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un insolito colpo di vento

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Messaggio Da gdiluna Mer Mar 24, 2021 6:19 pm

Un insolito colpo di vento gli portò via il cappello a rotolare in mezzo alla strada sobbalzando tra le rotaie del tram.


L’ometto stette per un attimo, poi pensò di gridare a qualcuno di bloccare il cappello ma non lo fece. Non era certo da lui mettersi a gridare ad uno sconosciuto in mezzo alla strada, non sarebbe stato dignitoso. Poi pensò di provare lui a corrergli dietro ma ora che ebbe finito di formulare il pensiero si accorse che il cappello era sparito tra le caviglie dense della gente.


Peccato, pensò, era un bel cappello, non era nuovo ma svolgeva bene il suo compito di tenere al caldo i suoi pensieri.


E improvvisamente si rese conto di non ricordare quale fosse stato il suo ultimo pensiero prima che l’insolito colpo di vento gli portasse via il cappello a rotolare in mezzo alla strada sobbalzando tra le rotaie del tram.


Ma chi è che fa attenzione ai propri pensieri mentre ancora li pensa?


Peccato, pensò l’ometto, magari era un bel pensiero.
Ma adesso dov’era? Non è che era restato impigliato da qualche parte e adesso rotolava via insieme al cappello? E che magari qualcuno lo poteva raccogliere e pensare il pensiero che lui non aveva ancora finito di pensare? E se fosse stato invece un pensiero, diciamo, sconveniente? Non che lui fosse solito fare pensieri sconvenienti ma magari…


Ma magari non ero un solo pensiero, magari nel cappello erano rimasti pensieri aggrovigliati, bozze di pensieri non ancora pensati, pensieri che la sua mente cosciente avrebbe rifiutato di poter pensare, pensieri grandi, importanti.


No, questo no. Non sarebbe stato da lui. In fondo, pensò l’ometto, non ho davvero mai avuto grandi pensieri, perché avrei dovuto cominciare proprio quando un insolito colpo di vento mi portava via il cappello a rotolare in mezzo alla strada sobbalzando tra le rotaie del tram?


Poi pensò che i suoi pensieri, oramai protetti solo da qualche peletto superstite sulla sommità della testa, cominciavano a rallentare per il freddo e che gli stava venendo male, forse un raffreddore in agguato. Pensò di proteggersi arrotolando attorno la testa la sciarpa che aveva al collo; era una bella sciarpa, cashmere e seta. L’aveva visto fare ai barboni che la sera si riparavano dal freddo negli androni dei palazzi, sotto i portici. Per questo pensò di no, non sarebbe stato certo dignitoso!


Allora pensò di entrare in un bar.
Non era solito frequentare i bar, la mattina faceva colazione a casa, da solo. Qualche volta, magari se un collega lo incontrava in corridoio mentre stava andando alla macchinetta del caffè, accettava il suo invito ad unirsi; non ricordava che qualcuno fosse mai entrato apposta nel suo cubicolo per invitarlo. Ma i bar non li frequentava.


Al bancone un ragazzo di colore. Gli sembrò gigantesco con il suo gilet scozzese sui toni del rosso e la camicia bianca. E il suo “Desidera?” più un ordine che una domanda. Che cosa avrebbe potuto ordinare? Un caffè….? No, meglio un cappuccino, o ancora meglio un marocchino. Non sapeva esattamente che cosa fosse un marocchino, ne aveva sentito parlare e pensò che fosse adeguato. Ma non aveva ancora finito di pronunciare la parola che sentì il calore del sangue riscaldargli improvvisamente il viso; non che il ragazzo poteva pensare che ….


Ma il ragazzo era già sparito nell’angolo della macchina del caffè,
Cominciava a trovare il suo equilibrio nel caldo umido del bar quando qualcosa sfiorò un suo ginocchio. Attraverso gli occhiali appannati capì che era un bambino, un bambino di … In realtà non sapeva dire di quanti anni, la sua frequentazione di bambini, anche di ragazzi a dire la verità, era stata assolutamente occasionale, ma si lasciò pensare … di tre o quattro anni.


Il bambino indossava uno strano copricapo di forma e materiale indefinibile e lo guardava di sotto in su, dritto negli occhi come solo i bambini sanno fare. Quando il bambino si accorse di aver attirato sguardo e attenzione dell’ometto “E tu non ce l’hai il cappello? Il mio ha le orecchie di coniglio”. Un signore al bancone due o tre posti più in là, si avvicinò e strattonò bruscamente il bambino portandolo con sé lasciando all’ometto uno sguardo carico di sospetto e di disprezzo.


L’ometto ci restò male. Poi pensò, che cosa puoi pensare in questi casi? Lentamente sentì che la tensione attorno alle sue labbra si stava sciogliendo, lasciando quello che era la sua migliore interpretazione di un sorriso accennato.


Pagò il marocchino che non aveva bevuto, si avvolse intorno alla testa la sua bella sciarpa cashmere e seta e uscì dal caldo umido del bar. Si avviò verso la fermata del tram con un passo insolitamente diretto. E pensò. Domani mi compro un cappello nuovo, e mentre sentiva scorrere in sé una risata infantile che sarebbe stato sicuramente poco dignitoso anche solo far trapelare all’esterno, magari con le orecchie da coniglio!
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Messaggio Da Ospite Mer Mar 24, 2021 6:42 pm

Insomma, non che mi abbia molto impressionato. Parto subito dicendoti che il problema principale che ho riscontrato nel tuo testo è l'uso smodato delle ripetizioni. Certo, se ben dosate sono utili e permettono al lettore di concentrarsi su un particolare rilevante della trama o direttamente sul fulcro della stessa, ma in questo caso trovo che tu abbia abbondantemente esagerato. A mio avviso, l'uso smodato di "pensare", "pensiero" e simili non solo alla lunga rende il testo un po' noioso, ma gli toglie anche serietà facendolo passare per una parodia (ma se questo era il tuo intento, allora congratulazioni perché ci sei riuscito benissimo). In più trovo che la trama di per sé sia un po' scarna, perché alla fine la vicenda non mi lascia granché e la storia mi sembra poco ispirata. Tuttavia, questo testo ha anche dei pregi: il personaggio principale è un buon punto di partenza, così goffo e imbranato nelle sue interazioni sociali. La parte in cui si vergogna di aver chiesto un marocchino a un ragazzo di colore è divertente e andrebbe valorizzata di più, come in generale tutta la sottotraccia umoristica del tuo racconto. In conclusione, direi che questo brano non è male, ma troppe ripetizioni e una trama che andrebbe valorizzata meglio (e fatta virare più sull'umorismo latente) non me lo fa godere appieno.

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Messaggio Da Arunachala Mer Mar 24, 2021 8:24 pm

la storia è bella e particolare, però devo dare ragione a martin sulle troppe ripetizioni.
all'inizio c'è anche un uso eccessivo di aggettivi possessivi.
però è comunque gradevole e fa riflettere, pertanto opterei per una revisione, così da renderlo ancora più piacevole

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Messaggio Da gdiluna Gio Mar 25, 2021 12:06 pm

Grazie per i commenti e i suggerimenti. Ho riletto il racconto alla luce di quelli e mi sono domandato perché, al di là di sempre possibili miglioramenti, non "sentivo" il peso di queste ripetizioni che ci sono, volute, cercate. Mi sono proposto questa interpretazione: il racconto è scritto per essere letto ad una platea. Io lo immagino con una voce, dei toni, espressioni del viso e gestualità. Ma mi rendo conto che così non è più un racconto. Provo a lavorarci ancora
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Messaggio Da Petunia Dom Mar 28, 2021 7:30 am

Ciao gdluna

È un testo particolare, teatrale direi. Infatti mentre leggevo avevo proprio la sensazione di vederlo rappresentato in un palco. Quindi se lo hai pensato come rappresentazione di questo genere può funzionare. Certo non lo definirei un racconto, in fondo la trama non c’è.
Oltre alle ripetizioni che ti hanno segnalato (nell’ottica di trasformarlo in racconto) dovresti lavorare anche sulla formattazione. Quei periodi eccessivamente frammentati non rendono scorrevole la lettura.
Comunque mi sono divertita a leggerlo perché hai stuzzicato la curiosità. Volevo capire dove volevi arrivare...
A rileggerci!
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Messaggio Da Ospite Dom Mar 28, 2021 7:51 am

Piaciuto molto.
Racconto amaro, testimone di grande solitudine
Le colazioni da solo, lo sgomento per aver perso un semplice cappello. Il disagio davanti a un bambino, davanti a un bar. 
Confermo le impressioni di chi mi ha preceduto, ci sono ridondanze, ma anche una splendida teatralità.
Certi passaggi sembrano scritti da Eduardo.
Il grande Eduardo. 

Ciao.

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Messaggio Da digitoergosum Dom Mar 28, 2021 1:33 pm

Ciao. Parto da un presupposto che mi appartiene quando leggo qualcosa. Ciò che non so fare è trovare l'inghippo di un racconto. Per me un racconto è valido se mi emoziona, se mi fa pensare, se mi diverte, se ci trovo poesia e originalità. Ma soprattutto se lo leggo d'un fiato. Quello che ho riscontrato, sensazioni e urgenza positiva di arrivare in fondo, sta tutto nel tuo racconto. A me le tue ripetizioni sono giunte gradite, opportune, funzionali. Forse perché anche io, quando scrivo, indugio "con (la poca) scienza" sulle ripetizioni o sui rimandi che susseguono nella trama. A rileggerti molto volentieri.
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