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Messaggio Da Mac Mar Dic 07, 2021 5:03 pm

https://www.differentales.org/t1261-profumo-di-sandalo#14050


 
Eleonora saliva stanca le scale del suo condominio. Si era imposta di non prendere l’ascensore da quando, guardandosi allo specchio, aveva notato che il suo fisico si stava ammorbidendo. Non era mai stata fissata con diete, integratori e palestre, ma cercava di mangiare sano e di fare qualche camminata settimanale.
Nell’ultimo periodo però non ne aveva avuto il tempo, o forse, ad essere sinceri, le era mancata la voglia.
Faceva l’infermiera e da quasi un anno era stata trasferita nel reparto di patologia neonatale. Aveva accettato con entusiasmo il nuovo incarico, come faceva sempre, le piaceva conoscere nuovi colleghi e nuovi aspetti del lavoro che aveva scelto sin da bambina.
 
Non avrebbe mai immaginato la fatica a cui sarebbe andata incontro. Non solo fisica, a quella era abituata e non le incuteva timore, era una fatica che prendeva testa e cuore. 
Quel reparto pieno di piccole creature avrebbe dovuto essere un inno alla vita, non certo alla morte e alla disperazione. Aveva visto troppi bambini lasciare genitori dilaniati dal dolore. Si era chiesta più volte come fosse possibile, erano creature rimaste sulla terra per pochi giorni, a volte poche ore, eppure erano in grado di lasciare vuoti incolmabili.
Nel suo pensiero, lei che figli non ne aveva, immaginava più difficile lasciare persone con cui si era vissuto una vita intera. 
 
All’inizio guardava con stupore queste mamme lacerate, eppure così risolute a tenere con sé bambini che molto probabilmente non avrebbero dato loro in cambio né parole, né abbracci, ma solo tanto impegno, sofferenza e tristezza. Non le capiva, a volte ne era addirittura infastidita, lei che aveva visto figli lasciare andare genitori, visto mogli che salutavano compagni di una vita, composti nella loro dignità. Queste madri invece lottavano con tutte le loro forze contro ogni avversità e contro ogni logica per trattenere vicino i loro figli, a qualsiasi condizione. A volte si sorprendeva a pensare che fossero mosse da egoismo, pronte ad una vita di sofferenza pur di non distaccarsi. 
Poco alla volta però, contravvenendo alle regole che a scuola le avevano insegnato, iniziò ad affezionarsi a quei bimbi, esserini simili a piccole pagnottelle a volte uscite non proprio perfette ma che racchiudevano in loro una forza esplosiva, coperti di cannule, respiratori, PEG. Il loro mondo racchiuso dentro quelle scatole che li aiutavano a sopravvivere, circondati da bippanti macchinari e rumorosi stantuffi.
 
Poi un giorno arrivò Stella. 
Era una delle più piccole entrate in reparto, persa in un pannolino troppo grande per lei e un buffo capellino rosa con delle strane orecchie gialle che le cadeva sempre su quegli occhietti gonfi e neri. Insieme a lei arrivò Angela la sua mamma. Anche lei aveva vestiti troppo larghi a coprire un corpo ancora adolescente. I capelli annodati in uno strano e scompigliato nodo, gli occhi azzurri sempre velati di lacrime che non scendevano più. Era sola Angela, nessun compagno, nessun genitore o amico a supportarla.
Erano lei e Stella.
I medici faticavano a parlarle, qualsiasi cosa le dicessero lei sorrideva, un sorriso malinconico ma gentile. Non parlava molto, rispondeva a monosillabi, ma ogni mattina arrivava puntuale alle otto e aspettava pazientemente seduta sulle scomode sedie malconce dell’ingresso del reparto osservando i disegni che qualche volontario aveva fatto sui muri grigi per rallegrare le interminabili attese. A volte rimaneva lì per ore senza muoversi, immobile e determinata. Ogni giorno portava piccoli doni a Stella, una sorpresa trovata in un ovetto Kinder, un nastrino colorato che appendeva all’incubatrice un paio di buffi calzini dai mille colori fatti a mano da lei.
Se avesse dovuto usare un aggettivo per descriverla sarebbe stato resiliente. 
Eleonora iniziò ad affezionarsi a quelle due strane creature che sembravano uscite da uno dei dipinti di Bansky così eteree e leggere, pronte a spiccare il volo per l'isola che non c’è. 
 
Contro ogni aspettativa Stella cresceva, vincendo tutti i pronostici negativi fatti su di lei, superava ogni difficoltà e insieme a lei Angela rifioriva. Gli occhi fissi puntati sulla sua bambina, le dita che la sfioravano leggermente per calmarla e per farle sapere che lei c’era, che nonostante tutto loro erano insieme. Erano connesse così prepotentemente, madre e figlia, che sembravano fondersi, anche se non potevano stare vicine, divise da quel muro di plastica asettico, unite da una forza invisibile agli occhi ma tangibile con il cuore.
 
Un giorno a fine turno Eleonora incrociò Angela sulle scale e infrangendo ogni suo dogma la invitò a bere un caffè. Con suo grande stupore la mammina, come l’avevano soprannominata in reparto, accettò e così si diressero verso il bar a piano terra, quello vicino all’uscita. Si misero in fila per il caffè poi in silenzio si diressero entrambe verso il giardino esterno. Era una bella giornata di aprile, il sole scaldava e l’aria frizzantina rigenerava i corpi stanchi di chi, per lavoro o per malattia, era costretto a transitare di lì.
Sedute su una panchina sorseggiarono con calma il caffè.
D’un tratto senza nessun preavviso Angela iniziò a parlare.
 
“Non ho mai posseduto nulla, non ho una famiglia, non ho amici, non ho mai avuto una casa mia dove tornare. Figlia di nessuno come in tanti mi hanno chiamata, ho vissuto per molto tempo in una casa famiglia. Non ricordo nemmeno il numero dei genitori affidatari che si sono avvicendati nella mia vita, non ricordo i loro nomi e nemmeno i loro volti. Solo nonna Rosy è rimasta nel mio cuore. L’unica che mi abbia guardato dentro, l’unica che sapeva quando avevo bisogno di un abbraccio. Purtroppo anche lei se ne è andata e da allora nessuno ha più provato a sentirmi. Quando ti dico che non ho mai posseduto nulla intendo in senso totale. Non erano miei i vestiti che indossavo, i libri che leggevo, il letto in cui dormivo. Non ho mai ricevuto regali se non qualche dolcetto o qualche caramella allungata da chi in quel momento si sentiva molto magnanimo. Anche Stella all'inizio non era interamente mia. Suo padre” e nel dire quella parola la voce le uscì lieve mentre con le sue esili braccia di bambina si cingeva forte la vita “era uno dei miei genitori affidatari”.
Eleonora era seduta, la gamba sinistra che picchiettava leggermente il terreno su cui era poggiata, lo sforzo immane per non piangere, i ricordi frammentati che le uscivano da quel posto segreto in fondo al cuore dove li aveva rinchiusi tanti anni fa.
“Non mi importava molto, anzi all’inizio mi faceva anche piacere. Lui mi diceva che ero sua, solo sua e mi accarezzava i capelli, il collo, poi i seni e quando arrivava lì dove si racchiudeva la mia femminilità qualcosa in lui cambiava. Non erano più lievi carezze ma dure sferzate date con la mano aperta, erano morsi, erano capelli tirati con forza, erano pesanti insulti. Ma continuava a non dispiacermi perché per la prima volta sentivo di appartenere a qualcuno.” Si fermò, sembrava dovesse scegliere le parole giuste per continuare “La moglie non diceva nulla, non so se per comodità o perché non le importasse proprio, e tutto filava più o meno bene. Fino a quando rimasi incinta. Avevo diciassette anni per poco ancora, ma ero comunque una minorenne.”
Eleonora aveva bisogno di aria, le sembrava di ripercorrere la sua vita passo dopo passo.
“I miei genitori affidatari volevano che abortissi, avevano paura di essere denunciati, e cominciarono a farmi pressioni molto forti, fino ad arrivare a picchiarmi. Io mi riparavo e cercavo di proteggere il più possibile l’unica cosa che possedevo. Le avevo giurato che avrei lottato contro tutto e contro tutti ed ero determinata a farlo. Insieme nella vita o nella morte” Sembrava più adulta dei suoi diciotto anni, in quel momento non era più la bambina che sorrideva malinconica, ora era una donna fiera e consapevole.
“Contavo i giorni che mi separavano dal mio diciottesimo compleanno, diventata maggiorenne avrei potuto andarmene e rifarmi una vita. Mi ero informata, presso la mia città c’era una associazione che accoglieva le mamme e i loro bambini che non avevano un posto dove stare. Avevo anche racimolato un po’ di soldi con qualche lavoretto saltuario fatto nei ritagli di tempo. Il giorno prima del mio compleanno Michelangelo, di nome ma non di fatto, si rese conto che non avrei ceduto e preso da un attacco di rabbia, possesso, prepotenza e non so cos’altro, iniziò a picchiarmi così forte che pensai non sarei riuscita a sopravvivere. Quando mi convinsi di essere arrivata alla fine Stella mi diede il suo primo calcio. Sembrava dicesse ehi cagasotto sono viva, combatti, fallo per me. Mi ripresi e riuscii a schivare un colpo, poi un altro, giravo intorno alla stanza cercando di non farmi colpire finché non lo vidi. Era un pugnale Jambiya, Michelangelo mi aveva raccontato molte volte la sua storia. Lo aveva comprato nello Yemen dove era andato a lavorare per un periodo, ne andava orgoglioso, lo teneva pulito e affilato. Vidi nei suoi occhi il terrore quando capì le mie intenzioni. Rivedo la scena al rallentatore io, lui, il pugnale. Sono arrivata prima e sono ancora viva. Ero minorenne, ero stata riempita di botte, la moglie non voleva grane, anzi credo di averle fatto un piacere. Per la prima volta nella mia vita ho reagito. Non dimenticherò la sua espressione quando la lama gli si conficcò nel collo. Un fiotto di sangue schizzò sui miei vestiti e sui suoi. Tenni la mano ferma sul coltello e lui le sue mani artigliate alle mie come per aggrapparsi. Lo rifarei ancora, ancora e ancora. Stella è la mia vita senza di lei io ritornerei a non esistere”.
Eleonora l’aveva vista trasformarsi sotto i suoi occhi, ora risplendeva. 
Dopo il racconto senza aggiungere una parola Angela le aveva sorriso e si era diretta verso le scale per raggiungere il reparto dove la sua bambina l’aspettava.
Eleonora era rimasta lì, incapace di pensieri coerenti, fino a quando la stanchezza si era fatta sentire. Solo allora si era alzata ed era ritornata lentamente verso casa.
Non aveva avuto il coraggio di dire a quella ragazza così coraggiosa che la capiva, che sapeva di cosa parlava. Anche lei aveva vissuto un’esperienza simile, ma non aveva avuto la forza di ribellarsi, aveva lasciato che altri scegliessero per lei, lasciandole un vuoto dentro che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a colmare. 
Era diventata infermiera per sentirsi parte di qualcosa, per sentirsi utile per qualcuno. Si era costruita una vita da sola con grande sacrificio, ed era arrivata ad un punto in cui aveva pensato di essersi liberata, di essere ritornata alla normalità. Quel racconto, buttato lì su una panchina dell’Ospedale, l’aveva riportata indietro nei meandri della sua mente.
Aprì la porta di casa e il silenzio la accolse. Poi d’un tratto avvertì un lamento straziante, sembrava il verso di un animale ferito, finché Eleonora non si rese conto che era il suo pianto. Pianse per molto tempo, pianse tutte le lacrime che non aveva versato da quando le avevano strappato dal corpo la vita. Pianse per non essere stata coraggiosa e pianse per quella ragazza solare che era stata e che non esisteva più. 
Era diventato buio ormai quando si svegliò.
Si sentiva più leggera, come se ascoltare e accogliere la storia di Angela avesse mosso qualcosa dentro di lei, e avvertiva la consapevolezza di aver ricevuto un dono prezioso. 
Nonostante Eleonora avesse chiuso da molto tempo il cuore con una serratura a doppia mandata, Angela aveva scelto lei, senza nessuna motivazione chiara alla ragione.
Le loro due anime si erano incontrate e riconosciute contro ogni logica, per condividere, in quel preciso momento, qualcosa di importante, intenso e liberatorio per entrambe.
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Messaggio Da Petunia Gio Dic 09, 2021 9:11 am

Ciao  @Mac. Racconto molto “duro”. Eleonora e Angela, un incontro di anime. Forse si sono riconosciute nelle sofferenze, immagino per loro un futuro di condivisione e magari di “resurrezione”.
Scrittura lineare e pulita, facile da leggere.
Solo per una questione di gusto personale, questo genere di racconti lo troverei più efficace raccontato in prima persona. L’occhio del narratore esterno costringe a “raccontare” le emozioni e, a mio parere, ciò fa perdere di molto l’intensità. Non si può raccontare la disperazione. La si deve vivere nei gesti, nelle immagini, nelle azioni dei personaggi. Ma ripeto che è una questione di gusto.
Il racconto necessità di una maggiore distensione. Il lungo soliloquio spiegone, a mio avviso, funzionerebbe meglio se proposto con un dialogo. Così, nonostante l’argomento, come lettore mi trovo al di fuori della vicenda ben protetta nella sala di lettura e non mi arriva tutta la potenza che le parole vogliono esprimere.
Ti segnalo alcune cose.

bippanti.    Trattandosi di neologismo lo scriverei in corsivo.


troverei il modo di eliminare gli avverbi che terminano in “mente” in quanto appesantiscono la lettura.
pazientemente seduta 

prepotentemente



e infrangendo ogni suo dogma la invitò a bere un caffè.  Qui metterei l’inciso tra virgole. 
e, infrangendo ogni suo dogma, la invitò a bere un caffè.


Il periodo può essere alleggerito. La parola caffè è ripetuta troppe volte.


e infrangendo ogni suo dogma la invitò a bere un caffè. Con suo grande stupore la mammina, come l’avevano soprannominata in reparto, accettò e così si diressero verso il bar a piano terra, quello vicino all’uscita. Si misero in fila per il caffè 

Sedute su una panchina sorseggiarono con calma il caffè.



D’un tratto senza nessun preavviso Angela iniziò a parlare.  Anche in questo caso metterei l’inciso tra virgole.
D’una tratto, senza alcun preavviso, Angela iniziò a parlare.

nessuno ha più provato a sentirmi. 
Questa frase racchiude un mondo ma non la trovo espressa in modo corretto.  In particolare i verbi “provare” e “sentire” non mi pare che rendano bene il significato. Prova a cercare altri termini. 
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Messaggio Da mirella Gio Dic 09, 2021 9:49 am

"l’aveva vista trasformarsi sotto i suoi occhi, ora risplendeva. " bello!
Mi sarei fermata qui.

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Messaggio Da Mac Gio Dic 09, 2021 10:50 am

Grazie @Petunia
Le tue osservazioni sono sempre preziose.
Avevo iniziato il racconto in prima persona poi non so esattamente il motivo l’ho tradotto in terza. A volte lo scritto in prima persona mi destabilizza. Ci penso e proverò a rivederlo. 
Grazie per le tue indicazioni ortografiche sulle quali concordo e mi mangio le mani per non essere stata più attenta
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Messaggio Da Mac Gio Dic 09, 2021 10:52 am

@Mirella volevo regalare una rinascita anche a Eleonora.
Grazie per il commento
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Messaggio Da Hellionor Gio Dic 09, 2021 11:22 am

Ciao Mac,
storia molto intensa e commovente.
Averlo scritto in terza persona, a mio avviso, mortifica un po' i contenuti, che acquisirebbero intensità maggiore con la prima persona.
La storia di Angela, raccontata così lungamente, toglie un po' di credibilità al testo, a mio avviso.
Mi arriva troppo repentino questo dialogo quasi monologo. Lei parla poco e all'improvviso diventa un fiume, e lo so che volevi evidenziare una particolare sintonia nata tra Eleonora e Angela, ma così a mio avviso non funziona.
Accenna a sguardi fugaci e qualche scambio di parole solo tra loro due, Angela che parla poco ma che a Eleonora risponde sempre, ecco. In questo modo mi accompagneresti alla loro conversazione liberatoria e non la sentirei forzata.
Una storia commovente e ben congegnata che ha solo bisogno di qualche attenzione aggiuntiva.
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Messaggio Da Mac Gio Dic 09, 2021 11:28 am

Grazie Hellionor
Mi rimetto al lavoro seguendo le vostre indicazioni
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Messaggio Da Susanna Gio Dic 09, 2021 9:33 pm

Questo racconto mi ha riportato indietro nel tempo, quando hai introdotto “patologia neonatale”.
Appena più di quattro anni fa sono diventata nonna: un parto difficilissimo, di quelli che avrebbero potuto portare due lutti in un colpo solo. Nelle settimane successive ho toccato con mano la strepitosa umanità del personale, che a questi piccoli guerrieri sa regalare non solo cure, ma carezze e calore. Ogni giorno, lasciando sicuramente fuori dal reparto tanti problemi personali. Non ricordo i loro nomi, ma i sorrisi e gli incoraggiamenti sì.
In Eleonora ho trovato quella delicatezza: anche quelle infermiere hanno ascoltato il racconto delle ore che avevo passato davanti ad una sala operatoria, senza lasciar trasparire che chissà quante altre storie simili avevano ascoltato. Ed era stato liberatorio poter parlare della paura, dell’ansia di quelle ore.
 
Per quanto attiene al racconto in senso stretto, è scritto bene e renderebbe bene anche scritto in prima persona. Scrivere in prima persona è complesso, si rischia sempre ma penso che certe emozioni, sensazioni possano essere raccontate più incisivamente. Ma è un mio parere.
D’un tratto senza nessun preavviso Angela iniziò a parlare. Con questa frase ci porti nel mondo di Angela. Un lungo discorso, che, a differenza di @Hellionor, trovo plausibile. Non è poi tanto insolito che a volte sia più facile aprirsi, confessarsi, lasciar andare tutto quello che si sente, raccontare la propria storia con una persona sconosciuta o quasi: liberare le parole, finalmente e non importa con chi, è non solo molto umano ma anche utile se non necessario.
Qui però avrei diluito quanto Angela racconta di sé attraverso periodi più corti, intervallati magari dalla descrizione di azioni minime compiute dalle protagoniste (andare a prendere altro caffè, concedersi una piccola colazione, passeggiare, ma anche momenti di silenzio) giusto per dare a chi legge il tempo di assimilare il tutto. Forse anche frasi più asciutte, più semplici. In parte lo hai fatto. però magari andrei a capo, quanto inserisci questi dettagli, per dare respiro al ritmo.
Quindi lo trovo un bel racconto, duro, difficile perché non hai inventato ma raccontato una storia che chissà quante volte si è ripetuta e si ripeterà.
 
Ora le mie note: risentono del mio modo di scrivere, quindi puoi tranquillamente non tenerne conto.
Sembrano molte, ma ho copiato anche il testo per inquadrare meglio il punto.
Alcuni punti sono relativi a punteggiatura mancante, ma secondo il mio modo di leggere.
 
Eleonora saliva stanca le scale del suo condominio Qui toglierei “suo”: sembrerebbe che il condominio fosse di sua proprietà e non perché si abita. Inoltre nella frase successiva troviamo un altro “suo”, stavolta corretto.
ad essere--- a essere
--- come faceva sempre, : le piaceva... invece della virgola devo bene un : rende meglio gli aspetti che la soddisfano
Non solo fisica, a quella era abituata e non le incuteva timore, era una fatica che prendeva testa e cuore.  questa frase non mi pare girare, manca qualcosa
Prova a vederla così: Non solo quella fisica, a quella era abituata e non le incuteva timore, ma la fatica che prendeva testa e cuore.
a volte poche ore, eppure erano stati in grado di lasciare vuoti incolmabili
immaginava fosse più difficile
dell’ingresso del reparto, osservando dopo reparto metterei una virgola, per dar respiro ad una frase lunga.
all’incubatrice, un paio  qui manca una virgola, hai fatto un elenco.
Bansky, così eteree anche qui “leggo una virgola”
Suo padre - e nel dire quella parola la voce le uscì lieve mentre con le sue esili braccia di bambina si cingeva forte la vita - ...  qui la frase necessita un virgolettato diverso e anche dei trattini per definire che stai descrivendo cosa fa Angela
lì dove si racchiudeva la mia femminilità  questo inciso è molto delicato, ma lo vedo poco pronunciabile nel contesto di questo lasciarsi andare, farei più riferimento, magari con dei puntini di sospensione, a termini più semplici, anzi lascerei in sospeso, tanto il lettore capisce cosa vuoi dire
appartenere a qualcuno.” Qui andrei a capo con la frase successiva: dai a chi legge il modo di tenersi la crudeltà del comportamento dell’uomo ma anche la crudezza con cui lei accetta la violenza pur di sentirsi qualcuno. Purtroppo succede, è sbagliato, ma succede.
I miei genitori affidatari  Loro volevano... Togliamo genitori, che ricorda affetto e protezione, mentre loro rende più l’idea della lontananza affettiva e della superficialità
racconto, senza aggiungere una parola, Angela  userei virgole

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Messaggio Da Mac Gio Dic 09, 2021 9:47 pm

Grazie Susanna,
Oggi pomeriggio ho rivisto il racconto, tenendo conto di quanto mi era stato detto. Anche io non concordo con chi mi aveva detto che il discorso di Angelo era troppo lungo(uno spiegone). Io ci tenevo a rendere l’idea di un racconto buttato fuori d’un fiato, forse prolisso, ma sincero. Ho solo intervallato con alcune azioni, sperando di renderlo più fluido e mi fa piacere che tu sua d’accordo con me. Riguarderò quanto scritto tenendo conto delle tue osservazioni e poi lo rimetterò editato.
Grazie a te e a tutti quelli che si sono fermati a leggere e a commentare.
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Messaggio Da Mac Mer Dic 15, 2021 11:02 am

Susanna ha scritto:Questo racconto mi ha riportato indietro nel tempo, quando hai introdotto “patologia neonatale”.
Appena più di quattro anni fa sono diventata nonna: un parto difficilissimo, di quelli che avrebbero potuto portare due lutti in un colpo solo. Nelle settimane successive ho toccato con mano la strepitosa umanità del personale, che a questi piccoli guerrieri sa regalare non solo cure, ma carezze e calore. Ogni giorno, lasciando sicuramente fuori dal reparto tanti problemi personali. Non ricordo i loro nomi, ma i sorrisi e gli incoraggiamenti sì.
In Eleonora ho trovato quella delicatezza: anche quelle infermiere hanno ascoltato il racconto delle ore che avevo passato davanti ad una sala operatoria, senza lasciar trasparire che chissà quante altre storie simili avevano ascoltato. Ed era stato liberatorio poter parlare della paura, dell’ansia di quelle ore.
 
Per quanto attiene al racconto in senso stretto, è scritto bene e renderebbe bene anche scritto in prima persona. Scrivere in prima persona è complesso, si rischia sempre ma penso che certe emozioni, sensazioni possano essere raccontate più incisivamente. Ma è un mio parere.
D’un tratto senza nessun preavviso Angela iniziò a parlare. Con questa frase ci porti nel mondo di Angela. Un lungo discorso, che, a differenza di @Hellionor, trovo plausibile. Non è poi tanto insolito che a volte sia più facile aprirsi, confessarsi, lasciar andare tutto quello che si sente, raccontare la propria storia con una persona sconosciuta o quasi: liberare le parole, finalmente e non importa con chi, è non solo molto umano ma anche utile se non necessario.
Qui però avrei diluito quanto Angela racconta di sé attraverso periodi più corti, intervallati magari dalla descrizione di azioni minime compiute dalle protagoniste (andare a prendere altro caffè, concedersi una piccola colazione, passeggiare, ma anche momenti di silenzio) giusto per dare a chi legge il tempo di assimilare il tutto. Forse anche frasi più asciutte, più semplici. In parte lo hai fatto. però magari andrei a capo, quanto inserisci questi dettagli, per dare respiro al ritmo.
Quindi lo trovo un bel racconto, duro, difficile perché non hai inventato ma raccontato una storia che chissà quante volte si è ripetuta e si ripeterà.
 
Ora le mie note: risentono del mio modo di scrivere, quindi puoi tranquillamente non tenerne conto.
Sembrano molte, ma ho copiato anche il testo per inquadrare meglio il punto.
Alcuni punti sono relativi a punteggiatura mancante, ma secondo il mio modo di leggere.
 
Eleonora saliva stanca le scale del suo condominio Qui toglierei “suo”: sembrerebbe che il condominio fosse di sua proprietà e non perché si abita. Inoltre nella frase successiva troviamo un altro “suo”, stavolta corretto.
ad essere--- a essere
--- come faceva sempre, : le piaceva... invece della virgola devo bene un : rende meglio gli aspetti che la soddisfano
Non solo fisica, a quella era abituata e non le incuteva timore, era una fatica che prendeva testa e cuore.  questa frase non mi pare girare, manca qualcosa
Prova a vederla così: Non solo quella fisica, a quella era abituata e non le incuteva timore, ma la fatica che prendeva testa e cuore.
a volte poche ore, eppure erano stati in grado di lasciare vuoti incolmabili
immaginava fosse più difficile
dell’ingresso del reparto, osservando dopo reparto metterei una virgola, per dar respiro ad una frase lunga.
all’incubatrice, un paio  qui manca una virgola, hai fatto un elenco.
Bansky, così eteree anche qui “leggo una virgola”
Suo padre - e nel dire quella parola la voce le uscì lieve mentre con le sue esili braccia di bambina si cingeva forte la vita - ...  qui la frase necessita un virgolettato diverso e anche dei trattini per definire che stai descrivendo cosa fa Angela
lì dove si racchiudeva la mia femminilità  questo inciso è molto delicato, ma lo vedo poco pronunciabile nel contesto di questo lasciarsi andare, farei più riferimento, magari con dei puntini di sospensione, a termini più semplici, anzi lascerei in sospeso, tanto il lettore capisce cosa vuoi dire
appartenere a qualcuno.” Qui andrei a capo con la frase successiva: dai a chi legge il modo di tenersi la crudeltà del comportamento dell’uomo ma anche la crudezza con cui lei accetta la violenza pur di sentirsi qualcuno. Purtroppo succede, è sbagliato, ma succede.
I miei genitori affidatari  Loro volevano... Togliamo genitori, che ricorda affetto e protezione, mentre loro rende più l’idea della lontananza affettiva e della superficialità
racconto, senza aggiungere una parola, Angela  userei virgole
Vorrei mettere il racconto con le modifiche, come devo fare? lo sostituisco al primo o devo lasciare entrambi?
grazie mille
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Messaggio Da Susanna Mer Dic 15, 2021 11:16 am

Mac ha scritto:
Vorrei mettere il racconto con le modifiche, come devo fare? lo sostituisco al primo o devo lasciare entrambi?
grazie mille
Questo lo devi decidere tu: se lo sostituisci chi lo legge e legge anche i commenti non ci si ritrova; potresti postarlo ex novo, con la dicitura riveduto e corretto. Penso che gli ADMIN o Petunia, che hanno molta esperienza potranno suggerirti la soluzione migliore.
Grazie per aver accettato le mie note.

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Messaggio Da The Raven Mer Dic 15, 2021 11:44 am

Ciao Mac!
Puoi tranquillamente creare una nuova discussione e mettere il racconto modificato.
Puoi mettere anche il link a questo racconto nella discussione nuova, così abbiamo sempre un riferimento a questo.
E potremmo anche qui mettere il link di riferimento alla nuova discussione!
Se non riesci a inserire i link dillo pure a me, ci penserò io una volta pubblicato il nuovo racconto! Smile

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IN GRAN SILENZIO OGNI PARTIGIANO GUARDAVA QUEL BASTONE SU IN COLLINA.


REACH OUT AND TOUCH FAITH!                                                                                               Sembrano di sognante demoni gli occhi, e i rai
                                                                                         del lume ognor disegnano l’ombra sul pavimento,
né l’alma da quell’ombra lunga sul pavimento
sarà libera mai!
Quel vizio che ti ucciderà
non sarà fumare o bere,
ma è qualcosa che ti porti dentro,
cioè vivere.
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Messaggio Da Mac Mer Dic 15, 2021 12:12 pm

ci provo, se non riesco chiederò il tuo aiuto.
grazie
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Messaggio Da tommybe Mer Dic 15, 2021 9:39 pm

Non puoi aver inventato una storia così agghiacciante, di sicuro ti sei lasciata ispirare dalla cronaca di un giornale.
La scrittura creativa, almeno per come la intendo io, è diversa, in questo racconto non la trovo.
Se proprio vuoi stendere il lettore non hai bisogno di prenderlo a pugni con immagini così dure. Tu scrivi molto bene, usa scenari meno cruenti.
Un abbraccio.


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Messaggio Da Mac Mer Dic 15, 2021 11:08 pm

Sinceramente non mi sono ispirata a nessuna storia letta sui giornali. 
Ho passato 5 mesi in patologia neonatale con con il mio primo figlio, da lì è nata l’idea. Volevo parlare di quello. A volte capita che i racconti seguano la loro strada. Il mio ha preso questa.
Non mi sembrava così improbabile e mi dispiace che tu l’abbia trovata agghiacciante. Mi piacerebbe capire meglio se ti va di farlo.
Gtazie
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Messaggio Da tommybe Mer Dic 15, 2021 11:40 pm

Improbabile non l'ho proprio detto.
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Messaggio Da Mac Gio Dic 16, 2021 12:17 am

Hai ragione non l’hai detto. È stata una mia interpretazione.
Non voglio fare polemica perché credo fermamente che ognuno di noi abbia il diritto di dire che un racconto non è bello (o ben costruito, o fuori luogo ..), ma sto cercando di capire per migliorare.
Perché non è scrittura creativa? Ho creato una trama, dei personaggi e ho cercato di renderli reali.
Non mi è piaciuto che tu abbia creduto impossibile fosse farina del mio sacco (anche se penso non ci sia nulla di male ad ispirarsi alla vita che ci circonda). L’hai scritto come un dato di fatto, e questo mi ha colpito. Anche usare l’aggettivo ‘agghiacciante’ riferito al racconto mi è sembrato un po’ troppo.
Spero con il prossimo racconto di stupirti positivamente.
Buona serata
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