Alessandra, fin dai tre anni, aveva mostrato una totale, assoluta passione per il disegno.
Disegnava ovunque: carta, muro, pavimento… e con qualunque strumento: matita, colore, chiodo, sasso appuntito. Una disperazione.
Gabriella, madre separata, donna solare e sarta rifinita, aveva tanto lavoro e poco tempo da dedicare alla figlia, così si raccomandava, sgridava, ripuliva e lasciava correre.
La piccola cresceva serena accanto a nonno Sisto, maestro in pensione che odiava i cartoni animati e viveva per questa sua unica, ultima alunna.
Per farla divertire, stendeva sul tavolo della cucina un foglio di carta da pacchi bianco, poi raccontava una storia e intanto la disegnava.
Sotto gli occhi sgranati della bambina, arrivavano fate, re, principesse, draghi e mostri sputafuoco. Poi, mentre la fiaba andava avanti, lui rovesciava sul tavolo un mare di pennarelli, colori a cera, pastelli, colori a dita e i due artisti coloravano insieme, testa contro testa; vestivano il principe azzurro, lo gnomo, perfino il serpente velenoso e tutto il mondo sciorinato sul tavolo.
Quando avevano finito, Sisto, con una cucitrice gigante, cuciva i fogli fra loro, li datava, li avvolgeva e diventavano grandi album che legava con lo spago. Li teneva in soffitta e quando a volte ne riprendeva uno, la piccola raccontava per filo e per segno le storie al nonno che ormai le aveva dimenticate.
- Nonno, vero che starai sempre con me?
- No, non potrò stare sempre con te, ma ti lascerò un regalo.
- Davvero, nonno? E cosa?
- E’ una sorpresa, non si può dire.
- Dai, dai…
- Non insistere, Alessandra.
La bimba zittì mentre lui sorrideva: aveva solo una vaga idea di cosa fossero i Bot e i Cct...
Quando Sisto morì, lei aveva cinque anni.
La piccola non versò una lacrima, ma prese l’abitudine di trascorrere i pomeriggi in soffitta.
La madre, preoccupata, andava a vedere, controllava, ma la trovava serena, intenta a disegnare sui grandi album che aveva fatto con il nonno: colorava, si raccontava la storia, aggiungeva personaggi; la donna si tranquillizzò, mancavano pochi mesi all’inizio della scuola, il pensiero del nonno sarebbe sbiadito.
Gabriella aveva un bel da fare in quel periodo: la figlia del sindaco si sposava e le aveva ordinato l’abito. Una nuvola di seta e tulle, un incanto che le era costato e le costava nottate insonni, agitazione e tanta preoccupazione. Era stata preferita all’atelier delle sorelle Rondina, doveva riuscire tutto alla perfezione.
Dopo un mese di lavoro, di prove su prove e patemi d’animo, finalmente l’abito era finito.
Un autentico capolavoro. Per essere sicura che niente potesse rovinarlo mentre confezionava e ricamava il velo, lo coprì con una fodera di seta verde, cucita a sacco e lo appese nell’armadio del padre, ormai vuoto.
Un pomeriggio Alessandra entrò nella camera del nonno per prendere i colori a cera.
Aprì l’armadio e vide il sacco verde.
Incuriosita, sollevò un lembo e rimase abbagliata, a bocca aperta:
- Il vestito verovero della regina Rosilde!
Richiuse l’anta, volò in soffitta, cercò il rotolo che conteneva la fiaba e lo portò di sotto.
L’aprì sul letto del nonno e andò alla pagina del matrimonio di Rosilde.
- Eccolo, è proprio lui! Sicuramente è il regalo che mi ha lasciato nonno per quando sarò grande. Non ha fatto in tempo a colorarlo, ma lo farò io.
Tastò nella penombra del pianale, trovò la scatola dei colori a cera poi entrò nel grande mobile.
Sollevò la fodera del sacco tirandola sul davanti, poi spinse il vestito e la sua gruccia fino alla parete e si mise al lavoro. Cominciò dall’orlo, come le aveva insegnato il nonno.
In poco tempo, comparve una sottile lingua di prato verde, sbocciarono fiori dai colori delicati, volarono farfalle e coccinelle portafortuna.
Prima di procedere, la bambina scendeva, andava a studiare il disegno, risaliva.
Quando ormai il pomeriggio cedeva il passo alla sera, la piccola aveva completato il dietro della gonna e decise di smettere.
Coprì di nuovo l’abito, scese, chiuse accuratamente l’anta, arrotolò l’album, lo sistemò sotto il letto e andò in cucina.
Decise di non raccontare del regalo, avrebbe fatto una sorpresa a lavoro finito.
- Cosa hai fatto oggi, bella di mamma?
- Niente, sto rifacendo un disegno di nonno.
- Tu con questi disegni… - e le fece una carezza.
Il giorno successivo Ale lavorò alacremente; spostò l’abito contro la parete opposta e prima di pranzo completò il davanti, poi nel pomeriggio prese uno sgabellino, lo sistemò nell’armadio e ci salì sopra per poter colorare il busto. Passò leggermente l’azzurro che doveva essere il cielo e sopra disegnò un volo di rondini che raggiungeva l’allacciatura sulla schiena. Finito.
Scese e guardò con l’occhio critico dell’artista il lavoro completo. Fece dei piccoli ritocchi, ma nel complesso era proprio soddisfatta.
Il giorno dopo era Domenica e sarebbe venuta anche zia Carla. Decise che a pranzo avrebbe mostrato a tutti il suo segreto.
Ma la mattina presto, quando si alzò per l’ultimo controllino, rimase di sasso: l’abito non c’era più. Abbandonata sul fondo dell’armadio era rimasta la scatola dei colori.
Le salirono le lacrime agli occhi.
- Nonno! Ma cosa hai fatto? Prima me lo dai, poi te lo riprendi?
Delusa, con un sonoro slam chiuse l’armadio e tornò a letto.
Gabriella, emozionatissima, arrivò alla villa.
- Signora Gabriella! Venga, venga, la sposa è di sopra con la parrucchiera e l’estetista.
- Un momento. Tenga la scatola del velo e la borsa del cucito, per favore. Io prendo l’abito.
- Certo. Dia pure a me.
La sarta sollevò con grande attenzione il sacco verde, se lo mise riverso sul braccio e si avviò dietro alla cameriera.
- Venga, si accomodi. Mariadeleee! L’abito.
Una bella ragazza, con la testa piena di bigodini rossi, corse nella stanza.
- Uhh! Mamma vieni. Vediamo, vediamo…
Qualcuno bussò alla porta e la socchiuse.
Un coro lo subissò.
- Nooo! Via! Sciò! Lo sposo non può vedere l’abito, porta sfortuna…
- Biii! Che camurrìa! Va bene, va bene. Vado.
- Che matto! Per fortuna l’abbiamo fer… ma… ma cosa?? Cosa???...
Un pandemonio si scatenò nella stanza. La sposa svenne e cadde come un fantoccino su una poltrona accanto al letto, la parrucchiera, la serva e la madre della sposa urlavano come matte, non osavano toccare, non volevano credere ai loro occhi.
- Ma checcazzo è? E’ uno scherzo…
Gabriella, gli occhi fuori dalle orbite, il cuore a mille, sudata, scarmigliata come se avesse fatto una gran corsa stando immobile, fissava le figurette dei re, dei principi e dei fiori che sembravano irriderla.
Alle grida arrivò altra gente e tutti, tutti alla vista dell’abito rovinato, urlavano come ossessi.
La madre, donna di polso abituata a comandare a bacchetta, strillò:
- Silenzio!
Tutto tacque all’improvviso. Intorno alla sarta e al suo abito si fece uno slargo.
- Dunque: fra esattamente quarantacinque minuti il prete inizia la messa. Tu Maria Adele infila questo cazzo di abito e vediamo se si può fare qualcosa.
- Ma…- tentò di articolare lei mentre si vestiva.
- Zitta!
…e in quel preciso momento un raggio di sole, riuscito chissà come a evitare le tende, illuminò la sposa avvolta in un abito di alta sartoria: la stampa, con colori tenui e raffinati, riproduceva un principe e una principessa che si tenevano per mano e sorridevano felici, seguiti da un corteo festante. L’immagine era semplice, evocativa, e si snodava senza soluzione di continuità lungo l’intera gonna. Sullo sfondo c’era il castello con le bandiere che garrivano al vento, mentre un volo di rondini, nel cielo terso, abbracciava il corpetto inondato da un cascata di riccioli biondi che avevano perso i bigodini.
Gabriella, tremando, ci posò sopra il velo bianco, ricamato a roselline delicate e scoppiò di nuovo il caos. Applausi, grida entusiaste e:
- Zitte, zitte… mancano pochi minuti! - ci fu un gran fuggifuggi.
L’abito venne fotografato in tutte le salse, rubò la scena agli sposi, fu copiato e ricopiato, ma nessuno lo uguagliò. Mai.
Disegnava ovunque: carta, muro, pavimento… e con qualunque strumento: matita, colore, chiodo, sasso appuntito. Una disperazione.
Gabriella, madre separata, donna solare e sarta rifinita, aveva tanto lavoro e poco tempo da dedicare alla figlia, così si raccomandava, sgridava, ripuliva e lasciava correre.
La piccola cresceva serena accanto a nonno Sisto, maestro in pensione che odiava i cartoni animati e viveva per questa sua unica, ultima alunna.
Per farla divertire, stendeva sul tavolo della cucina un foglio di carta da pacchi bianco, poi raccontava una storia e intanto la disegnava.
Sotto gli occhi sgranati della bambina, arrivavano fate, re, principesse, draghi e mostri sputafuoco. Poi, mentre la fiaba andava avanti, lui rovesciava sul tavolo un mare di pennarelli, colori a cera, pastelli, colori a dita e i due artisti coloravano insieme, testa contro testa; vestivano il principe azzurro, lo gnomo, perfino il serpente velenoso e tutto il mondo sciorinato sul tavolo.
Quando avevano finito, Sisto, con una cucitrice gigante, cuciva i fogli fra loro, li datava, li avvolgeva e diventavano grandi album che legava con lo spago. Li teneva in soffitta e quando a volte ne riprendeva uno, la piccola raccontava per filo e per segno le storie al nonno che ormai le aveva dimenticate.
- Nonno, vero che starai sempre con me?
- No, non potrò stare sempre con te, ma ti lascerò un regalo.
- Davvero, nonno? E cosa?
- E’ una sorpresa, non si può dire.
- Dai, dai…
- Non insistere, Alessandra.
La bimba zittì mentre lui sorrideva: aveva solo una vaga idea di cosa fossero i Bot e i Cct...
Quando Sisto morì, lei aveva cinque anni.
La piccola non versò una lacrima, ma prese l’abitudine di trascorrere i pomeriggi in soffitta.
La madre, preoccupata, andava a vedere, controllava, ma la trovava serena, intenta a disegnare sui grandi album che aveva fatto con il nonno: colorava, si raccontava la storia, aggiungeva personaggi; la donna si tranquillizzò, mancavano pochi mesi all’inizio della scuola, il pensiero del nonno sarebbe sbiadito.
Gabriella aveva un bel da fare in quel periodo: la figlia del sindaco si sposava e le aveva ordinato l’abito. Una nuvola di seta e tulle, un incanto che le era costato e le costava nottate insonni, agitazione e tanta preoccupazione. Era stata preferita all’atelier delle sorelle Rondina, doveva riuscire tutto alla perfezione.
Dopo un mese di lavoro, di prove su prove e patemi d’animo, finalmente l’abito era finito.
Un autentico capolavoro. Per essere sicura che niente potesse rovinarlo mentre confezionava e ricamava il velo, lo coprì con una fodera di seta verde, cucita a sacco e lo appese nell’armadio del padre, ormai vuoto.
Un pomeriggio Alessandra entrò nella camera del nonno per prendere i colori a cera.
Aprì l’armadio e vide il sacco verde.
Incuriosita, sollevò un lembo e rimase abbagliata, a bocca aperta:
- Il vestito verovero della regina Rosilde!
Richiuse l’anta, volò in soffitta, cercò il rotolo che conteneva la fiaba e lo portò di sotto.
L’aprì sul letto del nonno e andò alla pagina del matrimonio di Rosilde.
- Eccolo, è proprio lui! Sicuramente è il regalo che mi ha lasciato nonno per quando sarò grande. Non ha fatto in tempo a colorarlo, ma lo farò io.
Tastò nella penombra del pianale, trovò la scatola dei colori a cera poi entrò nel grande mobile.
Sollevò la fodera del sacco tirandola sul davanti, poi spinse il vestito e la sua gruccia fino alla parete e si mise al lavoro. Cominciò dall’orlo, come le aveva insegnato il nonno.
In poco tempo, comparve una sottile lingua di prato verde, sbocciarono fiori dai colori delicati, volarono farfalle e coccinelle portafortuna.
Prima di procedere, la bambina scendeva, andava a studiare il disegno, risaliva.
Quando ormai il pomeriggio cedeva il passo alla sera, la piccola aveva completato il dietro della gonna e decise di smettere.
Coprì di nuovo l’abito, scese, chiuse accuratamente l’anta, arrotolò l’album, lo sistemò sotto il letto e andò in cucina.
Decise di non raccontare del regalo, avrebbe fatto una sorpresa a lavoro finito.
- Cosa hai fatto oggi, bella di mamma?
- Niente, sto rifacendo un disegno di nonno.
- Tu con questi disegni… - e le fece una carezza.
Il giorno successivo Ale lavorò alacremente; spostò l’abito contro la parete opposta e prima di pranzo completò il davanti, poi nel pomeriggio prese uno sgabellino, lo sistemò nell’armadio e ci salì sopra per poter colorare il busto. Passò leggermente l’azzurro che doveva essere il cielo e sopra disegnò un volo di rondini che raggiungeva l’allacciatura sulla schiena. Finito.
Scese e guardò con l’occhio critico dell’artista il lavoro completo. Fece dei piccoli ritocchi, ma nel complesso era proprio soddisfatta.
Il giorno dopo era Domenica e sarebbe venuta anche zia Carla. Decise che a pranzo avrebbe mostrato a tutti il suo segreto.
Ma la mattina presto, quando si alzò per l’ultimo controllino, rimase di sasso: l’abito non c’era più. Abbandonata sul fondo dell’armadio era rimasta la scatola dei colori.
Le salirono le lacrime agli occhi.
- Nonno! Ma cosa hai fatto? Prima me lo dai, poi te lo riprendi?
Delusa, con un sonoro slam chiuse l’armadio e tornò a letto.
Gabriella, emozionatissima, arrivò alla villa.
- Signora Gabriella! Venga, venga, la sposa è di sopra con la parrucchiera e l’estetista.
- Un momento. Tenga la scatola del velo e la borsa del cucito, per favore. Io prendo l’abito.
- Certo. Dia pure a me.
La sarta sollevò con grande attenzione il sacco verde, se lo mise riverso sul braccio e si avviò dietro alla cameriera.
- Venga, si accomodi. Mariadeleee! L’abito.
Una bella ragazza, con la testa piena di bigodini rossi, corse nella stanza.
- Uhh! Mamma vieni. Vediamo, vediamo…
Qualcuno bussò alla porta e la socchiuse.
Un coro lo subissò.
- Nooo! Via! Sciò! Lo sposo non può vedere l’abito, porta sfortuna…
- Biii! Che camurrìa! Va bene, va bene. Vado.
- Che matto! Per fortuna l’abbiamo fer… ma… ma cosa?? Cosa???...
Un pandemonio si scatenò nella stanza. La sposa svenne e cadde come un fantoccino su una poltrona accanto al letto, la parrucchiera, la serva e la madre della sposa urlavano come matte, non osavano toccare, non volevano credere ai loro occhi.
- Ma checcazzo è? E’ uno scherzo…
Gabriella, gli occhi fuori dalle orbite, il cuore a mille, sudata, scarmigliata come se avesse fatto una gran corsa stando immobile, fissava le figurette dei re, dei principi e dei fiori che sembravano irriderla.
Alle grida arrivò altra gente e tutti, tutti alla vista dell’abito rovinato, urlavano come ossessi.
La madre, donna di polso abituata a comandare a bacchetta, strillò:
- Silenzio!
Tutto tacque all’improvviso. Intorno alla sarta e al suo abito si fece uno slargo.
- Dunque: fra esattamente quarantacinque minuti il prete inizia la messa. Tu Maria Adele infila questo cazzo di abito e vediamo se si può fare qualcosa.
- Ma…- tentò di articolare lei mentre si vestiva.
- Zitta!
…e in quel preciso momento un raggio di sole, riuscito chissà come a evitare le tende, illuminò la sposa avvolta in un abito di alta sartoria: la stampa, con colori tenui e raffinati, riproduceva un principe e una principessa che si tenevano per mano e sorridevano felici, seguiti da un corteo festante. L’immagine era semplice, evocativa, e si snodava senza soluzione di continuità lungo l’intera gonna. Sullo sfondo c’era il castello con le bandiere che garrivano al vento, mentre un volo di rondini, nel cielo terso, abbracciava il corpetto inondato da un cascata di riccioli biondi che avevano perso i bigodini.
Gabriella, tremando, ci posò sopra il velo bianco, ricamato a roselline delicate e scoppiò di nuovo il caos. Applausi, grida entusiaste e:
- Zitte, zitte… mancano pochi minuti! - ci fu un gran fuggifuggi.
L’abito venne fotografato in tutte le salse, rubò la scena agli sposi, fu copiato e ricopiato, ma nessuno lo uguagliò. Mai.