E io che volevo morire
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E io che volevo morire
Immaginate di trovarvi di fronte a un locale. In un boulevard periferico di Parigi. Non tutto in città è bello e raffinato. Anzi, il boulevard in cui sono invecchiato è un vero cesso.
Non stropicciatevi gli occhi per vedere meglio: il locale è realmente al buio.
No. Non è l’ennesima interruzione di corrente: gli altri locali sono accesi. No, non è al buio per un guasto, tantomeno per suo volere. È al buio perché la sua proprietaria, Madame Roux, vuole così.
Apprezzo lo sforzo che state facendo perché… State guardando me!
Sorpresa! Sono io quel ristorante.
Non starò qui a elencarvi tutti i miei pregi e i miei difetti, anche perché non li vedreste; vi basti sapere che sono vecchio. Non lo sono diventato all’improvviso, ero vecchio anche prima di questa follia. Ero così vecchio che anelavo una sola cosa.
Volevo morire.
No, i locali non vanno in pensione. O cambiano vita o muoiono.
Diventare un bel localino lezioso oppure un ruvido bar per soli uomini mi sarebbe piaciuto.
Ma cambiare è costoso, a meno che non ci si metta nelle mani dei soliti macellai del ritocco. Prezzi contenuti, ma con il rischio di diventare identico a tutti quei vecchi locali, ora tirati, che hanno avuto una nuova vita negli anni di benessere successivi alla grande guerra.
La mia padrona, nana e squattrinata, invece di darmi il colpo di grazia ha deciso di spegnere ogni luce e continuare a farmi trottare… Per pura vendetta personale.
È stato un successo inaspettato.
Sì, perché voi emerite teste di cazzo avete accettato l’idea entusiasti e per anni avete continuato a calpestare la mia vecchia schiena di legno con i vostri tacchetti del cazzo e annerito le mie pareti con il puzzo dei vostri sigari; tutto al buio.
Siete contenti? Beh! Io no.
Vi lancio una sfida, seguitemi e vedrete… O meglio, sentirete con le vostre orecchie le assurdità di una scelta del genere.
Prego, da questa parte. La mia sala è sempre stata piccola e maldisposta, ma in qualche modo è intima; per questo sono costretto a sentire tutte le futili effusioni delle coppiette e la puzza che emanano gli uomini che fanno affari al buio. Insomma, una noia mortale.
Procediamo oltre… Ah! La musica che ci accompagna così, indecorosamente, viene dal carissimo cimelio della famiglia Roux. Un vecchio grammofono che mi ha chiesto più volte di morire anche lui. Eppure eccolo lì in un angolo a suonare in agonia.
Venite…
No, Fermi! Di là si va per la cucina e… Non mi sembra il caso di farvi entrare. Sono già incasinati, e non perché anche loro siano al buio: cucinano di merda pure con la luce accesa.
Da questa parte… No, non quella… Quella! Ecco, lì c’è il corridoio che porta alla toilette. Eccoci appena arrivati che…
Bingo!
Lamenti. Un classico nei corridoi delle toilette. Infatti eccola.
È una donna sui qua… Merde! Ho promesso di mantenere il riserbo… Una zitella! Meglio?
Vorrei potervi lasciare qui da soli ma… Non riuscirete a vedere nulla, quindi sarò costretto a dirvi chi sta parlando. Tranquilli, non sarò invadente. L’ho già fatto. Non crederete davvero che, con tutte le persone che mi sono entrate dentro, sia ancora vergine.
A plus tard.
«L’ho incontrato per la prima volta una settimana fa. Rientravo nella mia stanza al piano terra, quando al portone d’ingresso ho visto la sua ombra stagliarsi sulla soglia. Gambe lunghe e affusolate, spalle larghe, un cappello in testa. Mi sono voltata, ma il riflesso mi ha impedito di vederlo in volto. Le scarpe sì, quelle sono riuscita a vederle bene. Erano di fattura eccellente. Un ottimo segno. Sono nubile, quindi sono sgattaiolata nella stanza senza avvicinarlo. Il giorno dopo ho chiesto informazioni alle “sultane” del palazzo. Deve sapere che le chiamano sultane perché comandano loro, lì. Mica i mariti: quelli zitti stanno. Loro invece spadroneggiano e sanno ogni cosa. Decidono loro chi deve venire e chi andare. Insomma, mi sono confidata. Hanno detto che era un bell’uomo, rispettabile, scapolo, ma soprattutto ricco sfondato. Ebbene, mi hanno mentito per burlarsi di me. Un vecchio calzolaio. Ecco il mio cavaliere dalle belle scarpe… Mi capisce?»
«Sì, ma io le avevo chiesto solo se questa era la fila per il bagno. Non si vede niente in questo posto di…»
«Di raro mistero.»
Detesto il maitre di sala. Melenso, schiva le persone come un’anguilla.
«No, no. Ma adesso io entro alla toilette, perché mi scappa, e poi vado via.»
La zitella ha iniziato a battere i tacchi sul pavimento… Immaginate che piacere per me.
«Secondo lei, là dentro ci sarà la luce?»
La seconda della fila, che profuma di macarons, non può vedere la zitella alzare le spalle, quindi nel buio quello che rimane è solo il silenzio. Un lungo silenzio imbarazzato.
«No. Non c’è luce neanche nella toilette. Io lo so. Salve, sono Nadine e sono l’ultima della fila. Fareste meglio a dire anche voi il vostro nome. Prevedo una lunga attesa.»
«Celine.»
La zitella.
«Oh! Che buffa coincidenza, io sono Sabine.»
L’altra.
«Buffa? Qui la serata è drammatica. Miserabile… Mi avevano detto che quell’uomo…»
«Era ricco sfondato» conclude Nadine fiera.
«E lei come lo sa?»
«L’ho visto.»
«Lo avrà sentito, più che visto. Suvvia, Mademoiselle Celine, è chiaro che l’avrà sentita. Era così… Agitata, che non mi meraviglierei se vi avessero ascoltato tutti in sala.»
«Non mi prenda in giro, Mademoiselle Sabine.»
«Madame Sabine.»
«Come, scusi? Ha una voce così fresca e delicata, non avrà più di vent’anni.»
«In realtà sono diciotto.»
«Io lo sapevo già.» Nadine, che profuma di incenso: «È una fresca sposina in boccio, mentre io sono tristemente vedova. Ho cinquantotto anni, e lei Celine?»
«Non ho intenzione di dire la mia età.»
Questa cosa inizia a piacermi.
«Coraggio! Siamo completamente al buio, può mentire se vuole, anche se io le menzogne le scovo sempre. Se alla sua età è ancora nubile non c’è nessuna vergogna. La cara Sabine è stata fortunata a trovare un bravo ragazzo.»
«In verità il mio Armand non è poi così giovane.»
«E quanti anni ha?» Chiede Celine, mentre cerca di trattenere i singhiozzi.
«Ne compirà sessantacinque a ottobre.»
«Putain!»
Vai così, Nadine, non trattenerti. È riuscita in un solo attimo a rendere il corridoio un posto ancor più spiacevole.
Sono impietrite. Chi per l’imbarazzo, chi per timore e chi per invidia.
«Anche mia moglie, Madame Perrin, è molto più giovane di me.»
Le tre urlano. Ve lo dicevo che sguscia, viscido com’è… Detestabile maitre.
«Scusi, ma lei da quanto tempo è lì?» dice stizzita Celine.
«Io sono sempre nei paraggi, ma chère. Perrin ha orecchie ovunque nel locale.»
«Dunque ci stava spiando» ci tiene a precisare Sabine.
«Ma no, mi accerto solo che non ci siano incidenti. Questa sera siamo già a sette cerotti e una dozzina di lividi e sono solo le 20.»
«Oh! questo lo sapevo già. Ma… Non potete accendere almeno una candela?» Chiede Nadine.
«Le regole della padrona lo vietano. Da quando è diventata cieca nel ’35, non ha più voluto sentire ragioni. Se non può vedere lei, nessuno vedrà più nulla nel suo locale. Che cara signora.»
«Carissima.» Dice sarcastica Celine.
«Io lo trovo romantico.» Esclama Sabine.
«Romantico un cavolo! Io ho scelto di venire qui proprio per evitare di guardare in viso quell’uomo. Pensavo che al buio magari mi avrebbe incantato con la sua voce. Il calzolaio è un buon mestiere e le scarpe servono sempre. Credevo che sulle sue proprietà le sultane non avessero mentito. E invece è un vecchio spiantato e pure noioso. So come mi state guardando. Anche se non si vede nulla, sento i vostri sguardi giudicanti. Me ne frego! Ho tutto il diritto di scegliere chi voglio. In questi tempi incerti, attanagliati dalla paura, voglio stare bene, e per stare bene intendo agiatamente. Sbaglio, Perrin?»
Per coprire il silenzio da disagio, dirò che Celine odora di bucato inamidato.
«Perrin, è lì?»
«Celine, è lei che ha parlato? Ero venuto a controllare che non vi fosse successo nulla e ho sentito per errore. Stava parlando di me?»
Silenzio. Singhiozzi. Sospiri.
«Ma no, Monsieur. Ero io che stavo parlando. Ho avuto una discussione con mio marito e mi stavo sfogando tra donne.» balbetta Sabine per cercare di salvare il salvabile.
«Sabine, ma…»
«Armand!»
«Putain! In quanti siamo in questo corridoio?» Chiede urlante Celine.
«In sei, signora.» Risponde Perrin.
«Quindi è sempre stato lì e non ha detto nulla. Conna…»
La porta della toilette si è aperta sul viso di Celine… Quando si dice “la legge del karma”.
Deve far male, ho sentito il colpo fin qui.
Ora inizia a strillare. Se ci fosse stato almeno un lumicino, questa cosa non sarebbe successa. Io ve lo avevo detto. Non vi sopporto quando fate così.
«Largo a Perrin. Abbiamo il primo naso sanguinante della serata.»
Celine, isterica, entra nella toilette tirandosi dietro le donne, mentre i due uomini restano nella completa oscurità.
«Speriamo non sia nulla di grave.» dice Armand per rompere il silenzio, diventato imbarazzante.
«Lo spero anche io.»
Sospira, il calzolaio. Lui emana un odore che non mi piace, come di ruggine e cuoio, poi fa una cosa che mi manda ai matti… Struscia i piedi. Cerco di non badarci perché è molto premuroso.
«Che dite, devo provare a bussare?»
«Ma no! Sono cose da donne. Se vuole, nell’attesa le offro qualcosa di forte al bancone. Su, andiamo.»
Armand afferra un braccio e lo spinge via.
«Mi scusi, ma cosa fa? Mi lasci. Sono il Maitre Perrin.»
«Scusi, ma lei da quanto tempo è lì?»
«Io sono sempre nei paraggi, Monsieur. Io ho orecchie ovunque nel locale.»
«Ci spia, dunque.»
Armand si sta irritando… Che sia giunto il momento del primo occhio nero della serata?
«Ma no! È solo che la cassetta medica con le garze è proprio qui.»
Perrin si è salvato ancora una volta, peccato. Scivola via e bussa alla porta da dove giungono guaiti strazianti. Nadine è uscita per rassicurare tutti.
«Non è nulla di grave. Ancora un attimo e saremo subito da voi.»
Se fossi in loro attenderei in silenzio…
«Sua moglie e sua figlia sono proprio degli angeli.»
Come non detto.
«Io non ho figli. Mia moglie è lì, ma…»
Oh! Stupidissimo calzolaio, non avrà pensato che… Oh no! Armand deve ingoiare un bel boccone amaro. Che sia questo il momento del primo occhio nero? Armand mi sembra uno dal temperamento focoso, odora di cenere e pino.
«La signora che è uscita poco fa non è mia moglie.»
Come non detto.
«Certo che non sono sua moglie. Io sono Nadine Duval. Veggente, paragnosta, parapsichiatra. Una veggente, non a parole. Vedo tutto. Sento tutto. Trovo le persone sotto terra. Prevedo le guerre, se crolla una casa, se ci sarà un terremoto. Tutto ovviamente no. I messaggi che mi arrivano io li dico ma… Non sbaglio mai. Avanti, fatemi una domanda.»
«Io sono Firmin Blan…»
«Non mi importa, veloce.»
«Viste le circostanze…»
«Avanti, dica, veloce»
«Vorrei sapere qualcosa sull’amore.»
«No! “Qualcosa” no… “Qualcosa” lo chiede alle maghette. Io non sono la maghetta di turno. Io sono Nadine Duval, punto e basta. Io non sono un’indovina… Indovina è la zingara che passa per la strada. Io non sto qui a dirvi che sono una veggente e poi sono una cacca. E vi inganno e vi racconto delle cose pazzesche e vi prendo per i fondelli. Nadine è onesta, corretta, e veritiera. L’unica! L’unica in Francia… Diciamo solo in Francia perché io non ne ho vista ancora nessuna che abbia questi poteri. Avanti, ci ha pensato bene? Mi faccia una domanda che abbia un senso.»
«Voglio sapere sulla salute di Celine.»
«Che vada dal medico. Ma roba da matti. Io non l’ho visitata. Ero lì nella toilette solo come conforto spirituale.»
Esigente, la veggente.
Forse non sono l’unico che trova assurda la cosa, Armand non riesce a smettere di ridere.
«E lei cosa ride? Io sono Nadine Duval. Sono una veggente, non sono mica il suo pagliaccio.»
«Mi scusi, ma non sembra molto credibile.»
«Ah no? Allora mi faccia lei una domanda.»
«Vista la situazione al confine tra Germania e Polonia, l’invasione da parte di Hitler è sempre più concreta. Fonti anonime dicono che sia questione di giorni…»
«Ma io lo sapevo già. Perché me lo ha detto? Ha rovinato tutto. Non doveva dirmi niente. Io sono una veggente, mica la maghetta di turno.»
«Mi scusi, cercavo solo di essere preciso.»
«Ma no, non si deve scusare, mon cher. Mi ha detto che l’invasione avverrà tra pochi giorni. Ma io lo sapevo già. L’attacco ci sarà tra tre giorni. Il 3 settembre 1939, ma sarà un assalto diretto, nessuna tattica di accerchiamento e le vittime non saranno molte. Purtroppo nessuno aiuterà i Polacchi. Ma anche l’Italia, alleata di Hitler, non interverrà nel conflitto. Tutto sarà breve.»
«Che Dio ci aiuti.»
«Perrin, siete ancora voi?»
«No, io sono appena arrivato. Cosa mi sono perso? È sceso il gelo in questo corridoio.»
«Che Dio ci aiuti.»
«Madame Roux? Cosa ci fate qui? Non vi siete ancora ritirata? Le occorre qualcosa? Si sente bene? Queste persone la disturbano?»
Merde! La padrona era qui. Non dovrebbe trovarsi in quell’angolo non facendo alcun rumore: mi sono spaventato anche io. Quando lei è nei paraggi, Perrin diventa ancora più detestabile, un vero lecchino. E infatti ha perso il controllo delle braccia e delle gambe per cercare di raggiungerla.
«Lei, Madame Roux, è una donna maestosa. Una figura incombente, difficile da celare. Nadine Duval aveva già percepito la sua presenza. Le porgo i miei omaggi, vuole farmi una domanda?»
«Stia zitta lei, dopo quello che ha detto dovrebbe correre a confessarsi… Mi faccia passare.»
«Ahi! Chi mi ha colpito al ginocchio?»
Grave errore, Nadine. Quando Madame Roux è arrabbiata, brandisce il bastone come fosse una spada e molti stinchi, polpacci e ginocchia vengono colpiti.
«Perrin, sarò breve. Perché si trova nel corridoio del bagno delle signore? E perché sono io quella seduta sul posto che dovrebbe occupare la sua dolce e cara Marie?»
«A questo posso rispondere io. La signora Marie purtroppo è indisposta perché…»
Attimi di tensione.
«…È incinta.»
Boom!
«Aspetta una bambina. Nascerà a luglio.»
Non serve essere veggenti per capire che il tonfo che avete sentito, fidatevi, ha fatto più male a me che ha lui; è Perrin che ha perso i sensi.
«Monsieur Firmin, mi spiace ma io non voglio sposarla.»
Sentite chi è tornata. Una rinvigorita… Si fa per dire, ha una voce nasale buffissima, Celine.
Il calzolaio prova a seguire la voce e allunga il braccio ma… Manca il bersaglio.
«Quello è il mio sedere. Cochon.»
«Ha per caso toccato mia moglie?»
Questo è il momento dell’occhio nero. Armand è furioso. Sta per sferrare l’attacco…
«Ahi!»
Ahi! Il mio povero pavimento… Cosa succede ancora?
Ah, ecco! Celine cercava di fuggire, ma è scivolata sul corpo di Perrin. Aspettate… Ha nuovamente battuto il naso. Se da questo lato è scoppiata una rissa tra anziani, da quell’altro Nadine Duval, in preda a una visione, non la smette di blaterare.
«Vedo delle onde sonore, la musica che si ferma e ogni cosa rotola.»
«La musica si è interrotta perché sono andata a finire contro il grammofono, è caduto.»
«Vedete? Io lo sapevo già. Lo avevo previsto. Non dovete ringraziarmi. Dovete dirmi, Nadine Duval, grazie che esisti.»
«Ma grazie di cosa? Cos’è, un’indovina?» Sabine sembra turbata.
«Indovina? A me? Io sono Nadine Duval. Tutto il mondo sa chi è Nadine Duval. L’unica veggente. L’unica paragnosta. Io sento i vostri mali. Sono unica. Capisce? Unica.»
«Allora se è unica, perché non ha previsto tutto questo? Lei è solo una ciarlatana.»
«Sì? Allora tu sei una grandissima stronza.»
C’est fou! Nadine si è lanciata con gli artigli su Sabine e le sta graffiando la faccia.
Aspettate, i due fronti si sono incontrati, È diventata una guerra a tutto campo. Anzi, a tutto corridoio.
Un’ammucchiata pazzesca! Peccato che Celine sia ancora priva di sensi… Chissà se le ricapiterà più di avere così tanti corpi sopra.
Sapete…
«Scusate, è questa la fila per la toilette delle signore?»
No, va be’, adoro!
Mi sbagliavo.
Cenare al buio è spassosissimo.
Nota: il personaggio di Nadine Duval è tratto dai video di YouTube di Nascia Prandi, famosa veggente televisiva.
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Re: E io che volevo morire
beh, l'intento è sicuramente positivo, non ci piove.
il risultato lo è un po' meno, però.
ovviamente è il mio parere personale e niente altro.
ci sono alcune battute gradevoli, ma c'è anche parecchia confusione.
scrivere un racconto che faccia ridere non è per niente facile, tutt'altro.
a tratti mi sono divertito ma, nel complesso, non eccessivamente.
rimane comunque un'idea meritevole.
il risultato lo è un po' meno, però.
ovviamente è il mio parere personale e niente altro.
ci sono alcune battute gradevoli, ma c'è anche parecchia confusione.
scrivere un racconto che faccia ridere non è per niente facile, tutt'altro.
a tratti mi sono divertito ma, nel complesso, non eccessivamente.
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Re: E io che volevo morire
Fuori dal consueto. Il battibecco non mi ha nemmeno permesso di capire se tutti i paletti ci fossero poi c'era anche tutto quel buio e... un po' mi son perso però mi sono anche abbastanza divertito e questo mi ha fatto capire che non era male come comico ma non di grande livello. Direi divertente. No problem per la lettura che scorre bene.
Antonio Borghesi- Cavaliere Jedi
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Re: E io che volevo morire
Mi sono preso la briga di andare su Youtube e, effettivamente, il personaggio si presta molto a una imitazione in chiave ancora più comica di quanto inconsapevolmente già non sia.
La scelta del locale al buio da dover conciliare con il 1939 è un po’ azzardata, dato che l’idea è nata solo qualche decennio fa e hai per forza dovuto ricorrere a un espediente per creare una situazione analoga.
Il ritmo del racconto è frenetico e incalzante e, come ho già detto in un altro racconto di genere comico, mi piace immaginarlo in una realizzazione teatrale, magari un atto unico. Lo stile potrebbe essere proprio quello di una pochade, di una farsa alla Feydeau. L’unico inconveniente è quello del buio, ma potrebbe essere sostituito dagli avventori del locale bendati.
Per quanto riguarda lo step: il corridoio è ben utilizzato; il genere c’è anche se è molto complicato rendere “il comico” nella scrittura; c’è il calzolaio, come anche il tempo; quanto al luogo non si poteva far di meglio.
Nel brano non mi ha convinto completamente la personalizzazione del locale a cui hai dato il compito di portare per mano il lettore.
Complessivamente un’ottima prova, considerate le difficoltà dei vincoli.
La scelta del locale al buio da dover conciliare con il 1939 è un po’ azzardata, dato che l’idea è nata solo qualche decennio fa e hai per forza dovuto ricorrere a un espediente per creare una situazione analoga.
Il ritmo del racconto è frenetico e incalzante e, come ho già detto in un altro racconto di genere comico, mi piace immaginarlo in una realizzazione teatrale, magari un atto unico. Lo stile potrebbe essere proprio quello di una pochade, di una farsa alla Feydeau. L’unico inconveniente è quello del buio, ma potrebbe essere sostituito dagli avventori del locale bendati.
Per quanto riguarda lo step: il corridoio è ben utilizzato; il genere c’è anche se è molto complicato rendere “il comico” nella scrittura; c’è il calzolaio, come anche il tempo; quanto al luogo non si poteva far di meglio.
Nel brano non mi ha convinto completamente la personalizzazione del locale a cui hai dato il compito di portare per mano il lettore.
Complessivamente un’ottima prova, considerate le difficoltà dei vincoli.
Danilo Nucci- Cavaliere Jedi
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Re: E io che volevo morire
Forse "Cenare al buio è spassosissimo", ma questo racconto, per quanto mi riguarda, non lo è stato. Alcune battute sono gradevoli, alcune situazioni possono strappare un sorriso, ma la sensazione predominante è di assoluta confusione, di caos, e davvero non vorrei essere nei panni di quel povero ristorante immerso nel buio.
Niente da dire sulla scrittura, ben calibrata e senza errori, ma, come ha già notato qualcuno, produrre un testo comico non è un'impresa facile, tutt'altro.
Oscurità forzata e risuonare di voci e di rumori non riescono a dar vita a qualcosa di veramente divertente, né aiuta la personalizzazione (un po' forzata) del ristorante stesso: prima deciso a farla finita con quella vita e poi pronto a cambiare idea solo per una scena di contusioni e battibecchi che, in quell'ambiente, dovrebbero essere più o meno la norma.
E, in ogni caso, la vedo dura per un ristorante riuscire a suicidarsi...
Il lavoro non mi ha convinto, sorry.
M.
Niente da dire sulla scrittura, ben calibrata e senza errori, ma, come ha già notato qualcuno, produrre un testo comico non è un'impresa facile, tutt'altro.
Oscurità forzata e risuonare di voci e di rumori non riescono a dar vita a qualcosa di veramente divertente, né aiuta la personalizzazione (un po' forzata) del ristorante stesso: prima deciso a farla finita con quella vita e poi pronto a cambiare idea solo per una scena di contusioni e battibecchi che, in quell'ambiente, dovrebbero essere più o meno la norma.
E, in ogni caso, la vedo dura per un ristorante riuscire a suicidarsi...
Il lavoro non mi ha convinto, sorry.
M.
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"E perché è più utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già." - Matteo Bussola
M. Mark o'Knee- Cavaliere Jedi
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Re: E io che volevo morire
Molto bravo, autore. L'inizio è geniale e riesci a tenere alto il livello fino alla fine, complici il buio e i dialoghi frizzanti.
Una scrittura innovativa per il posto, o sei un nuovo entrato o sei un reduce impazzito di bravura, non ho mai letto nulla di simile prima. Mi riferisco allo stile. Sei un visionario che cerca di fare ridere e non ci riesce e questo fa la tua fortuna, almeno per me.
Non dovrei dirlo per correttezza, ma tu hai già conquistato tutte le dita della mia mano. E la mia ammirazione.
Una scrittura innovativa per il posto, o sei un nuovo entrato o sei un reduce impazzito di bravura, non ho mai letto nulla di simile prima. Mi riferisco allo stile. Sei un visionario che cerca di fare ridere e non ci riesce e questo fa la tua fortuna, almeno per me.
Non dovrei dirlo per correttezza, ma tu hai già conquistato tutte le dita della mia mano. E la mia ammirazione.
tommybe- Maestro Jedi
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Re: E io che volevo morire
Testo cartoonesco con la frizzante idea di dar voce (e anima) al ristorante. Il testo è leggero e racchiude elementi ironici la veggente che sbaglia le previsioni, la fila al cesso e i battibecchi.
Una ciarlatana svampita che hai saputo caratterizzare bene.
Apprezzo l’idea e anche la scrittura agile e ritmata che fa un buon servizio al parapiglia che invade la scena.
Il ristorante poteva anche aggiungere una frase conclusiva, mi è sparito così… ha introdotto la scena e si è ritirato in camerino.
Almeno gli applausi finali poteva venire a goderseli.
Ti segnalo un errore (pardon, un orrore…)
ha fatto più male a me che ha lui;
Una ciarlatana svampita che hai saputo caratterizzare bene.
Apprezzo l’idea e anche la scrittura agile e ritmata che fa un buon servizio al parapiglia che invade la scena.
Il ristorante poteva anche aggiungere una frase conclusiva, mi è sparito così… ha introdotto la scena e si è ritirato in camerino.
Almeno gli applausi finali poteva venire a goderseli.
Ti segnalo un errore (pardon, un orrore…)
ha fatto più male a me che ha lui;
Petunia- Moderatore
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Re: E io che volevo morire
Di questo racconto mi piace moltissimo lo stile: molto personale, sicuro, per nulla scolastico, omogeneo.
Bella anche la trovata di rendere narratore il ristorante: crea un effetto straniante, mostra tutto da un punto di vista particolare.
In molti passaggi mi sono persa, anche rileggendo le battute di dialogo ho provato una sensazione di confusione, nel cercare di capire chi dice cosa. Sul momento ho pensato fosse un difetto, poi mi sono chiesta se invece non fosse un effetto voluto e quindi raggiunto, proprio per rendere la difficoltà di comprensione che ci può essere quando le persone si trovano immerse nel buio totale, esperienza che, tra l’altro, io ho provato diverse volte, in quei giochi di gruppo, tipo casa dei fantasmi o simili, che si facevano al buio da bambini o ragazzi; leggendo questo racconto, ho riprovato le stesse sensazioni.
Il testo ha qualcosa di teatrale, un po’ teatro surreal-umoristico.
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Re: E io che volevo morire
Una sitcom esilarante. Non si capisce bene chi dica cosa a tratti e bisogna tornare indietro qualche battuta, ma il risultante è frizzante.
Il francese piazzato qua e là, senza esagerare, ci sta proprio bene.
E pensare che l'inizio proprio non mi aveva convinto!
Complimenti.
Il francese piazzato qua e là, senza esagerare, ci sta proprio bene.
E pensare che l'inizio proprio non mi aveva convinto!
Complimenti.
FedericoChiesa- Cavaliere Jedi
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Re: E io che volevo morire
Un racconto in cui la comicità è fisica. il lato comico della vicenda non è affidato alle battute che molto spesso non riescono a far ridere. Qui la comicità è quella della caduta, la comicità è quella data dal equivoci che possono succedere quando si è al buio, quasi da commedia degli errori.
Il racconto ha un buon ritmo e la dove il buio poteva portare confusione, quella stessa confusione diventa comica. Non sapere bene chi parla fa parte del gioco e alla fine diverte.
Il corridoio è il corridoio per eccellenza cioè quello del bagno e la fila delle signore in attesa fa già molto ridere.
l'espedite di far parlare il ristorante ci sta perché rende ancor più l'idea di assurdo.
In una parola, teatrale.
complimenti e grazie.
Il racconto ha un buon ritmo e la dove il buio poteva portare confusione, quella stessa confusione diventa comica. Non sapere bene chi parla fa parte del gioco e alla fine diverte.
Il corridoio è il corridoio per eccellenza cioè quello del bagno e la fila delle signore in attesa fa già molto ridere.
l'espedite di far parlare il ristorante ci sta perché rende ancor più l'idea di assurdo.
In una parola, teatrale.
complimenti e grazie.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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Data di iscrizione : 04.02.21
Età : 38
Re: E io che volevo morire
Ti dico la verità, sono un po' perplesso.
Ci sono tante cose buone, anzi, molto molto buone: il corridoio che porta al bagno (un vero classico qui utilizzato a-classicamente), il ristorante che parla in prima persona, il personaggio principale del racconto; il buio che rende tutto complicato, difficile da decifrare, come avviene nella realtà.
ma l'amalgama complessiva di tutte queste cose molto buone non produce, ai miei occhi, lo stesso risultato, per cui il racconto alla fine non mi ha ne conquistato, ne entusiasmato purtroppo.
La confusione è senz'altro voluta, serve a rendere quello che succederebbe a ciascuno di noi se si trovasse in un luogo piccolo e completamente al buio con degli sconosciuti ma non è riuscita a farmi sorridere per cui anche il paletto del genere lo trovo un po' forzato.
Ottima la scrittura e la (quasi) assenza di errori: peccato che l'unico che ho trovato, sebbene chiaramente frutto di una svista, sia da matita rossa e blu contemporaneamente.
Ci sono tante cose buone, anzi, molto molto buone: il corridoio che porta al bagno (un vero classico qui utilizzato a-classicamente), il ristorante che parla in prima persona, il personaggio principale del racconto; il buio che rende tutto complicato, difficile da decifrare, come avviene nella realtà.
ma l'amalgama complessiva di tutte queste cose molto buone non produce, ai miei occhi, lo stesso risultato, per cui il racconto alla fine non mi ha ne conquistato, ne entusiasmato purtroppo.
La confusione è senz'altro voluta, serve a rendere quello che succederebbe a ciascuno di noi se si trovasse in un luogo piccolo e completamente al buio con degli sconosciuti ma non è riuscita a farmi sorridere per cui anche il paletto del genere lo trovo un po' forzato.
Ottima la scrittura e la (quasi) assenza di errori: peccato che l'unico che ho trovato, sebbene chiaramente frutto di una svista, sia da matita rossa e blu contemporaneamente.
ha fatto più male a me che ha lui
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paluca66- Maestro Jedi
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Re: E io che volevo morire
Non saprei da che verso prendere questo racconto.
Intanto, la scrittura è pulita e sicura, si vede la mano esperta.
Il ristorante, anzi il locale, che parla in prima persona mi è sembrato una voce fuori campo nel buio che poi, in corridoio, diventa concreto agli occhi del lettore. Mi è piaciuto molto l'utilizzo della stanza proposta come via che porta da qualche parte. In realtà la vera essenza del corridoio!
Questo per dire che la prima parte del testo, a mio avviso, è la più convincente.
Poi il ristorante sparisce dalla scena, o meglio, c'è ma non parla più. Se l'avesse raccontata tutta lui la storia? Dopotutto chi meglio di lui può osservare l'oscura scena? Aggiungo che la "sparizione" totale del ristorante parlante mi ha un po' deluso nel prosieguo della trama. E infatti, parte seconda meno azzeccata secondo me, arrivano tutti questi personaggi che provano a fare i simpatici ma simpatici non sono. Ho colto la venatura di comicità sottile, volutamente celata dietro una scena quasi surreale. Ripeto, non mi ha convinto del tutto nonostante apprezzi l'originalità del tentativo.
Sicuramente lo rileggerò. Grazie
Intanto, la scrittura è pulita e sicura, si vede la mano esperta.
Il ristorante, anzi il locale, che parla in prima persona mi è sembrato una voce fuori campo nel buio che poi, in corridoio, diventa concreto agli occhi del lettore. Mi è piaciuto molto l'utilizzo della stanza proposta come via che porta da qualche parte. In realtà la vera essenza del corridoio!
Questo per dire che la prima parte del testo, a mio avviso, è la più convincente.
Poi il ristorante sparisce dalla scena, o meglio, c'è ma non parla più. Se l'avesse raccontata tutta lui la storia? Dopotutto chi meglio di lui può osservare l'oscura scena? Aggiungo che la "sparizione" totale del ristorante parlante mi ha un po' deluso nel prosieguo della trama. E infatti, parte seconda meno azzeccata secondo me, arrivano tutti questi personaggi che provano a fare i simpatici ma simpatici non sono. Ho colto la venatura di comicità sottile, volutamente celata dietro una scena quasi surreale. Ripeto, non mi ha convinto del tutto nonostante apprezzi l'originalità del tentativo.
Sicuramente lo rileggerò. Grazie
Molli Redigano- Maestro Jedi
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Re: E io che volevo morire
Questo racconto l’ho proprio “gustato” dall’inizio alla fine, e per la fine vi rimando a qualche riga più giù. Premetto che mi piace quando un autore conversa con me, lettore, prendendomi sottobraccio e accompagnandomi nella passeggiata tra le sue righe. Se poi il racconto è ben declinato in prima persona, mi siedo comoda - ancora più comoda - e mi lascio coinvolgere per bene.
Questo racconto lo vedrei molto bene trasposto in una pièce teatrale: poche luci (ovviamente) attori illuminati per quel che serve a dare un volto a una voce, ma poi voci a tratti senza volto, per enfatizzare la confusione di quel corridoio buio; corridoio a sua volta protagonista: gli ho assegnato una voce fuori campo che si racconta, mentre sulla scena gli attori si muovono, preparandosi alla loro parte.
Il corridoio è ben presente; il paletto data è un po’ artificioso (poteva essere qualsiasi altra data significativa), il calzolaio è una figura quasi evanescente, nascosto dai tanti personaggi.
I tanti personaggi che popolano il corridoio: sono tanti, dato il taglio del racconto sono necessari e per apprezzare il racconto vanno immaginati, creati, per poi associarli alla loro parte nei dialoghi. Dialoghi che reggono decisamente bene e l’insieme funziona, almeno con me ha funzionato visualizzandoli su un palcoscenico. Questo alla seconda lettura: la prima è stata di preparazione.
Ritengo che un racconto come questo alla prima lettura potrebbe non essere apprezzato, ma l’idea originale che sta alla base merita una rilettura attenta. Penso che la Penna si sia divertita parecchio nello scriverlo, anche se tenere ritmo e attenzione fino al finale deve essere stata una faticata. Una lettura piacevole e le note che ti propongo, caro Autore, spero ti possano servire.
Maitre - Maître
La pecca di questo testo sono i tanti, troppi puntini di sospensione, in molti casi sostituibili con un punto che migliorerebbe il ritmo, che non ha bisogno di essere sospeso, ma proprio interrotto per rendere meglio il momento.
No, va be’, adoro! - questo “No, va be’, adoro” e voilà, l’immagine di un parrucchiere che pubblica su FB dei reel in cui commenta i video di persone si fanno il colore, si acconciano o si tagliano da soli i capelli e “No, va be’, adoro!” è la sua esclamazione preferita.
Cenare al buio è spassosissimo - peccato che nessuno abbia messo i piedi sotto la tavola, ma in tanti sono andati alla toilette.
Questo racconto lo vedrei molto bene trasposto in una pièce teatrale: poche luci (ovviamente) attori illuminati per quel che serve a dare un volto a una voce, ma poi voci a tratti senza volto, per enfatizzare la confusione di quel corridoio buio; corridoio a sua volta protagonista: gli ho assegnato una voce fuori campo che si racconta, mentre sulla scena gli attori si muovono, preparandosi alla loro parte.
Il corridoio è ben presente; il paletto data è un po’ artificioso (poteva essere qualsiasi altra data significativa), il calzolaio è una figura quasi evanescente, nascosto dai tanti personaggi.
I tanti personaggi che popolano il corridoio: sono tanti, dato il taglio del racconto sono necessari e per apprezzare il racconto vanno immaginati, creati, per poi associarli alla loro parte nei dialoghi. Dialoghi che reggono decisamente bene e l’insieme funziona, almeno con me ha funzionato visualizzandoli su un palcoscenico. Questo alla seconda lettura: la prima è stata di preparazione.
Ritengo che un racconto come questo alla prima lettura potrebbe non essere apprezzato, ma l’idea originale che sta alla base merita una rilettura attenta. Penso che la Penna si sia divertita parecchio nello scriverlo, anche se tenere ritmo e attenzione fino al finale deve essere stata una faticata. Una lettura piacevole e le note che ti propongo, caro Autore, spero ti possano servire.
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La pecca di questo testo sono i tanti, troppi puntini di sospensione, in molti casi sostituibili con un punto che migliorerebbe il ritmo, che non ha bisogno di essere sospeso, ma proprio interrotto per rendere meglio il momento.
No, va be’, adoro! - questo “No, va be’, adoro” e voilà, l’immagine di un parrucchiere che pubblica su FB dei reel in cui commenta i video di persone si fanno il colore, si acconciano o si tagliano da soli i capelli e “No, va be’, adoro!” è la sua esclamazione preferita.
Cenare al buio è spassosissimo - peccato che nessuno abbia messo i piedi sotto la tavola, ma in tanti sono andati alla toilette.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
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Re: E io che volevo morire
Trovo questo racconto delizioso.
Mi ha fatto sorridere e mi ha permesso di calarmi nella scena che tu, autor, hai deciso di descrivermi. Una fila per il bagno al buio, con tutti gli equivoci e le situazioni grottesche che si possono creare in una simile situazione.
C'è una comicità raffinata, qui, una comicità a mezza via tra "Frankenstein junior" e "Rumori fuori scena", che ha saputo conquistare le mie risate.
Sì, ci sono cosucce che andrebbero sistemate e sono certa che lo farai, ma per quanto mi riguarda ti faccio i miei complimenti sinceri.
Mi hai conquistata.
Ele
Mi ha fatto sorridere e mi ha permesso di calarmi nella scena che tu, autor, hai deciso di descrivermi. Una fila per il bagno al buio, con tutti gli equivoci e le situazioni grottesche che si possono creare in una simile situazione.
C'è una comicità raffinata, qui, una comicità a mezza via tra "Frankenstein junior" e "Rumori fuori scena", che ha saputo conquistare le mie risate.
Sì, ci sono cosucce che andrebbero sistemate e sono certa che lo farai, ma per quanto mi riguarda ti faccio i miei complimenti sinceri.
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Hellionor- Admin
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Re: E io che volevo morire
Riletto con più attenzione e più divertimento.
Mi mancava un racconto da mettere in cima alla mia cinquina.
E l'ho trovato.
Applausi.
Mi mancava un racconto da mettere in cima alla mia cinquina.
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tommybe- Maestro Jedi
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Re: E io che volevo morire
Un umorismo che nasce dal ritmo, dal sovrapporsi delle voci. Non solo persone, ma anche il locale, a cui spetta la lunga (forse accorcerei) introduzione.
Il tutto dentro a un corridoio buio che sembra un contenitore di suoni, quasi al pari di un disco di vinile nero (mi è venuto in mente quando citi il grammofono). L'autore ci passa sopra la sua puntina, lo fa girare a velocità folle, suonandoci una commedia di equivoci e non sense.
La mano è dannatamente sicura, la voce del ristorante è perfetta, la confusione controllata e voluta.
Certo, è un esperimento. Molto riuscito, ma pur sempre un esperimento. Lo dico nella sua accezione più positiva possibile. Mi piace molto, ma è chiaro che racconti del genere li devi prendere a piccole dosi. Almeno questa è la mia impressione.
Il paletto principale, la stanza, giustamente non si vede. Come detto è un contenitore buio, uno palcoscenico senza luci. In un contest di stanze è un po' una forzatura, ma le altre scelte narrative ti condizionano. Il calzolaio si perde, tutto il resto è ben sfruttato.
Il giudizio è positivo, ma sono al terzo racconto letto quindi mi riservo di tornarci a letture concluse per vedere se portarlo in cinquina o no.
Comunque un ottimo lavoro, considerata la difficoltà dello step.
Il tutto dentro a un corridoio buio che sembra un contenitore di suoni, quasi al pari di un disco di vinile nero (mi è venuto in mente quando citi il grammofono). L'autore ci passa sopra la sua puntina, lo fa girare a velocità folle, suonandoci una commedia di equivoci e non sense.
La mano è dannatamente sicura, la voce del ristorante è perfetta, la confusione controllata e voluta.
Certo, è un esperimento. Molto riuscito, ma pur sempre un esperimento. Lo dico nella sua accezione più positiva possibile. Mi piace molto, ma è chiaro che racconti del genere li devi prendere a piccole dosi. Almeno questa è la mia impressione.
Il paletto principale, la stanza, giustamente non si vede. Come detto è un contenitore buio, uno palcoscenico senza luci. In un contest di stanze è un po' una forzatura, ma le altre scelte narrative ti condizionano. Il calzolaio si perde, tutto il resto è ben sfruttato.
Il giudizio è positivo, ma sono al terzo racconto letto quindi mi riservo di tornarci a letture concluse per vedere se portarlo in cinquina o no.
Comunque un ottimo lavoro, considerata la difficoltà dello step.
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Asbottino- Cavaliere Jedi
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Re: E io che volevo morire
Ho preferito la parte iniziale, che ho trovato originale e più curata.
Buona l’ambientazione, centrale il corridoio e i personaggi sono ben tratteggiati.
Fino a più di metà racconto non riuscivo a inquadrare il genere, ma di comico ho letto poco.
credo che una sua rappresentazione cinematografica o teatrale avrebbe sicuramente valorizzato il testo.
La scrittura è molto buona e la lettura è stata comunque assai gradevole.
Piaciuto il titolo.
Buona l’ambientazione, centrale il corridoio e i personaggi sono ben tratteggiati.
Fino a più di metà racconto non riuscivo a inquadrare il genere, ma di comico ho letto poco.
credo che una sua rappresentazione cinematografica o teatrale avrebbe sicuramente valorizzato il testo.
La scrittura è molto buona e la lettura è stata comunque assai gradevole.
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Resdei- Maestro Jedi
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Re: E io che volevo morire
Ciao autore, caspita che ideona che hai avuto! E cavoli se l'hai messa giù come si deve, uno stile preciso e mai banale. Eppure. Sì, perché mi sono ritrovato spiazzato più volte durante la lettura, soprattutto all'inizio, perché non mi è stato chiaro fin da subito se si trattasse di un comico o di un thriller. Giuro. L'idea che il ristorante ci stesse raccontando un omicidio poteva essere plausibile, visto che il primo paragrafo non fa ridere, anzi. Poi, invece, quando le donne cominciano a parlare la situazione si chiarisce, si tratta di una scena comica a tratti surreale, ma ho cominciato ad avere dubbi, a non capire chi parlasse e cosa dicesse e i personaggi si aggiungevano ad altri personaggi e io boh, ero davvero al buio. Ma il lettore non dovrebbe stare mai al buio. Di sicuro ha ragione Molli, il ristorante doveva parlare di più, invece molto spesso si limita a dirci chi odora di cosa e basta. Insomma, alla fine mi sono pure divertito, perché la gag della veggente è davvero buona, ma sono anche frastornato, non posso nascondertelo. A rileggerci!
Akimizu- Cavaliere Jedi
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Re: E io che volevo morire
Beh, l’idea di far parlare il ristorante è fantastica e spiazzante. Il piccolo colpo di scena iniziale in cui la voce si rivela come quella del ristorante è geniale. Anche il titolo è riuscitissimo: induce a pensare che si tratta di un racconto drammatico, ti depista, e quando arrivano gli elementi comici la sensazione stupisce positivamente.
Altro colpo di genio è far emergere i personaggi uno ad uno dal buio. Rimangono nascosti e quando iniziano a parlare disorientano gli altri personaggi e noi lettori. Un modo di usare il buio in modo attivo, come parte della scena.
Piaciuta tantissimo la caratterizzazione dei personaggi attraverso il loro odore. Al buio non c’è altro modo.
La voce narrante del ristorante è brillante e scanzonata e contribuisce alla caratterizzazione comica. Tutto scritto magnificamente.
C’è un po’ di confusione, questo sì, ma credo sia voluta, e non sempre le battute affondano fino in fondo, ma comunque è un gran pezzo di bravura.
Altro colpo di genio è far emergere i personaggi uno ad uno dal buio. Rimangono nascosti e quando iniziano a parlare disorientano gli altri personaggi e noi lettori. Un modo di usare il buio in modo attivo, come parte della scena.
Piaciuta tantissimo la caratterizzazione dei personaggi attraverso il loro odore. Al buio non c’è altro modo.
La voce narrante del ristorante è brillante e scanzonata e contribuisce alla caratterizzazione comica. Tutto scritto magnificamente.
C’è un po’ di confusione, questo sì, ma credo sia voluta, e non sempre le battute affondano fino in fondo, ma comunque è un gran pezzo di bravura.
SuperGric- Padawan
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Re: E io che volevo morire
Sicuramente la parte migliore del racconto è l’idea di far parlare il ristorante: un vecchietto arzillo, si direbbe, un bel peperino! Stile semplice e schematico, forse non molto caratterizzato (se non nella parte centrale), ma correttamente privo di quei preziosismi che non farebbero risaltare le esilaranti vicende che vi capitano. Molto centrati anche i leit-motiv presenti, come la frase ripetuta dalla veggente o l’odore dei vari personaggi. L’unico aspetto che mi convince un po’ meno è l’ammucchiarsi di personaggi nella parte centrale: si rischia di doverci mettere troppa concentrazione a districare la trama, quindi di perdere qualcosa fasi più concitate. I paletti sono tutti usati correttamente, anche se forse l’unico davvero fondamentale è la cena al buio; anche gli altri comunque, più che comparse, sono quasi co-protagonisti. Nel complesso un racconto simpatico, a metà strada fra l’umoristico e il comico vero e proprio, del quale francamente non ho capito moltissimo ma che mi è strappato qualche risata!
Nellone- Younglings
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Re: E io che volevo morire
Geniale!
Ho trovato l'idea di base ben strutturata e convincente. La voce narrante del vecchio ristorante è ben gestita e cattura davvero l'attenzione trasportando il lettore in un'insolita avventura.
La scena del corridoio è una parte molto complessa della storia, dove oltre alle dinamiche, l'autore ha svolto un buon lavoro immersivo, trascinando il lettore in una vera scena al buio, rendendolo quasi partecipe. Non è chiarissimo chi dice o faccia cosa, ma questa è proprio la dimensione giusta per descrivere una scena del genere che, a mio avviso, è stata gestita davvero bene.
Lasciandosi trasportare dalla lettura si viene avvolti da un'allegra confusione, da una gran cura per i particolari che arricchiscono le scene e da personaggi ben tratteggiati che danno un buon ritmo al testo.
Un racconto che ho trovato molto originale, che m ha divertita e anche sorpresa.
Ho trovato l'idea di base ben strutturata e convincente. La voce narrante del vecchio ristorante è ben gestita e cattura davvero l'attenzione trasportando il lettore in un'insolita avventura.
La scena del corridoio è una parte molto complessa della storia, dove oltre alle dinamiche, l'autore ha svolto un buon lavoro immersivo, trascinando il lettore in una vera scena al buio, rendendolo quasi partecipe. Non è chiarissimo chi dice o faccia cosa, ma questa è proprio la dimensione giusta per descrivere una scena del genere che, a mio avviso, è stata gestita davvero bene.
Lasciandosi trasportare dalla lettura si viene avvolti da un'allegra confusione, da una gran cura per i particolari che arricchiscono le scene e da personaggi ben tratteggiati che danno un buon ritmo al testo.
Un racconto che ho trovato molto originale, che m ha divertita e anche sorpresa.
caipiroska- Cavaliere Jedi
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Re: E io che volevo morire
Lavoro interessante. Un racconto comico che in alcuni passaggi strizza l'occhio ai Monty Python per la reale surrealità. Un po' anche al vecchio genere slapstick, anche se con tutto questo buio non si vede. Carino il punto di vista dell'edificio, una scommessa che funziona abbastanza. Anche se, e con questo caro autore ti sfido portandoti nel mio campo, avrei visto bene un racconto composto di soli dialoghi. Avrebbe perso poco della situazione aumentandone l'energia, il ritmo e forse anche la verve comica.
Lo trovo comunque un lavoro divertente e ben fatto.
Complimenti
Grazie
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I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
CharAznable- Maestro Jedi
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Re: E io che volevo morire
Un racconto fuori dagli schemi, ci vuole ogni tanto! Ho apprezzato gran parte delle tue scelte, il ristorante con la sua anima, l'idea del corridoio che si accende (sebbene buio) di figure femminili, ma anche inaspettatamente maschili. A parte l'errore già segnalato di distrazione, quello che secondo me andrebbe un pò rivisto è l'eccessiva confusione, che non intendi pilotare. O forse è un altro pregio del tuo racconto? Molto originale, complimenti e grazie
Marcog- Padawan
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Re: E io che volevo morire
Io vado un poco controcorrente, ma debbo dire che ho preferito molto più il caos dei dialoghi serrati della seconda parte a quella dell'edificio parlante della prima, che ho trovato poco coerente col testo e, forse, non indispensabile per la buona riuscita dell'idea.
Anche perché più il caos dei battibecchi aumenta più il ristorante si affievolisce fino a diventare spettatore muto. A quel punto, meglio un narratore onnisciente.
I dialoghi in particolare sono venuti abbastanza bene. Certo, spesso non si capisce chi dice cosa, e i nomi delle donne si assomigliano pure (credo sia voluto), ma alla fine non è così importante e il ritmo prende il sopravvento sulla necessità di capire o immaginare la scena.
Confermo inoltre l'impressione che possa essere una ottima base per una pièce teatrale: lo stile è quello.
Tra l'altro sei forse l'unico racconto che ha aderito nel modo più pedestre al paletto del ristorante al buio: mi aspettavo di leggerne tantissimi così, invece sono stato smentito.
Molto apprezzata l'idea. Pur non raggiungendo vette di comicità, la vivacità dello stile e dei dialoghi sono la marcia in più che rende notabile questo racconto.
A titolo puramente di puntiglio, ti segnalo che A plus tard richiede accento sulla "A".
Un buon lavoro.
Anche perché più il caos dei battibecchi aumenta più il ristorante si affievolisce fino a diventare spettatore muto. A quel punto, meglio un narratore onnisciente.
I dialoghi in particolare sono venuti abbastanza bene. Certo, spesso non si capisce chi dice cosa, e i nomi delle donne si assomigliano pure (credo sia voluto), ma alla fine non è così importante e il ritmo prende il sopravvento sulla necessità di capire o immaginare la scena.
Confermo inoltre l'impressione che possa essere una ottima base per una pièce teatrale: lo stile è quello.
Tra l'altro sei forse l'unico racconto che ha aderito nel modo più pedestre al paletto del ristorante al buio: mi aspettavo di leggerne tantissimi così, invece sono stato smentito.
Molto apprezzata l'idea. Pur non raggiungendo vette di comicità, la vivacità dello stile e dei dialoghi sono la marcia in più che rende notabile questo racconto.
A titolo puramente di puntiglio, ti segnalo che A plus tard richiede accento sulla "A".
Un buon lavoro.
Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Re: E io che volevo morire
Ciao, Penna.
La sensazione che mi resta è quella di una gran confusione. Ci sono almeno sei personaggi, forse sette o otto, ma solo due sono realmente caratterizzati e quindi i dialoghi al buio sono poco chiari.
Inoltre il locale-narratore parte con uno stato d'animo e termina con un altro, secondo me poco credibile il passaggio.
Bene i due personaggi caratterizzati: Nadine Duval e Perrin sono memorabili. Un applauso nell'aver provato a cimentarti con il genere comico, ma per quanto mi riguarda c'è bisogno di una revisione per rendere più chiare le scene. Ho trovato il corridoio, il 31 agosto 1939, l'anziano calzolaio.
Grazie e alla prossima.
La sensazione che mi resta è quella di una gran confusione. Ci sono almeno sei personaggi, forse sette o otto, ma solo due sono realmente caratterizzati e quindi i dialoghi al buio sono poco chiari.
Inoltre il locale-narratore parte con uno stato d'animo e termina con un altro, secondo me poco credibile il passaggio.
Bene i due personaggi caratterizzati: Nadine Duval e Perrin sono memorabili. Un applauso nell'aver provato a cimentarti con il genere comico, ma per quanto mi riguarda c'è bisogno di una revisione per rendere più chiare le scene. Ho trovato il corridoio, il 31 agosto 1939, l'anziano calzolaio.
Grazie e alla prossima.
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