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La Città dei Topi (redux)

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La Città dei Topi (redux) Empty La Città dei Topi (redux)

Messaggio Da Fante Scelto Ven Ago 19, 2022 12:32 am

Spoiler:


Hola!
Qualcuno potrebbe ricordare questa storia di parecchio tempo fa, ma niente spoiler per gli altri, mi raccomando.
lol! 

Ho deciso di riprendere in mano quel progetto e cominciare a costruirci sopra, poco alla volta e senza fretta.
Ma era fondamentale rifare in blocco La Città dei Topi, senza più il limite dei caratteri e quindi la possibilità di gestire il tutto in maniera diversa e più profonda.

Se vi va di commentare, m'interessa soprattutto se funziona, a parer vostro, l'uso del presente per alcune descrizioni in mezzo al passato remoto della narrazione. Non so se mi convince o meno, non ho ancora deciso.

***




La Città dei Topi



1.
 
Claudia sorride appena, la sigaretta in mano, sullo sfondo il parco.
Passanti distratti alle spalle.
Cielo grigio.
Claudia sorride appena, soffia il fumo dalle labbra sottili e rosate.
Ha gli occhi sornioni e i tratti levigati.
La bocca mima quattro lettere.
MIAO.
 
***
 
Un respiro più lungo e ritorno.
Tancredi mosse una mano, piccoli baleni sulle retine. Lo strascico d’un pensiero, vivido, fatto di pelle liscia e fremiti, si dissolse in un paio di sfarfallii della memoria.
La mano sul volante.
Un gatto, sul muretto più vicino, sembrò guardarlo per breve, seduto al posto guida, assente, vacuo, prima di svanire dentro un varco della siepe.
Gusto amaro della saliva.
C’era come un sibilo intorno, un’appena percettibile e diversa presenza animale, scomparsa quasi subito assieme al resto del suo dormiveglia. Tancredi si mosse, s’aggiustò sul sedile, fissò il grigiore dei palazzi di Sant’Ilario e il verde delle siepi condominiali, il colore latteo del cielo. Movimentò il collo indolenzito.
Se c’era un avanzo di Claudia, oscillava da qualche parte dentro come un metronomo, scandendo i secondi che lo dividevano dal tirare la maniglia e aprire la portiera. Un frammento di lei, qualcosa d’indefinito: quando scese dall’auto non ne era rimasto più nulla.
Sistemò la giacca di pelle, riordinò alla buona i capelli nello specchietto della Dodge. Lo stesso gatto di prima aveva fatto capolino dalla siepe per poi dissolversi nuovamente in un cono d’ombra.
 
“Dov’è Claudia?”
Dayana Verre è una donna algida, alta, dai capelli lisci, scuri e lunghi alle spalle. Ha gli stessi occhi ovali della figlia.
Filippo Verre, al contrario, col fisico tonico, i capelli cortissimi e diradati, l’abbronzatura, il completo d’alta fattura, incarna vitalità manageriale nonostante i cinquanta passati. Ha la ventiquattrore vicino per poter uscire appena termina l’incombenza.
“Dov’è Claudia?”
Il salotto è tutto in tonalità di grigio, dall’ardesia al cenere, e oro: una piazza d’armi ricolma di cimeli e foto di famiglia. Claudia è ovunque e a tutte le età: Parigi, New York, vicino un black cab, a cavallo, su una spiaggia di Malé.
Tancredi raccolse dal tappeto la borsa, l’adagiò sul tavolo di legno pregiato, li guardò entrambi. “Ho bisogno cortesemente di sapere se appartengono a Claudia.”
Nel primo sacchetto di nylon trasparente deposto sul tavolo, una giacchetta nera, una maglietta grigia con scritta in font gotico e bocciolo di rosa, un paio di jeans chiari aderenti, mutandine e reggiseno azzurro tenue, tutto piegato alla buona. Tutto pulito, intonso.
Nel secondo, un paio di Nike nere e dei calzini grigi.
Filippo Verre guardò la moglie, lei continuava a fissare gli indumenti.
“Credo di sì,” mormorò lei in un filo di voce dopo un minuto di nulla.
“Crede?”
“Credo di sì.”
“Dove li avete trovati?” L’uomo ha occhi chiari con venature truci. “Si sta occupando solo lei della cosa?”
“In un canale di drenaggio, in zona Chiuse. Una segnalazione anonima ci ha detto dove cercare.”
“Ma si sta occupando solo lei di tutto questo?”
Tancredi mosse la mandibola sentendola intorpidita. “Il caso di sua figlia è assegnato a me, sì.”
La donna si sporse dalla sedia, pallida in viso. “Se questi abiti sono di Claudia…”
“Non è un buon segno, signora, no.”
Una mano, smalto lilla, a coprire lentamente la bocca; tremito leggero del braccio.
“Non è sicura che siano suoi, non ha modo di verificarlo?”
“Ne ha talmente tanti di vestiti…”
Il marito prese a vagare per la stanza, teso, imprecando tra sé. Occhiate nervose all’orologio.
“Non ricorda cosa indossava l’ultima volta che l’ha vista?”
Spalle scosse, rossore del viso, singhiozzi celati dietro la mano curata. Segno di no con la testa.
“D’accordo.” Rimise entrambi i sacchetti nella borsa, si alzò dalla sedia.
“Ma non potete mettere più persone a cercare mia figlia?” Filippo Verre ha le mani sui fianchi e il piglio di chi è abituato a dare ordini.
“Sono già state attivate le unità di ricerca, stiamo facendo il possibile.”
“Dovete fare più di così. Dovete.”
I singhiozzi della donna in sottofondo. Claudia è un angelo, un angelo, non me la possono portare via.
Tancredi lo guardò solo per breve, prima di massaggiarsi il collo e iniziare a puntare la porta. “Le assicuro il massimo impegno da parte nostra.”
“Mia figlia è là fuori, da qualche parte, e ha bisogno d’aiuto.”
Respiro denso. “Dovete entrare nell’ottica che potrebbe essere troppo tardi.”
Singulti di donna.
Si congedò con un cenno.
 
***
 
“Dov’è Claudia Verre?”
L’abitacolo della Dodge assomiglia al sanctum dei pensieri, un non-luogo, quattro pareti di vetro e lamiera contro il mondo di fuori.
Tancredi tirò su col naso, il telefono tenuto con tre dita. “Mi fate tutti la stessa domanda da stamattina alle sette.”
“E…?”
“E io posso rispondervi con l’unica evidenza che ho: in un posto diverso dai suoi vestiti.”
“Devono cercare un cadavere, quindi.”
Sbadiglio. “Mi stupirei del contrario.”
“I suoi come ti sono sembrati?”
“Assenti.”
“Tu sai che il padre arriverà fino dove deve arrivare se non gli diamo Claudia, viva o morta che sia? Quella è gente che conta.”
“Io so che non ha senso far sparire qualcuno e poi dire alla polizia dove trovare i suoi abiti, Rox. A me è questo che turba.”
“Magari il corpo allora è lì vicino.”
“So che stanno setacciando le Chiuse, ma è tutto un cantiere, ci vorranno settimane. Possono averlo sepolto ovunque.”
“E ci aggiorniamo allora, avvisami se trovano qualcosa.”
“Okay.”
“Stasera vieni a bere al Malibu? Viene anche Serena.”
“Vedo.”
“Non farmi fare sempre figure di merda.”
“Ti dico stasera.”
 
***
 
Dov’è Claudia?
L’ultimo contenuto di Instagram vecchio di tre giorni, TikTok cinque.
Il profilo Instagram ha duecentosedici foto, la maggior parte delle quali multiple e in giro per il mondo, il resto a scuola o nei luoghi simbolo della Altaria bene: scorrono senza fine sullo schermo dello smartphone come i cuori, i commenti, le risposte.
Aprire post a caso e leggerne il centinaio e più di commenti è roba lunga, da nottata; alcuni nomi ritornano sempre, gente dall’India, dal Medio Oriente o account pubblicitari.
Claudia ha un profilo seguito, è bella, di una bellezza vagamente aliena. Il viso ha i tratti delicati ma gli zigomi pronunciati, naso piccolo, labbra sottili, sagomate. Occhi ovali scuri come i capelli, lisci, che le cadono oltre le spalle.
È sempre in posa ma non ha mai un sorriso che vada oltre l’accenno, l’abbozzo. Non ci sono foto in costume da bagno, nessuna. Qualche scorcio del ventre sotto magliette corte o top, qualche accenno di gambe, nient’altro.
Non il profilo medio di una diciottenne d’elite.
Vibrazione, chiamata in arrivo.
Tancredi chiuse Instagram, trascinò il disco verde. “Serrano.”
“Tanc, sono Marco.”
“Perché non mi è comparso il nome?”
“Ti sto chiamando dal mio, quello di lavoro l’ho scordato in ufficio.”
“Per questo io non voglio due telefoni. Avevi bisogno?”
“TU avevi bisogno. Indovina? Non mi hanno ancora dato l’accesso ai social di Claudia Verre, il CS è in ritardo. Però i tabulati telefonici li ho, te li giro sulla posta.”
“Grazie.”
 
***
 
Entrò in ufficio, lasciò la giacca di pelle leggera sull’appendiabiti. Accese il pc.
Un bussare sordo allo stipite: Colucci lo guardava di storto, sopra i baffi neri tinti e dietro le lenti abbassate degli occhiali. Scosse la testa con fare interrogativo.
“Cosa?”
“Serrano, ma te che fai qua? Non ti stanno aspettando al Galilei?”
Occhiata all’orologio. “Alle undici, mica adesso.”
“Guarda che i Verre hanno telefonato al grande capo, stamattina, e adesso ne ha per tutti.”
Tancredi aprì le braccia e si buttò a sedere sulla poltroncina di tessuto, lisa. “Guardo i tabulati, poi andrò al Galilei.”
“Vedi te.” Colucci fece per svanire, ricomparve quasi subito nel vano della porta. “Io ti dico solo: qua passiamo tutti nella buriana se quella ragazza non salta fuori.”
“E mettessero anche le donne delle pulizie a cercarla, allora.”
Scomparve, stavolta del tutto, bestemmiando tra i denti.
Tancredi guardava fisso il monitor e il monitor guardava lui attraverso la schermata di caricamento della home.
 
Il registro chiamate di Claudia Verre non era niente di troppo fuori dalle righe; s’infittiva come pioggia autunnale negli orari serali per scemare durante il giorno, in periodo scolastico. I numeri grossomodo sempre gli stessi, da verificarne l’intestazione.
SMS quasi inesistenti.
Il telefono non c’era, non con gli abiti. Neppure il portafogli, la borsetta, qualsiasi cosa avesse con sé in quel momento.
Uscire da scuola, andare in giro, con qualcuno, da sola? Svanire.
Nessuno se ne accorge fino al giorno dopo.
Claudia non è tornata a casa ieri sera.
Non è a scuola.
Non risponde al telefono, che è spento.
Qualcuno chiama il 113 da una cabina pubblica per dire di cercare gli abiti di lei in un canale di drenaggio in zona Chiuse, con tanto di indirizzo. Cantieri aperti nella nuova zona industriale. Migliaia di posti dove buttare un corpo.
Un corpo nudo.
Dov’è Claudia?
È nello schermo del pc, sovrapposta al pallido elenco del tabulato, col suo sorriso accennato, i tratti alieni, gli occhi ovali. Claudia è un angelo, infatti adesso ha le ali: un paio di ali bianche, arruffate, incarnate nella schiena nuda.
Ragazza strana, atipica, nessuna foto in costume da bagno. Hanno sempre foto in costume da bagno.
Claudia, in trasparenza sulle retine, ora indossa un due pezzi lilla e ha lo stesso sorriso abbozzato.
Tancredi prese un respiro più lungo e si passò le mani sugli occhi, sfregando via le immagini, lasciandole scivolare giù come acqua nella doccia.
Claudia adesso è un residuo che vortica nello scarico prima di affondare nel buio del pavimento.


***

[continua al post sotto]
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La Città dei Topi (redux) Empty Re: La Città dei Topi (redux)

Messaggio Da Fante Scelto Dom Ago 21, 2022 12:12 pm

[segue]

***


La vice-direttrice del Galilei, professoressa Bonera, è una donna oltre i cinquanta, dai capelli biondi raccolti dietro la nuca; ha rughe come corsie d’autostrada e occhi minuscoli, resi ancor più piccoli dagli spessi occhiali di tartaruga.
Tutto nella sua espressione perplessa suggerisce che si aspettava qualcuno di diverso al nome Ispettore Tancredi Serrano della Polizia di Stato.
“Più vecchio?”
“Scusi?”
“Dico: s’immaginava uno più vecchio.”
Il sorriso della donna è una ruga in più sul quadro astratto, ma è un gesto di facciata, per coprire il disappunto. “La faccio parlare con la classe. Abbiamo già chiesto più volte, singolarmente, se qualcuno è stato con lei l’altroieri, dopo la scuola, se l’hanno vista: nessuno sembra sapere nulla.”
“Parlare con la classe intera?”
“Se a dir loro che è una cosa seria c’è un poliziotto, magari lo capiscono. Io vedo troppa indifferenza in questi ragazzi.”
“Perché indifferenza?”
Occhiata strana, lugubre. “C’è sempre meno empatia nelle nuove generazioni. Sempre meno.”
Davanti alla classe intera.
 
Sono più di venti, maschi e femmine, seduti ai banchi, con gli occhi puntati, in silenzio totale.
Tancredi s’appoggiò alla cattedra, l’insegnante d’inglese a un lato dell’aula e la vice-direttrice accanto alla porta, il distintivo lasciato ciondolare sopra la maglietta.
Gli parve per un momento che ci fosse anche Claudia seduta in mezzo agli altri, ma era solo una lontana somiglianza.
“Allora, ragazzi,” la voce gli uscì stridula e dovette riformulare dopo averla schiarita.
“Allora, ragazzi, la situazione è critica. Claudia potrebbe essere in una condizione di pericolo e al momento non abbiamo un’idea precisa dei suoi ultimi spostamenti. È andata via da qui martedì pomeriggio e non è tornata a casa, quindi è successo qualcosa in quella finestra di tempo. È fondamentale che, qualunque cosa vi venga in mente, la diciate a me. Non qui davanti a tutti, se non ve la sentite: io sarò di là,” la vice-direttrice rettificò a gesti la direzione, “sarò di qua, potete venire uno alla volta. Liberamente, qualsiasi cosa utile.”
Guardò intorno, c’erano solo i loro occhi fissi, le pose rigide.
Indifferenti, forse. Empatia, nessuna empatia.
Un certo alone di imbarazzo.
Tancredi lasciò la classe con un cenno del capo.
 
Dov’è Claudia?
Su una pagina che scorre al tocco dell’indice, in fotografie tra casa, scuola, resto del mondo. Sempre lo stesso sorriso accennato, è quasi una maschera. Anche nelle storie fissate, mai una smorfia fuori posto, una risata, una faccia buffa. Nulla.
Solo sguardi composti, a volte duri, e il lieve taglio obliquo delle labbra.
Non c’è nulla di fuori posto eccetto l’assenza di veri sorrisi e di pelle esibita. Claudia è tipica e atipica assieme. Un battito di palpebre sotto un filtro vintage, a suo modo affascinante, gli resta impresso da qualche parte dentro.
Se Claudia fosse stata rapita, stuprata e uccisa, la cosa più facile da pensare, non aveva senso far sapere dove fossero i suoi vestiti. Nessun senso.
Seduto scomposto alla cattedra di un’aula vuota, la sedia mossa avanti e indietro sulle ruote, la giacca di pelle aperta, il telefono in una mano: Tancredi controllò l'ora e decise di aver buttato già troppo tempo aspettando informazioni che non sarebbero arrivate.
Poca empatia.
Indifferenza.
“Serrano,” portò il telefono all’orecchio, ruotò la sedia verso la lavagna con tracce di una lezione di latino.
“Tanc, sono Marco.”
“Okay, ancora non hai recuperato l’altro numero.”
“No. Ascolta, ho i primi referti del laboratorio sugli abiti.”
“Di già?”
“Non te l’hanno detto? I Verre hanno telefonato al grande capo stamattina e…”
“Ah, adesso tutto si muove veloce. Chiaro.”
“Comunque sono puliti. Niente tracce, niente residui. Non hanno segni di strappo o forzature, quindi glieli hanno tolti senza violenza.”
“O se li è tolti da sola.”
“Cioè?”
Si tamburellò con forza un indice in mezzo alla fronte, occhi chiusi, testa scossa per mandare via quella frazione di Claudia che, sorriso abbozzato, calava i jeans con gesto ricercato, in trasparenza sopra un pensiero generico.
“Niente, non so cosa pensare. Non c’era sangue, no?”
“No sangue, no sperma, nulla. Un paio di capelli, ma sono di lei. Qualunque cosa le abbiano fatto è stato dopo averle tolto i vestiti.”
“O esserseli tolti.”
“Conosceva chi l’ha portata via?”
“Forse non è stata portata via. È andata lei dove non voleva si sapesse, ma non è tornata.”
“Qualcosa è andato storto.”
“Sì. Ma perché poi farci trovare i vestiti?”
“Non lo so. Se aveva un appuntamento ci saranno tracce nei tabulati e nei messaggi.”
“Farò dei controlli.”
“C’è una cosa, in realtà, ma è davvero l’unica: sull’etichetta della maglietta c’è un topo disegnato a penna, stilizzato.”
“Un topo.”
“Sì. Magari se l’era disegnato lei, però non possiamo escludere nulla. Ti mando la foto che mi ha girato il laboratorio. Stai in linea.”
“D’accordo.”
Controllò al volo il messaggio Whatsapp, la foto di un’etichetta, un piccolo topo, anzi, la testa di un topo, stilizzata, disegnata a penna.
“Bizzarro.”
C’era un’altra cosa fuori posto tra le fotografie di Claudia Verre: mancavano gli uomini. I ragazzi. I maschi. Qualcuno in certe foto di gruppo, ma null’altro. Nessun bacio, abbraccio, nessun cuoricino, nessun post con dichiarazioni d’amore eterno, niente che porti a una relazione, affetti diversi dall’amicizia.
Tutto tenuto segreto, magari.
“Ti avviso se ci sono sviluppi.”
“D’accordo, grazie.”
Una relazione con un uomo più grande di lei. Qualcosa da tenere lontano da genitori altolocati, moderni ma assenti. Qualcosa poi sfuggito al controllo.
Claudia divenne per un attimo un corpo disteso e spazio di manovra per mani grandi, aggressive, colorate di tinte fosche.
Tancredi s’alzò con un respiro più profondo, intascò il telefono, fece per muoversi, ebbe un momento d’apprensione nello scorgere di colpo la figura sulla soglia dell’aula. “Gesù Cristo.”
La ragazza sussultò lievemente, poggiata allo stipite, “Le chiedo scusa.”
“No, no, ero… distratto. Colpa mia.”
“Se vuole ritorno dopo.”
“No, ci mancherebbe.” Fece segno d’entrare, d’accomodarsi; non c’era una sedia davanti alla cattedra allora la prese da uno dei banchi vuoti e la piazzò lì alla buona.
“Posso chiudere la porta?”
“Deve. Cioè, devi.”
Si squadrarono a vicenda per qualche attimo; era una ragazza non alta, una tuta nera e bianca indosso, scarpe da ginnastica. I capelli, castani chiari, raccolti dietro la nuca. Viso gradevole nonostante l’assenza di trucco e un colorito vagamente sottotono.
Pregò non avesse sentito nulla della telefonata.
“Temevo non venisse nessuno.”
Lei sedette, la posa un poco rigida, e lui fece altrettanto alla cattedra.
“Tanto non verrà nessun altro.”
“Perché nessuno sa o nessuno vuole dirlo?”
“Non è così semplice.”
“Aiutami a capire, allora. Il tuo nome?”
“Jole. Jole Rossi.”
“Cos’hai per me, Jole?”
Lei s’appoggiò allo schienale, un certo senso di tensione nei modi, sul viso. “Mi crede che sono in difficoltà? C’è gente, in quella classe e in altre, che è pronta a rovinarmi la vita se scopre che sto parlando con lei. Ho detto che andavo al bagno.”
Tancredi vagò lo sguardo verso la porta chiusa dell’aula. Qualcosa, nello sguardo di Jole Rossi, aveva il colore dell’apprensione. “Allora forse è meglio se rientri.”
“Non vuol sapere cos’ho da dire?”
“Quando finite la giornata?”
“Alle 13.”
Tolse dal portafogli un biglietto da visita, glielo mise in mano. “Scrivimi su Whatsapp. Così non darai nell’occhio.”
“Preferirei di persona. A volte capita che mi prendano il telefono.”
“Chi ti prende il telefono?”
Jole non rispose. Abbassò gli occhi.
“Scrivimi comunque. Oggi pomeriggio ci incontriamo da qualche parte e parliamo. D’accordo?”
Lei annuì. Si alzò dalla sedia, lui la precedette ad aprire la porta, controllare il corridoio. “Libero.”
La guardò avviarsi verso la classe.
 
***
 
Ci mise un po’ a riconoscerla: per quanto il messaggio dicesse che era lì, dietro la fermata del Bus-44, non riusciva a vederla. Realizzò solo dopo diversi minuti che Jole s’era messa un berretto dei Red Sox e un paio d’occhiali da sole neri, e il tutto l’aveva resa irriconoscibile neanche fosse un travestimento d’alta concezione.
Tancredi scese dall’auto, la raggiunse.
“Camminiamo?” Aveva un piglio capace di mischiare insicurezza e personalità in eguale misura, assieme a una certa visibile apprensione.
“Certo.”
Si avviarono a passo tranquillo giù per il corso e deviando alla prima traversa; due file di auto parcheggiate, palazzi anni ‘70, passanti occasionali. Il cielo chiaro ma dal sole velato di fine aprile.
“Questa segretezza mi preoccupa.”
“Non dovrebbe. Sono io a rischiare.”
“Qualcuno ti ha minacciata?”
“Non apertamente. Ma sa, dopo quattro anni in una classe, impari a riconoscere anche le occhiate.”
Tancredi, mani nelle tasche, alternava gli sguardi tra quelli che incontravano da un lato e l’altro della via e lei; Jole, per contro, sembrava fissare il nulla o non vedere affatto dietro le lenti nere dei suoi occhiali da sole.
“Come puoi aiutarmi, Jole?”
“Dicendole che sappiamo tutti che è successo qualcosa di brutto a Claudia.”
“Non potrebbe essere solo nascosta?”
Lei piegò le labbra ma non era un sorriso. “Si è fatto questa idea?”
“Non ho molto altro, al momento. Tu conoscevi bene Claudia?”
“Non era mia amica. Non ci siamo mai parlate, praticamente, in questi anni. So quello che la classe sa, nient’altro.”
La sensazione, ora più forte, di stare girando in circolo intorno a un punto ancora evanescente.
“Che tipo di ragazza è?”
Jole fece spallucce. “Intelligente? Abbastanza. Snob, più che altro. Molto.”
“Timida?”
“Non direi.”
“Aquila, oca o tortora?”
Lei sorrise incredula. “Come?”
“È la fauna tipica di ogni classe. Claudia è un’aquila, un’oca o una tortora?”
“Non so se ho capito, ma direi un’aquila.”
“Bene. Puoi togliermi un altro dubbio?”
“Se posso.”
“Non ha neppure una foto in costume da bagno su Instagram. Possibile?”
Jole lo guardò mutando per la seconda volta espressione, qualcosa a metà tra il corrucciato e lo spaesato, come non avesse capito la domanda. “Perché?”
“Di solito quelle come lei lo considerano un dovere morale.”
Altra espressione stranita. “Oddio, addirittura.”
“Ha foto di ogni tipo in giro per il mondo ma nessuna in cui la quantità di pelle superi quella del tessuto. Non me lo spiego.”
Jole sembrò voler ridere, per forzare l’impasse, si limitò a scuotere la testa. “Non è quel tipo. Non Claudia. Cioè, sì snob, ma non esibizionista. Non sul corpo, almeno.”
“Ha dei difetti fisici?”
“Non che io sappia. Però no, non è un’esibizionista.”
“Tu usi Instagram?”
“Non ho i social, o meglio, li ho ma i miei profili sono sempre bianchi. Li tengo solo per avere contatti.”
“Non ti piacciono?”
“No. Sono finti, cioè, io non conosco nessuno in tutta la scuola che sia davvero come sembra guardando i suoi social. Non mi va di essere così.”
“Capisco.”
Voltarono in un’altra strada, accanto a un dehors di legno con tendone cerato bianco.
“Vuoi qualcosa?”
“No, grazie.”
“C’è un’altra cosa che nei social di Claudia non compare mai: i ragazzi.”
Jole irrigidì leggermente, ebbe un lieve assenso col capo. “Di questo volevo parlarle.”
“Sai se aveva una relazione?”
“Ce l’aveva, sì, ma appunto non metteva niente su Insta. Non so perché, forse per via dei genitori.”
L’idea che il punto evanescente stesse cominciando a prender forma.
“Dovrei parlare con questa persona, sì?”
Lei annuì. “Kevin. Kevin Abbrusato. Stavano assieme da qualche mese, però a un certo punto hanno rotto, o comunque, è successo qualcosa. Pochi giorni fa.”
“Kevin è nella tua classe?”
“No, è nella 5°B, ha un anno in più. Anzi due, lo hanno già segato una volta.”
“Lui potrebbe sapere dov’è Claudia?”
Jole non rispose; il passo delle sue scarpe da ginnastica sul marciapiede, pur leggero, sembrava cadenzare l’andatura di entrambi.
“Potrebbe saperlo?”
“Se le dico questa cosa, mi deve promettere che non farà mai il mio nome con nessuno, né Kevin né nessun altro.”
“Certamente.”
“Kevin è un violento. Una brutta persona. Ha mandato all’ospedale uno, l’anno scorso, in una rissa allo Zaffiro Club. Hanno tutti paura di lui.”
“E la scuola non ha preso provvedimenti?”
“Sì, le solite cose. Qualche sospensione, niente di che. Ma lui non alza le mani dentro l’istituto, di solito, fa le cose fuori, capisce? E non è da solo, ha un giro intorno.”
“Che giro?”
“Gente come lui, dentro e fuori la scuola. Fumano, bevono, menano. Hanno una zona, cioè un territorio. Se passi da lì e non gli piaci, magari ti fanno passare una brutta mezzora e ti prendono il telefono e il portafogli.”
“Siamo a questi livelli?”
“Sì.”
“Se la prendono anche con le ragazze?”
Momento di silenzio.
“Non allo stesso modo. Le importunano, questo ho sentito dire. Infieriscono più coi ragazzi, comunque, cioè gente di altre scuole. Ma non si fanno il problema anche con quelli del Galilei, a parte che qui si sa chi si sono e si evita di andare dove stanno loro.”
Voltarono a destra nella perpendicolare, iniziando a completare il quadrato che li avrebbe riportati verso il punto di partenza.
“Perché pensi che Kevin abbia fatto del male a Claudia?”
“Perché non è il tipo cui direi mai ti lascio senza avere paura delle conseguenze.”
“E Claudia è stata con uno del genere?”
Jole si fermò di colpo, guardandosi intorno con un’espressione che non gli piacque. Quando tornò da lui aveva perso un tono di voce e la sobrietà dell’espressione. “Se le dico questa cosa, mi deve giurare che non verrà mai fuori che gliel’ho detta io.”
Senso di freddo nell’aria tiepida. “D’accordo.”
“Esiste un gruppo. Non lo so se è un gruppo Whatsapp o un canale Telegram, non lo so, ma so che esiste. Si chiama La Città dei Topi: lo usano per passarsi foto e storie. Dico storie di cose che hanno fatto, o visto, o trovato in rete. Cose brutte. A volte anche molto brutte. E so, perché lo dicono da ieri, che su quel gruppo sono passate delle foto di Claudia. Foto anomale. E le ha messe Kevin.”
Altro senso di freddo. “Anomale quanto?”
Lei scosse la testa, a disagio, un cenno della mano come a lasciar cadere tutto. “Non lo so, hanno detto solo anomale.”
“Chi lo ha detto?”
“Non glielo posso dire. Sono ragazzi che conosco ma non c’entrano nulla con tutto questo, sono solo dei contatti. Glielo assicuro. Se lei deve trovare Claudia, Kevin sa, il gruppo sa.”
La Città dei Topi.
Un piccolo topo disegnato a penna sull’etichetta della maglietta di Claudia Verre.
“Parlerò con questo Kevin. E ti ringrazio del prezioso aiuto. Sei l’unica che ha avuto il coraggio di farsi avanti.”
“Tutti sanno, ma nessuno parla. Perché hanno paura di Kevin e di quelli come lui. A me non era simpatica Claudia, glielo dico, ma penso che La Città dei Topi sia qualcosa che non deve esistere, e io sto rischiando molto per averglielo detto...”
“Non ti succederà nulla, Jole. Parlerò con la vice-direttrice, ti faremo fare un permesso per stare a casa alcuni giorni mentre che noi risolviamo questa cosa.”
“Se mi lasciate a casa capiranno che sono stata io.” Si guardò di nuovo intorno. “E forse qualcuno del gruppo mi tiene anche d’occhio.”
Tancredi scrutò a sua volta: non c’era grande viavai.
“Hai mai parlato coi tuoi genitori di questa cosa?”
“I miei sono separati. Mia madre lavora tutto il giorno ed è molto stressata: non voglio rovinarle di più la vita.”
“Ascoltami: ho lavorato altre volte su casi di bullismo e violenza, con ragazzi della tua età. Molto spesso il pericolo che percepite è solo immaginario; non devi lasciarti condizionare dalla paura, e in ogni caso non c’è modo che qualcuno risalga a te. Se tutti sanno, come hai detto, può essere stato chiunque a rivelare la Città dei Topi. Intesi?”
Il suo assenso fu tardivo e poco convinto. “Lei non sa di cosa sono capaci.”
“Io so che non ti accadrà nulla. Hai il mio numero: per qualsiasi cosa, chiamami o scrivimi. A qualsiasi ora. Non ti succederà nulla, Jole, scopriremo cos’è questa Città dei Topi e i responsabili saranno puniti. Hai la mia parola.”
Lei accennò un sorriso, completamente diverso da quello di Claudia nelle foto: più sincero.
“Lei non sembra un poliziotto, comunque.”
“Mi piace considerarlo un vantaggio tattico.”
Assenso spento. “Meglio se ci dividiamo qui. Aspetti qualche minuto prima di girare anche lei l’angolo. Io devo prendere il pullman.”
“D’accordo.”
“Grazie di tutto.”
“A te per l’aiuto.”
Jole Rossi s’incamminò a passo svelto, fino a scomparire alla vista oltre l’angolo del corso. Non si voltò mai indietro.
 
***
 
Claudia sorride appena, posa seduta accanto alla statua degli Amanti, una gamba al petto l’altra ciondoloni.
Pochi volti indistinti intorno.
Cielo grigio.
Claudia sorride appena, umetta le labbra.
Ha gli occhi sornioni e i tratti levigati.
La bocca mima quattro lettere.
MIAO.
 
Occhi aperti di colpo.
Tancredi guardava il soffitto. Un brivido da immobilità prolungata gli fece cambiare posizione, cercare il telefono abbandonato sul tavolino, accendere lo schermo: quasi mezzanotte.
Non era sicuro di aver dormito, dopo il rientro a casa, forse solo vagato con l’immaginazione. Stanchezza.
Lo smartphone gli vibrò nella mano, icona verde di Whatsapp: per un attimo pensò a Jole, lesse il nome di Ruggero e Comunque sei stronzo.
Controllò di nuovo l’ora: tardi.
Ci sentiamo domani, digitò.
Conosceva la risposta prima ancora che arrivasse.
Le avevo detto che c’eri.


***

[...continua 4 post più sotto...]


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Messaggio Da Stefy Mer Set 07, 2022 12:30 am

Ciao Fante.

Comincio subito con il segnalarti quello che, secondo me, non "suona bene":

"Un gatto, sul muretto più vicino, sembrò guardarlo per breve, seduto al posto guida, assente, vacuo, prima di svanire dentro un varco della siepe."

non sarebbe meglio scrivere "brevemente" ? Come mai hai scelto questa forma strana?

"Movimentò il collo indolenzito." Anche qui opterei per un più semplice "MOSSE il collo indolenzito". 

"“Io ti dico solo: qua passiamo tutti nella buriana se quella ragazza non salta fuori.”
Anche questa mi sembra una costruzione "strana": la buriana è la definizione di "Breve Temporale, Trambusto, sommossa, scompiglio". L'ho sempre vista in frasi tipo "Quando la buriana è passata" e quindi mi "suona meglio" una frase tipo "Finiamo tutti nella buriana" più che "passiamo". 

Detto ciò non posso che dirti che a me è piaciuto parecchio.

E' un racconto estremamente 'visivo'.
Non descrivi ma usi parole singole per mostrare al lettore quello che vuoi far risaltare.
Ad alcuni personaggi riservi poche parole, ben dosate, per delinearli (vedi i genitori di Claudia) mentre ad altri dedichi più tempo e descrizioni particolareggiate come per la vice-direttrice (nemmeno la Direttrice) del Galilei.
Io ho incasellato questa persona tra i "personaggi secondari" eppure per descriverne l'aspetto la paragoni prima un'autostrada e poi un quadro astratto. Le dedichi più spazio di quanto ne hai dedicato a qualsiasi altro personaggio.
Perchè ti dilunghi molto su un personaggio minore e regali poche pennellate ai genitori della ragazza (ad esempio).?
p.s.: la descrizione della vice preside mi è piaciuta tantissimo

In merito alla tua domanda, a me questa costruzione piace molto (non ho letto il vecchio racconto di cui dici e non ho guardato nemmeno lo spoiler).

Il tempo presente all'inizio ti mostra quello "che è" e tutto il seguito, con il passato remoto, ti mostra quello che è stato (il lettore (Io) però poi si aspetta che passato e presente alla fine si ricongiungano). E una costruzione che ho visto in diversi film e che trovo molto intrigante.

Ho fatto fatica a partire con la lettura: quelle parole singole, secche, frammentate, messe lì così, senza un legame, mi hanno fatto storcere  il naso: "In che cosa mi sto ficcando? Cosa sto leggendo?" 
Invece, riga dopo riga, lo stile si è un po' ammorbidito (o forse mi sono abituata io) e a questo punto sono curiosa sul prosieguo della storia.

Hai il dono di riuscire a disegnare le situazioni e sentimenti con poche parole: ho provato il disagio e la paura della ragazzina "che fa la spia" a Tancredi e ci sei riuscito senza tanti giri di parole, senza parafrasi e senza ornamenti inutili. 
E' un dono non da poco, secondo me.
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Messaggio Da Petunia Mer Set 07, 2022 8:58 am

Sistemò la giacca di pelle, riordinò alla buona i capelli nello specchietto della Dodge. Lo stesso gatto di prima aveva fatto capolino dalla siepe per poi dissolversi nuovamente in un cono d’ombra.


Quel trapassato che fa capolino non mi convince.


Il salotto è tutto in tonalità di grigio, dall’ardesia al cenere, e oro: una piazza d’armi ricolma di cimeli e foto di famiglia. Claudia è ovunque e a tutte le età: Parigi, New York, vicino un black cab, a cavallo, su una spiaggia di Malé.
Tancredi raccolse dal tappeto la borsa, l’adagiò sul tavolo di legno pregiato, li guardò entrambi. “Ho bisogno cortesemente di sapere se appartengono a Claudia.”


Dal passato remoto al presente non mi convince.


 un paio di jeans chiari aderenti - aderenti lo sono quando indossati. Non si possono giudicare senza “un corpo” dentro. Direi elasticizzati, di quelli che aderiscono al corpo come un guanto.



Allora,  @Fante Scelto, io sono abituata al tuo stile e sai che mi piace. Hai trovato un modo del tutto personale per “mostrare” gli eventi e le emozioni al lettore. Una paratassi all’ennesima potenza. Frasi secche, uso della punteggiatura, verbi declinati all’infinito… quasi delle note di regia. Forse non bellissimo ma di sicuro efficace nel tenere alta la tensione narrativa. 
Il racconto (o incipit di un romanzo?) è accattivante e non vedo l’ora di leggere il seguito, quindi perfetto! 
Non mi convince il salto dal presente al passato remoto. Io preferirei una direzione più lineare. Così mi confonde un po’. 
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Messaggio Da Fante Scelto Ven Set 16, 2022 10:27 pm

Ciao Stefy e Petunia,

scusate il ritardo nella risposta ma sono stato altrove per un tot di tempo (no, non ero nell'iperuranio).
Vi ringrazio molto del passaggio e dei commenti.



Stefy ha scritto:Ciao Fante.

Comincio subito con il segnalarti quello che, secondo me, non "suona bene":

"Un gatto, sul muretto più vicino, sembrò guardarlo per breve, seduto al posto guida, assente, vacuo, prima di svanire dentro un varco della siepe."

non sarebbe meglio scrivere "brevemente" ? Come mai hai scelto questa forma strana?

- Credo sia perché gli avverbi in -mente rallentano molto la lettura e vanno usati al minimo, o così aveva consigliato qualcuno che ora non ricordo chi fosse.



"Movimentò il collo indolenzito." Anche qui opterei per un più semplice "MOSSE il collo indolenzito". 

- Movimentare è il termine da fisioterapia che si usa per indicare una serie di movimenti atti a sgranchire o smuovere un arto, un muscolo, ecc. In questo caso è secondo me più calzante di "muovere".


"“Io ti dico solo: qua passiamo tutti nella buriana se quella ragazza non salta fuori.”
Anche questa mi sembra una costruzione "strana": la buriana è la definizione di "Breve Temporale, Trambusto, sommossa, scompiglio". L'ho sempre vista in frasi tipo "Quando la buriana è passata" e quindi mi "suona meglio" una frase tipo "Finiamo tutti nella buriana" più che "passiamo". 

- Sì, forse hai ragione, la tua soluzione mi piace di più.


Detto ciò non posso che dirti che a me è piaciuto parecchio.

E' un racconto estremamente 'visivo'.
Non descrivi ma usi parole singole per mostrare al lettore quello che vuoi far risaltare.
Ad alcuni personaggi riservi poche parole, ben dosate, per delinearli (vedi i genitori di Claudia) mentre ad altri dedichi più tempo e descrizioni particolareggiate come per la vice-direttrice (nemmeno la Direttrice) del Galilei.
Io ho incasellato questa persona tra i "personaggi secondari" eppure per descriverne l'aspetto la paragoni prima un'autostrada e poi un quadro astratto. Le dedichi più spazio di quanto ne hai dedicato a qualsiasi altro personaggio.
Perchè ti dilunghi molto su un personaggio minore e regali poche pennellate ai genitori della ragazza (ad esempio).?
p.s.: la descrizione della vice preside mi è piaciuta tantissimo

- E' tutto molto filtrato dagli occhi di Tancredi: la vice-direttrice in qualche modo lo ha colpito di più dei genitori di Claudia, nei confronti dei quali si trova a disagio e quindi appaiono più accennati. Almeno, io me la sono spiegata così.
Razz


In merito alla tua domanda, a me questa costruzione piace molto (non ho letto il vecchio racconto di cui dici e non ho guardato nemmeno lo spoiler).

Il tempo presente all'inizio ti mostra quello "che è" e tutto il seguito, con il passato remoto, ti mostra quello che è stato (il lettore (Io) però poi si aspetta che passato e presente alla fine si ricongiungano). E una costruzione che ho visto in diversi film e che trovo molto intrigante.

Ho fatto fatica a partire con la lettura: quelle parole singole, secche, frammentate, messe lì così, senza un legame, mi hanno fatto storcere  il naso: "In che cosa mi sto ficcando? Cosa sto leggendo?" 
Invece, riga dopo riga, lo stile si è un po' ammorbidito (o forse mi sono abituata io) e a questo punto sono curiosa sul prosieguo della storia.

Hai il dono di riuscire a disegnare le situazioni e sentimenti con poche parole: ho provato il disagio e la paura della ragazzina "che fa la spia" a Tancredi e ci sei riuscito senza tanti giri di parole, senza parafrasi e senza ornamenti inutili. 
E' un dono non da poco, secondo me.

Petunia ha scritto:Sistemò la giacca di pelle, riordinò alla buona i capelli nello specchietto della Dodge. Lo stesso gatto di prima aveva fatto capolino dalla siepe per poi dissolversi nuovamente in un cono d’ombra.


Quel trapassato che fa capolino non mi convince.


Il salotto è tutto in tonalità di grigio, dall’ardesia al cenere, e oro: una piazza d’armi ricolma di cimeli e foto di famiglia. Claudia è ovunque e a tutte le età: Parigi, New York, vicino un black cab, a cavallo, su una spiaggia di Malé.
Tancredi raccolse dal tappeto la borsa, l’adagiò sul tavolo di legno pregiato, li guardò entrambi. “Ho bisogno cortesemente di sapere se appartengono a Claudia.”


Dal passato remoto al presente non mi convince.


 un paio di jeans chiari aderenti - aderenti lo sono quando indossati. Non si possono giudicare senza “un corpo” dentro. Direi elasticizzati, di quelli che aderiscono al corpo come un guanto.


- Giustissima osservazione, vado a correggere.


Allora,  @Fante Scelto, io sono abituata al tuo stile e sai che mi piace. Hai trovato un modo del tutto personale per “mostrare” gli eventi e le emozioni al lettore. Una paratassi all’ennesima potenza. Frasi secche, uso della punteggiatura, verbi declinati all’infinito… quasi delle note di regia. Forse non bellissimo ma di sicuro efficace nel tenere alta la tensione narrativa. 
Il racconto (o incipit di un romanzo?) è accattivante e non vedo l’ora di leggere il seguito, quindi perfetto! 
Non mi convince il salto dal presente al passato remoto. Io preferirei una direzione più lineare. Così mi confonde un po’.

Grazie a entrambe.
Valuterò il discorso del passato remoto + presente in sede di revisione.
L'idea è quella di un romanzo breve, al solito inserito in un progetto molto più ampio.
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Messaggio Da tommybe Ven Set 16, 2022 11:02 pm

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Messaggio Da Fante Scelto Ven Set 16, 2022 11:54 pm

https://www.differentales.org/t1807-quattro-atti-di-mortadella#21624


***

2.
 
Kevin Abbrusato è una sintesi invidiabile di apparenza e fatti.
Grosso nel modo in cui sono grossi i ventenni allenati, il volto spigoloso ma dai tratti ancora poco adulti; ha i capelli castani rasati alle tempie e pettinati di lato, il naso appuntito, un braccio quasi tutto tatuato di nero. Un orecchino col brillante. La t-shirt bordeaux gli sta incollata ai pettorali come una seconda pelle.
Se ne sta seduto svaccato sulla seggiola, braccia conserte, il capo inclinato. Ha lo sguardo nervoso di chi ha qualcosa da nascondere ma tanta voglia di sbatterla in faccia al prossimo.
Soprattutto non ha paura.
Tancredi, dalla cattedra, lo osservava in silenzio: l’idea di stare cinque minuti buoni senza parlare, per fargli scendere l’indice d’aggressività, sembrava più intelligente quando l’aveva pensata, al mattino, dopo il suono della sveglia.
“Quindi?” Kevin si mosse sulla sedia, allargò di più le gambe.
“Speravo iniziassi tu la conversazione.”
Una specie di riso muto, coi denti candidi in mostra; si guardò attorno più volte come a ostentare indifferenza. “Te non sei un poliziotto, vero?”
Lui tolse dalla giacca il distintivo, se lo appese al collo con la catenina d'acciaio. “Meglio?”
“Se non hai niente da chiedermi io torno in classe.”
“Avrei molto da chiederti, ma vorrei cominciassi tu. Da dove ti pare.”
Altro riso forzato. “Guarda che deve esserci mio padre qui se vuoi farmi l’interrogatorio.”
“Non sei minorenne, Kevin. Ma se vuoi puoi chiamare un avvocato e ci spostiamo in questura. Se ci spostiamo in questura dovrò chiamare una volante e farti arrestare dai colleghi, formalmente. Sai, manette davanti a tutti, gente che guarda dalle altre classi. Quelle cose che non fanno bene all’immagine. O forse ultimamente sì, non lo so. Quindi che faccio, chiamo in centrale?”
Lui guardava senza capire se il discorso fosse serio o meno. “Cos’è che vuoi da me?”
“Dio, non ci speravo più. La domanda è sempre la stessa: dov’è Claudia?”
“E perché io dovrei saperlo?”
“È la tua ragazza.”
“Chi te lo ha detto?”
“Sai che non posso dirlo, ma in ogni caso uno che conosci bene.”
“Non stavamo più assieme.”
“Da quanto?”
Finse di pensarci. “Un mese.”
“Kevin, non funziona così. Qua stiamo parlando di una persona che non si trova più. Era la tua ragazza, fino a qualche giorno fa. Non un mese. Se qualcuno mette insieme i pezzi nella tempesta che sta arrivando, e ci diamo dei ruoli, tu diventi il parafulmine. Ho reso l’idea?”
“Io non so niente di dov’è Claudia.”
“Quando l’hai vista l’ultima volta?”
“Martedì mattina l’ho vista entrare a scuola. Non mi ha neanche salutato.”
“E non sai dov’è andata martedì pomeriggio.”
“No.”
“Cos’è la Città dei Topi, Kevin?”
Silenzio. Un breve baluginio nel suo sguardo, reale o immaginario, poi alzò di spalle con un sorriso ilare. “Un film?”
“No, non credo.”
“Allora non lo so.”
“Perché i topi, più che altro? Potevate chiamarlo in tanti modi. La Città degli Squali, dei Leoni, dei Coccodrilli: perché dei Topi?”
“Te lo direi se sapessi cos’è questa roba.”
“Capisco. Hai mai visto Claudia nuda, Kevin?”
Altro silenzio, stavolta più interdetto. “Che domanda è?”
“Mi pareva semplice. Nuda, niente indosso, come sua mamma l’ha fatta.”
“Perché me lo chiedi?”
“Perché sono un poliziotto morboso, oppure perché sto cercando di capire fino a che punto vuoi andare avanti su questa linea. O magari so più cose di quanto credi e voglio capire se mi stai raccontando palle. Decidi tu.”
Lui guardò verso la porta, adesso meno sicuro di sé. “Non ho fatto niente a Claudia.”
“Non era questa la domanda.”
“Allora sì, l’ho vista nuda, qualche volta.”
“Avete fatto sesso?”
Espirare teso, un mezzo riso stizzito. “Ma di che cazzo stiamo parlando qui?”
“Di cose da maschi. Puoi anche tirartela, con me, non mi dà fastidio. Avete fatto sesso, quindi?”
“Ovvio. Che ti cambia saperlo?”
“Mi cambia perché sto pensando una cosa, Kevin, cioè cosa succederà quando Claudia salterà fuori, perché uscirà fuori, a un certo punto. Forse non viva, anzi, sono convinto che a quest’ora sia già un grazioso cadavere. Quando la metteranno sul tavolo operatorio e le apriranno la cosina, no? Se ci troveranno il tuo sperma, dentro, hai idea del casino che succederà?”
Occhi negli occhi. Stavolta sì, c’era qualcosa di teso, d’inquieto, nel suo sguardo.
“Non ho fatto niente. E voglio un avvocato.”
“Ehi, questo non è un film. Se vuoi che mettiamo la cosa sui binari formali, allora adesso alzati e torna in classe. Io avviso la questura e mandano una volante a prenderti. In caso contrario, dimmi come sono andate le cose, e io vedo cosa posso fare per aiutarti.”
Il moto di rabbia che gli vide passare sui tratti era qualcosa d’inquietante, un rossore fugace e un palpito d’adrenalina lungo le braccia: indice d’aggressività per un attimo in aumento esponenziale.
“Non ho fatto nulla. Non vedo Claudia da martedì mattina, non ci siamo neanche parlati, è una stronza. Carattere di merda. Ma non le ho fatto nulla.”
“Io ti credo, Kevin. Ma credo anche che tu abbia fatto fare la cosa a qualcun altro, per avere le mani pulite.”
“Non è vero, cazzo, porco di quel… Non ho fatto fare niente a nessuno. È una stronza ma non le ho fatto del male.”
Tancredi aprì le braccia, indifferente. “Puoi aiutarmi a dimostrarlo?”
“Come?”
“Dandomi accesso alla Città dei Topi.”
Scuotere attonito del capo. “Quella roba non esiste.”
“Non esiste?”
“No, è una leggenda. È un cazzo di gioco. A volte se ne parla, qualcuno inventa di esserci entrato e aver visto cose, ma tanto non è vero. Non esiste quel gruppo.”
Silenzio torbido.
“Quindi non avrai problemi a far controllare il tuo telefono, giusto?”
Nessuna risposta, solo il vagare del suo sguardo e di nuovo un formicolio di rabbia mal repressa.
“Kevin, se tu mi aiuti, io posso aiutarti. Se fai muro, io devo sfondarlo. Ti è chiaro questo?”
Lui mosse una mano, andò a togliere il telefono dalla tasca con gesto nervoso. “Tutto tuo.” Lo sbatté sulla cattedra e il suono vagò più volte nel vuoto della stanza. “Non ci troverai nessuna Città dei Topi.”
“Questo lo diranno i colleghi. E ricordati una cosa importante: se qualcosa che sai lo dici prima che lo scopriamo noi, è meglio per tutti. Noi risparmiamo lavoro, tu anni dentro.”
 
***
 
La terrazza sopra il Martini inizia ad avere colori e tratti della primavera: verde di foglie e rosa di fiori nei grandi vasi monumentali, aria fresca e insistente, profumo di begonie.
“Tanc,” Ruggero apparve dalla scalinata con un mezzo sorriso, un cenno di saluto e un bicchiere di carta da fast-food in mano. Prese a scuotere il capo prima ancora di averlo raggiunto, accanto alla balaustra. Gli cinse le spalle in un gesto cameratesco ma non disse nulla, contemplando tetti e palazzi di Altaria, nel sole, ancora privo di forza, di fine aprile.
“Quando vuoi,” Tancredi aprì le mani in segno di resa.
“È che non riesco a farti la paternale, fratello. Ormai abbiamo una certa.”
“Apprezzo.”
“Serena ci è rimasta male, comunque.”
“Non ci è rimasta male. Si è offesa, chiama le cose col loro nome.”
Ruggero si scostò con un gesto plateale delle braccia e un sorriso consapevole. “Qui io mi arrendo, fratello. Tu sei oltre la diplomazia.”
Tancredi lo guardò aggiustarsi la giacca lunga e poi cacciare le mani nelle tasche; il candore del sole gli riverberava sui capelli corti e la barba, chiara e inanellata, dandogli un aspetto ancora più arcaico bilanciato da un look di sobria eleganza a tinte grigie.
“Trovata la ragazza? Intendo quella scomparsa, oh,” rise.
“Ancora no. Andrà per le lunghe, è tutto meno lineare di quanto pensavo all’inizio. Da te?”
“Nah, la stessa merda da dieci giorni: più giro vicino a questi Neralba e più ho l’impressione che ci scapperà il morto. Non hai idea di quanto si siano fatti audaci.”
“Quelli?”
“Ma sì, adesso gli mostri il distintivo e non hanno paura. Non è come all’inizio: stanno cambiando.”
Altaria, nei suoni del mezzodì, languiva assolata e intiepidita. C’era qualcosa di diverso anche nella città, a suo modo, qualcosa di impercettibile che passava dai cantieri della nuova zona industriale e la attraversava tutta, come il vento della tarda estate o certi brividi sottili, nel dormiveglia.
“Non puoi andare avanti così, Tanc.”
S’appoggiò alla balaustra per dare più respiro ancora a un già ampio senso di vuoto. “Abbiamo una certa, no?”
“Esatto. Non ti trovo bene, fratello, ma già da un po’. E questo mi preoccupa.”
“Sto benissimo.”
“E quei pensieri?”
“Vanno e vengono.”
“Nient’altro?”
Espressione atona. Stanno cambiando, non lo disse. “Vanno e vengono. Niente di più.”
“Esci con Serena almeno una volta? Una. Come favore personale.”
Tancredi sorrise, una linea vacua tracciata sul volto affilato. “Uscire con Serena per fare un favore a te?”
“Lo fai a te stesso, tanto per cominciare, poi anche a me.”
“Sì, ma ha cinquant’anni, Rox.”
“E quindi? Non se li porta da dio?”
“Ho capito, ma cinquant’anni restano.”
“È figa e adora gli sbirri: per favore, escici. Una volta, come favore a te stesso e poi a me.”
“Vedrò.”
Ruggero proiettò il bicchiere nel cestino della differenziata con una parabola invidiabile. “Vedi di muoverti. Domani la chiamo, se non l’hai ancora invitata ti mando i colleghi della Stradale a casa.”
“Ma ti pare.”
 
***
 
Sunto di dati e connessioni sullo schermo.
Gli spostamenti via rete e in locale di Kevin Abbrusato stavano lì, aperti e dissezionati come una carcassa, sul monitor del pc.
“E quindi niente Città dei Topi.”
“Niente con questo nome, no.”
Cornetta premuta all’orecchio, sguardo assorto, le directory in ordine cronologico dispiegate come un plotone.
“Roba interessante ce n’è, questo sì. Dai un’occhiata a quello che ha in Gioco di Squadra.”
Aprì la cartella, uno dei video stipati, ad audio spento: immagini movimentate di quello che parte come un avvicinamento pretestuoso a dei coetanei e diventa un’aggressione e pestaggio.
“Bella roba, eh?”
“Da rifarsi gli occhi.”
“C’è il penale su cose del genere. Gli portano via anche i telefoni: sono animali.”
“Ma niente Città dei Topi.”
“Sbattilo dentro comunque, questo bastardo, assieme ai suoi amici.”
“La priorità è Claudia, Marco. E forse la Città dei Topi può darci la soluzione. Ma devo trovarla, prima.”
“Ammesso che esista. Ti stai basando su voci di ragazzini spaventati.”
“L’alternativa è andare a zappare a caso alle Chiuse sperando di trovare il buco in cui è sepolta Claudia Verre.”
“È morta, quindi?”
“Per me è morta nel momento stesso in cui abbiamo trovato i vestiti. Non è logico che sia ancora viva.”
“E se fosse stata semplicemente rapita e uccisa da un maniaco, o un delinquente comune?”
“Non mi convince che abbia voluto far ritrovare i suoi abiti. In più, quella ragazza, Jole Rossi: sembrava davvero spaventata da ciò che succede in quella scuola. Magari non è stato fisicamente Kevin Abbrusato, ma la soluzione è intorno a quel punto. Per l’idea che mi sono fatto.”
“Tienimi aggiornato, allora. A quanto ho sentito, i Verre vogliono coinvolgere la stampa per fare casino e mettere ulteriore pressione: ti lascio immaginare come la pensa il grande capo.”
 
***
 
Aveva dovuto abbassare i Ray-Ban perché non era sicuro fosse davvero lei: Jole, seduta sul muretto che costeggiava il lato lungo della piccola chiesa di San Giovanni Battista, lo salutò con un minuscolo cenno della mano. Il berretto dei Red Sox era diventato una cuffietta d’un azzurro spento, sotto la quale sparivano quasi tutti i capelli, gli occhiali da sole erano gli stessi del giorno prima.
Aveva persino faticato a capire quale fosse la chiesetta, persa com’era tra i palazzi e le vecchie case del quartiere Meridiano.
“Tutto bene?”
Lei annuì prima di controllare intorno con occhiate fugaci. Il viavai era quasi inesistente in quella frazione del Meridiano, accatastata e quasi invisibile tra i dedali di vicoli e casoni di inizio ‘900.
“Non sarà eccessivo trovarci così fuori mano?”
“No,” la ragazza abbassò ancora di più la cuffia, “mi sono sentita osservata tutta la mattina, a scuola, soprattutto nei corridoi. Io ho paura che sappiano.”
“Che hai parlato con me? Dovresti farmi i nomi di queste persone, Jole, se ritieni che siano pericolose.”
“Il fatto è che non lo so. Non è solo Kevin e i suoi soci, ci sono altri e altre che sanno del gruppo e che li informano. Molti altri. E io non so chi sono. La Città dei Topi non è solo una cosa del Galilei, ci sono altre scuole, forse anche… non lo so, dicono che è molto grande, capisce?”
“Non abbiamo trovato nulla sul telefono di Kevin. Ci sono dei video di pestaggi e aggressioni, quello sì, ma non li ha mai messi in rete; nessun accesso a gruppi che sembrino questa dannata Città dei Topi.”
Jole scosse la testa, tornò a controllare intorno di non essere osservata. “Quello non è stupido, o non quanto sembra. Avrà nascosto l’accesso in qualche modo, oppure possiede un secondo telefono. O magari ancora qualcun’altro carica il materiale per lui.”
“Non c’erano neppure foto di Claudia, neanche cancellate. Nulla. Possibile che stesse con lei e non si siano fatti neanche un selfie?”
Lei sospirò, inquieta, una gamba le oscillava nervosamente contro il muretto. “Sono preoccupata.”
“Jole, tu sei sicura che la Città dei Topi esista?”
Lo sguardo che alzò nel suo, anche dietro le lenti nere degli occhiali da sole, era assieme ferito e sconvolto. “Ne sono certa.”
“E che Kevin ne faccia parte?”
“Potrebbe persino averla creata lui, l’ho sentito dire più di una volta.”
Tancredi mosse qualche passo intorno. “Se non salta fuori alcuna prova, o se non troviamo Claudia, sarà difficile accusarlo di qualcosa che vada oltre i suoi atti di bullismo.”
La ragazza passò le mani sui pantaloni blu della tuta e poi prese a torcersele: sembrava ancora più pallida del solito. “Se io,” mormorò, “se io le trovo un modo per entrare nella Città dei Topi, mi promette che punirà i responsabili?”
“Farò tutto quello che posso. Come pensi di riuscirci?”
Jole abbassò lo sguardo alla pavimentazione a blocchi della via. “Sentirò i miei contatti perché chiedano a un iniziato. Ma servirà tempo, pazienza e… qualcosa in cambio.”
“Che cosa vogliono in cambio?”
“Dipende dall’iniziato. A volte soldi, a volte favori, non c’è una regola. A volte violenza, ho sentito dire: devi subirla per un po’ prima di poter entrare e vedere quella subita dagli altri. Ma io sono una ragazza, e magari si accontenteranno di altro.”
“No,” Tancredi alzò una mano, i tratti induriti, “questo no, è troppo, non ci pensare neanche. Dammi i nomi dei tuoi contatti, parlerò io con loro e mi farò dare il nome di un iniziato: a quel punto avremo la Città dei Topi.”
“Non posso farlo. Sono due brave persone: loro non c’entrano con la Città, non li metterò in pericolo.”
“Devi farlo, Jole. Questo non è un gioco e non ci sono più segreti che tengano: i tuoi contatti non rischiano conseguenze penali di nessun tipo se non hanno a che fare col gruppo, come dici.”
“Non è di quel genere di conseguenze che ho paura, ispettore.”
Silenzio. Anche l’aria sembrò essere di colpo più fredda. Tancredi espirò, cupo.
“Chi sono queste persone, Jole?”
“Non lo so. Ma so che possono fare qualunque cosa.”
“D’accordo. Qui stiamo andando su una strada pericolosa e molto peggio di quanto avessi immaginato.”
“Mi lasci fare un tentativo.”
“No. Non voglio che tu corra rischi.”
Jole rimase in silenzio un lungo istante, poi scese dal muretto con un movimento sofferto. “Può mettersi davanti a me, per favore?”
“Così?”
“Sì.”
Lei si guardò attorno nuovamente, poi in basso. “Adesso può fare finta di abbracciarmi?"
“Sei seria?”
Assenso accennato. Tancredi si mosse, incerto, la cinse in una specie di abbraccio improvvisato che lei non contraccambiò.
“Rimanga così per un attimo. Non si offenda, se può.”
La guardò portare una mano al collo della maglietta, slargarlo, abbassare una coppa del reggipetto.
“Che stai facendo, per Dio?”
“So che è sbagliato, ma guardi, per favore.”
Tancredi abbassò lo sguardo dopo un attimo di esitazione: il seno sinistro di Jole, modesto, biancheggiava appena fuori dal colletto abbassato. Un segno rosso, circolare, sgradevole, al lato del capezzolo. Bruciatura da sigaretta.
Lei si ricompose con un brivido e un gesto nervoso, si scostò da lui, evitò d’incontrarne le iridi, anche dietro la barriera delle lenti scure.
“Chi ti ha fatto questo?”
Lei mosse appena il capo. “Non è importante. E non è neppure l’unico che ho.”
“Jole…”
“Gliel’ho mostrato,” deglutì, la voce rotta, “per farle capire che hanno fatto del male anche a me. Che hanno ripreso tutto, mentre lo facevano, e quella roba sarà finita nella Città dei Topi, assieme a chissà quante altre cose simili.”
“Devi dirmi chi è stato.”
“No. Non le serve saperlo. Le serve trovare la Città, e io posso procurarle un accesso, anche se è pericoloso, perché quello che è accaduto a me succede ad altri come me, ogni giorno, e io vorrei che tutto questo…”
Portò una mano alla bocca, le guance le si arrossarono: Jole Rossi singhiozzava in silenzio, senza un suono.
Rimasero l’uno di fronte all’altra, un minuto buono, prima che lei si ricomponesse, gli occhiali tolti e gli occhi asciugati con movimenti nervosi del dorso della mano, il suo inspirare ora meno insistente.
“Scusi,” la voce spezzata.
“Non devi scusarti.”
“Voglio fare la mia parte per far finire tutto questo, ispettore. Glielo chiedo per favore.”
“Non posso farti rischiare così.”
“La prego. Lei non può capire, ma ho bisogno di fare questa cosa. Se mi dirà di no, farò da sola.”
Tancredi rimase in silenzio. Sentì a sua volta il bisogno di guardarsi intorno, che nessuno li stesse osservando, ma era come se i muri, la pavimentazione, le finestre, tutto avesse occhi. Migliaia di piccoli, crudeli occhi.
“Non dovrei farlo.”
“Le troverò quell’accesso.”
“Non rischiare nulla. Non accettare accordi sulla violenza o peggio: offri dei soldi. Ti darò io la somma necessaria. Soldi, hai capito? Nient’altro.”
“D’accordo.”
“Voglio la tua parola che non offrirai altro.”
“Ha la mia parola.”
“Tienimi informato, sempre. Ti riaccompagno a casa.”
“No, grazie, prendo il pullman, non devono vederci insieme.”
Occhi.
Migliaia di minuscoli, luccicanti occhi.
La Città dei Topi.


***

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