Il guardiano delle ultime cose
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Il guardiano delle ultime cose
Quando Izumi entrò nella foresta Aokigahara erano da poco passate le dieci. Portava uno zainetto in spalla, scarpe da ginnastica e un vestito leggero per affrontare il caldo di agosto.
Più si addentrava più la vegetazione diventava fitta, un mare di pini, abeti, cedri e querce, finché la luce accecante di prima non aveva fatto spazio a un chiarore appena naturale. Sebbene non ci fosse anima viva, sapeva che doveva fare in fretta. Non per paura di ripensamenti, ma perché la stanchezza di vivere le pesava come un macigno mal riposto nel suo piccolo zaino.
Lungo il percorso vide un cartello, uno dei tanti disseminati in tutta la foresta. C’era scritto: La tua vita è un dono prezioso dei tuoi genitori. Pensa a loro e al resto della tua famiglia. Non devi soffrire da solo.
In basso era riportato un numero verde, da chiamare in caso di bisogno di aiuto.
Pensare a suo padre e a sua madre era l’ultima cosa che in quel momento avrebbe voluto fare. E infatti non lo fece.
Si guardò indietro e già la foresta l’aveva inghiottita in un abbraccio troppo stretto per provare sollievo. Radici contorte la costrinsero a deviare il cammino, tronchi caduti le sbarrarono la strada e più di una volta fu costretta a cambiare sentiero. Gli alberi erano vivi, pieni di una potenza che le parve subito malvagia. I rami sembravano mani dalle lunghe dita, le radici erano tentacoli pronti a trascinarla sottoterra. La densità degli alberi e la loro smisurata altezza riuscivano a isolare l’area, rendendola impenetrabile al sole e al vento. Non si sentiva alcun cinguettio se non qualche rumore in sordina, come se gli animali selvatici avessero deciso di evitare quel posto o si stessero nascondendo da qualcosa. Un luogo di morte da cui la vita si teneva alla larga, in cui era facile sparire senza lasciare traccia.
Era questo che Izumi desiderava, perdersi per non fare ritorno.
Con passo incerto avanzò toccando ora un tronco ora un altro. Sembravano le colonne di una cattedrale, come quella che aveva visto l’anno prima a Parigi, in viaggio con i genitori.
Era un’unica navata silenziosa dove il sole, poggiandosi sui banchi, aveva il colore delle vetrate.
Si accorse che l’aria, da calda, era diventata improvvisamente gelida. Ebbe un brivido e si pentì di non aver portato con sé la felpa. Ma poi, pensò, a cosa le sarebbe servita?
Come attratta da un’energia irresistibile, si avvicinò a un tronco ricoperto di muschio e tirò fuori dallo zaino la corda e il cappuccio.
Da bambina le piaceva arrampicarsi sugli alberi, tanto che il suo amico Fumiaki la chiamava la scimmietta. Si conoscevano da quando erano bambini, abitavano lungo la stessa strada, compagni di gioco e di classe fino all’ultimo anno della scuola media, quando Fumiaki era scomparso dalla sua vita, lasciando Izumi sola lungo i bordi di un abisso. Era morto in circostanze poco chiare, suicida, come poi venne a sapere.
Ancora una volta scalò con scioltezza il tronco, in cima provò un ramo per saggiarne la forza, gli legò la corda intorno e l’altro capo se lo mise a cappio intorno al collo. Strinse il nodo scorsoio, indossò il cappuccio, con gesti lenti e precisi, pensati nella sua mente chissà quante volte.
«Sei sicura di volerlo fare?»
La domanda suonò in modo irreale, e Izumi non le diede importanza. Ma quando sentì ancora «Sei sicura?», ebbe la conferma che la voce non veniva da dentro ma da fuori la sua testa.
Sfilò il cappuccio, una macabra carezza sul suo giovane viso. Aprì gli occhi che già si stavano preparando al buio, spaventata a morte per quello che avrebbe visto, sebbene la voce non fosse minacciosa. Ai piedi dell’albero si era materializzata una figura umana, dall’aspetto terrificante. Aveva in testa il cappuccio di una giacca logora e indossava pantaloni strappati in più punti.
Il terrore doveva essere disegnato sul volto di Izumi, perché lo sconosciuto si affrettò a dire:
«Scusa, non volevo spaventarti.»
«Chi sei?»
«Non sono uno spirito maligno», si affrettò a dire la voce.
«Vattene! Vai via!», urlò tremando come una foglia in procinto di cadere.
«Stai attenta…»
«Lasciami in pace! Non voglio parlare con te.»
Secondo la leggenda, oltre a essere meta di escursioni, Aokigahara da tempo era diventata il luogo preferito dai suicidi. Le anime perse che non riuscivano a lasciare la terra si tramutavano in spiriti maligni, chiamati yūrei. La foresta ne era infestata, demoni e fantasmi vendicativi che si aggiravano tra gli alberi per ossessionare i visitatori.
«Se non sei uno yūrei, allora chi sei?»
«Non lo so, so che non sono ancora morto.»
Sembrava sincero quando continuò: «Ho imparato ad atteggiare le labbra al sorriso di chi la sa lunga sulle vicende del mondo, un sorriso simile a quello di un giovane sacerdote. Ho il senso di non essere né vivo né morto.»
«Mishima Yukio, Confessioni di una maschera», disse Izumi dopo un lungo silenzio, avendo riconosciuto i versi di uno dei suoi autori preferiti.
«Vedi? Non sono uno yūrei. Per favore, scendi.»
La ragazza, a malincuore, raccolse le sue cose, certa che il contrattempo non l’avrebbe dissuasa dal suo proposito.
Per un attimo aveva anche pensato che l’essere misterioso potesse essere lo spirito di Fumiaki, anche lui amante di Mishima.
Ma quando le fece mettere i piedi sulle spalle per agevolare la discesa, sentì che quello che la sosteneva era un corpo in carne e ossa. Si trattava di un ragazzo dagli occhi scuri e imperscrutabili. La barba incolta e i vestiti abbondanti e ridotti a stracci avrebbero ingannato chiunque e provocato quel terrore di cui Izumi iniziava a vergognarsi.
Aveva dita lunghe come quelle di un pianista e i modi gentili. Lo vide meglio quando, abbassato il cappuccio e giunte le mani davanti al petto, aveva detto il suo nome: «Mi chiamo Akira. O quello che rimane di un giovane brillante.»
La ragazza, abbassando il capo, accennò un sorriso triste e una fossetta apparve sulla guancia sinistra.
«Vieni,» le fece il ragazzo «la ronda è già passata, non dovrebbe vederci nessuno.»
Il governo giapponese aveva istituito un corpo di vigilanza formato da volontari con il compito di perlustrare la foresta, recuperare i cadaveri, o dissuadere qualche aspirante suicida.
Izumi, senza sapere perché, accettò. Non che si fidasse di quello strano individuo, ma sentiva che in quel momento non aveva altra scelta.
«Anch’io sono venuto ad Aokigahara perché volevo morire. Era meglio salvare l’onore e la dignità se non potevo realizzare quello per cui ero stato chiamato.»
Akira fece una pausa, quasi a cercare nella memoria le parole giuste: «Se tu manchi allo scopo e resti in vita, sarai in realtà un codardo. Se invece muori senza aver raggiunto l'obiettivo, la tua potrà essere una morte inutile, ma non ci sarà alcuna macchia sul tuo onore.»
«Ancora Mishima!»
«Sì, ancora Mishima.»
Poi, come avesse custodito un segreto per troppo tempo, continuò: «Sono fuggito dall’ira di mio padre. Per lui valeva la legge dei trafficanti, o fai come dico io o muori. Ero l’unico figlio maschio, finita la scuola superiore avrei dovuto seguire la sua strada. Narcotrafficante. Quando ho rifiutato, mi ha umiliato fino a minacciarmi di morte. E l’avrebbe fatto fare ai suoi uomini. Meglio morire con onore per mano mia che ucciso con disonore.»
«Invece a te piaceva studiare, magari letteratura.»
«E già.»
Akira rimase assorto a guardare i suoi piedi, in realtà pensando ai passi che avrebbe potuto fare e che forse non avrebbe mai fatto.
«Non pensi mai a lui, al dolore che gli hai provocato?»
«All’inizio ha mandato qualcuno a cercarmi. Poi più nulla. Si sarà fatto anche lui una ragione, non ero il figlio che desiderava.»
Non aggiunse altro perché la sua attenzione fu catturata da un cespuglio di felci da cui spuntava, sporca di muschio e foglie, una scarpetta da ballerina.
La raccolse girandola tra le mani. «La danza non è riuscita a salvarla», mormorò tristemente e l’infilò in una tasca del giaccone.
Poco più in là c’erano altre scarpe, la maggior parte spaiate, per lo più di giovani. Ma il suo sguardo si posò sopra una fotografia. Tolse il fango che la ricopriva facendo apparire un uomo e una donna davanti alla porta della loro casa.
«Non ha resistito alla morte della moglie», e così dicendo infilò la foto nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?»
«Ho imparato ad ascoltare gli oggetti. Quelli che accompagnano i suicidi nel loro ultimo viaggio sanno molte cose e parlano di loro. Ma tu perché…».
«Perché sono entrata? Perché volevo…» Izumi tardò a dare una risposta, come se alla fine non fosse più tanto convinta della motivazione.
«Nella foresta non ci sono punti di riferimento, così come nella mia vita e allora è facile perdersi.»
«È vero, le bussole qui non funzionano per effetto di anomalie magnetiche», disse Akira come se si intendesse di rocce laviche e campi magnetici.
«Ecco, diciamo che mi sento come un ago impazzito, senza più alcuna direzione.»
«Capita, specialmente alla nostra età.»
«Appena finisco il liceo i miei vogliono mandarmi a Parigi a studiare moda. È sempre stato il mio sogno.»
«E allora?»
«Disegno vestiti da quando ero bambina.»
«E allora, perché?», chiese ancora, guardandola in volto.
«Non ce la faccio. Ho paura di affrontare il sogno. Per la prima volta da sola. Ho paura di non essere all’altezza e di deludere i miei genitori. E questo mi paralizza.» Abbassò lo sguardo come se provasse vergogna.
«Vieni, devi vedere un posto.»
Akira le prese la mano e la portò in un luogo ancora più denso di vegetazione, difficilmente praticabile, dove la nebbia infittiva il mistero e l’atmosfera diventava spettrale.
Izumi iniziò a essere scossa da brividi febbricitanti e a tremare in modo incontrollabile. L’umidità le penetrava fin dentro le ossa e il ragazzo le mise sulle spalle la sua giacca.
Senza parlare camminarono tra sterpi, rami spezzati, fino ad arrivare in uno spazio recintato da un reticolo azzurro che delimitava la zona.
«È qui che sono stati ritrovati dei corpi.»
Apparve davanti ai loro occhi una scena terrificante: teschi e ossa emergevano dal terreno, resti di esseri umani, ancora appesi ai rami, sembravano frutti marci che da lì a poco si sarebbero staccati.
Izumi avrebbe voluto scappare, ma il terrore, contro la sua volontà, la spinse ad abbracciare quel giovane. Aveva un odore di animale selvatico, ma anche familiare e, soprattutto, era l’unica cosa viva.
Akira le disse, coprendole gli occhi con una mano: «Era necessario che tu vedessi, ma adesso andiamo via.»
Camminarono adagio e, dopo un lungo silenzio, Izumi chiese: «E tu perché sei rimasto?»
«Dentro la foresta ho trovato la mia ragione per restare in vita. Assai debole, in verità, ma è diventato il mio scopo.»
«Com’è possibile?»
«Lo so, sembra assurdo, ma è così. Io raccolgo oggetti, colleziono ricordi. Scarpe, pettini, occhiali rotti, fotografie, anelli, forbici, libri, lettere, cappelli, cellulari scarichi, collane.»
«Per farne cosa? Li restituisci ai parenti?»
«Sì, è capitato un paio di volte, ma quasi nessuno viene a cercarli. Si fermano davanti ai cartelli, e poi non trovano il coraggio per entrare. La foresta appare inaccessibile e dà la percezione, a chi si addentra, di non trovare più la via d’uscita.»
«Per questo ci sei tu, a fare il guardiano delle ultime cose.»
«Già, il guardiano delle ultime cose.»
«Ma come fai a sopravvivere? Dove trovi da mangiare?»
«Quelli della ronda lasciano cestini pieni di cibo vicino ai cartelli, è il loro modo per sperare che qualcuno sia ancora vivo. Il fatto che poi spariscano gli dà motivo per continuare. La foresta è immensa ed è ricca di grotte di ghiaccio per bere.»
«Dove dormi?»
«Nel tronco di una quercia e poi dove capita.»
«Non hai mai paura?»
«Quando non puoi fidarti nemmeno di tuo padre, hai più paura dei vivi. Con i morti ci convivo e sto imparando a conoscerli.»
Camminando, senza quasi accorgersene, erano arrivati in quello che per il ragazzo doveva essere un luogo sacro.
Vi era una grande quantità di oggetti appartenuti ai suicidi, che lui aveva raccolto e appeso ai rami di un albero a basso fusto. Poteva sembrare una macabra installazione, invece aveva un qualcosa di magico e sacrale. Sembravano tanti campanellini, i fūrin, muti per mancanza di vento, sospesi in attesa di tintinnare.
«La foresta soffre, è come se non riuscisse a risolvere un’antica questione e cioè che non tutte le anime che vivono in essa sono malvagie», sussurrò Akira come inseguendo un suo pensiero.
«Mi chiamo Tanaka Izumi e oggi è il mio compleanno», lo interruppe, pensando che non si era ancora presentata con il suo nome.
Akira la guardò e sorrise. «Izumi, piccola sorgente d’acqua, da cui zampilla la vita.»
Poi girò lo sguardo intorno e non lo fermò finché non vide quello che cercava.
«Questa è per te», disse porgendole una spilla.
«Una libellula!»
«Sì, un kashimushi, è l’insetto vincente, vola sempre in avanti senza indietreggiare mai. E adesso andiamo, sei ancora in tempo per festeggiare il tuo compleanno.»
Fecero la via del ritorno mano nella mano, come due amici d’infanzia.
Il sentiero cambiava, da contorto diventava più semplice e lineare.
«Tu cosa farai? Se continui a restare ad Aokigahara è come se fossi morto a metà, non appartieni al mondo dei vivi e neppure a quello dei morti.»
«Per me adesso è meglio così.»
Arrivati all’ingresso da cui Izumi era entrata, lasciò lo zainetto ai piedi del cartello, si tolse la giacca e con un inchino la porse ad Akira.
«Grazie.»
Il suo volto era triste ma lui l’incoraggiò ad andare.
Le ultime parole che Izumi sentì furono: «Anche la scimmietta è caduta dall’albero. Ricorda, tutti possiamo sbagliare.»
Sbalordita, si voltò cercando di dire qualcosa, ma Akira era già scomparso nell’abbraccio di quel mare verde.
Rimasta sola, le sembrò di essere stata nel ventre di un drago e, uscendo dalla sua bocca, si sentiva piena di forza e saggezza.
«Sentivo l’urgenza di cominciare a vivere. Cominciare a vivere la mia vera vita? Quand’anche dovesse essere una mascherata… era venuto ugualmente il momento in cui bisognava ch’io mi mettessi in cammino…che trascinassi i miei torbidi piedi…ovunque mi avessero portata.»
Le tornarono alla mente, ancora una volta, i versi di Mishima.
Mentre rientrava nella luce, il monte Fuji le apparve in tutta la sua magnificenza.
Tra le dita avvertì un fremito, un battito di ali. La libellula si era staccata e, senza voltarsi, le indicò il sentiero di casa.
Più si addentrava più la vegetazione diventava fitta, un mare di pini, abeti, cedri e querce, finché la luce accecante di prima non aveva fatto spazio a un chiarore appena naturale. Sebbene non ci fosse anima viva, sapeva che doveva fare in fretta. Non per paura di ripensamenti, ma perché la stanchezza di vivere le pesava come un macigno mal riposto nel suo piccolo zaino.
Lungo il percorso vide un cartello, uno dei tanti disseminati in tutta la foresta. C’era scritto: La tua vita è un dono prezioso dei tuoi genitori. Pensa a loro e al resto della tua famiglia. Non devi soffrire da solo.
In basso era riportato un numero verde, da chiamare in caso di bisogno di aiuto.
Pensare a suo padre e a sua madre era l’ultima cosa che in quel momento avrebbe voluto fare. E infatti non lo fece.
Si guardò indietro e già la foresta l’aveva inghiottita in un abbraccio troppo stretto per provare sollievo. Radici contorte la costrinsero a deviare il cammino, tronchi caduti le sbarrarono la strada e più di una volta fu costretta a cambiare sentiero. Gli alberi erano vivi, pieni di una potenza che le parve subito malvagia. I rami sembravano mani dalle lunghe dita, le radici erano tentacoli pronti a trascinarla sottoterra. La densità degli alberi e la loro smisurata altezza riuscivano a isolare l’area, rendendola impenetrabile al sole e al vento. Non si sentiva alcun cinguettio se non qualche rumore in sordina, come se gli animali selvatici avessero deciso di evitare quel posto o si stessero nascondendo da qualcosa. Un luogo di morte da cui la vita si teneva alla larga, in cui era facile sparire senza lasciare traccia.
Era questo che Izumi desiderava, perdersi per non fare ritorno.
Con passo incerto avanzò toccando ora un tronco ora un altro. Sembravano le colonne di una cattedrale, come quella che aveva visto l’anno prima a Parigi, in viaggio con i genitori.
Era un’unica navata silenziosa dove il sole, poggiandosi sui banchi, aveva il colore delle vetrate.
Si accorse che l’aria, da calda, era diventata improvvisamente gelida. Ebbe un brivido e si pentì di non aver portato con sé la felpa. Ma poi, pensò, a cosa le sarebbe servita?
Come attratta da un’energia irresistibile, si avvicinò a un tronco ricoperto di muschio e tirò fuori dallo zaino la corda e il cappuccio.
Da bambina le piaceva arrampicarsi sugli alberi, tanto che il suo amico Fumiaki la chiamava la scimmietta. Si conoscevano da quando erano bambini, abitavano lungo la stessa strada, compagni di gioco e di classe fino all’ultimo anno della scuola media, quando Fumiaki era scomparso dalla sua vita, lasciando Izumi sola lungo i bordi di un abisso. Era morto in circostanze poco chiare, suicida, come poi venne a sapere.
Ancora una volta scalò con scioltezza il tronco, in cima provò un ramo per saggiarne la forza, gli legò la corda intorno e l’altro capo se lo mise a cappio intorno al collo. Strinse il nodo scorsoio, indossò il cappuccio, con gesti lenti e precisi, pensati nella sua mente chissà quante volte.
«Sei sicura di volerlo fare?»
La domanda suonò in modo irreale, e Izumi non le diede importanza. Ma quando sentì ancora «Sei sicura?», ebbe la conferma che la voce non veniva da dentro ma da fuori la sua testa.
Sfilò il cappuccio, una macabra carezza sul suo giovane viso. Aprì gli occhi che già si stavano preparando al buio, spaventata a morte per quello che avrebbe visto, sebbene la voce non fosse minacciosa. Ai piedi dell’albero si era materializzata una figura umana, dall’aspetto terrificante. Aveva in testa il cappuccio di una giacca logora e indossava pantaloni strappati in più punti.
Il terrore doveva essere disegnato sul volto di Izumi, perché lo sconosciuto si affrettò a dire:
«Scusa, non volevo spaventarti.»
«Chi sei?»
«Non sono uno spirito maligno», si affrettò a dire la voce.
«Vattene! Vai via!», urlò tremando come una foglia in procinto di cadere.
«Stai attenta…»
«Lasciami in pace! Non voglio parlare con te.»
Secondo la leggenda, oltre a essere meta di escursioni, Aokigahara da tempo era diventata il luogo preferito dai suicidi. Le anime perse che non riuscivano a lasciare la terra si tramutavano in spiriti maligni, chiamati yūrei. La foresta ne era infestata, demoni e fantasmi vendicativi che si aggiravano tra gli alberi per ossessionare i visitatori.
«Se non sei uno yūrei, allora chi sei?»
«Non lo so, so che non sono ancora morto.»
Sembrava sincero quando continuò: «Ho imparato ad atteggiare le labbra al sorriso di chi la sa lunga sulle vicende del mondo, un sorriso simile a quello di un giovane sacerdote. Ho il senso di non essere né vivo né morto.»
«Mishima Yukio, Confessioni di una maschera», disse Izumi dopo un lungo silenzio, avendo riconosciuto i versi di uno dei suoi autori preferiti.
«Vedi? Non sono uno yūrei. Per favore, scendi.»
La ragazza, a malincuore, raccolse le sue cose, certa che il contrattempo non l’avrebbe dissuasa dal suo proposito.
Per un attimo aveva anche pensato che l’essere misterioso potesse essere lo spirito di Fumiaki, anche lui amante di Mishima.
Ma quando le fece mettere i piedi sulle spalle per agevolare la discesa, sentì che quello che la sosteneva era un corpo in carne e ossa. Si trattava di un ragazzo dagli occhi scuri e imperscrutabili. La barba incolta e i vestiti abbondanti e ridotti a stracci avrebbero ingannato chiunque e provocato quel terrore di cui Izumi iniziava a vergognarsi.
Aveva dita lunghe come quelle di un pianista e i modi gentili. Lo vide meglio quando, abbassato il cappuccio e giunte le mani davanti al petto, aveva detto il suo nome: «Mi chiamo Akira. O quello che rimane di un giovane brillante.»
La ragazza, abbassando il capo, accennò un sorriso triste e una fossetta apparve sulla guancia sinistra.
«Vieni,» le fece il ragazzo «la ronda è già passata, non dovrebbe vederci nessuno.»
Il governo giapponese aveva istituito un corpo di vigilanza formato da volontari con il compito di perlustrare la foresta, recuperare i cadaveri, o dissuadere qualche aspirante suicida.
Izumi, senza sapere perché, accettò. Non che si fidasse di quello strano individuo, ma sentiva che in quel momento non aveva altra scelta.
«Anch’io sono venuto ad Aokigahara perché volevo morire. Era meglio salvare l’onore e la dignità se non potevo realizzare quello per cui ero stato chiamato.»
Akira fece una pausa, quasi a cercare nella memoria le parole giuste: «Se tu manchi allo scopo e resti in vita, sarai in realtà un codardo. Se invece muori senza aver raggiunto l'obiettivo, la tua potrà essere una morte inutile, ma non ci sarà alcuna macchia sul tuo onore.»
«Ancora Mishima!»
«Sì, ancora Mishima.»
Poi, come avesse custodito un segreto per troppo tempo, continuò: «Sono fuggito dall’ira di mio padre. Per lui valeva la legge dei trafficanti, o fai come dico io o muori. Ero l’unico figlio maschio, finita la scuola superiore avrei dovuto seguire la sua strada. Narcotrafficante. Quando ho rifiutato, mi ha umiliato fino a minacciarmi di morte. E l’avrebbe fatto fare ai suoi uomini. Meglio morire con onore per mano mia che ucciso con disonore.»
«Invece a te piaceva studiare, magari letteratura.»
«E già.»
Akira rimase assorto a guardare i suoi piedi, in realtà pensando ai passi che avrebbe potuto fare e che forse non avrebbe mai fatto.
«Non pensi mai a lui, al dolore che gli hai provocato?»
«All’inizio ha mandato qualcuno a cercarmi. Poi più nulla. Si sarà fatto anche lui una ragione, non ero il figlio che desiderava.»
Non aggiunse altro perché la sua attenzione fu catturata da un cespuglio di felci da cui spuntava, sporca di muschio e foglie, una scarpetta da ballerina.
La raccolse girandola tra le mani. «La danza non è riuscita a salvarla», mormorò tristemente e l’infilò in una tasca del giaccone.
Poco più in là c’erano altre scarpe, la maggior parte spaiate, per lo più di giovani. Ma il suo sguardo si posò sopra una fotografia. Tolse il fango che la ricopriva facendo apparire un uomo e una donna davanti alla porta della loro casa.
«Non ha resistito alla morte della moglie», e così dicendo infilò la foto nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?»
«Ho imparato ad ascoltare gli oggetti. Quelli che accompagnano i suicidi nel loro ultimo viaggio sanno molte cose e parlano di loro. Ma tu perché…».
«Perché sono entrata? Perché volevo…» Izumi tardò a dare una risposta, come se alla fine non fosse più tanto convinta della motivazione.
«Nella foresta non ci sono punti di riferimento, così come nella mia vita e allora è facile perdersi.»
«È vero, le bussole qui non funzionano per effetto di anomalie magnetiche», disse Akira come se si intendesse di rocce laviche e campi magnetici.
«Ecco, diciamo che mi sento come un ago impazzito, senza più alcuna direzione.»
«Capita, specialmente alla nostra età.»
«Appena finisco il liceo i miei vogliono mandarmi a Parigi a studiare moda. È sempre stato il mio sogno.»
«E allora?»
«Disegno vestiti da quando ero bambina.»
«E allora, perché?», chiese ancora, guardandola in volto.
«Non ce la faccio. Ho paura di affrontare il sogno. Per la prima volta da sola. Ho paura di non essere all’altezza e di deludere i miei genitori. E questo mi paralizza.» Abbassò lo sguardo come se provasse vergogna.
«Vieni, devi vedere un posto.»
Akira le prese la mano e la portò in un luogo ancora più denso di vegetazione, difficilmente praticabile, dove la nebbia infittiva il mistero e l’atmosfera diventava spettrale.
Izumi iniziò a essere scossa da brividi febbricitanti e a tremare in modo incontrollabile. L’umidità le penetrava fin dentro le ossa e il ragazzo le mise sulle spalle la sua giacca.
Senza parlare camminarono tra sterpi, rami spezzati, fino ad arrivare in uno spazio recintato da un reticolo azzurro che delimitava la zona.
«È qui che sono stati ritrovati dei corpi.»
Apparve davanti ai loro occhi una scena terrificante: teschi e ossa emergevano dal terreno, resti di esseri umani, ancora appesi ai rami, sembravano frutti marci che da lì a poco si sarebbero staccati.
Izumi avrebbe voluto scappare, ma il terrore, contro la sua volontà, la spinse ad abbracciare quel giovane. Aveva un odore di animale selvatico, ma anche familiare e, soprattutto, era l’unica cosa viva.
Akira le disse, coprendole gli occhi con una mano: «Era necessario che tu vedessi, ma adesso andiamo via.»
Camminarono adagio e, dopo un lungo silenzio, Izumi chiese: «E tu perché sei rimasto?»
«Dentro la foresta ho trovato la mia ragione per restare in vita. Assai debole, in verità, ma è diventato il mio scopo.»
«Com’è possibile?»
«Lo so, sembra assurdo, ma è così. Io raccolgo oggetti, colleziono ricordi. Scarpe, pettini, occhiali rotti, fotografie, anelli, forbici, libri, lettere, cappelli, cellulari scarichi, collane.»
«Per farne cosa? Li restituisci ai parenti?»
«Sì, è capitato un paio di volte, ma quasi nessuno viene a cercarli. Si fermano davanti ai cartelli, e poi non trovano il coraggio per entrare. La foresta appare inaccessibile e dà la percezione, a chi si addentra, di non trovare più la via d’uscita.»
«Per questo ci sei tu, a fare il guardiano delle ultime cose.»
«Già, il guardiano delle ultime cose.»
«Ma come fai a sopravvivere? Dove trovi da mangiare?»
«Quelli della ronda lasciano cestini pieni di cibo vicino ai cartelli, è il loro modo per sperare che qualcuno sia ancora vivo. Il fatto che poi spariscano gli dà motivo per continuare. La foresta è immensa ed è ricca di grotte di ghiaccio per bere.»
«Dove dormi?»
«Nel tronco di una quercia e poi dove capita.»
«Non hai mai paura?»
«Quando non puoi fidarti nemmeno di tuo padre, hai più paura dei vivi. Con i morti ci convivo e sto imparando a conoscerli.»
Camminando, senza quasi accorgersene, erano arrivati in quello che per il ragazzo doveva essere un luogo sacro.
Vi era una grande quantità di oggetti appartenuti ai suicidi, che lui aveva raccolto e appeso ai rami di un albero a basso fusto. Poteva sembrare una macabra installazione, invece aveva un qualcosa di magico e sacrale. Sembravano tanti campanellini, i fūrin, muti per mancanza di vento, sospesi in attesa di tintinnare.
«La foresta soffre, è come se non riuscisse a risolvere un’antica questione e cioè che non tutte le anime che vivono in essa sono malvagie», sussurrò Akira come inseguendo un suo pensiero.
«Mi chiamo Tanaka Izumi e oggi è il mio compleanno», lo interruppe, pensando che non si era ancora presentata con il suo nome.
Akira la guardò e sorrise. «Izumi, piccola sorgente d’acqua, da cui zampilla la vita.»
Poi girò lo sguardo intorno e non lo fermò finché non vide quello che cercava.
«Questa è per te», disse porgendole una spilla.
«Una libellula!»
«Sì, un kashimushi, è l’insetto vincente, vola sempre in avanti senza indietreggiare mai. E adesso andiamo, sei ancora in tempo per festeggiare il tuo compleanno.»
Fecero la via del ritorno mano nella mano, come due amici d’infanzia.
Il sentiero cambiava, da contorto diventava più semplice e lineare.
«Tu cosa farai? Se continui a restare ad Aokigahara è come se fossi morto a metà, non appartieni al mondo dei vivi e neppure a quello dei morti.»
«Per me adesso è meglio così.»
Arrivati all’ingresso da cui Izumi era entrata, lasciò lo zainetto ai piedi del cartello, si tolse la giacca e con un inchino la porse ad Akira.
«Grazie.»
Il suo volto era triste ma lui l’incoraggiò ad andare.
Le ultime parole che Izumi sentì furono: «Anche la scimmietta è caduta dall’albero. Ricorda, tutti possiamo sbagliare.»
Sbalordita, si voltò cercando di dire qualcosa, ma Akira era già scomparso nell’abbraccio di quel mare verde.
Rimasta sola, le sembrò di essere stata nel ventre di un drago e, uscendo dalla sua bocca, si sentiva piena di forza e saggezza.
«Sentivo l’urgenza di cominciare a vivere. Cominciare a vivere la mia vera vita? Quand’anche dovesse essere una mascherata… era venuto ugualmente il momento in cui bisognava ch’io mi mettessi in cammino…che trascinassi i miei torbidi piedi…ovunque mi avessero portata.»
Le tornarono alla mente, ancora una volta, i versi di Mishima.
Mentre rientrava nella luce, il monte Fuji le apparve in tutta la sua magnificenza.
Tra le dita avvertì un fremito, un battito di ali. La libellula si era staccata e, senza voltarsi, le indicò il sentiero di casa.
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Proprio un bel racconto, una fiaba di formazione per adulti che prende per mano il lettore e lo porta ad addentrarsi nell’intricato bosco dei suicidi (già l’idea è molto forte). Una “passeggiata” tra dolori e carcasse umane di persone che si sono fatte travolgere e schiacciare dalla vita.
Ho adorato la figura del guardiano delle cose, la caverna piena degli “ultimi oggetti” , occhiali, foto infangate, piccoli resti di vite spezzate.
Ho apprezzato un po’ meno la figura della ragazzina aspirante suicida. Non c’è nulla che parli del suo male di vivere e del perché sia giunta a desiderare di entrare nel bosco. È pronta a togliersi la vita (quel cappuccio non ha molto senso) ma sembra proprio che aspettasse qualcuno che le dicesse di non farlo, una mano tesa. Non c’è la sofferenza, manca la motivazione del gesto estremo. Sembra che in modo superficiale voglia emulare l’amico suicida. Ecco, questo mi è mancato.
Per vedere appieno l’epifania della ragazza avrei voluto vederla più convinta del gesto, avrei voluto fossero messe a fuoco le motivazioni mentre così sembra quasi un desiderio per gioco.
Infatti l’incipit lo trovo la parte più debole della narrazione con quello zainetto che contiene la stanchezza di vivere che pesa come un macigno (mal riposto). Anche la descrizione di pini e abeti (e cedri?) mi ha portato a dire ok, sono in una fiaba devo accettare anche una vegetazione anomala per un bosco, ma la mia parte razionale mi ha distolta per un po’ dalla storia.
Dopo l’incipit la storia prende via via sempre più corpo assumendo i connotati quasi scolastici del viaggio dell’eroe. L’incontro col mentore (il guardiano) e la soluzione finale con forse, una rinnovata energia e voglia di vivere. Mi è piaciuta molto la chiusa con la libellula.
Quindi in totale luci e ombre proprio perché mi sono mancati alcuni aspetti che avrei voluto “sentire” di più. Comunque, complimenti, ho letto con piacere.
Ho adorato la figura del guardiano delle cose, la caverna piena degli “ultimi oggetti” , occhiali, foto infangate, piccoli resti di vite spezzate.
Ho apprezzato un po’ meno la figura della ragazzina aspirante suicida. Non c’è nulla che parli del suo male di vivere e del perché sia giunta a desiderare di entrare nel bosco. È pronta a togliersi la vita (quel cappuccio non ha molto senso) ma sembra proprio che aspettasse qualcuno che le dicesse di non farlo, una mano tesa. Non c’è la sofferenza, manca la motivazione del gesto estremo. Sembra che in modo superficiale voglia emulare l’amico suicida. Ecco, questo mi è mancato.
Per vedere appieno l’epifania della ragazza avrei voluto vederla più convinta del gesto, avrei voluto fossero messe a fuoco le motivazioni mentre così sembra quasi un desiderio per gioco.
Infatti l’incipit lo trovo la parte più debole della narrazione con quello zainetto che contiene la stanchezza di vivere che pesa come un macigno (mal riposto). Anche la descrizione di pini e abeti (e cedri?) mi ha portato a dire ok, sono in una fiaba devo accettare anche una vegetazione anomala per un bosco, ma la mia parte razionale mi ha distolta per un po’ dalla storia.
Dopo l’incipit la storia prende via via sempre più corpo assumendo i connotati quasi scolastici del viaggio dell’eroe. L’incontro col mentore (il guardiano) e la soluzione finale con forse, una rinnovata energia e voglia di vivere. Mi è piaciuta molto la chiusa con la libellula.
Quindi in totale luci e ombre proprio perché mi sono mancati alcuni aspetti che avrei voluto “sentire” di più. Comunque, complimenti, ho letto con piacere.
Petunia- Moderatore
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Una favola bella e malinconica. Soffrendo di depressione, mi sono immedesimata molto con la protagonista...
Il co-protagonista, poi, è un po' un simbolo di coraggio, che, per chi soffre di depressione, è un elemento che deve esserci sempre: se ti ritrovi da solo ad affrontare te stesso, quasi sempre perderai; per me, questa favola racconta che bisogna avere il coraggio di farsi aiutare... bello, mi ha commosso molto!
Il co-protagonista, poi, è un po' un simbolo di coraggio, che, per chi soffre di depressione, è un elemento che deve esserci sempre: se ti ritrovi da solo ad affrontare te stesso, quasi sempre perderai; per me, questa favola racconta che bisogna avere il coraggio di farsi aiutare... bello, mi ha commosso molto!
Micaela- Viandante
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Non mi piace cercare messaggi nei racconti, anche perché a ognuno arrivano in modo diverso, ma questo è troppo forte per poterlo ignorare e sposo la teoria del commento precedente : se si è in difficoltà, in grossa difficoltà, bisogna farsi aiutare.
L'episodio proposto, pur essendo scritto molto bene, ha poca forza, sembra quasi un gioco quel volersi uccidere con il cappuccio per non vedere cosa? Una porzione del mondo non l'avrebbe mica distratta dal farlo e non ci sono fucilieri pronti a sparare. Poi la confusione di un banale obiettivo non raggiunto avrebbe fatto una carneficina di noi ragazzi, a pensarla così.
Belle le descrizioni macabre, ma il racconto non mi ha convinto, mi dispiace.
Il finale positivo fa recuperare qualche punto, ma non sono sicuro che basterà a traghettare il racconto nella mia cinquina anche se non lo perderò d' occhio, a Tanaka ci tengo.
L'episodio proposto, pur essendo scritto molto bene, ha poca forza, sembra quasi un gioco quel volersi uccidere con il cappuccio per non vedere cosa? Una porzione del mondo non l'avrebbe mica distratta dal farlo e non ci sono fucilieri pronti a sparare. Poi la confusione di un banale obiettivo non raggiunto avrebbe fatto una carneficina di noi ragazzi, a pensarla così.
Belle le descrizioni macabre, ma il racconto non mi ha convinto, mi dispiace.
Il finale positivo fa recuperare qualche punto, ma non sono sicuro che basterà a traghettare il racconto nella mia cinquina anche se non lo perderò d' occhio, a Tanaka ci tengo.
tommybe- Maestro Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Fra le tante metafore che il bosco - o una selva oscura, avrebbe detto qualcuno - fa venire in mente è l'intricato mondo della nostra mente. A volte non vediamo strade segnate, non si scorge il sole e non funziona, come in questo caso, neanche la bussola.
E allora è più facile perdersi che trovarsi.
E se qualcuno ci aiuta a ritrovare noi stessi e la strada siamo fortunati.
Un bel racconto. Forse avrei ridotto un po' la prima parte e l'avrei alleggerito qui e lì, ma nel complesso una gran bella prova
E allora è più facile perdersi che trovarsi.
E se qualcuno ci aiuta a ritrovare noi stessi e la strada siamo fortunati.
Un bel racconto. Forse avrei ridotto un po' la prima parte e l'avrei alleggerito qui e lì, ma nel complesso una gran bella prova
gipoviani- Padawan
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Ho apprezzato questo racconto, è affascinante.
Anche il titolo è molto bello e racchiude tanta poesia e malinconia.
Nella foresta si respira un'atmosfera onirica, poetica, surreale, è come essere in un'altra dimensione, fuori dal mondo.
Forse le motivazioni di Izumi sono fragili, poco scandagliate, ma io penso che i ragazzi non siano mai stati abbandonati a loro stessi come in questo periodo e io credo che l'aut. del racconto abbia voluto rimarcare anche questo aspetto.
Anche se non c'entra col racconto, l'ambientazione mi ha fatto pensare anche al fenomeno degli Hikikomori, fenomeno giapponese che si è diffuso un pò in tutte le società, a riprova comunque della fragilità che attanaglia la popolazione più giovane. Pur essendo potenzialmente un bel posto, il mondo oggi è un concentrato di incubi e vuota vanità, un mondo che terrorizza per l'assoluta mancanza di prospettive e di comprensione.
La figura del guardiano è davvero bella, fa rivivere le persone col ricordo, con la conservazione degli oggetti, degli ultimi oggetti che sono stati a contatto con la vita dei loro possessori.
Quello che anch'io non riesco a contestualizzare è l'aspetto del cappuccio, mi sembra un di più. O è qualcosa che ha a che fare con la cultura giapponese e mi sfugge, oppure è un qualcosa che a me sembra più attinente alle esecuzioni capitali, siano esse effettuate per fucilazione, impiccagione o sedia elettrica, per celare il volto del condannato.
Anche il titolo è molto bello e racchiude tanta poesia e malinconia.
Nella foresta si respira un'atmosfera onirica, poetica, surreale, è come essere in un'altra dimensione, fuori dal mondo.
Forse le motivazioni di Izumi sono fragili, poco scandagliate, ma io penso che i ragazzi non siano mai stati abbandonati a loro stessi come in questo periodo e io credo che l'aut. del racconto abbia voluto rimarcare anche questo aspetto.
Anche se non c'entra col racconto, l'ambientazione mi ha fatto pensare anche al fenomeno degli Hikikomori, fenomeno giapponese che si è diffuso un pò in tutte le società, a riprova comunque della fragilità che attanaglia la popolazione più giovane. Pur essendo potenzialmente un bel posto, il mondo oggi è un concentrato di incubi e vuota vanità, un mondo che terrorizza per l'assoluta mancanza di prospettive e di comprensione.
La figura del guardiano è davvero bella, fa rivivere le persone col ricordo, con la conservazione degli oggetti, degli ultimi oggetti che sono stati a contatto con la vita dei loro possessori.
Quello che anch'io non riesco a contestualizzare è l'aspetto del cappuccio, mi sembra un di più. O è qualcosa che ha a che fare con la cultura giapponese e mi sfugge, oppure è un qualcosa che a me sembra più attinente alle esecuzioni capitali, siano esse effettuate per fucilazione, impiccagione o sedia elettrica, per celare il volto del condannato.
Byron.RN- Maestro Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Come una favola.... è un racconto scritto bene, corre sempre dentro a un binario invisibile e non deraglia mai. Si legge tutto di un fiato e scorre veloce.
Mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più di Izumi e di Akira, grandi protagonisti ma forse troppo incollati al binario. Il racconto è lungo, ma non stanca, c'è ancora margine per renderlo una vera perla.
Conoscendo le insidie dei racconti brevi, nel complesso direi che l'autore o autrice ha fatto un ottimo lavoro. Bravo/a.
Mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più di Izumi e di Akira, grandi protagonisti ma forse troppo incollati al binario. Il racconto è lungo, ma non stanca, c'è ancora margine per renderlo una vera perla.
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Ultima modifica di Giammy il Mar Mar 26, 2024 2:20 pm - modificato 1 volta.
Giammy- Younglings
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Un racconto, questo, che mi ha coinvolta e colpita nel vivo e in cui ho subito riconosciuto nella motivazione della ragazza al suicidio ("Ho paura di non essere all'altezza e di deludere i miei genitori. E questo mi paralizza") la metafora di una delle cause che portano gli Hikikomori alla scelta di ritirarsi dal mondo, nel timore di non esserne all'altezza. In questo aspetto il messaggio mi è arrivato chiaro, a prescindere dall'ambientazione giapponese del racconto, dal momento che i ragazzi in ritiro sociale purtroppo sono ormai tantissimi anche qui da noi.
Originale ambientare il racconto in questa "foresta dei suicidi", nota anche al di fuori della cultura giapponese per la drammatica fine di molti giovani vite.
Anch'io ho trovato poco incisivo l'incipit, mentre mi è molto piaciuto il corpo centrale del racconto e soprattutto il finale originale del volo della libellula che si stacca "senza voltarsi".
Originale ambientare il racconto in questa "foresta dei suicidi", nota anche al di fuori della cultura giapponese per la drammatica fine di molti giovani vite.
Anch'io ho trovato poco incisivo l'incipit, mentre mi è molto piaciuto il corpo centrale del racconto e soprattutto il finale originale del volo della libellula che si stacca "senza voltarsi".
Albemasia- Padawan
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Strana gente, i Giapponesi.
Eppure hai scritto un bel racconto che, per quanto conosco io della cultura di quel popolo, si ambienta e si integra perfettamente. Senza voler fare di un'erba un fascio, sono persone molto formali, attente al giudizio degli altri, che si sento spesso inadeguate alle aspettative, con tutte le implicazioni sia negative che positive che ciò comporta.
Un senso di angoscia pervade la lettura all'inizio, lasciando poi spazio alla malinconia fino alla catarsi finale.
Complimenti.
P.S. solo l'inserimento del narcotrafficante ho trovato stonato.
Eppure hai scritto un bel racconto che, per quanto conosco io della cultura di quel popolo, si ambienta e si integra perfettamente. Senza voler fare di un'erba un fascio, sono persone molto formali, attente al giudizio degli altri, che si sento spesso inadeguate alle aspettative, con tutte le implicazioni sia negative che positive che ciò comporta.
Un senso di angoscia pervade la lettura all'inizio, lasciando poi spazio alla malinconia fino alla catarsi finale.
Complimenti.
P.S. solo l'inserimento del narcotrafficante ho trovato stonato.
FedericoChiesa- Cavaliere Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Di fronte a tanta bellezza, a tanta perfezione si resta senza parole.
Naturalmente sono andato su wikipedia a cercare “Aokigahara” e sono rimasto sbalordito: hai trasformato una pagina di wikipedia in un racconto bellissimo ricco di emozione e di intensità.
Scrittura perfetta e scorrevole; nonostante il tema, il racconto si legge con facilità e ti trasporta dentro quella foresta con i cambi di temperatura, di luce e di vegetazione.
Particolarmente forte e significativa la (chiamiamola così) causa che porta la ragazza l tentato suicidio, il non sentirsi all’altezza di un compito da affrontare, del giudizio degli altri, soprattutto dei genitori che finisce con il paralizzare (direi annientare); colpisce chi come me è padre di una ragazza adolescente che queste difficoltà le affronta ogni giorno, combattendo soprattutto con se stessa per non soccombervi.
Valore aggiunto, per quanto mi riguarda, i passi di “Confessioni di una maschera” di Yukio Mishima, un romanzo che ho adorato intensamente.
Naturalmente sono andato su wikipedia a cercare “Aokigahara” e sono rimasto sbalordito: hai trasformato una pagina di wikipedia in un racconto bellissimo ricco di emozione e di intensità.
Scrittura perfetta e scorrevole; nonostante il tema, il racconto si legge con facilità e ti trasporta dentro quella foresta con i cambi di temperatura, di luce e di vegetazione.
Particolarmente forte e significativa la (chiamiamola così) causa che porta la ragazza l tentato suicidio, il non sentirsi all’altezza di un compito da affrontare, del giudizio degli altri, soprattutto dei genitori che finisce con il paralizzare (direi annientare); colpisce chi come me è padre di una ragazza adolescente che queste difficoltà le affronta ogni giorno, combattendo soprattutto con se stessa per non soccombervi.
Valore aggiunto, per quanto mi riguarda, i passi di “Confessioni di una maschera” di Yukio Mishima, un romanzo che ho adorato intensamente.
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paluca66- Maestro Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Caro Autore, che piacere trovarti qui. Lo dico senza retorica, avendo anche letto i tanti commenti che hai ricevuto in sole 24 ore.
Sono contento di avere avuto un esperto di cultura giapponese al mio fianco durante le (non sto scherzando) sei volte che ho letto questo racconto; fino a questo momento, è il racconto che ho letto più volte.
Qual è il tema di questo racconto? Il male di vivere, il suicidio, l'incomunicabilità...
Qual è l'ambientazione di questo racconto? La protagonista va nella foresta (ambientazione) per suicidarsi (tema), si trova di fronte il suo male di vivere allegorico (tema) nella foresta (ambientazione), il quale lo convince a non suicidarsi (tema) nella foresta (ambientazione).
Sì, sono quello che non avrebbe ammesso questo racconto per difetto di tema.
Ma sono anche quello che non vede l'ora di raccontarti come e perché ho cambiato idea. Cosa che avverrà solo alla fine dello step.
Per onestà intellettuale, ci tenevo a precisare l'evoluzione del mio pensiero e il fatto che, come si può notare anche dagli altri commenti, questa non è una foresta qualsiasi. E di questo non si può non tener conto.
Ecco perché difendo la scelta di tutto il CdL di aver ammesso questa meravigliosa storia al primo step di Pachamama, e ti ringrazio per averci regalato dieci minuti di riflessioni importanti e potenti. Non si parla mai abbastanza di certi argomenti.
Sono contento di avere avuto un esperto di cultura giapponese al mio fianco durante le (non sto scherzando) sei volte che ho letto questo racconto; fino a questo momento, è il racconto che ho letto più volte.
Qual è il tema di questo racconto? Il male di vivere, il suicidio, l'incomunicabilità...
Qual è l'ambientazione di questo racconto? La protagonista va nella foresta (ambientazione) per suicidarsi (tema), si trova di fronte il suo male di vivere allegorico (tema) nella foresta (ambientazione), il quale lo convince a non suicidarsi (tema) nella foresta (ambientazione).
Sì, sono quello che non avrebbe ammesso questo racconto per difetto di tema.
Ma sono anche quello che non vede l'ora di raccontarti come e perché ho cambiato idea. Cosa che avverrà solo alla fine dello step.
Per onestà intellettuale, ci tenevo a precisare l'evoluzione del mio pensiero e il fatto che, come si può notare anche dagli altri commenti, questa non è una foresta qualsiasi. E di questo non si può non tener conto.
Ecco perché difendo la scelta di tutto il CdL di aver ammesso questa meravigliosa storia al primo step di Pachamama, e ti ringrazio per averci regalato dieci minuti di riflessioni importanti e potenti. Non si parla mai abbastanza di certi argomenti.
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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
vivonic- Admin
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Wow, che bel racconto. Mi ha fin dalle prime righe riportato alla mente un articolo in cui si parlava appunto di una foresta in Giappone dove in tanti andavano a suicidarsi e che per questo era stata costellata di cartelli con messaggi positivi, di inviti al ripensamento. Il racconto è scritto davvero molto bene, senza sbavature né esagerazioni nell’inserire il narratore onnisciente – che per la penna pare davvero naturale – ma neanche rinunciando a belle descrizioni, sia della foresta che dei personaggi. Tutto decisamente equilibrato, con una scrittura abile nel gestire il ritmo della trama e senza arrivare con un finale frettoloso.
La foresta l'ho vista in questo frangente come il percorso di una vita: ad un certo punto tutto diventa complicato, rami e radici che mettono in difficoltà, le giornate si trascinano avvolti dalla sensazione di non saper più come uscire da situazioni che ingabbiano, da insicurezze alla fine normali per chi sta per iniziare una nuova vita o gettare le basi per il suo futuro. Una soluzione drastica e definitiva pare essere l’unica via d’uscita, per non deludere gli altri e per non vivere quella delusione. E quando si incontra la persona che sa prendere per mano, nel bosco appare un sentiero che porta dall’altra parte, facendosi meno fitta.
Una bella similitudine, o almeno così ho interpretato questo racconto, delicato anche quando si tratta di parlare di morte. Mi è piaciuto anche l’inserimento di tanti vocaboli giapponesi, che racchiudono tanti significati profondi. Così come raccogliere gli oggetti che chi voleva suicidarsi aveva portato con sé, ricordi di una vita che però non hanno dato loro la forza di tornare indietro.
Complimenti davvero.
La foresta l'ho vista in questo frangente come il percorso di una vita: ad un certo punto tutto diventa complicato, rami e radici che mettono in difficoltà, le giornate si trascinano avvolti dalla sensazione di non saper più come uscire da situazioni che ingabbiano, da insicurezze alla fine normali per chi sta per iniziare una nuova vita o gettare le basi per il suo futuro. Una soluzione drastica e definitiva pare essere l’unica via d’uscita, per non deludere gli altri e per non vivere quella delusione. E quando si incontra la persona che sa prendere per mano, nel bosco appare un sentiero che porta dall’altra parte, facendosi meno fitta.
Una bella similitudine, o almeno così ho interpretato questo racconto, delicato anche quando si tratta di parlare di morte. Mi è piaciuto anche l’inserimento di tanti vocaboli giapponesi, che racchiudono tanti significati profondi. Così come raccogliere gli oggetti che chi voleva suicidarsi aveva portato con sé, ricordi di una vita che però non hanno dato loro la forza di tornare indietro.
Complimenti davvero.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Davvero molto interessante il tema di questo racconto: giovani che affrontano il mal di vivere decidendo che il suicidio sia la soluzione a tutto. E già qui si aprirebbe un mondo...
La foresta dei suicidi è stata descritta molto bene e tra le righe viene trasmessa una certa inquietudine che rimane appiccicata addosso durante tutta la lettura (in merito a questo però suggerisco di cambiare qualche aggettivo troppo abusato e qualche frase fatta con espressioni più originali e disturbanti).
Il fatto che manchi un vero e proprio motivo per l'insano gesto aggiunge quel tocco di follia che ci sta bene all'interno di questa storia: senza un motivo è difficile accettare quel gesto e chi rimane piomba nella disperazione più profonda.
Il guardiano delle ultime cose, oltre a essere un appellativo molto intrigante, è anche un personaggio particolare, inatteso e appropriato: il rischio che diventasse saccente e un filino antipatico era dietro l'angolo, ma sei riuscito a infondergli una sorta di pacata gentilezza che lo rende automaticamente lo spirito guida calmo e rasserenante che ognuno vorrebbe avere accanto (a proposito, non ho ben capito se questa figura è reale oppure no, poi mi dirai...).
Il titolo è un valore aggiunto a questo bel testo che nella sua esposizione lineare, corretta e solo apparentemente di facile lettura, offre uno spunto di riflessione notevole e per niente scontato.
La foresta dei suicidi è stata descritta molto bene e tra le righe viene trasmessa una certa inquietudine che rimane appiccicata addosso durante tutta la lettura (in merito a questo però suggerisco di cambiare qualche aggettivo troppo abusato e qualche frase fatta con espressioni più originali e disturbanti).
Il fatto che manchi un vero e proprio motivo per l'insano gesto aggiunge quel tocco di follia che ci sta bene all'interno di questa storia: senza un motivo è difficile accettare quel gesto e chi rimane piomba nella disperazione più profonda.
Il guardiano delle ultime cose, oltre a essere un appellativo molto intrigante, è anche un personaggio particolare, inatteso e appropriato: il rischio che diventasse saccente e un filino antipatico era dietro l'angolo, ma sei riuscito a infondergli una sorta di pacata gentilezza che lo rende automaticamente lo spirito guida calmo e rasserenante che ognuno vorrebbe avere accanto (a proposito, non ho ben capito se questa figura è reale oppure no, poi mi dirai...).
Il titolo è un valore aggiunto a questo bel testo che nella sua esposizione lineare, corretta e solo apparentemente di facile lettura, offre uno spunto di riflessione notevole e per niente scontato.
caipiroska- Cavaliere Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Veramente un ottimo lavoro. Racconto molto bello e molto ben scritto. Ti confesso che ho dato una scorsa ai commenti precedenti e non saprei cosa aggiungere ai complimenti che sono stati fatti, ma dato che qualcosa bisogna dire…
Racconto lungo che però scorre via liscio dall’inizio alla fine e si legge con piacere.
La scrittura è ottima. Ti dico solo un paio di cose che modificherei.
In questa frase “Più si addentrava più la vegetazione diventava fitta, un mare di pini, abeti, cedri e querce, finché la luce accecante di prima non aveva fatto spazio a un chiarore appena naturale”, al posto di “aveva fatto” userei il passato remoto “fece”, mi sembra più congruente a livello formale con il resto del testo.
“come poi venne a sapere”: qui invece mi sembra meglio il trapassato prossimo, “era venuta a sapere”.
“una macabra carezza sul suo giovane viso”: taglierei questa frase, mi sembra un’enfasi retorica inutile.
“Ma tu come fai a sapere…”: toglierei il “ma”.
“Arrivati all’ingresso da cui Izumi era entrata, lasciò”: cambierei la posizione di Izumi, per rendere più chiaro che è il soggetto della seconda frase: “Arrivati all’ingresso da cui era entrata, Izumi lasciò”.
Anche io avevo incontrato la “foresta dei suicidi” nella mia ricerca per il racconto, ma l’avevo scartata perché so che è appena uscito un film sul tema, avevo quindi paura di scrivere qualcosa di già visto.
Invece direi che tu hai fatto un ottimo lavoro, trasformandola in un percorso di formazione, esistenziale e di vita.
Molto bello anche il titolo.
Sono solo al secondo racconto, ma non so se troverò qualcosa di meglio.
Complimenti!
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Il titolo colpisce e induce a una riflessione. Gli uomini grandi sopravvivono nelle loro opere, invece il comune mortale solo per qualche tempo verrà ricordato dalle persone care, poi di lui nemmeno il ricordo resterà. Se le persone non lasciano traccia di sé, la loro vita è stata inutile; quella dei suicidi sembra la più vana di tutte.
L’uomo muore e i suoi oggetti gli sopravvivono, come se le cose fossero più importanti delle persone. Non è così, certo, eppure deve esserci un senso in questa cosa..
Agli oggetti sono legati i ricordi, ma i ricordi sono ombre, mentre gli oggetti sono reali. Akira custodisce gli oggetti lasciati dai defunti per dare concretezza ai ricordi, per lasciare una traccia tangibile di quelle vite che, seppure violentemente concluse, devono avere avuto un senso.
Mi è piaciuto tutto di questo racconto: il tema, l’ambientazione, la scrittura, gli spunti di riflessione. Il bosco è selva oscura dove è facile perdersi nel tortuoso percorso della vita, ma anche vero e proprio luogo di morte come la foresta dei suicidi, nonché luogo dell’infanzia di Izumi e Fumiaki, il ragazzo suicida. Non mi sorprende che il male di vivere colpisca i giovani, penso che infanzia e adolescenza siano età difficili da sempre, oggi ancora di più. Izumi entra nella selva per morire ma ne esce viva. Il suo cappuccio non resterà nella foresta, lo porterà con sé in giro per il mondo.
mirella- Padawan
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Il racconto affronta il tema del male di vivere e del suicidio in modo coinvolgente e avvincente. Elogio la capacità del testo di portare il lettore in un viaggio tra le profondità oscure della mente umana, attraverso una narrazione che combina abilmente realtà e allegoria. Apprezzo l'ambientazione nella foresta, che evoca un'atmosfera onirica e surreale, piena di simbolismo e significato profondo.
La figura del guardiano delle ultime cose è una figura misteriosa e suggestiva che aggiunge profondità alla trama. Tuttavia, trovo poco convincenti le motivazioni dei personaggi, soprattutto quelle della ragazza aspirante suicida, che sembrano superficiali e poco approfondite. Il finale positivo è rassicurante e significativo, ma mi chiedo se sia sufficiente a bilanciare le ombre presenti nella narrazione.
In generale, la scrittura è accurata e scorrevole, capace di suscitare riflessioni profonde sul significato della vita e della morte. Sono colpito e commosso dalla storia, che riesce a trattare un tema così delicato con sensibilità e profondità.
La figura del guardiano delle ultime cose è una figura misteriosa e suggestiva che aggiunge profondità alla trama. Tuttavia, trovo poco convincenti le motivazioni dei personaggi, soprattutto quelle della ragazza aspirante suicida, che sembrano superficiali e poco approfondite. Il finale positivo è rassicurante e significativo, ma mi chiedo se sia sufficiente a bilanciare le ombre presenti nella narrazione.
In generale, la scrittura è accurata e scorrevole, capace di suscitare riflessioni profonde sul significato della vita e della morte. Sono colpito e commosso dalla storia, che riesce a trattare un tema così delicato con sensibilità e profondità.
Gimbo- Padawan
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Quanto è giapponese questo racconto. Totalmente giapponese. Titolo, ambientazione, tema. Non nego che mi è piaciuto molto. L'ambientazione è suggestiva. Belli i personaggi. Tocca un tema delicato con delicatezza (perdonatemi la ripetizione necessaria). Se devo trovare un difetto, non ho gradito molto un paio di interventi enciclopedici, un po' a gamba tesa, da parte del narratore, ma credo che siano abbastanza necessari per ancor meglio ambientare la vicenda.
Complimenti e grazie.
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CharAznable- Maestro Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Racconto un pò troppo lungo con ombre e luci. La foresta, in questo caso, più che l’ambientazione sembra quasi un altro personaggio. È animata da spiriti, e come dici, non tutti sono malvagi. Come se avesse un respiro e assistesse, indifferente, alle questioni umane. La trama, per quanto semplice, ha dello sconcertante e la risoluzione ripaga appena per tutti quei ragazzi che non ce l’hanno fatta.
Il forte legame che si crea tra i due protagonisti credo che vada oltre l’incontro casuale.
Akira conosce molte cose di Izumi, la chiama scimmietta come l'amico morto era solito fare. Potrebbe essere lo spirito dell’amico venuto in soccorso alla ragazza.
Questo quello che ho interpretato, ma potrebbe anche essere altro.
Il forte legame che si crea tra i due protagonisti credo che vada oltre l’incontro casuale.
Akira conosce molte cose di Izumi, la chiama scimmietta come l'amico morto era solito fare. Potrebbe essere lo spirito dell’amico venuto in soccorso alla ragazza.
Questo quello che ho interpretato, ma potrebbe anche essere altro.
Resdei- Maestro Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Per la parte descrittiva/fantastica il racconto scorre in modo egregio.
In alcune parti i dialoghi sembrano troppo costruiti e risultano meno fluidi rispetto al resto del racconto.
in alcuni tratti iniziali i personaggi mancano di forza.
La parte finale, la più apprezzata, risulta la più azzeccata per come è stata gestita anche da un punto di vista lessicale.
In alcune parti i dialoghi sembrano troppo costruiti e risultano meno fluidi rispetto al resto del racconto.
in alcuni tratti iniziali i personaggi mancano di forza.
La parte finale, la più apprezzata, risulta la più azzeccata per come è stata gestita anche da un punto di vista lessicale.
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Ciao, Penna.
Ho letto e riletto molto volentieri questo racconto. Akira dice di essere fatto in carne e ossa, ma da come lo descrivi mi sembra quasi l'incarnazione stessa della foresta di Aokigahara. L'ambientazione sa molto di Giappone. Già dal cartello che recita "La tua vita è un dono prezioso dei tuoi genitori. Pensa a loro e al resto della tua famiglia. Non devi soffrire da solo." mi ci hai fatto immergere. Anche se non conoscevo la storia leggendaria di questa foresta ho capito subito, senza nemmeno andare su Wikipedia, di che cosa si trattasse, grazie proprio al cartello. Su Wikipedia ho solo trovato la conferma della mia intuizione, quindi per quanto mi riguarda con l'incipit mi hai subito conquistato e non sono più riuscito a staccare l'attenzione su ciò che scrivevi.
Credo che questo sia il principale motivo per cui, nemmeno rileggendolo, non sono riuscito a trovare nemmeno una virgola fuori posto o una parola scritta male. E non posso che fare i complimenti anche al titolo azzeccatissimo.
Grazie e alla prossima.
Ho letto e riletto molto volentieri questo racconto. Akira dice di essere fatto in carne e ossa, ma da come lo descrivi mi sembra quasi l'incarnazione stessa della foresta di Aokigahara. L'ambientazione sa molto di Giappone. Già dal cartello che recita "La tua vita è un dono prezioso dei tuoi genitori. Pensa a loro e al resto della tua famiglia. Non devi soffrire da solo." mi ci hai fatto immergere. Anche se non conoscevo la storia leggendaria di questa foresta ho capito subito, senza nemmeno andare su Wikipedia, di che cosa si trattasse, grazie proprio al cartello. Su Wikipedia ho solo trovato la conferma della mia intuizione, quindi per quanto mi riguarda con l'incipit mi hai subito conquistato e non sono più riuscito a staccare l'attenzione su ciò che scrivevi.
Credo che questo sia il principale motivo per cui, nemmeno rileggendolo, non sono riuscito a trovare nemmeno una virgola fuori posto o una parola scritta male. E non posso che fare i complimenti anche al titolo azzeccatissimo.
Grazie e alla prossima.
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Re: Il guardiano delle ultime cose
A parte un paio di incongruenze narrative e qualche imprecisione lessicale, a me il racconto non sarebbe dispiaciuto; credo anzi che abbia grandi potenzialità ma sembra solo un abbozzo: cosa muova quella ragazza, cosa il suo salvatore, è accennato in maniera sbrigativa (la paura del futuro di lei, il padre malvagio di lui) rendendo i personaggi privi del necessario spessore per una storia che è imperniata, invece, sulle emozioni interiori, che non si sentono, che non danno la necessaria spinta (di dolore, angoscia, …) al lettore. A parte questo ho un dubbio (che non riguarda la qualità letteraria del testo): perché l’ambientazione giapponese? Immagino che tu, autore/trice, ami la cultura e la letteratura nipponica, va bene, e hai trovato un contesto narrativo ideale, lo capisco; ma a me questa scelta sembra imitativa, e per ciò stesso meno originale. Voglio dire: il problema degli adolescenti depressi e a volte autolesionisti c’è anche in Italia, e potevi immaginare la protagonista - che so? - che vuole morire nel mare gelido, invernale, dell’Adriatico ma spunta un ragazzo così e cosà etc. È come su un autore/trice, solo per il fatto di volere scrivere una storia poliziesca, si senta in dovere di ambientarla a New York. In virtù di questa tua scelta hai dovuto introdurre, qua e là, delle spiegazioni su termini o usanze giapponesi, fortunatamente non in modo eccessivamente invasivo ma che, in ogni caso, rendono l’idea di un’estraneità (se tu fossi giapponese, e scrivessi per un pubblico giapponese, non avresti avuto la necessità di queste spiegazioni).
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L'uomo fa il male come l'ape il miele (William Golding).
Re: Il guardiano delle ultime cose
Un ottimo racconto, scritto benissimo e pieno di giapponesità (non so se esiste, ma penso renda l'idea); un testo che vale ogni minuto speso nella lettura.
La "foresta dei suicidi" fa da sfondo e tema a questa soria di anime perse, di due ragazzi che sono partiti con l'intento di togliersi la vita - per ragioni molto diverse l'uno dall'altra - e che, indirettamente, la foresta stessa contribuisce a salvare.
Tutto il brano è pervaso dal particolare modo di sentire dei giapponesi, per i quali, a volte, basta anche solo il sospetto di poter deludere qualcuno a cui tengono, di non essere in grado dei fare qualcosa in modo perfetto, per scaraventarli nella disperazione più nera e spingerli fino al limite estremo.
È certamente così per Izumi. Ce lo dice lei stessa, in una confessione, per certi versi, straziante: "Non ce la faccio. Ho paura di affrontare il sogno. Per la prima volta da sola. Ho paura di non essere all’altezza e di deludere i miei genitori. E questo mi paralizza".
"Ho paura di affrontare il sogno". Non c'è bisogno di consultare Freud o Jung per afferrare tutta la disperazione nascosta in quella semplice frase.
Ma Akira, fedele al suo nome ("Mi chiamo Akira. O quello che rimane di un giovane brillante"), le mostra ciò che Aokigahara normalmente nasconde ("teschi e ossa emergevano dal terreno, resti di esseri umani, ancora appesi ai rami") e le spiega la sua funzione di "guardiano delle ultime cose". E infine, con un'ultima frase che pare un'altra volta sottintendere dei poteri da yūrei ("Anche la scimmietta è caduta dall’albero. Ricorda, tutti possiamo sbagliare"), si congeda da Izumi, che finalmente prova " l’urgenza di cominciare a vivere". Una nuova vita l'attende, una vita arricchita da vecchie cicatrici: come una ciotola ridotta in pezzi che il Kintsugi fa rinascere ancora più bella.
Complimenti e grazie per la bellissima lettura.
M.
La "foresta dei suicidi" fa da sfondo e tema a questa soria di anime perse, di due ragazzi che sono partiti con l'intento di togliersi la vita - per ragioni molto diverse l'uno dall'altra - e che, indirettamente, la foresta stessa contribuisce a salvare.
Tutto il brano è pervaso dal particolare modo di sentire dei giapponesi, per i quali, a volte, basta anche solo il sospetto di poter deludere qualcuno a cui tengono, di non essere in grado dei fare qualcosa in modo perfetto, per scaraventarli nella disperazione più nera e spingerli fino al limite estremo.
È certamente così per Izumi. Ce lo dice lei stessa, in una confessione, per certi versi, straziante: "Non ce la faccio. Ho paura di affrontare il sogno. Per la prima volta da sola. Ho paura di non essere all’altezza e di deludere i miei genitori. E questo mi paralizza".
"Ho paura di affrontare il sogno". Non c'è bisogno di consultare Freud o Jung per afferrare tutta la disperazione nascosta in quella semplice frase.
Ma Akira, fedele al suo nome ("Mi chiamo Akira. O quello che rimane di un giovane brillante"), le mostra ciò che Aokigahara normalmente nasconde ("teschi e ossa emergevano dal terreno, resti di esseri umani, ancora appesi ai rami") e le spiega la sua funzione di "guardiano delle ultime cose". E infine, con un'ultima frase che pare un'altra volta sottintendere dei poteri da yūrei ("Anche la scimmietta è caduta dall’albero. Ricorda, tutti possiamo sbagliare"), si congeda da Izumi, che finalmente prova " l’urgenza di cominciare a vivere". Una nuova vita l'attende, una vita arricchita da vecchie cicatrici: come una ciotola ridotta in pezzi che il Kintsugi fa rinascere ancora più bella.
Complimenti e grazie per la bellissima lettura.
M.
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M. Mark o'Knee- Cavaliere Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
altro pezzo piuttosto bello.
ottima l'idea del guardiano delle ultime cose, una figura anomala, particolare ma efficace ed essenziale in questo racconto.
incerta, invece, la figura della ragazzina. che si voglia uccidere per la paura di affrontare il sogno cui ambisce... boh, mi pare fuorviante, strano.
in linea di massima le descrizioni sono comunque buone ed efficaci.
niente male.
ottima l'idea del guardiano delle ultime cose, una figura anomala, particolare ma efficace ed essenziale in questo racconto.
incerta, invece, la figura della ragazzina. che si voglia uccidere per la paura di affrontare il sogno cui ambisce... boh, mi pare fuorviante, strano.
in linea di massima le descrizioni sono comunque buone ed efficaci.
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Re: Il guardiano delle ultime cose
Inizia un po' in punta di piedi, ma poi decolla. Sembra una fiaba, ma alla fine racconta di un posto reale e, anche se lo fa con un tono sospeso e fantastico, punta in alto e cerca di passare dei messaggi profondi.
Ha una grande ricerca alle spalle, ma leggendo non si sente affatto.
Il titolo ricorda il Paese delle ultime cose di Paul Auster. Anche li la protagonista raccoglieva oggetti di persone morte, le ultime cose, ricordi altrui, frammenti che messi insieme sembrano offrire una specie di ancora di salvezza, di motivo per rimanere in vita comunque.
Scrittura pulitissima e delicata. Direi più una mano femminile che maschile, ma potrei sbagliarmi.
Lo asciugherei ancora un po', ma funziona già molto bene così.
La foresta diventa tema quando si trasforma nel ventre di un drago, secondo me, da cui la protagonista esce piena di forza e saggezza.
Un buonissimo lavoro, complimenti.
Ha una grande ricerca alle spalle, ma leggendo non si sente affatto.
Il titolo ricorda il Paese delle ultime cose di Paul Auster. Anche li la protagonista raccoglieva oggetti di persone morte, le ultime cose, ricordi altrui, frammenti che messi insieme sembrano offrire una specie di ancora di salvezza, di motivo per rimanere in vita comunque.
Scrittura pulitissima e delicata. Direi più una mano femminile che maschile, ma potrei sbagliarmi.
Lo asciugherei ancora un po', ma funziona già molto bene così.
La foresta diventa tema quando si trasforma nel ventre di un drago, secondo me, da cui la protagonista esce piena di forza e saggezza.
Un buonissimo lavoro, complimenti.
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Asbottino- Cavaliere Jedi
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Re: Il guardiano delle ultime cose
È la prima volta che non apprezzo un racconto con questo tono fantastico. Il motivo è che la foresta esiste veramente e il tema delicatissimo per questo mi sarebbe piaciuto di più se fosse stato trattato in modo realistico.
Perché alla fine, il più delle volte, in certi momenti, chi ti aiuta sono persone reali. In questo modo sembra che la ragazza, con questo viaggio introspettivo, si salvi da sola, ma molte volte da soli non si riesce. Quindi, avrei evitato quel tocco di "magia" per affrontare il tema in modo reale, avrebbe colpito maggiormente nel segno.
Per quanto riguarda lo stile, hai inserito gli elementi giapponesi in modo perfetto. Non sembrava una lezioncina, e se devo essere sincero, anche tutto il racconto sembra avere una mano giapponese, intendo proprio per come scrivono gli autori giapponesi. Un difetto l'ho trovato: troppo lungo, ma secondo me è dovuto al tipo di scrittura, quindi problema mio.
Per quanto riguarda la "pancia", per una volta mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
Perché alla fine, il più delle volte, in certi momenti, chi ti aiuta sono persone reali. In questo modo sembra che la ragazza, con questo viaggio introspettivo, si salvi da sola, ma molte volte da soli non si riesce. Quindi, avrei evitato quel tocco di "magia" per affrontare il tema in modo reale, avrebbe colpito maggiormente nel segno.
Per quanto riguarda lo stile, hai inserito gli elementi giapponesi in modo perfetto. Non sembrava una lezioncina, e se devo essere sincero, anche tutto il racconto sembra avere una mano giapponese, intendo proprio per come scrivono gli autori giapponesi. Un difetto l'ho trovato: troppo lungo, ma secondo me è dovuto al tipo di scrittura, quindi problema mio.
Per quanto riguarda la "pancia", per una volta mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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