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SUPERPREDATORI - parte 31

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Messaggio Da Fante Scelto Lun Ago 02, 2021 12:27 am

***


Frammento 12 – Intercettazione telefonica (Sigrid Montego – II)
 
“Meg.”
*singhiozzi in sottofondo*
“Meg…”
*singhiozzi*
“Ce l’hai ancora con me? Eddai, su.”
“Tu sei pazza…!”
“Era solo uno scherzo, ma dai, ti pare che facevo sul serio?”
*singhiozzi*
“Meg…”
“Non voglio sentirti!”
“Andiamo, ma veramente pensi che ero seria?”
“Sig, mi hai puntato il fucile addosso! Addosso, cazzo! Te l’avevo detto che io ho paura delle armi, ho paura! E poi quel discorso orribile! Tu sei pazza!”
*risatina leggera*
“Ti stavo prendendo in giro, scemina. Secondo te posso sparare alla mia migliore amica?”
“Io non ti riconosco più! Da quando ti sei iscritta a quello schifoso programma  hai uno sguardo strano! Dici cose fuori dal mondo!”
“Era uno scherzo, ma ce la fai? Volevo solo farti prendere male, tutto lì.”
“Mi hai puntato il fucile addosso e mi hai detto Inizia a correre! Ti sembra uno scherzo da fare?! Con quello sguardo!”
“Quale sguardo?”
“Sig, tu non sei in te e non te ne rendi conto! Questa cosa che vuoi sparare a una persona vera… è da psicopatica! Da serial-killer!”
“Ah , è così che la metti? Io ti confido i miei pensieri intimi e tu mi tratti come una pazza?”
“È meglio… è meglio se per un po’ non ci vediamo.”
“Sì, come no. Mercoledì mi devi accompagnare a teatro, l’hai scordato?”
“Non ci vengo, no.”
“Madonna quanto odio quando devi frignare così.”
“Dopo oggi non voglio vederti per un bel po’, Sig. Mi dispiace, non voglio.”
“Sì, certo, certo. Cosa posso fare per farti cambiare idea? Se chiedo a mio padre di farci fare il week-end a Londra?”
“No.”
“Ho detto Londra eh.”
“E io ho detto no. Vuoi fare una cosa per me? Per farmi cambiare idea? Lo vuoi davvero?”
“Sentiamo.”
“Cancella l’iscrizione a quello show orribile. Non ci andare. Ritorna la Sigrid che conosco.”
*risatina lieve*
“Non posso, Meg, ci tengo troppo.”
“Più che a me?!”
“Sono due cose diverse. È come se ti chiedessi di scegliere tra me e, non lo so, il sushi. Tu non vivi senza il sushi, non sarebbe giusto metterci sullo stesso piano.”
“E tu non vivi senza andare su quelle isole schifose?”
“Per me è importante. E lo sai.”
*sospiro affranto*
“Allora non ci vediamo mercoledì, e neanche sabato.”
“Eddai, su, non fare sempre la bambina.”
“Tu mi fai paura, Sig. Non sei più la stessa. E io non voglio questa nuova te.”
“Ti do fino a domattina per cambiare idea, cara, poi ritiro l’offerta di Londra.”
“Non cambierò idea, sappilo.”
“Come no. Aspetto il vocale di ripensamento entro le nove.”
*linea caduta*
“Meg?”
*silenzio*
“Mi hai chiuso il telefono in faccia?”
*silenzio*
“Ma che stronza!”
 
***
 
“Cosa fai?” Gioele Palazzese sedette alla propria postazione, sguardo fisso al monitor. “Cosa fai, ricca principessa viziata?”
Allungò lo zoom per inquadrare meglio la scena; Artemis si era allontanata dal costone, fucile in spalla, aveva preso a camminare lenta verso la Volpe legata. Regolò il sonoro e indossò le cuffie per ascoltare.
 
Sigrid Montego si fermò a un passo dall’albero, lo sguardo vagato sul corpo seminudo di Foxx. Sorrise tenue. “Preoccupata?”
Le rispose solo un grugnito dietro il bavaglio e uno sguardo truce.
Si avvicinò ancora fino a starle davanti, a pochi centimetri; il sorriso le si allargò un tocco di più.
Mosse una mano, lenta, verso il suo viso: Foxx irrigidì brusca.
“Tranquilla,” scandì lei divertita, “Mica ti faccio niente.” Le tolse un capello dal volto con gesto aggraziato. La Volpe respirava più forte, inquieta; mosse invano le mani nei vincoli.
“Mercury ti ha pestata per bene, ah? È tosta quella, ma… Troppo buona. Fosse stato per me non vi avrei lasciate vivere, già solo per i costumi ridicoli e le pose imbarazzanti che fate.”
Risatina.
“Comunque, adesso Mercury non c’è, siamo solo io e te.”
Altro strattone ai legami, inutile.
“Sai? È stato bello sparare alla tua amica, quella vestita da lepre, stanotte. Correva proprio come un coniglio.”
Brivido di collera.
Lo sguardo di Foxx si fece più duro, aprì e chiuse le dita in un moto di frustrazione.
“Ti dà fastidio? Spero di poterlo fare anche con te: lasciarti andare nel bosco e poi…” Mimò il gesto dello sparo e soffiò il fumo da indice e medio. “Ma finché Mercury ti vuole viva non possiamo giocare in questo modo. Purtroppo.”
Sigrid alzò di spalle, un sorriso innocente, da bambina. “Aspetterò.”
Si voltò, fece per allontanarsi, poi si voltò nuovamente con ragionato tempismo.
“A proposito.”
Esibì il braccio dove, nello squarcio nella giacca, biancheggiava la fasciatura.
“Non ti vergogni di avermi colpita a tradimento? Non potevo neanche difendermi. Poi sei più forte di me, era proprio un confronto impari.”
Espressione delusa, scosse la testa.
“Io non ti farei mai del male se tu fossi disarmata e, che ne so, legata nuda a un albero.”
La squadrò per un lungo attimo; qualcosa, nei suoi occhi azzurro ghiaccio, vibrava di sottile compiacimento.
“Tipo adesso. Non lo farei mai.”
Sigrid tolse dalla cintola il coltello da caccia, se lo rigirò nella mano con quieta attenzione; la Volpe irrigidì nuovamente, attonita.
“Non sono mica come te, io.”
Sorrise, gelida.
Attimo di nulla, d’attesa calibrata.
Sigrid Montego mosse la lama, gliela andò a poggiare sul bicipite destro, divertita dal suo frenetico contrarsi e cercare di liberarsi. Con sorriso algido e lentezza studiata lasciò che l’acciaio le piegasse e penetrasse la pelle, affondando prima piano poi di netto nella carne; Foxx, il respiro mozzato, occhi sgranati, cacciò un grido che il bavaglio ridusse a mugolio acuto.
Artemis estrasse il coltello, i denti serrati in una smorfia di pura soddisfazione; guardò la prigioniera aderire al tronco, braccia e gambe tese fino allo spasmo per sopportare il dolore, la testa premuta contro il legno, ciglia inumidite da piccole lacrime.
Il respiro, forte, denso, le faceva alzare e abbassare il petto in un ritmo selvaggio.
Un altro mugolio di sofferenza riempì quel piccolo angolo di foresta.
“Zitta, su, su,” mormorò Sigrid, un sorriso crudele sui tratti, “Che non è niente, solo un taglietto.”
Foxx abbandonò il capo sul petto, ansante, le ginocchia piegate dallo sforzo.
Lei pulì la lama sull’erba, la rinfoderò con un certo tremore alla mano, adrenalina pura.
“Quando tornerò a casa,” scandì voltandosi, “Farò attaccare la tua testa al muro del mio chalet in montagna, sopra al camino. Parola d’onore.”
Un cenno di scherno e se ne tornò alla postazione con lo stesso sorriso truce disegnato sui tratti algidi.
 
***
 
“Dai, non è niente.”
Mi sto preoccupando per lei, dovrebbe apprezzare.
“Fa un po’ male, poi passa, fidati.”
Camminiamo nella boscaglia sul pendio che scende verso il forte, ora del tutto scomparso alla vista.
Lucilla non risponde. Avanza dietro di noi, lo sguardo basso, torbido, uno scolo di sangue al lato della bocca e la guancia arrossata. Le braccia legate al grosso bastone che le abbiamo messo sulle spalle.
Non ha gradito il gioco.
Non l’avrei gradito neanch’io.
“Era per rendere tutto realistico. Se ti mettevo del sangue finto si capiva che era uno schifo. Vedila come un piccolo sacrificio per aiutare le buone a nulla che sono rinchiuse nel forte.”
Non risponde, ma va bene così.
“Anche il guinzaglio, ovviamente,” ciondolo la corda che ho in mano il cui altro capo è legato al suo collo. Indispensabile travestimento.
“Vedi? Hai anche l’espressione abbacchiata al punto giusto.”
Mi vien da ridere, non rido.
“Mercury,” Jade trova il coraggio di parlare dopo la strada percorsa in religioso silenzio, lo sguardo è quello di chi sa che può finire molto male. “Mi dici solo cos’è che pensi di fare quando…” Esita, deglutisce. “Quando ci avranno fatte entrare?”
Smorfia indifferente, alzata di spalle. “Dare un’occhiata in giro.”
La sua espressione attonita sa di estrema unzione. “Scherzi, vero? Tu hai capito come funziona, sì? Noi entriamo, consegniamo lei, ci danno qualche cosa in premio, ce ne andiamo. Solo questo, non possiamo fare nient’altro.”
Lascio andare qualche secondo, per la suspense.
“Creerò un diversivo.”
Che frase da film. Per una volta adoro le frasi da film.
Jade mi guarda, sembra ancora più stupida del solito. “Cioè?”
“Cioè farò scoppiare un casino dove nessuna penserà più a noi. Nel tempo che avremo cercheremo di portar via tutte le povere stronze delle nostre che riusciamo.”
L’espressione passa da estrema unzione a requiem. “E se non funziona?”
“Siamo morte.”
“Se va bene, siamo morte.”
“Andrà benissimo.”
“Mercury, è una follia. Quelle non sono stupide, se si accorgono che stiamo provando a fregarle ci faranno cose che neanche immagini.”
“Lo so. Per questo non dobbiamo sbagliare niente.”
“Ma hai pensato che, anche se riusciamo a distrarle, anche se riusciamo a trovare un paio delle tue compagne, poi dovremo anche uscire da lì?”
Inspiro rumorosamente.
“Sì.”
“E…?”
“Ho diverse idee, d’accordo? Quale seguire non lo so ancora, dipende da come si mettono le cose.”
“Hai addirittura diverse idee?”
“Lo so che avere idee non è il tuo forte, ma ogni tanto è il mio, se permetti.”
Tace, infastidita.
“Senti,” insisto cercando un tono conciliante, “Ho capito che stiamo facendo una cosa al limite. L’ho capito. Ma quelle là, queste Erinni, alla fine chi sono? Sono ragazze come me e te. Non sono veterane di guerra, assassine di professione o chissà che altro: sono gente normale, avevano una vita, magari di merda, prima di venire qui. Una vita normale. Per quanto conoscano l’isola e siano qui da più tempo, quanto possono essere più preparate di noi a gestire una situazione imprevista?”
Ci pensa per un attimo ma non l’ho convinta di sicuro.
“Lo sai chi era Porsha prima di venire qui?”
“Una terrorista?”
“Un avvocato.”
“Cosa?”
“Sì, un cazzo di avvocato.”
Ride, della sua risatina da oca. “Io facevo la commessa da Zara.”
“Ecco. Pensa come siamo messe tutte quante.”
Scuote la testa. “Sono comunque tante e armate.”
“Non dobbiamo sbagliare niente. Soprattutto,” cerco il suo sguardo perché capisca che non sto scherzando, “Devi condurre tu il gioco.”
“Io?”
“Sei l’unica che può farlo. Hai accompagnato Tania nel forte altre volte?”
Incupisce. “Un paio.”
“Quindi sai come parlava, cosa diceva: devi fare lo stesso, con assoluta tranquillità.”
“Dio.”
“Lo so che non è facile, ma devi farlo. Siamo nelle tue mani, Jade, dipende tutto da te. Io è meglio se non dico nulla, potrei fare delle gaffe. Devi parlare tu e farlo come se fosse tutto normale: stiamo consegnando una che abbiamo catturato nei boschi,” Lucilla mi guarda truce poi riabbassa lo sguardo, “E mentre lo facciamo scoppierà un casino. Okay?”
Inspira a fondo, inquieta. “Okay.”
“Stai tranquilla, rilassata. Se sei tesa si vede che racconti balle. Rilassata e tranquilla. Sanno chi sei, si fidano, non hai motivo di temere niente.”
“Okay.”
“La storia è questa: abbiamo preso lei nei boschi, Tania e le altre stanno inseguendo due fuggitive.”
“Sì.”
“Cosa possono chiederci in proposito?”
Ci pensa. “Perché non è venuta Tania come le altre volte?”
“Ottimo.” Sfioro la fasciatura alla testa. “Perché ho preso una botta forte e ha preferito risparmiarmi l’inseguimento.”
Jade scuote il capo. “Poteva essere al posto mio.”
“Giusto.”
“Però, se tu sei stata ferita, Tania potrebbe aver voluto inseguire di persona le responsabili. Lei lo avrebbe fatto.”
Incupisce, come ogni volta che viene menzionata la Gazza.
“Teniamo buona questa risposta. Altro?”
“Dettagli sulle fuggitive, sicuramente.”
“Li puoi dare. Siamo io e Artemis, nessun problema. Di’ loro quello che ti pare, sincera. Altro?”
“Non lo so.”
Faccio vagare la mente esplorando possibili situazioni, scene, dialoghi, qualsiasi cosa. Ansia leggera.
“Se anche arrivasse una domanda pericolosa non andare in panico. Inventa qualcosa o piuttosto non sai. D’accordo?”
“Ma tipo?”
Se mi venisse in mente una domanda pericolosa penserei anche a una risposta: nel caos emotivo del momento non mi viene nulla.
“Lu,” mi volto verso la nostra prigioniera, “Lo so che sei incazzata, hai ragione, avrei dovuto spiegarti prima. Ma vorrei che tu collaborassi, per favore. Non devi fare niente, solo sembrare molto abbacchiata. Non dire nulla. Se ti fanno domande rispondi come risponderesti… non so… se ti avessero presa e malmenata sul serio. Mi raccomando.”
Attendo invano un riscontro.
“Lu, mi dai solo un segno che hai capito e che farai come ho detto?”
Si ferma d’improvviso, un tiro al guinzaglio inaspettato. Soffia del sangue dal lato della bocca, mi guarda e il suo sguardo è tornato quello pessimo: per un attimo mi sfiora l’idea che possa attaccarmi. L’immagine di Tania infilzata da una spada lampeggia nell’inconscio.
“Avresti,” manda giù la saliva, iridi che vibrano di rabbia, “Dovuto dirmelo.”
“Avrei dovuto, sì. Ma sarebbe stato meno realistico. Credimi, l’ho fatto solo per questo.” Comunque un pugno te lo dovevo: non lo dico.
Strattona le corde in un gesto di scorno. “Chiedimi scusa.”
“Non tirare i lacci che non sono stretti e viene via tutto.”
In risposta strattona di nuovo e un polso quasi le si slega dal bastone.
“Dai, oh! Ci abbiamo messo venti minuti a legarti, non ho voglia di rifare tutto da capo!”
“Chiedimi scusa o torno indietro.”
Fastidio. Impuntamenti evitabili.
Psicopatie infantili.
Odio.
“La vuoi smettere di fare la bambina?”
“Chiedimi scusa.”
Calma, devo restare calma.
“Ma scusa di che? Di stare aiutando le nostre compagne?”
“Di avermi colpita senza il mio permesso. Io non lo avrei mai fatto con te.”
Alzo gli occhi al cielo. “Stai davvero facendo questo cinema per un pugnetto?”
Soffia ancora del sangue dal lato della bocca. Forse non l’ho dosato bene il destro. “Io non lo avrei fatto. Siamo dalla stessa parte.”
“Lu, è un per un bene superiore, okay? Ci stiamo tutte sacrificando.”
“Sì? Allora vieni tu al mio posto. Fatti legare al bastone e mettere il guinzaglio.”
Brivido.
Pensieri poco edificanti.
“Non dire cazzate. Non puoi spacciarti per nessuna di loro,” alludo a Jade, “Possiamo per favore continuare che abbiamo già perso troppo tempo?”
“Chiedimi scusa.”
“Ma di cosa?! Di averti dato un pugno per uno scopo più grande?”
“Di non avermi rispettata.”
Silenzio.
Forse è il modo in cui l’ha detto, il tono, un’ombra nella voce, magari lo sguardo, o la combinazione di tutto questo: qualcosa s’è mosso dentro, da qualche parte tra cuore e stomaco. Un rimorso.
Uno scrupolo.
Batto più volte le palpebre e prendo un respiro più lungo.
“Mi dispiace. Hai ragione.”
Annuisce appena, grave. “Scusati.”
Non mi scuso mai. Mai fatto, mai, è contro l’etica, la mia etica. Scusarmi di cosa? Lo avesse fatto lei a me, un colpo a tradimento, ci sarei passata sopra a quest’ora. Credo. Magari avrei fatto un po’ di casino.
Magari un casino peggiore del suo.
Sì, penso un casino.
Peggiore del suo.
Scusarmi di che?
Un rimorso.
Uno scrupolo.
“Scusa, hai ragione, ho sbagliato.”
Nei suoi occhi scuri c’è la reprimenda di chi ha una morale più alta. “Non te ne frega niente.”
Inspiro.
Freddo.
Non me ne frega niente, lo so. Però anche sì. Non lo so, non capisco, non voglio capire.
Mi accosto, le metto una mano sulla spalla per quanto il contatto fisico m’infastidisca in tutti i contesti.
Scusa sono cinque lettere e ognuna pesa come il mondo.
Pesa da morire.
“Scusa.”
Scorrono secondi di nulla, i suoi occhi scuri sono aghi che scrutano la mia anima alla ricerca di falso pentimento; poi un vago sorriso le rischiara i tratti.
“Ti perdono.”
“Okay.”
“Non farlo mai più.”
“Con te non lo farò più. Con altre non garantisco.”
Sorride.
Pace fatta.
È una bambina.
Ragiona come i bambini.
Come i bambini con un’asfissiante educazione cristiana.
Dovrò tenerlo a mente più spesso.
“Okay,” respiro a fondo, mi scosto, “L’idea è questa. Ascoltatemi bene perché non possiamo sbagliare niente.”
Tolgo di spalla la faretra, ne tiro fuori le due cariche; mi guardano entrambe senza capire.
“Le farò detonare al momento migliore, per creare un diversivo: scateniamo il caos e in quel caos cerchiamo di raggiungere chiunque delle nostre sia raggiungibile, poi ce la filiamo.”
Lucilla inarca le sopracciglia. “Quello è esplosivo?”
“No, sono coriandoli. Certo che è esplosivo.”
“E dove l’hai preso?”
“Nella loro caverna.”
Jade mi scruta in risposta, stranita. “Nella nostra caverna?”
“Certo. Tu continua a farti di funghi che va bene così.”
“Noi non usiamo esplosivi: li abbiamo sempre dati alle Erinni.”
“Beh queste ve le siete scordate, e ti dico io come è andata: non avete neanche capito che è esplosivo militare, cariche compatte.”
“Boh. A me sembrano tavolette di cioccolata.”
“Appunto. Pensa se provavate a fumarvele.”
“Non ricordo assolutamente dove le abbiamo prese.”
“Non è importante. Come dicevo, saranno il nostro diversivo. Una,” sollevo la prima, “La metto a terra, vicino al loro cancello. Non penso che sia potente abbastanza da distruggerlo, ma lo danneggerà e sembrerà che un colpo di arma pesante abbia colpito l’entrata. Deve sembrare un attacco, capite? Devono credere di essere sotto attacco.”
“E come fai a metterlo senza che ti vedano?”
Umetto le labbra.
“Quando ci faranno entrare, tu,” accenno a Lucilla, “Mi starai davanti, mi coprirai. La sentinella sulla garitta non dovrebbe riuscire a vedermi quando sono esattamente contro la porta: in quel momento la appoggerò a terra. Sperando non la notino finché non richiudono il cancello.”
“E come fai a farla esplodere?”
Tolgo dalla faretra il telecomando. “Mai visto un film d’azione qualsiasi?”
“In convento non c’era la televisione.”
Jade storce di nuovo le delicate sopracciglia. “Anche quello era nella nostra caverna?”
“E in bella vista, pure.”
“Mah.”
“L’altra carica,” mostro la seconda, “Non so ancora come usarla. Magari ce la lasciamo dietro mentre cerchiamo di uscire, oppure la usiamo per aprirci un varco nel perimetro se passare di nuovo dal cancello per fuggire sarà complicato. O per farlo saltare del tutto se la prima carica non ha avuto abbastanza effetto.”
Il Procione ravvia i capelli neri e lisci al lato del viso. “Quindi noi andiamo fino al forte, loro ci fanno entrare, mentre entriamo tu mini il cancello, e poi?”
“Poi ragioniamo. Ci sarà un breve incontro, no? Vorranno sapere il perché e il per come, facciamo due chiacchiere, poi quando è il momento giusto faccio saltare la carica. Sigrid,” indico dietro di noi, al punto ormai distante oltre gli alberi dove Artemis è in posizione, “Sa che, quando salta la bomba, deve subito freddare la sentinella sulla garitta. Questo rafforzerà l’idea che siano sotto attacco.”
“E poi?”
“Nel trambusto che seguirà ci dovremo dileguare tra le casupole. C’è una delle nostre là in mezzo, la troviamo, la liberiamo. Se riusciamo a prendere anche la ragazza mezza africana, quella nella hot-box, saranno già due obiettivi conquistati.”
“E poi?”
“E poi vediamo, cazzo. Se capiamo che il tempo è finito cerchiamo di raggiungere l’entrata e filarcela, oppure usiamo l’altra carica per spaccare la recinzione elettrificata e fuggire da lì. In ogni caso dovrete correre, perché lì intorno è tutta pianura e se ci sparano addosso o ci vengono dietro siamo bersagli facili.”
Segue un silenzio di tomba.
Jade occhieggia nervosa, “Mercury,” la voce è sottile, stridula, “Ti offendi se dico che mi sembra proprio un piano di merda?”
“Può funzionare, invece. Quelle non capiranno tanto in fretta cosa sta succedendo, se siamo veloci possiamo farcela.”
“Saremo dentro a un fortilizio pieno di bastarde armate: è un attimo che si accorgono che stiamo cercando di fuggire con le vostre compagne e ci riempiono di proiettili.”
“Ricordati,” gesto da guru, “Che loro non sanno chi siamo veramente. Recitiamo bene, senza errori, e nel caos si dimenticheranno di noi. Poi Sigrid ci coprirà, ha una buona visuale. Le terrà inchiodate per un po’, possiamo farcela, credetemi. È difficile, è rischioso, ma possiamo farcela. Anche solo salvare due delle nostre è un fottuto passo avanti.”
Le guardo, loro guardano me.
Lucilla sorride, carica. “Possiamo farcela.”
“Questo è lo spirito giusto, cazzo.”
Jade scuote il capo, un brivido. “Io non voglio morire…”
“Non moriremo.” Radiosa guarda in alto, al cielo che si scorge solo a frammenti tra le chiome degli alberi. “Stiamo facendo la cosa giusta.”
“Io non voglio morire.”
“Non moriremo.” Guardiamo Lucilla inginocchiarsi a terra, lo sguardo spiritato sempre fisso alla volta, “Dio ci aiuterà perché stiamo facendo la cosa giusta.” Per un attimo, con le braccia legate al bastone, sembra il Cristo sulla Via Crucis.
Jade increspa le labbra, a metà tra fastidio e timore. “Chi sei, Madre Teresa?”
Le elargisco una manata dietro la nuca che è amichevole solo per metà. “Non la conosci, non sai cosa può fare.”
Tace, avvilita.
Lucilla si rialza, nello sguardo ha quella convinzione che è benzina sul fuoco della fame di vittoria, di un cambio di rotta. Di un gesto eclatante.
In qualche modo sento che andrà bene, lo sento, è come un calore che passa nelle vene, riscalda le viscere. Non lo so se Dio è dalla nostra parte, ma so che dalla mia parte io voglio Lucilla, la ex suora.
“Andrà bene,” sorrido, carica, “Forza e concentrazione. Andrà bene.”
“Ci ammazzeranno come pecore.”
“Mi piacciono le pecore. Pronte?”
Radiosa annuisce, Jade rotea gli occhi.
“Ce la puoi fare, ragazza. Pensa solo che tu sei tu e che stiamo consegnando una delle ultime arrivate. Nient’altro. Parla come parleresti di solito, fai tutto come se fosse una cosa normale. Okay?”
Respira a fondo, tutt’altro che convinta. “Okay.”
Rimetto la faretra in spalla, una carica in ciascuna tasca. Il telecomando lo infosso nel reggipetto. Tolgo dalla schiena l’arco e la faretra di Jade, glieli offro con gesto solenne.
“Mi sto fidando di te. Non farmene pentire.”
Lei mi guarda incerta. “Hai Francy in ostaggio: lo faccio solo per questo.”
“Mi sto fidando di te comunque.”
Attimo di nulla, poi annuisce appena; accetta le sue armi e le sistema a tracolla. I coltelli non glieli ridarò: va bene la fiducia ma non esageriamo.
“Andiamo allora.”
Giro sulla mano il guinzaglio, mi avvio con prigioniera al seguito ripetendomi che andrà bene, che Dio, anzi Lucilla, è con noi. Che andrà bene.
Che stiamo facendo la cosa giusta.
Che noi siamo le buone di questa storia e i buoni vincono sempre.
Che il mio è un piano di merda.
Che ci ammazzeranno come pecore.
“Come mi chiamo io?” Accenno verso Jade per spezzare il momento d’incertezza, di paura. “Come mi chiamo?”
Lei mi guarda stranita mentre cammina al mio fianco. “Mercury?”
Figurati.
“No, cretina. Mi chiamo Francy. Io sono Francy, Foxx, la Volpe.”
Espira, mesta. “Non ce la posso fare.”
Se questa perla d’attrice si sbaglia davanti alle Erinni può finire solo male.
Molto male.
Non ho un piano d’emergenza, solo una carica esplosiva da spendere al meglio.
Chissà se funzionano, tra l’altro.
“E come mai da fare la commessa di Zara sei finita qui?”
Sorride appena fissando il vuoto. “Ho perso il lavoro. Rubato delle cose in negozio. Non sapevo ci fossero le telecamere.”
“Ma sei una cazzo di ignorante.”
“Boh, è andata così.”
Frase già sentita.
La diciamo tutte, alla fine.
È andata così.
Davanti a noi gli alberi diradano sempre più e si apre la pianura, la distesa d’erba corta e verde bagnata dal sole del mattino.


***
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Messaggio Da Petunia Mar Ago 31, 2021 8:12 am

Qui il testo scorre che è una bellezza  @Fante Scelto  il personaggio di Lucilla/Radiosa ė una vera bomba 👍
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