L'amore ti consuma.
L'amore ti rende folle, ti rivolta le membra, ti fa dire bugie, ti fa correre, ansimare. Ti fa perdere la testa, la calma, il tuo passato.
L'amore ti consuma e poi ti fa rivivere.
E quando ti muore, l'amore?
Cosa fai, quando ti muore il tuo amore, il tuo unico immenso grandissimo amore, cosa fai?
Cosa?
Respiri.
Continui a respirare, respiri e ti guardi intorno, respiri e combatti, respiri e aspetti. Alle volte respiri e basta, anche se vorresti smettere. Ma aspetti.
Aspetti quel giorno, il tuo giorno. E quel giorno arriva, se solo riesci a respirare abbastanza a lungo per affrontarlo viva.
Io so aspettare.
Sono paziente. Resisto, io.
Come ogni donna, come ogni documentarista. So aspettare. So girarmi sulla scena migliore, prendere l'inquadratura migliore. Aspettare l'istante perfetto.
Lo so fare, sì.
Oggi sono bella. Ci ho messo del tempo a prepararmi, come se mi preparassi per lui, per il mio amore.
Mentre mi truccavo ho riso davanti allo specchio, ho riso forte.
Mi trucco per vendicare il mio amore, e allora sì, è come se mi preparassi per lui.
Sarebbe stato bello invecchiare insieme, è vero, ma non ci ho mai creduto. Quando lotti per un ideale, la vecchiaia non rientra tra le aspettative. Non pensi al domani, non puoi.
Riesci a pensare alle prossime ore, e mai con la certezza di arrivarci. Alla fine smetti di pensare al tempo. Impari a godertelo.
Roberto Quintanilla Pereira , lurido verme, vorrei sputarti in faccia, prima di ammazzarti. Vorrei sputarti per tutto quello che mi hai tolto. Per tutto quello che hai tolto a tanti. Ma non ci sarà il tempo, no. Purtroppo no.
Indosso la parrucca e mi guardo per un ultima volta nello specchio. Perfetta. Il dolore mi fa luminosa, abbagliante. Perfetta.
Le mani non tremano, lo sguardo è fermo.
Non importa cosa avevo fino a ieri. Era poco, non era mio, ma mi rendeva felice.
Oggi importa solo la vendetta.
Io sono Imilla, la rivoluzionaria. Non Imilla la vedova, non Monika la tedesca. Imilla la rivoluzionaria.
Ad Amburgo fa freddo, rabbrividisco mentre attendo di entrare nell'edificio. Affondo le mani nelle tasche del cappotto, e mi godo la sua morbidezza.
-Il console la riceverà nel suo ufficio, prego da questa parte.
Il segretario mi lascia in una stanza piena di quadri, arredata in maniera elegante. Sembra l'ufficio di un uomo di classe, un uomo illuminato, colto, all'avanguardia. Mentre osservo quelle opere comprate con il sangue, sento che sto perdendo la calma.
Mi fermo a osservare il pavimento, respirando. Il pavimento non fa paura, non fa arrabbiare. Il pavimento è fermo e mi sostiene e posso solo essergli grata. Il pavimento non è del Console, posso guardarlo senza sentire dentro la rabbia.
Sento il cigolio della porta e dei passi secchi, nervosi.
Rilasso la mia espressione e alzo gli occhi. Limpidi e azzurri.
Il Console Roberto Quintanilla Pereira è elegante, indossa un abito scuro di lana, e nello sguardo c'è piacevole sorpresa per quello che si trova davanti: belle gambe, figura snella, un bel viso. Sono perfetta.
Lui sorride e avanza con sicurezza, ma il mio sguardo gli fa perdere baldanza. Rimane bloccato. Secondi che si srotolano come anni, io che estraggo la pistola, la punto su di lui, ancora immobile, e sparo. Bum, bum, bum.
Tre volte. Non so perché tre volte, ma dopo il terzo sparo mi sento più leggera.
Centro il bersaglio, ogni volta. Poso la pistola a terra e dalla tasca estraggo il biglietto e lo lascio svolazzare sul corpo. “Vittoria o morte. ELN” Cade lì accanto, perfetta cornice a una vendetta che mi ridà la voglia di combattere. Di tornare a essere Imilla, la rivoluzionaria.
È ora di andare, adesso. Tolgo la parrucca e lascio scivolare a terra la borsetta.
E vado.
I miei passi mi rimbombano in testa mentre cerco l'uscita e torno nel freddo.
La vendetta non scalda. La vendetta non ti abbraccia. La vendetta non ti restituisce nulla di quello che hai perso.
Ma, cazzo, quanto ti fa stare bene.
- https://culturificio.org/monika-ertl-la-figlia-del-nazista-che-vendico-che-guevara/: