vi toccherà.
Tranquillo fino a un certo punto, pensò don Giuseppe, mentre tornava alla portineria di Pietro con tutta la prudenza del caso.
Solo quando fu sicuro di non essere stato seguito, raggiunse il palazzo e bussò.
Pietro lo fece entrare in un attimo e lo abbracciò: ‒ Sei un pazzo!
Don Giuseppe accennò un mezzo sorriso: ‒ Non mi avrebbe ucciso lì, nel suo studio. Ci contavo, almeno… E se mi fosse successo qualcosa, sapevo che a Teresa avresti pensato tu.
‒ Comincio a pensare che i guai vi piacciano ‒ disse la ragazza, scrollando piano la testa.
‒ Avevo bisogno di sapere, di capire…
Il sacerdote raccontò loro tutto.
‒ Allora ‒ chiese infine Teresa ‒ perché non mi ha fatto uccidere subito, in carcere?
‒ Per diversi motivi, credo. Intanto, sarebbe stato un passo falso, anche facendolo con discrezione. È un uomo cauto, non ci tiene ad attirare l’attenzione. Poi, penso che, in un suo strano modo, sia stato sincero: non gli piacciono le morti inutili. In quel momento non aveva motivo di uccidervi, voi sareste andata per la vostra strada. Siete diventata un pericolo solo quando ha capito che la notizia della morte era trapelata. Mi dispiace, anche senza raccontargli nulla, portarvi da lui è stato un errore.
‒ E io avrei dovuto continuare a farmi i fatti miei e starmene zitta e buona. Comunque, che storia assurda: corona o non corona, questo imperatore finirà. È di carne, un maschio fatto come tutti gli altri maschi, e anche lui passerà, un giorno.
Don Giuseppe sorrise lieve, sentendo riecheggiare in lei le proprie riflessioni, poi tornò ai suoi pensieri.
C’era una fuga da organizzare.
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Re: Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
Ho letto con piacere la versione integrale del racconto. In totale è più ariosa, ma tutto sommato i tagli che hai operato non hanno penalizzato la storia. Certo in questa versione si riesce a entrare meglio in co tatto con i personaggi e a comprenderne caratteri e motivazioni. Molto bello.
Petunia- Moderatore
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Re: Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
Grazie per la lettura! Sono contenta che ti piaccia!
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Re: Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
Eccomi Arianna. Beh che dire MI PIACE. Ma come mi piaceva l’altro. Dice bene Petunia è più “arioso” (termine pazzesco che adoro)
Confermo tutto. Il tuo stile mi piace tantissimo e ho capito il motivo. È uno stile che vorrei fare mio. È questo il genere di racconto che mi piacerebbe scrivere. Così immediati. Così dritti.
Insomma mi piace.
Complimenti.
Confermo tutto. Il tuo stile mi piace tantissimo e ho capito il motivo. È uno stile che vorrei fare mio. È questo il genere di racconto che mi piacerebbe scrivere. Così immediati. Così dritti.
Insomma mi piace.
Complimenti.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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Re: Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
Sì, sono d'accordo anch'io. Penso di poter dire, allora, che il tuo racconto non ha subito molto il taglio, e confermo che hai caratterizzato il prelato in un modo che sembra veramente di conoscerlo.
Questo vuol dire che sei stata bravissima a operare i tagli giusti affinché il tuo racconto rientrasse tra i famigerati paletti senza soffrirne, senza accusarne alcun colpo; anche questa non è qualità da sottovalutarsi
Questo vuol dire che sei stata bravissima a operare i tagli giusti affinché il tuo racconto rientrasse tra i famigerati paletti senza soffrirne, senza accusarne alcun colpo; anche questa non è qualità da sottovalutarsi
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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
vivonic- Admin
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Re: Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
Cara Arianna, confermo le impressioni avute leggendo la versione breve. Tutte. Questo Don Giuseppe è un bellissimo personaggio. Il racconto è eccezionale e, secondo me, degno di un romanzo. La storia, sviluppata, avrebbe le potenzialità per un romanzo. E don Giuseppe, Teresa e Pietro i protagonisti di una saga.
Complimenti davvero.
Complimenti davvero.
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I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
CharAznable- Maestro Jedi
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Re: Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
Grazie, viv! Più che altro, avevo in effetti tagliato gli elementi che introducono i dialoghi (gesti, ecc.) e, purtroppo, alcuni chiarimenti finali.vivonic ha scritto:Sì, sono d'accordo anch'io. Penso di poter dire, allora, che il tuo racconto non ha subito molto il taglio, e confermo che hai caratterizzato il prelato in un modo che sembra veramente di conoscerlo.
Questo vuol dire che sei stata bravissima a operare i tagli giusti affinché il tuo racconto rientrasse tra i famigerati paletti senza soffrirne, senza accusarne alcun colpo; anche questa non è qualità da sottovalutarsi
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Re: Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
Prima ti avevo scritto una risposta che, non so come e perché, si è persa nell'etere del forum, perché ho visto che è stata cancellata.ImaGiraffe ha scritto:Eccomi Arianna. Beh che dire MI PIACE. Ma come mi piaceva l’altro. Dice bene Petunia è più “arioso” (termine pazzesco che adoro)
Confermo tutto. Il tuo stile mi piace tantissimo e ho capito il motivo. È uno stile che vorrei fare mio. È questo il genere di racconto che mi piacerebbe scrivere. Così immediati. Così dritti.
Insomma mi piace.
Complimenti.
Grazie, Ima! Gentilissimo.
Io leggo un po' di tutto, ma ho notato che mi piacciono di più gli autori che usano uno stile "limpido", diretto. Si vede che il mio cervello un po' li ha assimilati.
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Data di iscrizione : 07.01.21
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Re: Maggio 1805 - versione 15.000 caratteri
CharAznable ha scritto:Cara Arianna, confermo le impressioni avute leggendo la versione breve. Tutte. Questo Don Giuseppe è un bellissimo personaggio. Il racconto è eccezionale e, secondo me, degno di un romanzo. La storia, sviluppata, avrebbe le potenzialità per un romanzo. E don Giuseppe, Teresa e Pietro i protagonisti di una saga.
Complimenti davvero.
Veramente troppo buono! Divento rossa... Grazie, Char!
Chissà che prima o poi non prenda quella direzione...
Arianna 2016- Maestro Jedi
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