“Perché gli adulti sono così testardi e non ascoltano mai i bambini? Non è giusto! Spirito del bosco aiutami, ti prego.”
Zagor non riesce a darsi pace. Lui, anima semplice, abituato a muoversi, in totale libertà, tra le strade di Montefalco, un incantevole borgo medioevale umbro, si ritrova prigioniero, nella sua cameretta di pochi metri quadrati. Ha solo dieci anni, ma tutti gli abitanti del paese lo considerano un fenomeno, a causa delle sue capacità sensitive e curative. Ora, ritengo corretto, prima di proseguire, rispondere ad alcuni quesiti che al lettore sorgeranno spontanei: mi riferisco al motivo della segregazione del ragazzino e da chi è stata operata, ma, soprattutto, l’origine delle sue straordinarie abilità accennate in precedenza.
Partiamo dall’ultima questione. Un pomeriggio di cinque anni prima, Zagor, impegnato a giocare nel bosco, nei pressi della sua abitazione, scompare nel nulla. Un forte temporale impedisce alle forze dell’ordine di iniziare le ricerche e il bambino trascorre tutta la notte, da solo, lontano da casa. Grande è la sorpresa quando, la mattina del giorno seguente, ricompare completamente nudo. Le indagini, dopo una prima fase in cui si ipotizza il rapimento da parte di uno o più pedofili, vengono archiviate e catalogate sotto la dicitura “allontanamento volontario non voluto”. In sostanza, si è perso nel bosco, eppure la versione narrata dal ragazzino, ai suoi genitori e agli investigatori, è un’altra, a cui nessuno, però, crede; anzi, le sue parole vengono omesse, bollate come le fantasie di un bambino. Aldilà della versione ufficiale, con il passare degli anni risulta chiaro a tutti che, Zagor, in seguito alla drammatica esperienza vissuta, è cambiato: in ogni suo discorso è più maturo e saggio, in particolare, nelle conoscenze delle erbe e delle loro capacità curative. Detto ciò, è bene prendere in considerazione i primi quesiti, ovvero, rivelare chi sono i colpevoli del castigo imposto al ragazzino e le motivazioni di tale gesto. Incolpare i genitori, contadini da generazioni e persone umili e semplici, sarebbe scorretto. In realtà, il ruolo di “carcerieri” viene loro imposto da Giovanni Della Vedova Stracchi, Ingegnere, Amministratore e Presidente della “Stracchi Costruzioni S.P.A.”, attraverso il suo avvocato. Grazie all’acquisto, da parte del noto imprenditore, di una vasta area, che comprende il bosco e alcuni terreni agricoli, l’abitato di Montefalco viene invaso da operai, escavatori e bulldozer, con l’obiettivo di costruire un centro commerciale. Per tutti il nuovo insediamento è una opportunità da cogliere senza indugi. Per tutti eccetto per Zagor, l’unico a fomentare il dissenso, tramite la raccolta delle firme a scuola e durante le manifestazioni di protesta, davanti al cantiere e ai luoghi simbolo del paese.
«Avvicinatevi e firmate contro il disboscamento e la distruzione del patrimonio naturale. Il bosco è figlio della nostra madre terra, rifugio di tante specie animali e di numerose varietà di fiori e di piante.»
Come una persona adulta, il ragazzino grida ai passanti di aderire all’iniziativa. Con il passare dei giorni, la sua tenacia e la sua determinazione vengono premiate da un discreto successo, fino ad attirare le attenzioni dell’Ingegnere Stracchi. In principio, la reazione del potente uomo di affari è caratterizzata dal sarcasmo; sarcasmo che si trasforma in rabbia quando apprende del superamento della soglia minima di mille firme, da presentare in Comune, per il referendum, a favore della cancellazione del progetto. A questo punto, la visita ai genitori, da parte dell’avvocato, è inevitabile. Dopo i convenevoli, è sufficiente una frase per convincere la coppia di contadini.
«Vostro figlio deve assolutamente fermare la protesta, altrimenti la “Stracchi Costruzioni S.P.A. non verserà nemmeno un euro per il terreno da voi venduto alla suddetta società.»
Ecco spiegata la reclusione di Zagor in camera sua, a causa del rifiuto di eseguire quanto richiesto.
Ora, per approfondire le abilità e le conoscenze del ragazzino, ritengo sensato procedere con la narrazione degli eventi successivi. Trascorsa una settimana in totale isolamento, mamma Carla entra nella camera di Zagor per la consegna del pranzo e comunica al figlio una notizia inaspettata.
«L’Ingegnere Stracchi è ricoverato in ospedale, in gravi condizioni. Con noi è stato scorretto, ma non si augura il male a nessuno.»
«Tutto ha un senso mamma. Ti prometto che non farò più nessuna forma di protesta.»
«Bene. Prima di farti uscire è meglio sentire il parere di tuo padre.»
Dopo il benestare di papà Adelmo, il ragazzino, oltre a riprendere a frequentare la scuola, inizia a trascorrere tutti i pomeriggi nel bosco. Una sera, durante la cena, i genitori affrontano l’argomento e chiedono il motivo della sua, quotidiana, presenza in quel luogo.
«Da quando sono stato colpito dal fulmine, sento la necessità di vivere a contatto con la natura. È una esigenza vitale che non posso ignorare. Inoltre, trascorro molte ore a invocare lo Spirito del bosco, affinché la sua energia convinca gli uomini a fermare i lavori per il centro commerciale.»
«Ancora con questa storia del fulmine? Non è possibile sopravvivere a una simile scarica. Smettila, Zagor, di raccontare bugie.»
«Papà mi devi credere, è la verità. Sono rimasto un po’ di tempo svenuto e quando mi sono svegliato ho sentito l’esigenza di togliermi i vestiti e le scarpe, per entrare in contatto diretto con l’energia creatrice.»
La diffidenza dei genitori verso il racconto del figlio è comprensibile. Soltanto in alcune aree del mondo è naturale riconoscere l’acquisizione dei poteri sciamanici, in seguito ad eventi naturali estremi, come la scarica, non mortale, di un fulmine. Eppure, con il passare dei giorni, la loro opinione muta, in particolare quella della mamma, testimone di numerosi e piccoli miracoli operati da Zagor, a partire dalla scomparsa del dolore cronico alla spalla, grazie a un misterioso impacco di erbe, fino alla guarigione della zampa della cagnolina Kira, dopo mesi di inutili tentativi da parte del veterinario.
Nel frattempo, la salute dell’imprenditore è sempre più compromessa. Un virus sconosciuto ne debilita il fisico, persino i sanitari lo considerano un paziente dal destino segnato. Molti membri del Consiglio di Amministrazione della “Stracchi Costruzioni S.P.A.” premono per riaprire il cantiere, a partire dalla moglie, la dottoressa Agata Magnini, una donna sensuale, avida e ambiziosa.
Un giorno, al termine delle lezioni, Zagor decide di andare in ospedale: sale sul pullman e raggiunge il nosocomio, a Perugia. Senza chiedere nulla a nessuno, arriva fino all’ultimo piano e trova la stanza in cui è ricoverato l’Ingegnere, dove resta, per molti minuti in preghiera, ai piedi del letto. Il malato ha gli occhi chiusi; le gocce della flebo scendono lente; il respiro è affannoso.
«Chi sei? Esci subito da questa stanza.»
«Ho pregato per lui. Presto guarirà.»
«Che scemate sono queste? Sparisci dalla mia vista, ragazzino. Vattene, non sei gradito.»
Il tono di Agata, la moglie del paziente, non ammette repliche e nemmeno giustificazioni. La donna è molto nervosa. Infatti, poco prima, il primario le ha comunicato che il marito è stabile e che la situazione potrebbe restare identica per molte settimane. Una notizia per lei nefasta, uno stallo che non si può permettere.
“Ci mancava soltanto quel ragazzino, con il dono della profezia, a completare una pessima giornata. Per fortuna che stasera vedo Alex”. Solo la prospettiva di una serata con l’amante la rincuorano. In cuore suo spera di seppellire presto il marito e prendere il controllo della società. Con lei al comando, i cantieri si sarebbero moltiplicati. Per una donna intelligente e conscia del potere del proprio corpo, tutto è possibile.
Nei giorni successivi, in assenza di sviluppi a lei positivi, Agata convoca il Consiglio di Amministrazione. Nonostante l’opposizione di alcuni membri fedeli all’Ingegnere, la maggioranza appoggia la sua mozione, con la ripresa dei lavori e l’abbattimento degli alberi che formano il bosco.
La mattina seguente, mamma Carla nota un insolito movimento nel cantiere.
«Adelmo, sono tornati gli operai. È un buon segno, significa che l’Ingegnere Stracchi sta meglio.»
«No, Carla. Ieri sera, al bar, hanno detto che la situazione è sempre drammatica e attendono soltanto la sua morte. Tuttavia, nel frattempo, hanno deciso di riprendere i lavori, a partire dai prossimi giorni. Davanti ai soldi, purtroppo, tutto passa in secondo piano. Rassegnati, la fine del bosco è vicina. Spero che la notizia non turbi troppo Zagor.»
«A proposito di Zagor, l’hai visto? È tornato da scuola?»
«Si e mi ha detto che doveva uscire, di nuovo, per una cosa importante.»
«Benedetto figliolo, ma quando studia?»
«Lo sai, Adelmo, che Zagor è un figlio speciale.»
«Certo, Carla. Proprio a noi doveva capitare un figlio simile? Non poteva essere semplicemente normale, fare i compiti e aiutarci a lavorare la terra?»
«Ti prego, non parlare così. È un ragazzino sensibile e generoso.»
«Si, con tutti, esclusi i genitori.»
Quel ragazzino, così particolare, è di nuovo in viaggio, sul pullman, verso l’ospedale. Raggiunge l’ultimo piano dell’edificio e resta nascosto, per almeno tre ore in una stanza adiacente e vuota. Con la loro presenza, prima le infermiere, poi un dottore, quindi due membri del Consiglio di Amministrazione, gli impediscono di procedere con il suo piano. Il sole è tramontato, la via è libera. Di fronte a lui, l’imprenditore più potente e temuto della regione è inerme nel letto; colui che ha dettato legge per decenni ora subisce, a sua volta, la dura legge della vita. Dopo averlo denudato e ricoperto il suo corpo con una poltiglia, ottenuta con le erbe del bosco, Zagor tira il lenzuolo verso l’alto, fino a coprire le spalle dell’uomo. Quindi, appoggia le proprie mani sulla fronte del paziente e inizia a cantare una nenia. Dopo circa mezzora, l’Ingegnere Stracchi apre gli occhi.
«Buonasera, Giovanni, mi riconosce?»
«Si, anche se non ricordo il tuo nome.»
«Sono Zagor. L’aspetto domani pomeriggio nel bosco.»
«Sono gravemente malato e bloccato in questo stupido letto. Te ne rendi conto, ragazzino?»
«Domani sarà in perfetta forma. Ci vediamo.»
«Dove vai, aspetta.»
Percorsi i primi metri, Zagor incrocia Agata, la moglie dell’Ingegnere Stracchi. Quando la donna entra in camera e si rende conto che le condizioni di salute del marito sono migliorate, esce nel balconcino e chiama subito il capocantiere.
«Pronto, De Paola, dovete riprendere i lavori già domani, non possiamo più rimandare.»
«Dottoressa, è impossibile convocare tutto il personale in così poco tempo. Servono diversi giorni, molti operai arrivano da lontano.»
«Organizzi subito una squadra, anche di poche persone, almeno per iniziare. Domani pomeriggio voglio vedere sradicati i primi alberi. Mi sono spiegata?»
«Va bene, domani mi attivo.»
«Domani è tardi, inizi stasera a fare il giro di telefonate. Ci vediamo al cantiere.»
La donna fissa l’orizzonte pensierosa. La situazione rischia di sfuggirle di mano e distruggere tutti i suoi progetti. Non c’è tempo da perdere, il marito deve morire. Ritorna in camera, preleva dall’armadio un cuscino e si avvicina al letto.
«Ciao Agata». L’Ingegnere fissa la moglie, ne capisce le intenzioni. È la sua fine.
All’improvviso compare una infermiera, come un angelo arrivato dal paradiso.
«Presto, chiami un medico, mio marito si è svegliato.»
La Dottoressa Magnini è incazzata. Le bastava soltanto un minuto per raggiungere il suo scopo. Il suo piano, anche se improvvisato, era diabolico: soffocare l’Ingegnere e dare la colpa al ragazzino.
Ritornato a Montefalco, Zagor entra in casa. I genitori hanno già cenato e sono molto agitati.
«Dove vai? Vieni subito qui. Ti sembra l’ora di tornare? La devi finire di fare quello che vuoi, sei ancora piccolo, devi ubbidire ai tuoi genitori. Hai capito?» Papà Adelmo è molto arrabbiato.
«Sono andato in ospedale a trovare Giovanni, l’Ingegnere. Ho parlato con lui, sta meglio e domani pomeriggio verrà nel bosco, nel mio luogo magico. Ho fame, avete lasciato qualcosa per me?»
«Hai finito di raccontare bugie? L’Ingegnere sta per morire. Vai subito in camera tua, stasera resterai a digiuno.»
Dopo qualche minuto, la mamma si reca in cucina e prende il vassoio con il cibo lasciato per Zagor.
«Carla, cosa stai facendo? Non hai sentito quello che ho detto?»
«Adelmo, stai tranquillo. È ora di accettare che abbiamo un figlio diverso dagli altri. Credo alle sue parole. Ascoltami, diamogli fiducia, almeno fino a domani e vediamo cosa succede. Se ha mentito si meriterà di essere punito. Ora lasciami andare da lui.»
Il giorno dopo c’è fermento nel cantiere. Dopo una mattinata di preparativi, una squadra di operai è pronta per abbattere il primo albero. Compare Zagor e come uno scoiattolo si arrampica sul tronco, fino a incontrare un grosso ramo, su cui si siede, sorridente, a cavalcioni.
«Scendi subito, è pericoloso.»
«Venitemi a prendere se ci riuscite.»
Il caposquadra telefona al capocantiere che a sua volta chiama la dottoressa Magnini. Dopo circa mezzora, la donna scende dall’auto e raggiunge, con molta fatica, il limitare del bosco; del resto, camminare con i tacchi, in mezzo alla natura, è complicato.
«Ancora tu? Ragazzino, scendi subito.»
«Solo se vi allontanate dal mio bosco.»
«Il tuo bosco? Il terreno è stato acquistato dalla mia società, quindi fanculo, te ne devi andare.»
«Sei insensibile, non hai rispetto per nessuno. Io resto qui. Qualcuno ha il coraggio di venire a prendermi?»
La donna, visibilmente contrariata, si rivolge al caposquadra.
«Lasciate la scimmietta sul ramo e passate oltre.»
Mentre gli operai predispongono tutto per l’abbattimento della pianta successiva, Zagor, scende, con una velocità sorprendente, per poi risalire sul secondo albero. Agata, in preda all’ira, inizia a gridare.
«Ragazzino, se non vieni giù da solo cadrai a terra insieme a questo ammasso di legna. Non ti conviene insistere.»
«Non mi muovo da qui.»
«E voi, cosa aspettate? Procedete con il taglio. Ora!»
Gli operai sono titubanti. Agata, in preda a un delirio di onnipotenza, minaccia i suoi dipendenti.
«Se non eseguite i miei ordini vi licenzio e segnalo i vostri nomi a tutte le imprese della zona. Nessuno vi assumerà più. È chiara la situazione?»
In contemporanea, Zagor intona un antico canto che parla di amore per la madre terra.
«Ora la smetterai di cantare e di prenderci in giro». Poi, rivolgendosi agli operai: «Tirate giù questo maledetto albero. Subito!»
Un fuoristrada raggiunge il cantiere. Dal mezzo scende una persona. Tutti riconoscono la figura dell’Ingegnere Giovanni Stracchi.
«Fermatevi subito, per oggi avete finito di lavorare. Vi sarà comunque corrisposta l’intera giornata, non vi dovete preoccupare. E tu, ragazzino, scendi. Io e te dobbiamo parlare.»
Zagor scivola veloce, lungo il tronco, fino a terra. Tutti gli occhi sono puntati su di lui.
«Giovanni sei impazzito? Blocchi il progetto soltanto per i capricci di questo moccioso? Non sei più in grado di dirigere i lavori. Sei uscito dall’ospedale troppo in fretta, hai ancora bisogno di cure, cerca di ragionare.»
Agata è in preda a una crisi isterica. Non si capacita della presa di posizione del marito.
«Il tuo entusiasmo per la mia guarigione è commuovente. È solo per merito di questo ragazzino se sono vivo. È mio dovere ascoltare le sue argomentazioni. Ora, vattene, il tuo comportamento è vergognoso.»
Zagor stringe la mano al suo nuovo amico, Giovanni e lo invita a seguirlo nel bosco, fino a fermarsi in una radura, dove la luce è maggiore e i fiori colorano il terreno.
«Come hai fatto? Ho bisogno di sapere.»
Zagor non risponde, si toglie le scarpe e chiude gli occhi. È un momento bellissimo. La pelle viene coccolata da una leggera brezza, il naso si inebria dei numerosi profumi che la natura offre, le orecchie si cullano al canto degli uccelli, i piedi nudi vibrano al contatto con l’energia di Madre Terra.
«La malattia mi ha messo con le spalle al muro. Ero a conoscenza delle tue qualità, ma non ci credevo». Giovanni ha gli occhi lucidi. È emozionato.
«Ti prego, resta in silenzio. Socchiudi gli occhi e ascolta lo Spirito del bosco.»
Il sole è ormai al tramonto. L’Ingegnere Stracchi riprende la strada del ritorno verso la sua villa. Ha appena vissuto una esperienza sorprendente e per la prima volta, in vita sua, si sente in pace. È rimasto sorpreso anche dalla spiegazione delle numerose proprietà delle erbe, una vera e propria lezione di erboristeria. Più ci pensa e più non si capacita delle conoscenze di Zagor e della sua sapienza. Non ammetterà mai, pubblicamente, che il potere di quel ragazzo deriva dalla scarica di un fulmine, ma in cuore suo, ci crede. Sorride Giovanni, mentre guida, sorride senza sapere il perché. Ha già deciso di rivedere il progetto del centro commerciale, a partire dalla valutazione di impatto ambientale, e in caso negativo, procedere con la sua eventuale soppressione. Sorride Giovanni, sorride della sua improvvisa, sana, follia.
Per concludere questa storia, ritengo importante dedicare un momento alla dottoressa Agata Magnini. Dopo essere stata demansionata dal marito e ricoverata, più volte, nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Perugia, ha iniziato a frequentare Zagor fino a diventare una sua grande amica e in pochi mesi è rinata. Ora, trascorre, parte delle sue giornate, in Croce Rossa e alla Caritas parrocchiale, come volontaria, e non è raro vederla passeggiare, felice, nel bosco; proprio in quel bosco che voleva eliminare.
Caro lettore, senza ombra di dubbio, possiamo affermare che a Montefalco si è verificato un grande miracolo. O, meglio, per essere più precisi, un colpo di fulmine.