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Oro giallo, oro nero

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Messaggio Da FedericoChiesa Sab Apr 24, 2021 11:43 pm

CAPITOLO I
  
Lo avevano trovato così, appeso a quell’albero al limitare del suo campo, o meglio, di quello che era stato il suo campo.
Vennero da tutto il paese, richiamati dal passaparola e, ora che arrivarono i Carabinieri, una piccola folla curiosa e mormorante si era ritrovata ad osservare la scena.
Il maresciallo lo esaminò con attenzione; la testa penzolava su un lato, gli occhi spalancati. Bretelle consunte sostenevano dei pantaloni diventati troppo larghi; una scarpa giaceva nel prato ai suoi piedi, caduta forse in seguito alle convulsioni prima che la morte lo cogliesse. ‘Contadino scarpe grosse e cervello fino’ pensò; grossa era grossa, la scarpa, ma non gli sembrò il cervello potesse essere molto fino.
L’appuntato gli indicò un uomo, sulla quarantina; la somiglianza era notevole, ma era più in carne e vestito decisamente meglio.
“E’ lei Giacomo Spera?” domandò il maresciallo.
“Si.”
“Andrea è suo fratello?” disse volgendosi verso il cadavere.
“Si.”
“È stato lei a trovarlo?”
“No.”
Immerso in un’atmosfera ovattata ed irreale, Giacomo rispondeva a monosillabi a queste raffica di domande che rimbombavano nella sua testa, guardando il maresciallo con uno sguardo assente. Una voce alle spalle lo venne in suo soccorso.
“L’ho trovato io; passo spesso di qui nella mia passeggiata giornaliera.”
Il maresciallo si voltò; un ometto vestito di nero lo guardava con occhi vispi.
“Don Sergio, don Sergio Ferrari, parroco di Albalunga. Conosco bene i signori; forse posso esserle di aiuto io. Se mi segue in canonica, le racconto la storia.”
“Carmelo, quando avete finito qui passa a prendermi alla chiesa”, e si avviò con il prelato, mentre i pompieri si accingevano a tirar giù il corpo del poveretto sotto lo sguardo vigile dell’appuntato.
“Ci siamo quasi; è la chiesa di Santa Maria Maddalena” attaccò il prete, camminando a una incredibile velocità, considerando quelle corte gambette. “È rappresentata con un serpente in mano, simbolo della sua vittoria sul peccato, ma qui la invocano come protettrice contro gli animali velenosi, molto frequenti in questa zona.”
“Cosa può avere spinto quell’uomo ad un gesto così estremo?” il maresciallo doveva bloccarlo subito. Già gli era capitata questa rogna di sabato pomeriggio; non poteva anche sorbirsi i racconti estemporanei di un prete di campagna che doveva far passare il tempo fino alla messa serale.
“È cominciato tutto quando sono tornati dalla guerra …”


 


 CAPITOLO II
 
Si accese una sigaretta ed iniziò a passarla nervosamente da un angolo all’altro della bocca.
“Non ho la minima intenzione di prendermi cura di lui come fosse un bambino”; in cucina, Andrea si sfogava con Antonia. “Non dopo tutto quello che ho passato.”
“Lo sai che ha qualche problemino.”
“Problemino? Quello ci marcia solo su! Non iniziare a ragionare come i miei che lo hanno sempre difeso e non gli hanno mai fatto prendere alcuna responsabilità. I suoi problemi sono dovuti al modo in cui è stato educato; ci voleva maggiore disciplina e anche qualche bella punizione in più!”
Era tornato dall’incontro con il notaio irritato ed amareggiato; la casa era stata divisa in due, un piano ciascuno, e questo gli stava bene. Anche il campo, quello che solo lui lavorava, era stato diviso in due; ma la parte buona, con la terra fertile, era stata lasciata a Giacomo, che neanche sapeva come trattare. A lui era toccata la parte vicina all’Oglio, dove il fiume aveva depositato sabbie chiare e scintillanti su uno spesso strato argilloso, rendendone povero il terreno.
“Sono anni che il campo lo lavoro io, spezzandomi la schiena per far rendere un poco anche la parte meno fertile, ed ora mi ritrovo solo con quella. Le poche volte che mi aiuta, si stufa dopo poco, e se ne torna a bighellonare per il paese.”
“Qualche problema ce l’ha, altrimenti non avrebbe a mala pena finito solo la terza media” replicò Antonia. “Almeno tu sei riuscito a prendere il diploma.”
Era vero; era stato così orgoglioso quando i suoi l’avevano iscritto al Regio Istituto Tecnico Agrario Giuseppe Pastori, a Brescia. Due anni dopo vi avevano mandato anche Giacomo ma, neanche passato un trimestre, ne era stato espulso per scarso rendimento e condotta irrequieta. Da allora i genitori avevano perso interesse anche per i suoi risultati scolastici, per non creare frustrazione al fratellino ‘vittima innocente di quell’Istituto che non aveva saputo gestire il comportamento di un ragazzo un po’ esuberante’.
“Alla fine, quello coccolato e protetto era sempre lui, anche se a darsi da fare ero io!”
Sembrava che la rabbia covata in tanti anni venisse a galla tutta d’un colpo; insieme all’invidia.
Guardò Antonia, nella penombra, indaffarata a preparare la cena alla stufa, i capelli raccolti sotto un triste foulard, le ciabatte lise da cui spuntavano grigi calzini di lana; gli sembrò sciatta come non mai. Si erano sposati subito prima che partisse per il fronte, in Egitto, regolarizzando la sua posizione dopo anni di fidanzamento, come conveniva ad un ragazzo timorato di Dio.
E suo fratello invece? Spedito in Jugoslavia se ne era tornato indietro quattro anni dopo con una slava, bionda come il grano, con due gambe che arrivavano fino a lì ed un seno che il vestito faticava contenere; neanche si erano sposati. Ed il padre, rimasto vedovo, non aveva aperto bocca, accettando la situazione e vivendo insieme a loro al pian terreno di quella casa che ora il notaio aveva equamente diviso, secondo la volontà del genitore defunto.
 
Per colpa di quella donna aveva fatto anche la figura del fesso in paese, e pure con sua moglie.
Non erano passati neanche due mesi da quando Ankica era arrivata; Andrea aveva quasi finito di confessare i soliti peccatucci settimanali, ma ce n’era ancora uno che gli era rimasto nella strozza e si vergognava a parlarne. Alla fine, aveva preso il coraggio a due mani: “… ancora una cosa”, aveva detto al don Sergio.
Il prete si era seduto di nuovo in attesa che sputasse il rospo.
“Ogni volta che esco da casa, non riseco ad evitare di gettare un occhio nella casa di mio fratello, sperando di vedere Ankica. Una volta l’ho colta a cambiarsi, sbirciando tra le persiane socchiuse, nella penombra della camera; don Sergio, sono rimasto lì a godermi lo spettacolo!”
“Non desiderare la donna d’altri; questo ti costerà altre tre Ave Maria. … è la moglie di tuo fratello; facciamo quattro!”
Don Sergio aveva sorriso tra sé e sé; non solo non era la moglie del fratello, ma probabilmente non c’era in paese nessun uomo sotto gli ottanta che non avesse fatto gli stessi pensieri su quel bel pezzo di femmina.
Fatto sta che il suo segreto, confessato con imbarazzo, era diventato in breve di pubblico dominio, oggetto di battute e risate. Era stata Antonia a non prendere la cosa con troppo spirito, e gli era toccato dormire più di una settimana sul divano per purgare anche con lei i suoi pensieri peccaminosi.
 




 CAPITOLO III
  
“Perché con facciamo scambio? Ti pago la differenza; lo capisco bene che la tua parte rende di più della mia.”
Giacomo lo guardava, ma i suoi occhi lasciavano trasparire un completo disinteresse.
Andrea riattaccò: “Ho valutato che la differenza potrebbe essere 500.000 Lire; che ne dici? Magari facciamo a rate, man mano che vendo i raccolti.”
Lo diceva quasi col magone. Erano tempi duri per tutti, finita la guerra ed iniziato il lento cammino della ricostruzione. Dove li avrebbe trovati quei soldi non lo sapeva, ma voleva provarci.
“E che me ne faccio di 500.000 Lire?”
Giacomo l’avrebbe venduto volentieri il campo, ma suo fratello non c’aveva i soldi, neanche a pagarlo a rate; lo sapeva, lui.
Avesse potuto, l’avrebbe venduto ad altri e ne avrebbe raccattato almeno il triplo e allora sì che avrebbe potuto aprire un emporio, come voleva l’Ankica, magari a Borgo San Giacomo, dove qualche anima in più la si vedeva.
Ma il padre era stato chiaro nel testamento: “Si impossibilita un fratello a vendere la sua porzione di terreno a terze parti finché l’altro fratello è ancora in vita.” Perché il padre lo difendeva, ma non era stupido; temeva che la prima cosa che Giacomo avrebbe fatto sarebbe stata sbarazzarsi di una fonte di reddito sicura e bruciare il ricavato nel giro di qualche anno.
Ma a lui, di fare il contadino non gli andava. Arava, seminava, raccoglieva quel tanto che gli bastava a sbarcare il lunario. Sapeva che avrebbe potuto farlo rendere di più se solo ci avesse dato dentro, ma lui voleva anche godersi la vita. No, non era un mestiere per lui.
Un bell’emporio sì, però. Ci avrebbe lasciato l’Ankica a gestirlo, tanto quelle slave erano abituate a lavorare anche per i loro mariti. Con un vestito un po’ corto e scollato avrebbe attirato clienti meglio delle mosche sul miele; mica era geloso lui, finché la gente si limitava al guardare e non toccare.
 
Andrea, al contrario, si recava tutte le mattine al suo campo, percorrendo la strada che collegava il paese al fiume. Gli rodeva il fegato dovere attraversare prima il terreno di suo fratello e vedere che continuava a dare raccolti abbondanti, seppur quasi abbandonato a sé stesso.
Allora spesso attraversava il ponte costruito proprio dove in antichità vi era un porto-traghetto che collegava la riva bresciana a quella cremonese. Si sedeva sulla sponda di là e guardava, Albalonga crogiolarsi beata al sole, e guardava il suo campo, affacciarsi alle sponde dell’Oglio; quel corso d’acqua, dispensatore di molteplici opportunità, amico generoso per chi non lesinava fatica e sudore, era stato così avaro con lui!
Addirittura, nei secoli addietro alcuni avevano intravisto nelle sabbie chiare e luccicanti dei suoi greti, minuscoli bagliori che i raggi solari facevano riverberare tra le finissime rene. Non v’era stato dubbio; era oro. La febbre era salita, fino a scatenare una piccola corsa al metallo giallo, presto finita. Ed ora, a due secoli di distanza, nessuno se ne ricordava già più.
E lì gli venne l’idea; era quella giusta, ne era sicuro. Mancava solo la cassa di risonanza che ne divulgasse la notizia.
 
“Don Sergio, ha presente che il fiume fa quell’ansa, lì vicino al ponte, proprio al mio campo? Tenga la cosa riservata, ma ho trovato una bella quantità di pagliuzze d’oro tra le sabbie che si sono depositate li.”
Ecco il megafono, pensò Andrea; quell’ometto non si teneva per sé quello che la gente gli diceva in confessionale, figurati quello che gli raccontava al bar!
Due giorni prima era andato al ferramenta: “Una lima, per favore.”
“Per legno o per ferro?”
“Per metallo, grazie.”
“Fine?”
“Non troppo!”
Tornato a casa, aveva preso le tre monete d’oro che il nonno gli aveva lasciato e, con un poco di tristezza nel cuore, le aveva ridotte in polvere.
Poi era partito per il suo campo, e lì aveva scelto dove spargere i preziosi granelli, stando attento a non farseli portare via dalle acque.
Aveva studiato anche come fare per recuperarli. Si era fatto arrivare alla libreria di San Giacomo il “Trattato mineralogico” di Giambattista Brocchi, dato alle stampe nel 1807, che riportava in merito questa memoria: “Alcuni contadini di Albalunga, villaggio posto sulle rive dell’Oglio, si erano avvisati ne’ tempi trascorsi di mettere a profitto questa sorta di ricchezza. Il metodo di cui si valevano per separare dalle particelle pietrose i grani d’oro era semplicissimo. Esso consisteva nel fare scorrere il materiale aurifero, stemperato nell’acqua, sopra una tavola inclinata, su cui erano praticati di spazio in ispazio alcuni tagli obbliqui nel senso della sua larghezza. Le pagliette fermavansi in queste scannellature, mentre l’acqua trasportava le parti meno pesanti.”
 
Così quando quel giorno si avviò come tutte le mattine verso il campo, tenendo sotto braccio gli attrezzi necessari, i compaesani, con discrezione, si voltarono a guardarlo.
Raccoglieva l’acqua dal fiume con un catino e seguiva alla lettera le istruzioni del Brocchi. All’inizio niente; non era facile come sembrava. Temeva in cuor suo di non riuscire nell’impresa e diventare il breve lo zimbello del paese. L’Andrea, fingendo indifferenza, aveva notato che dall’altra parte del fiume, nascosti tra le fronde dei cespugli, molti occhi lo seguivano, di sottecchi, soppesando con attenzione ogni suo movimento.
Pian piano, qualche giorno dopo però, qualcosa apparve, o meglio sarebbe dire, riapparve da quelle sabbie dove le pagliuzze erano state messe ad arte.
 




CAPITOLO IV
 
 “Perché con facciamo scambio? Ti pago la differenza; lo capisco bene che la tua parte rende di più della mia, ora.”
Andrea lo guardava, lasciando che i suoi occhi trasparissero disinteresse, ma in cuor suo gongolava ed il cuore gli batteva a mille.
“Ci penserò. Sai per ora la ricerca sta fruttando bene, ma non posso assicurarti che duri in futuro”; fingeva anche altruismo, dando lenza per tirare il tonno dove voleva lui. “Mi sento in difficoltà a chiederti anche dei soldi!”
“Andrea, tanto lo sai che non sono contadino io. Se a te va bene, io sono contento così. Ti darò il 10% dell’oro che recupero.”
E rimasero d’accordo così.
 
Antonia non era d’accordo.
“Hai cercato di tenermi all’oscuro perché avevi la coscienza sporca!”
“All’oscuro? Ma se tutto il paese ne parlava! Ma non vedi come ha lasciato andare in rovina il suo campo! A lui non fa nessuna differenza. Vuole una miniera d’oro? Io gliela do!”
“Ma non è così che aveva deciso tuo padre!”
“Sempre tutti dalla sua parte siete. Meno fa e più gli piovono grazie dal cielo!” Andrea non ne poteva più.
“Se ne va in guerra e ti torna con una donna da far girare la testa ai cadaveri! Si ritrova tra le mani un campo che è veramente una miniera d’oro e non se ne cura! Ed ora, il Signore gli manda anche un figlio, mentre sono anni che noi ci proviamo senza riuscire!”
La fulminò con lo sguardo, convinto che la colpa fosse di lei, così trascurata, così dismessa.
“Comunque, domani siamo dal notaio. Mi riprendo solo ciò che mi è dovuto; la decisione è presa!”
Approfittando del cambio di luna, Andrea sgusciò fuori in silenzio, nell’oscurità più assoluta, e si recò al suo campo.
Vi nascose di nuovo le pagliuzze che aveva recuperato per dare credibilità alla storia ed un po’ di soddisfazione a quell’ingenuo di suo fratello. Non tutte però; una parte la tenne per sé, per ricordo, o forse per avidità.
 
Mai lo aveva visto lavorare così duramente in tutta la sua vita, ma subito dopo avere preso possesso di quel campo, aveva iniziato a sgobbare sulle rive del fiume dall’alba al tramonto.
Andrea lo guardava; anche lui si doveva dar da fare a lavorare quel terreno per troppo tempo trascurato.
Ma se più Andrea si adoperava più il suo campo diventava produttivo, più passavano le settimane meno oro riusciva a trovare il povero Giacomo, nonostante aumentasse di continuo gli sforzi profusi.
Si era anche comprato una bateia, sperando che il nuovo metodo portasse più frutti; per ore, con i piedi immersi nelle acque, imprimeva a quella scodella larga e poco profonda un ritmico movimento rotatorio nella speranza che le pagliuzze più pesanti restassero sul fondo, visibili e catturabili.
Ma anche con questo sistema i risultati scemarono, finché un giorno, recuperato il recuperabile, Giacomo dovette gettare la spugna; l’entusiasmo scemò e quel campo, già poco fertile, trascurato, andò in stato di abbandono.



VADO AVANTI?
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Messaggio Da digitoergosum Dom Apr 25, 2021 7:24 am

Si, vai avanti, per cortesia. Ma con capitoli non più lunghi di questi. È scritto bene, mi sono inciampato in qualche virgola, ma poche. La storia è coinvolgente. Bravo.
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Messaggio Da Susanna Dom Apr 25, 2021 1:41 pm

Certo che devi andare avanti, ma ricordati che devi commentare anche il lavoro di un alto autore e mettere lo spoiler all'inizio o alla fine del tuo racconto.


Ultima modifica di Susanna il Dom Apr 25, 2021 2:01 pm - modificato 1 volta. (Motivazione : Tranquilo, non è un rimprovero: è capitato anche a me e adl altri di scordare questo passaggio, poi diventa prassi. Aspettiamo il resto.)

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Messaggio Da Susanna Dom Apr 25, 2021 4:42 pm

Caro Federico, ho letto con piacere il tuo racconto: la scrittura è scorrevole, piacevole e aspetto il proseguo, la trama mi pare interessante. Hai dato un ritmo giusto alle vicende, senza esagerare con le spiegazioni, anche il lettore deve metterci un po' del suo.
Devo però farti notare un uso eccessivo dei ";": molti andrebbero sostituiti con una semplice"," altri con dei ":", a mio parere. Alcune frasi girano meglio con una interruzione breve.
Ti segnalo anche 500.000 Lire, lire la metterei con la lettera minuscola, alcuni preferirebbero anche la cifra in lettere. Stona anche il c'aveva i soldi.
Spero tu non te ne abbia: se leggerai ad esempio i commenti degli utenti ai racconti delle rooms, vedrai che arrivano tanti suggerimenti utili per rivedere i propri racconti. E' questo il bello e l'utile di questo forum: si ragiona, ci si confronta e si impara.
Buon proseguimento!

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Messaggio Da FedericoChiesa Dom Apr 25, 2021 4:47 pm

Grazie, i commenti sono sempre graditi.
Lo so, sono in fanatico del punto e virgola.

Ne approfitto per qualche domanda.
Cos'è lo spolier all'inizio e alla fine del racconto? Come si mette?
Per aggiungere gli altri capitoli devo aprire un nuovo forum o li scrivo qua sotto?
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Messaggio Da Susanna Dom Apr 25, 2021 5:12 pm

FedericoChiesa ha scritto:Grazie, i commenti sono sempre graditi.
Lo so, sono in fanatico del punto e virgola.

Ne approfitto per qualche domanda.
Cos'è lo spolier all'inizio e alla fine del racconto? Come si mette?
Per aggiungere gli altri capitoli devo aprire un nuovo forum o li scrivo qua sotto?
Le istruzioni e le ragioni dello spoiler le le trovi all'interno del regolamento di DT (lettura interessante e utile per entrare bene in sintonia con questa "famiglia": caricare lo spoiler è semplice, ci sono riuscita pure io :12:e se leggi qualche altro racconto lo vedrai in testata di racconto o alla fine, così ti rendi meglio conto (io ho fatto così).
Per continuare il racconto puoi operare come hai fatto per questi primi capitoli. Se navighi un po' tra i racconti dovrebbero esserci altri utenti che hanno caricato a rate.
Oppure caricarlo come racconto progressivo, nell'apposita sezione: ne stavo giusto iniziando a leggerne uno.

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Messaggio Da digitoergosum Dom Apr 25, 2021 5:26 pm

Io ancora non ho capito come mettere lo spoiler dal cellulare o dal PC. Copio (a volte dimentico) il link al racconto che ho commentato e lo metto in cima. Prima o poi impareremo. E comunque, sebbene sia corretto non approfittarne e abusarne, gli amministratori arriveranno a consigliarti e a soccorrerti.
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Messaggio Da Petunia Dom Apr 25, 2021 5:55 pm

Ciao Federico! Il tuo è un racconto “a puntate”. C’è una sezione apposita per pubblicare questo genere.
Sarà più facile seguirti...
Per lo spoiler ti dico come faccio io. Nell’editor clicca sull’icona (quaderno ad anelli con cartello triangolo giallo e punto esclamativo nero). Si apre una finestra con scritto Titolo (opzionale) 
Prova spoiler:
una volta aperta la finestra si presentano due scritte tra parentesi quadre.
Incolla il testo tra le due parentesi e il gioco è fatto. Più facile a farsi che a dirsi.
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Messaggio Da FedericoChiesa Dom Apr 25, 2021 6:01 pm

CAPITOLO V

La notizia era trapelata almeno un decennio prima, ma l’imminente guerra ed il rapporto di sudditanza rispetto alla Germania, avevano consigliato di tenere segreta la scoperta, considerando soprattutto che, in barba alla tecnologia tedesca, ci si era avvalsi della consulenza dell’americana Western Geophysical dell’ingegner Enrico Salvatori, Henry dopo che si era trasferito in Pansylvania. Avevano lavorato con enormi difficoltà anche durante la guerra, tra tedeschi, fascisti, partigiani e bombardamenti. Ma ora, qualche anno che dopo tutto era terminato, i giornali ne avevano dato eco; l’AGIP, l’Azienda Generale Italiana Petroli aveva iniziato a concentrare le sue attenzioni sulla Val Padana. E pian piano, numerosi giacimenti di metano venivano scoperti qua e là, perfezionando via via le tecniche e aumentando via via la profondità.
Caviaga, Cortemaggiore, Bordolano; le maglie delle ricerche si stringevano intorno ad Albalunga, mese dopo mese, con una velocità ed un entusiasmo crescente. 

“E’ lei il proprietario del campo?”
“Si sono io”.
“Potrebbe venire qua un attimo?”
Un uomo, lo attendeva al bordo del suo terreno; con il sole alle spalle, quella figura con un elmetto in testa e stivali militari, gli fece correre un brivido lungo la schiena, ricordo degli anni trascorsi in guerra. Una squadra di tre o quattro persone vestite allo stesso modo, subito dietro di lui aggravò questa sensazione.
“Dobbiamo eseguire delle misurazioni. Abbiamo l’autorizzazione” e gli mostrò un foglio pieno di timbri e firme che ripiegò senza neanche lasciargli il tempo di capire di cosa si trattasse.
“E quello là in fondo?”
“E’ di mio fratello, Giacomo”.
“Può dirgli di venire?”
“Non ce n’è bisogno; a quest’ora dormirà ancora. Ve lo do io il permesso”.
Senza aspettare oltre, il piccolo drappello, iniziò a procedere a pettine, distanziati gli uni dagli altri, preparando precisi reticolati, segnando i punti sulle mappe della zona, posizionando appositi strumenti sul terreno. Poi, di tanto in tanto, piazzavano un tubo e vi inserivano piccole cariche di dinamite. Ad Andrea sembrava di essere tornato al fronte; il terreno tremava per qualche secondo. Poi recuperavano gli strumenti, procedevano oltre e ripetevano da capo l’operazione.
Finirono la sera, ma il giorno dopo erano ancora in zona, qualche centinaio di metri più in là, e così andarono avanti per qualche settimana.
La sera, in paese, non si parlava d’altro, ma nulla trapelava sui risultati delle misure.

Fu dopo due o tre settimane che lo chiamarono a comparire. Avevano organizzato un incontro negli uffici del municipio di Borgo San Giacomo. Dietro al tavolo c’erano schierate quattro persone; c’era anche il sindaco, da un lato. Era l’unico che conosceva; ne cercò lo sguardo, sperando di esserne rassicurato. Era solo Giacomo; suo fratello lo avevano chiamato più tardi. Gli sembrava di essere di fronte ad una commissione d’esame.
Prese la parola un signore, troppo elegante per essere della zona; si presentò come legale dell’AGIP, incaricato direttamente dal Ministero dello Sviluppo Economico, Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche.
“E’ lei Giacomo Spera, proprietario del terreno particella 12, foglio 3 ad Albalonga, frazione di Borgo San Giacomo?”
Iniziò a sudare; prese la cartelletta con l’atto di proprietà che gli aveva lasciato il notaio. Corrispondeva. “Sì, sono io” rispose con la bocca talmente impastata che dovette confermare con un cenno del capo.
L’avvocato spiegò brevemente lo scopo dell’incontro, le misurazioni, gli obiettivi, i risultati.
Poi iniziò a leggere, come una macchinetta, senza mangiare le parole ma scorrendo le righe veloce in alcuni punti e rallentando in altri, di tanto in tanto, per accentuare le frasi importanti.
“Visto l'art. 42 della Costituzione nella parte in cui prevede che la proprietà' privata può, salvo indennizzo, essere espropriata per motivi di interesse generale;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica del … in materia di espropriazioni per pubblica utilità;
Visto il decreto pubblicato nel Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse;
Ritenuto pertanto necessario e urgente legittimare l'espropriazione da parte del concessionario dell'area in argomento, nonché disporre un adeguato corrispettivo economico a favore del proprietario, ….
Decreta: 
A favore della società' AGIP, con sede legale in …., rappresentante per la concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, è disposta l'occupazione permanente del terreno situato nel comune Borgo San Giacomo indicato nel piano particellare allegato.
Ai sensi dell'art. …. è dovuta al proprietario una indennità pari a due milioni cinquecentomila lire. 
Il proprietario dell'immobile, entro il termine di trenta giorni dalla data odierna, …. di non accettare l'indennità proposta con il presente atto, …”
Giacomo non ascoltava più. Non aveva capito molto ma quando aveva sentito quella cifra, due milioni cinquecentomila lire, la sua mente aveva iniziato a fluttuare leggera, eterea, in quella stanza dandogli quasi la sensazione che anche il corpo la seguisse. Non accettare l’indennità proposta? Fare ricorso alla Presidenza del Consiglio? Ma fosse stato matto!
Firmò! Firmò subito, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro, cercando solamente di darsi un contegno di fronte a quella distinta platea.

Incrociò suo fratello mentre usciva: lui entrava. Sarebbe stata la stessa scena? Di sicuro suo fratello con quella cifra ci avrebbe comprato un altro campo, magari grosso il doppio. Lui no.
Pioveva a dirotto nella piazza, ma prima di tornare verso casa si diresse due isolati più in là. C’era il cartello vendesi. Tre vetrine che davano proprio sull’angolo, il posto ideale per un piccolo emporio. Dall’altro lato della strada si fece nella testa una fotografia; era lui, all’uscio e nella penombra si vedeva Ankica, alla cassa. Fuori splendeva il sole.

“Te l’avevo detto io!”
Proprio non la sopportava quando faceva così. La pioggia continuava dalla mattina, ma aveva bisogno di sbollire. Se l’Antonia gli avesse detto ancora una volta “Te l’avevo detto io!” le avrebbe messo le mani addosso.
Non era andata così male poi; aveva ancora il suo campo, quello buono.
E invece, tornato a casa, si era solo sentito dire “Te l’avevo detto io!”.
Seguito da: “Ha veramente trovato l’oro in quel campo, tuo fratello” e “Così impari a fregare tuo fratello; è tuo padre dall’alto che te la pagare!”
Uscì solo. Dalla finestra al pian terreno si udivano ancora gli schiamazzi del nipotino, eccitato per la festicciola a celebrare il colpo di fortuna.
Se nel campo di Giacomo ci avrebbero messo un pozzo per l’estrazione del metano, in qualche modo dovevano poi pure portarlo via. Lo avevano condito un po’ via; sarebbe stato una pedina di un grosso progetto per la posa di condotte, con attraversamento di più di grandi vie di comunicazione stradali, di linee ferroviarie e la costruzione di ponti sospesi sopra i grandi corsi d'acqua. Progetto di interesse nazionale!
Non potevano mica espropriarli tutti quei terreni. Quella era stata la proposta; pagamento di un indennizzo per la servitù di passaggio, con occupazione temporanea di una parte del suo terreno. Non era mica male l’indennizzo poi. Certo una parte del campo non avrebbe più potuto coltivarla. Cosa gli avevano detto? Un quarto, forse meno.
E i suoi vicini? Avevano accettato anche loro, e ne erano pure stati contenti.
Che sua moglie non si lamentasse! Ma qualcosa rodeva anche a lui, nel fondo della sua anima.

Don Sergio aveva preparato una gran festa sul sagrato il giorno in cui il gas aveva iniziato ad uscire dal pozzo; più di duemila metri, duemila e uno per l’esattezza avevano dovuto perforare in profondità. Le misurazioni avevano sbagliato solo di una decina di metri.
“Certo che te e tuo fratello siete stati ben fortunati” attaccò don Sergio prendendo Andrea sottobraccio.
“Soprattutto tuo fratello”. Ed una vampata di calore assalì Andrea.
Giacomo si era già preso il negozio; gli era bastato presentare in banca il contratto con l’AGIP e subito gli avevano mollato i soldi. E gli affari andavano proprio bene, sotto lo sguardo vigile dell’Ankica; ci sapeva proprio fare quella donna.
“Ma anche tu non puoi lamentarti; porti a casa dei bei soldini!” riattacco il parroco.
In effetti a far bene i conti, non poteva lamentarsi. Certo la parte di terreno dedicata alle condutture era andata ben oltre il quarto promesso, ma era riuscito a farsi riconoscere qualche cosa in più.
“Speriamo che duri ora”.
A questa frase l’Andrea non poté esimersi dal mettersi la mano libera in tasca e, fingendo indifferenza, toccarsi gli attributi che, conoscendo la fama di menagramo del prelato, avevano iniziato a girare vorticosamente.



CAPITOLO VI

“Corri, corri. Andiamo a vedere!”
Giacomo e Andrea corsero insieme a tutto il paese.
Fu comunque inutile. Tutta la zona venne transennata, per evitare ai curiosi di avvicinarsi, anche se infine non ce ne sarebbe stato bisogno; le fiamme, altissime, sviluppate da quel cratere in eruzione, erano visibili da tutti i paesi vicini, fino a qualche decina di chilometri di distanza e la colonna di fumo anche da ben più lontano.
Non era passato neanche un anno.
Ci furono indagini, ma non si capì mai cosa avesse scatenato il grande incendio che interessò nel 1952 il pozzo di metano di Albalonga.
Anche l’Istituto Luce era venuto a riprendere l’evento. Nelle settimane seguenti, tutti i giornali ne parlarono e pure la Domenica del Corriere gli dedicò la copertina, con l’illustrazione di Walter Molino a piena pagina.
Per spegnerlo, quasi un mese di operazioni. “Il fuoco spento col fuoco”; questo era il titolo che capeggiava in quella Domenica del Corriere, dedicata quasi interamente al tragico evento. Dovette arrivare uno specialista, un tecnico americano, Michael Myron Kinley, per portare a termine quel difficile compito. Aveva piazzato una carica di tritolo, fatta esplodere a filo del terreno, e lo spostamento d’aria e di terra era riuscito a domare le fiamme, che ormai avevano raggiunto i cento metri di altezza. E pensare che all’inizio avevano creduto fosse pazzo a portare dell’esplosivo così vicino al centro della catastrofe, ma alla fine era stato davvero l’unico rimedio. E Michael, da pazzo, era diventato eroe, guadagnandosi il titolo di ‘mangiafuoco’.
Non era morto nessuno, ma lo spavento era stato terribile e l’impatto sui terreni intorno devastante, per diversi chilometri.

“Maresciallo, il corpo è stato portato all’obitorio. Noi abbiamo finito”. Carmelo si era affacciato alla sacrestia.
“Capisce maresciallo, il poveretto ha provato ancora a vangare, dissodare, seminare quel campo maledetto, ma non era più riuscito neanche a cavarci patate
Non che Giacomo ne avesse alcuna colpa, ma ogni sera quando rientrava a casa, gli era risultava sempre più pesante vedere come la fortuna aveva arriso a quel fratello che in gioventù, al contrario, ne aveva dati di grattacapi; una bella moglie, un figlio ed un altro in arrivo, un negozio avviato.
Al contrario la sua vita gli appariva ora vuota. Lo si vedeva spesso andare in giro senza meta, la testa assente, a volte tornare alticcio dalla fiascheria. Per non parlare delle sfuriate tra lui e la moglie. Deve essere arrivato al limite!”
“Grazie padre”. Non riuscì adire altre parole.
Quel caso, nato come una scocciatura, gli aveva lasciato una insostenibile pesantezza nel cuore, e non sarebbe bastata una dormita quella notte a portarla via.

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Messaggio Da FedericoChiesa Dom Apr 25, 2021 6:03 pm

Petunia ha scritto:Ciao Federico! Il tuo è un racconto “a puntate”. C’è una sezione apposita per pubblicare questo genere.
Sarà più facile seguirti...
Per lo spoiler ti dico come faccio io. Nell’editor clicca sull’icona (quaderno ad anelli con cartello triangolo giallo e punto esclamativo nero). Si apre una finestra con scritto Titolo (opzionale) 
Prova spoiler:
una volta aperta la finestra si presentano due scritte tra parentesi quadre.
Incolla il testo tra le due parentesi e il gioco è fatto. Più facile a farsi che a dirsi.
Ciao.
Hai ragione; la prossima volta nel caso uso l'altra sezione.
Per ora lo chiudo qui, dove l'ho iniziato.
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Messaggio Da Susanna Dom Apr 25, 2021 10:35 pm

Bene, ho letto volentieri anche la seconda parte e confermo la piacevolezza della scrittura: semplice, misurata, con un bel ritmo e tieni il lettore fino alla fine.
Bravo.
Ora ti aspettiamo nella prossima stanza! Una sfida!

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Messaggio Da digitoergosum Dom Apr 25, 2021 11:08 pm

Susanna ha scritto:Bene, ho letto volentieri anche la seconda parte e confermo la piacevolezza della scrittura: semplice, misurata, con un bel ritmo e tieni il lettore fino alla fine.
Bravo.
Ora ti aspettiamo nella prossima stanza! Una sfida!

Lasciate ogni speranza, o voi che entrate...nella stanza...
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Messaggio Da Susanna Dom Apr 25, 2021 11:24 pm

digitoergosum ha scritto:
Susanna ha scritto:Bene, ho letto volentieri anche la seconda parte e confermo la piacevolezza della scrittura: semplice, misurata, con un bel ritmo e tieni il lettore fino alla fine.
Bravo.
Ora ti aspettiamo nella prossima stanza! Una sfida!

Lasciate ogni speranza, o voi che entrate...nella stanza...
mi sa che alla fine saremo dentro ad un labirinto! Però ci saremo tanto tanto divertiti, e le celluline grigie saranno euforiche, stremate ma euforiche. Digito non mi sono scordata del tuo racconto, arrivo col commento

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Messaggio Da SisypheMalheureux Lun Apr 26, 2021 9:33 am

Che bel racconto.
Certo che questo parroco non sa proprio tenersi nulla per sé!
È una storia semplice che però ha il potere di incuriosire il lettore e si arriva alla fine senza mai stancarsi.
Ti segnalo solo questa frase: "ora che arrivarono i Carabinieri, una piccola folla curiosa e mormorante si era ritrovata ad osservare la scena."
"Ora che arrivarono" non credo sia corretto.
Sostituirei con qualcosa del tipo : "All'arrivo dei carabinieri una piccola folla si era già radunata..."
Occhio che c'è anche qualche piccolo refuso, soprattutto nella seconda parte.
Comunque complimenti!

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Messaggio Da gemma vitali Lun Apr 26, 2021 3:45 pm

Un bel racconto. A volte tra fratelli sorgtono rivalità difficili da colmare e tu hai saputo ben descrivere il rapporto dei due fratelli di cui uno fortunato, l'altro scalognato. Di alcune piccole imperferfezioni nellaq forma  ti hanno già fatto notare, potrai eliminarle rileggendo. Io metterei qualche dialogo in più e allergherei un po' la storia, perchè prende il lettore e scorre che è un piacere con quel tocco di ironia  che non guasta mai. È stato un piacere leggerti. flower
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