Il tempo di un nome
+26
Byron.RN
Arianna 2016
Asbottino
paluca66
Achillu
gipoviani
ImaGiraffe
Claudio Bezzi
CharAznable
Gimbo
Albemasia
FedericoChiesa
CARLA EBLI
vivonic
Susanna
Giammy
Arunachala
tommybe
Resdei
SuperGric
mirella
caipiroska
Molli Redigano
Petunia
M. Mark o'Knee
Different Staff
30 partecipanti
Pagina 1 di 2
Pagina 1 di 2 • 1, 2
Il tempo di un nome
Nessuno ricordava quando la donna fosse arrivata nella piccola oasi a un giorno di cammino dal villaggio, ma per tutti ne era la custode e si diceva lo fosse anche della sorgente che alimentava i pozzi delle loro case.
A chi le chiedesse il suo nome o da dove venisse, lei rispondeva con un sorriso gentile e un gesto vago della mano magra e nodosa, quasi scacciando quelle domande come mosche noiose.
Forse a confondere, ingannare, erano gli occhi, azzurri, quasi trasparenti, che risaltavano su un viso segnato dal sole e dal vento, ma chi da anni si fermava nella piccola oasi ai margini del deserto giurava di averla sempre vista lì, davanti alla tenda, con un bricco di tè profumato e piccole focacce, da gustare con dei datteri.
Selima, questo era il suo nome, offriva quei doni ai mercanti e ai nomadi che ancora viaggiavano a dorso di cammello con i gesti semplici di chi divide quello che ha con gioia. Ma quando versava l’acqua, i gesti erano solenni, perché un bene così prezioso meritava di essere onorato.
Di sicuro Selima aveva viaggiato molto: narrava di città lontane e di culture a volte bizzarre; per lei raccontare, condividere il suo bagaglio di ricordi ed esperienze era il modo per non scordare nulla di una vita vissuta intensamente.
Ma era la sua storia quella che più amava raccontare, soprattutto a chi si fermava per la notte, una fiaba per grandi e piccini seduti attorno al fuoco, attenti: la sera diventava notte, la notte si faceva alba e gli anni di Selima scorrevano come seta. I bimbi finivano per addormentarsi, ma per i grandi il suono della sua voce era più riposante di qualche ora di sonno.
«Stasera vi voglio raccontare la storia di una bambina, Selima, nata in un villaggio molto lontano, in una notte come questa, con tantissime stelle in cielo e un vento leggero che gironzolava tra le case.»
Nei momenti di solitudine, quando la nostalgia si faceva struggente, la raccontava a sé stessa, sottovoce, arricchendola di nuovi particolari che affioravano inaspettatamente.
Selima era nata in un villaggio adagiato tra colline lussureggianti e le prime propaggini del deserto, annunciato da alture rocciose, rossastre e brulle.
Nacque di notte, una notte straordinaria di cui ancora c’è memoria: in cielo non si erano mai viste così tante stelle e quando si udì il pianto della piccola, l’acqua che, attraverso una fitta rete di canali, irrigava frutteti, orti e giardini, si fece rigagnolo, per non disturbare il riposo della madre. E anche il vento, che da giorni soffiava impetuoso, quella notte si placò.
Era ormai quasi l’alba quando Selima venne presentata al capo del villaggio affinché le fosse imposto il nome scelto per lei. In quel momento in cielo apparvero delle stelle cadenti, che andarono a nascondersi dietro la cima della montagna che si vedeva, netta, in lontananza. Ne contarono dieci.
«Hared, quando sarà il mese del suo decimo compleanno, la dovrai portare al cospetto delle Sagge della montagna, là in cima, per conoscere il suo destino.»
Hared era perplesso: che si sapesse nessuno del villaggio aveva mai incontrato le Sagge e si pensava fosse solo una delle tante leggende tramandate di padre in figlio.
«Ah Selima! Dicono fosse sempre allegra, mai un minuto ferma, curiosa e qualche volta un po’ birichina, come voi; ma era anche studiosa, e bravissima in disegno, sì davvero molto brava.»
«Ma poi suo padre la portò dalle Sagge? Dove abitavano?»
C’erano sempre bimbi impazienti di ascoltare chissà quali avventure!
«Certo! Dovettero andare fin sulla montagna e fu un viaggio faticoso, su sentieri sassosi e ripidi, lungo i quali ben pochi alberi offrivano un po’ di ombra, ma Selima non si lamentò per la fatica perché lamentarsi non accorciava di certo la strada! Le Sagge abitavano una grande casa…»
Le Sagge abitavano proprio in cima alla montagna, in una grande casa di pietra che pareva un fortino, grigia e triste vista da fuori, ma l’interno era curata e accogliente. Nelle stanze grandi tappeti colorati coprivano il pavimento di pietra e nel cortile, dentro grandi vasi colorati, crescevano cespugli rigogliosi e piccole piante di limoni.
All’inizio padre e figlia poterono vedere le Sagge solo da lontano: se ne stavano sedute per ore alle finestre, in silenzio, assorte in meditazione per poi ritirarsi in stanze dove solo loro potevano entrare.
Il cortile si riempì delle risate di Selima, e delle sue proteste quando il padre si rifiutava di portarla nella valletta che conduceva al deserto, come la bimba chiedeva con sempre più insistenza.
Un giorno Hared, preoccupato, ne parlò alle Sagge:
«Selima vorrebbe andare sempre oltre, ma io non mi fido, so quanti pericoli possono nascondersi. Quando torniamo passa ore a disegnare, la sento chiacchierare, ridere e la vedo… ascoltare.»
E porse alle donne dei disegni: c’era sempre il deserto, a volte con semplici tratti per dune e rocce affioranti, a volte ai piedi di montagne disegnate con cura e ricche di particolari.
«Dice che questi luoghi le vengono descritti dal vento, dalla sabbia che si lascia scorrere tra le dita. E che anche voi sentite… cose. Che significa? Ha solo dieci anni, ha sempre vissuto al villaggio… E poi c’è questo.»
Altri disegni, ma con qualcosa di diverso: ai colori bruni e giallastri si erano aggiunte macchie di colore, che Selima spiegò così:
«L’azzurro è il mare, il verde le foreste, il rosso… non lo so, è triste, e il nero fa paura, ma io non ho paura.»
Quella sera le Sagge, dopo essersi consultate a lungo, furono molto chiare con Hared: quei disegni erano la conferma che Selima doveva rimanere con loro, l’avrebbero protetta e dato gli strumenti per affrontare il futuro scritto tra le stelle la notte in cui era nata e che non poteva essere cambiato.
Il giorno dopo Hared ripartì, da solo: Selima lo osservò finché non divenne solo un puntino. Il vento le portò il sapore delle lacrime del padre: non lo avrebbe mai dimenticato.
«Ma cosa faceva tutto il giorno?»
«E a scuola, andava a scuola?»
«Beh, le Sagge erano anche brave insegnanti, sapevano di matematica e di storia, di astronomia e di scienze, avevano tanti libri. Selima imparò diverse lingue, ma anche a ricamare e tessere, a cucinare… insomma non aveva tempo per annoiarsi.»
Crescendo Selima prese l’abitudine di inoltrarsi a cavallo nel deserto, per qualche ora: lì si sentiva davvero libera, viva, in un ambiente solo in apparenza senza vita, dove riordinare pensieri e sogni che affidava al vento.
Il giorno del suo diciottesimo compleanno Selima ricevette dalle Sagge i tre nomi che avevano scelto per lei, dopo averla osservata e studiata: erano nomi importanti, che l’avrebbero accompagnata tutta la vita.
Li dovette ripetere più volte, assieme al significato che essi racchiudevano e al giuramento di utilizzarli solo quando si fosse sentita pronta ad affrontarne le conseguenze.
«Una volta che avrai speso un nome, scrivendolo sulla sabbia, sulla pietra o nell’aria, si compirà una parte del tuo destino e non potrai tornare indietro.»
Qualche giorno dopo Selima partì per la grande città, affidata all’uomo che spesso faceva visita alle Sagge, portando nuovi libri per la biblioteca, giornali e notizie dal mondo, un mondo provato da anni di guerra e con ferite ancora aperte.
«Come spese i nomi, Selima? Cioè un nome è un nome…»
«Oh no, un nome può racchiudere tanto: una speranza, un sogno. Potere. Un potere non sempre comprensibile, come tante cose. Può anche nascondere una persona: la vedi, le parli, poi ti accorgi di non ricordarne le fattezze, la voce, cosa avete fatto assieme. È strano ma è ciò che accadde a Selima.»
Il primo nome lo incise su un sasso preso da un’aiuola davanti all’università e che tenne stretto mentre consegnava i documenti per l’iscrizione al corso di archeologia.
Doveva essere un nome potente, più forte dell’influenza che le Sagge avevano speso perché potesse frequentare scuole di solito riservate all’élite della società. Selima venne accettata, ma tanti furono i malumori, gli sgarbi, le critiche.
Era una donna, destinata ad accudire un marito e dei figli, non ad avere ambizioni.
Quella parte di mondo proprio non riusciva a liberarsi di quel modo di pensare e Selima ne soffriva ma non si arrese: nei momenti difficili si rifugiava fuori città, in un angolo brullo e arido che le ricordava il deserto, che sempre tornava nei disegni che teneva ben riposti in un bauletto.
Il suo primo nome era per una donna amante del sapere e della conoscenza: il giorno in cui le consegnarono, a malincuore, la laurea, il sasso tornò al suo posto, intatto.
Il giorno dopo lesse che in una regione non troppo lontana erano stati aperti degli scavi: mise le sue cose in una cassa e partì. Durante il viaggio in treno provò e riprovò il discorso per presentarsi al dottor Richard Harris, lo studioso che dirigeva i lavori, sperando fosse di mentalità tanto aperta da passare sopra il fatto che lei fosse una donna, oltretutto senza titoli da spendere.
Lo trovò sotto una tenda che stava fotografando alcuni reperti: per calmarsi prese un blocco e alcune matite e in poco tempo i cocci di un vaso sparsi sul tavolo presero vita, persino i fregi scoloriti dal tempo spiccarono come appena dipinti.
«Ma… è bellissimo! E lei chi sarebbe, signorina?»
Nel momento in cui Selima si voltò, i loro cuori si intrecciarono e non si lasciarono più.
Quella sera scrisse il suo secondo nome nell’ultima pagina di un quadernetto, su cui avrebbe annotato nel tempo i ricordi più importanti della loro storia.
Fu un amore travolgente, che diede scandalo: per la differenza d’età, per la posizione di Richard, ricco di famiglia, per l’assenza di un passato di Selima. Ignorarono tutto e tutti e si sposarono, non senza qualche difficoltà. Vissero e lavorarono assieme per più di vent’anni: all’inizio la moglie esotica era oggetto di curiosità, salvo poi scoprirne le indubbie capacità, che nel tempo diedero a Selima un meritato prestigio. Quando decisero di ritirarsi in tanti musei, accanto ai reperti da lui portati alla luce, erano sistemati i bellissimi disegni di Selima, omaggio al passato di tanti popoli.
Per festeggiare il sessantesimo compleanno di Selima, Richard chiese ad un amico di portarla sul deserto, su un piccolo aeroplano. Selima non era preparata a un tale spettacolo: aveva sorvolato altre volte il deserto, ma così da vicino fu un’esperienza unica, quasi toccò con mano il desolato splendore come tante volte aveva immaginato. Le dune somigliavano a onde del mare immobili, cercò strade cancellate dal tempo, accampamenti sepolti dalle tempeste. E i colori del tramonto, con mille sfumature che duravano pochi attimi! Le parve persino di sentire l’odore del deserto.
Selima non riusciva a staccare gli occhi da tanta bellezza e pensò che un improvviso lampo rosso fosse dovuto solo a un riflesso sul metallo dell’ala.
Quella stessa notte Richard morì, nel sonno: Selima ne disperse le ceneri nel deserto e poi partì, portando con sé poche cose e nel cuore un dolore immenso.
Si dimenticarono di lei, come era scritto nelle stelle.
Viaggiò per alcuni anni, rimanendo sempre ai confini del deserto, fermandosi in piccoli villaggi, aggregandosi alle carovane di mercanti che ancora resistevano e che volentieri la ospitavano nelle loro grandi tende, in cambio di un ritratto, di uno dei suoi disegni così realistici, di una storia.
Il silenzio le dava pace e i ricordi tornavano nitidi e consolatori.
Addentrandosi qualche volta nel deserto le capitò di ritrovare i resti di uomini e donne traditi da quella distesa immensa di sabbia e rocce, che pensavano di conoscere così bene. Inutile dare sepoltura a quei resti, che forse nessuno aveva cercato: Selima raccoglieva quel che restava dei loro averi, qualche piccolo gioiello, un diario, una sciarpa e li lasciava su una bancarella o a un mendicante.
Assegnava a ogni tappa il ricordo di un momento particolare vissuto con Richard, il nome di una città che avevano visitato, felice di averne tenuto nota.
Forse fu il caso o il destino, ma arrivò all’ultimo foglietto proprio il giorno in cui si fermò in quell’oasi. Accese un fuoco e bruciò una paginetta per volta: non ne aveva più bisogno, i ricordi erano ben chiusi nel cuore, intoccabili. Quel giorno decise che il suo vagare era terminato e che quella sarebbe stata la sua casa.
Sull’ultima pagina aveva scritto tanto tempo prima il suo secondo nome, quello di una donna che avrebbe amato profondamente e custodito gelosamente il tempo vissuto.
«E poi?»
«Ah, rimane poco da dire: si racconta che un giorno sia partita, lasciando a guardia dell’oasi il suo spirito, uno spirito battagliero, che sapeva tenere a bada il deserto.»
Quando arrivava questo momento, per i viaggiatori era ora di partire, lasciando Selima sola a ricordare quello che non poteva raccontare. La verità.
Ogni anno, sempre negli stessi giorni, Selima metteva in una sacca cibo, acqua, una coperta e poco altro e raggiungeva, in una sorta di pellegrinaggio, la collina che nascondeva la grotta dove affiorava la sorgente d’acqua del suo pozzo.
In quella grotta gli acciacchi che ogni anno parevano allungare la strada per arrivarvi, svanivano: nella pozza d’acqua calma che si trovava a fianco della sorgente, non vedeva un viso segnato dal tempo, ma quello di una donna bella e orgogliosa, che aveva accettato di dedicare gli ultimi anni della sua vita a quella sorgente, vivendo in povertà per vegliare sulla ricchezza che scaturiva dalla roccia.
Come era scritto nel suo destino.
Ma quell’anno Selima decise di andare alla grotta anche se il tempo non era ancora compiuto: il livello del pozzo era calato, l’acqua da qualche giorno aveva un sapore strano e il vento portava sentori di odori sgradevoli e pungenti.
Nelle ossa sentiva uno strano presagio e persino il deserto pareva chiedere aiuto: il vento spazzò via la sabbia mostrando chiaramente l’antico passaggio che Selima ben conosceva, scoprendo rocce che le davano riparo durante la notte. Quando finalmente, dopo diversi giorni di viaggio faticoso, Selima arrivò in prossimità della collina sotto cui si trovava la grotta, capì.
Petrolio! Tanto prezioso che qualcuno sfidava il deserto per averlo, incurante di tutto e di tutti. Selima lo aveva già visto in altri luoghi e intuì che presto della collina e della fonte non sarebbe rimasto nulla.
Chiese del responsabile del campo, a cui cercò di spiegare quanto servisse l’acqua al villaggio, all’oasi, ma venne liquidata con poche parole, arroganti e inappellabili: che se ne andasse e subito, la collina era destinata a sparire per far passare l’oleodotto che avrebbe trasportato il petrolio alle raffinerie.
Selima sentì montare una rabbia enorme: si gettò contro l’uomo, tentò di graffiarlo, urlò fino a non avere più voce. Una furia che nessuno volle affrontare: eppure sarebbe bastato poco per fermare quelle quattro ossa fragili e raccontare poi, forse, di un tragico incidente. Persone come Selima non erano mai state un problema per la Compagnia.
Una volta calmatasi Selima tornò mestamente alla grotta, dove fu accolta dal gorgoglio dell’acqua limpida e fredda che scorreva tra i sassi, prima di inabissarsi sotto le rocce e la sabbia. I quarzi che ricoprivano parte della caverna catturarono la luce della lanterna e tutto si trasformò in un mondo fantastico: i colori, imprigionati dalle gocce d’acqua, si trasformarono in arcobaleni.
Dopo una notte inquieta, all’alba Selima prese una decisione: si inchinò alla fonte, recitò per lei preghiere antiche, chiedendo perdono per quanto aveva intenzione di fare.
Si lavò e pettinò con cura, poi da un anfratto della roccia prese un piccolo baule in cui erano riposti un abito, dai disegni complicati e coloratissimi, e un paio di orecchini, due gocce di zaffiro, dal colore intenso e puro.
Una volta pronta, al sorgere del sole, raggiunse una duna da cui poteva vedere il campo e scrisse il suo ultimo nome sulla sabbia, subito cancellato da una folata di vento.
L’ultimo nome per la paura, ma lei non aveva paura.
Nei giorni successivi in quella parte della regione soffiarono venti impetuosi, che impedivano agli operari di lavorare. Si aprivano improvvise voragini che inghiottivano uomini e attrezzature; quando il vento cessava, i macchinari si bloccavano per la sabbia finita tra gli ingranaggi.
Selima restava immobile sulla duna, nutrendosi di quel poco cibo che le era rimasto, in attesa che la furia del deserto prendesse il sopravvento su tutto quello scempio.
Tutto ciò si ripeté giorno dopo giorno e gli operai, anche i più scettici, caddero vittima di antiche superstizioni e finirono per andarsene:
«La donna… la donna ha maledetto questo posto!»
Alla fine un motore si incendiò: le fiamme si propagarono velocemente e quando raggiunsero i canali di perforazione, un enorme esplosione distrusse tutto quanto.
Dal giorno della partenza, di Selima non si seppe più nulla: qualcuno disse di averla vista vagare attorno alla voragine causata dall’esplosione, altri di averne visto il corpo trasportato dal vento, altri ancora di averla incontrata in città, raminga. Ci fu chi rimase per giorni nell’oasi, col fuoco sempre acceso, sperando di vederla tornare.
La grotta era crollata solo parzialmente: qualche tempo dopo un piccolo ruscello si fece largo tra pietre e sabbia e l’acqua, per chissà quale segreto percorso, raggiunse di nuovo l’oasi ridandole vigore. Ricomparvero i fiori, le palme ripresero a fruttificare, piccoli ciuffi d’erba ebbero ragione dei sassi e tutto rimase sospeso nel tempo, in paziente attesa di qualcosa o di qualcuno.
Arrivò una giovane donna, molto bella, dai lineamenti delicati, il portamento severo ed elegante. Portava con sé poche cose: una coperta, una vecchia lampada, una tenda dall’aria vissuta e un bricco per scaldare l’acqua. Riposti in un piccolo baule, un abito dai ricami complicati e antichi e un paio di orecchini, con cristalli limpidissimi, azzurri come i suoi occhi.
A chi le chiedesse il suo nome o da dove venisse, lei rispondeva con un sorriso gentile e un gesto vago della mano magra e nodosa, quasi scacciando quelle domande come mosche noiose.
Forse a confondere, ingannare, erano gli occhi, azzurri, quasi trasparenti, che risaltavano su un viso segnato dal sole e dal vento, ma chi da anni si fermava nella piccola oasi ai margini del deserto giurava di averla sempre vista lì, davanti alla tenda, con un bricco di tè profumato e piccole focacce, da gustare con dei datteri.
Selima, questo era il suo nome, offriva quei doni ai mercanti e ai nomadi che ancora viaggiavano a dorso di cammello con i gesti semplici di chi divide quello che ha con gioia. Ma quando versava l’acqua, i gesti erano solenni, perché un bene così prezioso meritava di essere onorato.
Di sicuro Selima aveva viaggiato molto: narrava di città lontane e di culture a volte bizzarre; per lei raccontare, condividere il suo bagaglio di ricordi ed esperienze era il modo per non scordare nulla di una vita vissuta intensamente.
Ma era la sua storia quella che più amava raccontare, soprattutto a chi si fermava per la notte, una fiaba per grandi e piccini seduti attorno al fuoco, attenti: la sera diventava notte, la notte si faceva alba e gli anni di Selima scorrevano come seta. I bimbi finivano per addormentarsi, ma per i grandi il suono della sua voce era più riposante di qualche ora di sonno.
«Stasera vi voglio raccontare la storia di una bambina, Selima, nata in un villaggio molto lontano, in una notte come questa, con tantissime stelle in cielo e un vento leggero che gironzolava tra le case.»
Nei momenti di solitudine, quando la nostalgia si faceva struggente, la raccontava a sé stessa, sottovoce, arricchendola di nuovi particolari che affioravano inaspettatamente.
Selima era nata in un villaggio adagiato tra colline lussureggianti e le prime propaggini del deserto, annunciato da alture rocciose, rossastre e brulle.
Nacque di notte, una notte straordinaria di cui ancora c’è memoria: in cielo non si erano mai viste così tante stelle e quando si udì il pianto della piccola, l’acqua che, attraverso una fitta rete di canali, irrigava frutteti, orti e giardini, si fece rigagnolo, per non disturbare il riposo della madre. E anche il vento, che da giorni soffiava impetuoso, quella notte si placò.
Era ormai quasi l’alba quando Selima venne presentata al capo del villaggio affinché le fosse imposto il nome scelto per lei. In quel momento in cielo apparvero delle stelle cadenti, che andarono a nascondersi dietro la cima della montagna che si vedeva, netta, in lontananza. Ne contarono dieci.
«Hared, quando sarà il mese del suo decimo compleanno, la dovrai portare al cospetto delle Sagge della montagna, là in cima, per conoscere il suo destino.»
Hared era perplesso: che si sapesse nessuno del villaggio aveva mai incontrato le Sagge e si pensava fosse solo una delle tante leggende tramandate di padre in figlio.
«Ah Selima! Dicono fosse sempre allegra, mai un minuto ferma, curiosa e qualche volta un po’ birichina, come voi; ma era anche studiosa, e bravissima in disegno, sì davvero molto brava.»
«Ma poi suo padre la portò dalle Sagge? Dove abitavano?»
C’erano sempre bimbi impazienti di ascoltare chissà quali avventure!
«Certo! Dovettero andare fin sulla montagna e fu un viaggio faticoso, su sentieri sassosi e ripidi, lungo i quali ben pochi alberi offrivano un po’ di ombra, ma Selima non si lamentò per la fatica perché lamentarsi non accorciava di certo la strada! Le Sagge abitavano una grande casa…»
Le Sagge abitavano proprio in cima alla montagna, in una grande casa di pietra che pareva un fortino, grigia e triste vista da fuori, ma l’interno era curata e accogliente. Nelle stanze grandi tappeti colorati coprivano il pavimento di pietra e nel cortile, dentro grandi vasi colorati, crescevano cespugli rigogliosi e piccole piante di limoni.
All’inizio padre e figlia poterono vedere le Sagge solo da lontano: se ne stavano sedute per ore alle finestre, in silenzio, assorte in meditazione per poi ritirarsi in stanze dove solo loro potevano entrare.
Il cortile si riempì delle risate di Selima, e delle sue proteste quando il padre si rifiutava di portarla nella valletta che conduceva al deserto, come la bimba chiedeva con sempre più insistenza.
Un giorno Hared, preoccupato, ne parlò alle Sagge:
«Selima vorrebbe andare sempre oltre, ma io non mi fido, so quanti pericoli possono nascondersi. Quando torniamo passa ore a disegnare, la sento chiacchierare, ridere e la vedo… ascoltare.»
E porse alle donne dei disegni: c’era sempre il deserto, a volte con semplici tratti per dune e rocce affioranti, a volte ai piedi di montagne disegnate con cura e ricche di particolari.
«Dice che questi luoghi le vengono descritti dal vento, dalla sabbia che si lascia scorrere tra le dita. E che anche voi sentite… cose. Che significa? Ha solo dieci anni, ha sempre vissuto al villaggio… E poi c’è questo.»
Altri disegni, ma con qualcosa di diverso: ai colori bruni e giallastri si erano aggiunte macchie di colore, che Selima spiegò così:
«L’azzurro è il mare, il verde le foreste, il rosso… non lo so, è triste, e il nero fa paura, ma io non ho paura.»
Quella sera le Sagge, dopo essersi consultate a lungo, furono molto chiare con Hared: quei disegni erano la conferma che Selima doveva rimanere con loro, l’avrebbero protetta e dato gli strumenti per affrontare il futuro scritto tra le stelle la notte in cui era nata e che non poteva essere cambiato.
Il giorno dopo Hared ripartì, da solo: Selima lo osservò finché non divenne solo un puntino. Il vento le portò il sapore delle lacrime del padre: non lo avrebbe mai dimenticato.
«Ma cosa faceva tutto il giorno?»
«E a scuola, andava a scuola?»
«Beh, le Sagge erano anche brave insegnanti, sapevano di matematica e di storia, di astronomia e di scienze, avevano tanti libri. Selima imparò diverse lingue, ma anche a ricamare e tessere, a cucinare… insomma non aveva tempo per annoiarsi.»
Crescendo Selima prese l’abitudine di inoltrarsi a cavallo nel deserto, per qualche ora: lì si sentiva davvero libera, viva, in un ambiente solo in apparenza senza vita, dove riordinare pensieri e sogni che affidava al vento.
Il giorno del suo diciottesimo compleanno Selima ricevette dalle Sagge i tre nomi che avevano scelto per lei, dopo averla osservata e studiata: erano nomi importanti, che l’avrebbero accompagnata tutta la vita.
Li dovette ripetere più volte, assieme al significato che essi racchiudevano e al giuramento di utilizzarli solo quando si fosse sentita pronta ad affrontarne le conseguenze.
«Una volta che avrai speso un nome, scrivendolo sulla sabbia, sulla pietra o nell’aria, si compirà una parte del tuo destino e non potrai tornare indietro.»
Qualche giorno dopo Selima partì per la grande città, affidata all’uomo che spesso faceva visita alle Sagge, portando nuovi libri per la biblioteca, giornali e notizie dal mondo, un mondo provato da anni di guerra e con ferite ancora aperte.
«Come spese i nomi, Selima? Cioè un nome è un nome…»
«Oh no, un nome può racchiudere tanto: una speranza, un sogno. Potere. Un potere non sempre comprensibile, come tante cose. Può anche nascondere una persona: la vedi, le parli, poi ti accorgi di non ricordarne le fattezze, la voce, cosa avete fatto assieme. È strano ma è ciò che accadde a Selima.»
Il primo nome lo incise su un sasso preso da un’aiuola davanti all’università e che tenne stretto mentre consegnava i documenti per l’iscrizione al corso di archeologia.
Doveva essere un nome potente, più forte dell’influenza che le Sagge avevano speso perché potesse frequentare scuole di solito riservate all’élite della società. Selima venne accettata, ma tanti furono i malumori, gli sgarbi, le critiche.
Era una donna, destinata ad accudire un marito e dei figli, non ad avere ambizioni.
Quella parte di mondo proprio non riusciva a liberarsi di quel modo di pensare e Selima ne soffriva ma non si arrese: nei momenti difficili si rifugiava fuori città, in un angolo brullo e arido che le ricordava il deserto, che sempre tornava nei disegni che teneva ben riposti in un bauletto.
Il suo primo nome era per una donna amante del sapere e della conoscenza: il giorno in cui le consegnarono, a malincuore, la laurea, il sasso tornò al suo posto, intatto.
Il giorno dopo lesse che in una regione non troppo lontana erano stati aperti degli scavi: mise le sue cose in una cassa e partì. Durante il viaggio in treno provò e riprovò il discorso per presentarsi al dottor Richard Harris, lo studioso che dirigeva i lavori, sperando fosse di mentalità tanto aperta da passare sopra il fatto che lei fosse una donna, oltretutto senza titoli da spendere.
Lo trovò sotto una tenda che stava fotografando alcuni reperti: per calmarsi prese un blocco e alcune matite e in poco tempo i cocci di un vaso sparsi sul tavolo presero vita, persino i fregi scoloriti dal tempo spiccarono come appena dipinti.
«Ma… è bellissimo! E lei chi sarebbe, signorina?»
Nel momento in cui Selima si voltò, i loro cuori si intrecciarono e non si lasciarono più.
Quella sera scrisse il suo secondo nome nell’ultima pagina di un quadernetto, su cui avrebbe annotato nel tempo i ricordi più importanti della loro storia.
Fu un amore travolgente, che diede scandalo: per la differenza d’età, per la posizione di Richard, ricco di famiglia, per l’assenza di un passato di Selima. Ignorarono tutto e tutti e si sposarono, non senza qualche difficoltà. Vissero e lavorarono assieme per più di vent’anni: all’inizio la moglie esotica era oggetto di curiosità, salvo poi scoprirne le indubbie capacità, che nel tempo diedero a Selima un meritato prestigio. Quando decisero di ritirarsi in tanti musei, accanto ai reperti da lui portati alla luce, erano sistemati i bellissimi disegni di Selima, omaggio al passato di tanti popoli.
Per festeggiare il sessantesimo compleanno di Selima, Richard chiese ad un amico di portarla sul deserto, su un piccolo aeroplano. Selima non era preparata a un tale spettacolo: aveva sorvolato altre volte il deserto, ma così da vicino fu un’esperienza unica, quasi toccò con mano il desolato splendore come tante volte aveva immaginato. Le dune somigliavano a onde del mare immobili, cercò strade cancellate dal tempo, accampamenti sepolti dalle tempeste. E i colori del tramonto, con mille sfumature che duravano pochi attimi! Le parve persino di sentire l’odore del deserto.
Selima non riusciva a staccare gli occhi da tanta bellezza e pensò che un improvviso lampo rosso fosse dovuto solo a un riflesso sul metallo dell’ala.
Quella stessa notte Richard morì, nel sonno: Selima ne disperse le ceneri nel deserto e poi partì, portando con sé poche cose e nel cuore un dolore immenso.
Si dimenticarono di lei, come era scritto nelle stelle.
Viaggiò per alcuni anni, rimanendo sempre ai confini del deserto, fermandosi in piccoli villaggi, aggregandosi alle carovane di mercanti che ancora resistevano e che volentieri la ospitavano nelle loro grandi tende, in cambio di un ritratto, di uno dei suoi disegni così realistici, di una storia.
Il silenzio le dava pace e i ricordi tornavano nitidi e consolatori.
Addentrandosi qualche volta nel deserto le capitò di ritrovare i resti di uomini e donne traditi da quella distesa immensa di sabbia e rocce, che pensavano di conoscere così bene. Inutile dare sepoltura a quei resti, che forse nessuno aveva cercato: Selima raccoglieva quel che restava dei loro averi, qualche piccolo gioiello, un diario, una sciarpa e li lasciava su una bancarella o a un mendicante.
Assegnava a ogni tappa il ricordo di un momento particolare vissuto con Richard, il nome di una città che avevano visitato, felice di averne tenuto nota.
Forse fu il caso o il destino, ma arrivò all’ultimo foglietto proprio il giorno in cui si fermò in quell’oasi. Accese un fuoco e bruciò una paginetta per volta: non ne aveva più bisogno, i ricordi erano ben chiusi nel cuore, intoccabili. Quel giorno decise che il suo vagare era terminato e che quella sarebbe stata la sua casa.
Sull’ultima pagina aveva scritto tanto tempo prima il suo secondo nome, quello di una donna che avrebbe amato profondamente e custodito gelosamente il tempo vissuto.
«E poi?»
«Ah, rimane poco da dire: si racconta che un giorno sia partita, lasciando a guardia dell’oasi il suo spirito, uno spirito battagliero, che sapeva tenere a bada il deserto.»
Quando arrivava questo momento, per i viaggiatori era ora di partire, lasciando Selima sola a ricordare quello che non poteva raccontare. La verità.
Ogni anno, sempre negli stessi giorni, Selima metteva in una sacca cibo, acqua, una coperta e poco altro e raggiungeva, in una sorta di pellegrinaggio, la collina che nascondeva la grotta dove affiorava la sorgente d’acqua del suo pozzo.
In quella grotta gli acciacchi che ogni anno parevano allungare la strada per arrivarvi, svanivano: nella pozza d’acqua calma che si trovava a fianco della sorgente, non vedeva un viso segnato dal tempo, ma quello di una donna bella e orgogliosa, che aveva accettato di dedicare gli ultimi anni della sua vita a quella sorgente, vivendo in povertà per vegliare sulla ricchezza che scaturiva dalla roccia.
Come era scritto nel suo destino.
Ma quell’anno Selima decise di andare alla grotta anche se il tempo non era ancora compiuto: il livello del pozzo era calato, l’acqua da qualche giorno aveva un sapore strano e il vento portava sentori di odori sgradevoli e pungenti.
Nelle ossa sentiva uno strano presagio e persino il deserto pareva chiedere aiuto: il vento spazzò via la sabbia mostrando chiaramente l’antico passaggio che Selima ben conosceva, scoprendo rocce che le davano riparo durante la notte. Quando finalmente, dopo diversi giorni di viaggio faticoso, Selima arrivò in prossimità della collina sotto cui si trovava la grotta, capì.
Petrolio! Tanto prezioso che qualcuno sfidava il deserto per averlo, incurante di tutto e di tutti. Selima lo aveva già visto in altri luoghi e intuì che presto della collina e della fonte non sarebbe rimasto nulla.
Chiese del responsabile del campo, a cui cercò di spiegare quanto servisse l’acqua al villaggio, all’oasi, ma venne liquidata con poche parole, arroganti e inappellabili: che se ne andasse e subito, la collina era destinata a sparire per far passare l’oleodotto che avrebbe trasportato il petrolio alle raffinerie.
Selima sentì montare una rabbia enorme: si gettò contro l’uomo, tentò di graffiarlo, urlò fino a non avere più voce. Una furia che nessuno volle affrontare: eppure sarebbe bastato poco per fermare quelle quattro ossa fragili e raccontare poi, forse, di un tragico incidente. Persone come Selima non erano mai state un problema per la Compagnia.
Una volta calmatasi Selima tornò mestamente alla grotta, dove fu accolta dal gorgoglio dell’acqua limpida e fredda che scorreva tra i sassi, prima di inabissarsi sotto le rocce e la sabbia. I quarzi che ricoprivano parte della caverna catturarono la luce della lanterna e tutto si trasformò in un mondo fantastico: i colori, imprigionati dalle gocce d’acqua, si trasformarono in arcobaleni.
Dopo una notte inquieta, all’alba Selima prese una decisione: si inchinò alla fonte, recitò per lei preghiere antiche, chiedendo perdono per quanto aveva intenzione di fare.
Si lavò e pettinò con cura, poi da un anfratto della roccia prese un piccolo baule in cui erano riposti un abito, dai disegni complicati e coloratissimi, e un paio di orecchini, due gocce di zaffiro, dal colore intenso e puro.
Una volta pronta, al sorgere del sole, raggiunse una duna da cui poteva vedere il campo e scrisse il suo ultimo nome sulla sabbia, subito cancellato da una folata di vento.
L’ultimo nome per la paura, ma lei non aveva paura.
Nei giorni successivi in quella parte della regione soffiarono venti impetuosi, che impedivano agli operari di lavorare. Si aprivano improvvise voragini che inghiottivano uomini e attrezzature; quando il vento cessava, i macchinari si bloccavano per la sabbia finita tra gli ingranaggi.
Selima restava immobile sulla duna, nutrendosi di quel poco cibo che le era rimasto, in attesa che la furia del deserto prendesse il sopravvento su tutto quello scempio.
Tutto ciò si ripeté giorno dopo giorno e gli operai, anche i più scettici, caddero vittima di antiche superstizioni e finirono per andarsene:
«La donna… la donna ha maledetto questo posto!»
Alla fine un motore si incendiò: le fiamme si propagarono velocemente e quando raggiunsero i canali di perforazione, un enorme esplosione distrusse tutto quanto.
Dal giorno della partenza, di Selima non si seppe più nulla: qualcuno disse di averla vista vagare attorno alla voragine causata dall’esplosione, altri di averne visto il corpo trasportato dal vento, altri ancora di averla incontrata in città, raminga. Ci fu chi rimase per giorni nell’oasi, col fuoco sempre acceso, sperando di vederla tornare.
La grotta era crollata solo parzialmente: qualche tempo dopo un piccolo ruscello si fece largo tra pietre e sabbia e l’acqua, per chissà quale segreto percorso, raggiunse di nuovo l’oasi ridandole vigore. Ricomparvero i fiori, le palme ripresero a fruttificare, piccoli ciuffi d’erba ebbero ragione dei sassi e tutto rimase sospeso nel tempo, in paziente attesa di qualcosa o di qualcuno.
Arrivò una giovane donna, molto bella, dai lineamenti delicati, il portamento severo ed elegante. Portava con sé poche cose: una coperta, una vecchia lampada, una tenda dall’aria vissuta e un bricco per scaldare l’acqua. Riposti in un piccolo baule, un abito dai ricami complicati e antichi e un paio di orecchini, con cristalli limpidissimi, azzurri come i suoi occhi.
Different Staff- Admin
- Messaggi : 797
Punti : 2324
Infamia o lode : 7
Data di iscrizione : 26.02.21
Re: Il tempo di un nome
Ecco una storia davvero bella e potente! È ricca di magia e piena di realtà, come tutte le migliori favole e leggende, ed è scritta molto bene e con grande precisione. Ho trovato un solo errore: "grigia e triste vista da fuori, ma l’interno era curata e accogliente" => "ma all'interno"; un piccolo peccato che non sminuisce i tanti meriti di questo racconto.
Ogni svolta della trama è accurata e precisa, a partire dai colori del disegno presentato dal padre della bambina alle Sagge: il rosso, che "è triste" e il lampo che Selima vede durante il volo sul deserto; il nero, che "fa paura, ma io non ho paura" e la minaccia del petrolio verso la sorgente e l'oasi. C'è solo un particolare che sfugge alla regola: gli orecchini. Quando Selima li indossa, vengono descritti come "due gocce di zaffiro, dal colore intenso e puro", mentre quelli della "giovane donna" che arriva all'oasi sono dei "cristalli limpidissimi, azzurri come i suoi occhi". Ma non è detto che sia un errore. Piuttosto, forse, la volontà di farci capire che la giovane e Selima non sono la stessa persona; non è un ritorno (nessuno è immortale) ma un semplice avvicendamento.
Tutto è perfettamente amalgamato in uno stile pieno e coinvolgente e la lettura scorre liscia e limpida come l'acqua del ruscello che alimenta l'oasi di Selima.
Non aggiungo altro, se non i complimenti all'autore.
Grazie davvero per la lettura.
M.
Ogni svolta della trama è accurata e precisa, a partire dai colori del disegno presentato dal padre della bambina alle Sagge: il rosso, che "è triste" e il lampo che Selima vede durante il volo sul deserto; il nero, che "fa paura, ma io non ho paura" e la minaccia del petrolio verso la sorgente e l'oasi. C'è solo un particolare che sfugge alla regola: gli orecchini. Quando Selima li indossa, vengono descritti come "due gocce di zaffiro, dal colore intenso e puro", mentre quelli della "giovane donna" che arriva all'oasi sono dei "cristalli limpidissimi, azzurri come i suoi occhi". Ma non è detto che sia un errore. Piuttosto, forse, la volontà di farci capire che la giovane e Selima non sono la stessa persona; non è un ritorno (nessuno è immortale) ma un semplice avvicendamento.
Tutto è perfettamente amalgamato in uno stile pieno e coinvolgente e la lettura scorre liscia e limpida come l'acqua del ruscello che alimenta l'oasi di Selima.
Non aggiungo altro, se non i complimenti all'autore.
Grazie davvero per la lettura.
M.
______________________________________________________
"E perché è più utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già." - Matteo Bussola
M. Mark o'Knee- Cavaliere Jedi
- Messaggi : 888
Punti : 1033
Infamia o lode : 9
Data di iscrizione : 27.01.22
Età : 68
Località : Prato
Re: Il tempo di un nome
Molto molto bella questa storia in grado di unire fantasia e realtà in modo quasi indissolubile. Il personaggio di Selina è perfettamente delineato e amalgamato con la storia. È la storia stessa. È l’acqua che scorre nell’oasi così ben rappresentata da quegli orecchini limpidi e azzurri, è la forza della vita e della natura che resiste e si rigenera. È l’araba fenice. Trovo che sia una di quelle storie che affascinano per il metacontenuto oltre alla piacevolezza di lettura dovuta a una scrittura ottimale e a una narrazione che ha il gusto di una fiaba orientale.
Piaciuto davvero tanto.
Piaciuto davvero tanto.
Petunia- Moderatore
- Messaggi : 2371
Punti : 2618
Infamia o lode : 43
Data di iscrizione : 07.01.21
Età : 60
Località : Prato
Re: Il tempo di un nome
Molto difficile commentare un racconto così ben scritto (c'è solo un'imprecisione che Mark ha già segnalato). Un scrittura che trova la sua massima espressione nella trama e ancor più nel personaggio. Selima risalta su tutto il resto che rimane un contorno. Credo sia un effetto molto difficile da creare, per cui penso, e mi posso sbagliare, che sia stato fatto inconsciamente. Intendo dire che la protagonista è potente non solo dentro la sua storia, ma anche oltre, nel giusto equilibrio tra narrazione e realtà e "scenografia".
Circa il genere, ma soltanto perché è una domanda che mi pongo sempre (saranno gli strascichi di INK o DT dove il genere era sempre un vincolo), non saprei dove collocarlo. C'è molto di fiaba, ma secondo me anche come light fantasy (esiste???) ci starebbe bene.
Dunque un racconto che probabilmente troverà molti estimatori e sarà tra i papabili per la vittoria finale.
Grazie
Circa il genere, ma soltanto perché è una domanda che mi pongo sempre (saranno gli strascichi di INK o DT dove il genere era sempre un vincolo), non saprei dove collocarlo. C'è molto di fiaba, ma secondo me anche come light fantasy (esiste???) ci starebbe bene.
Dunque un racconto che probabilmente troverà molti estimatori e sarà tra i papabili per la vittoria finale.
Grazie
Molli Redigano- Maestro Jedi
- Messaggi : 1115
Punti : 1214
Infamia o lode : 2
Data di iscrizione : 07.01.21
Età : 44
Località : Torino
Re: Il tempo di un nome
Davvero piacevole questa lettura!
I toni pacati con cui si narra il racconto ammaliano e affascinano allo stesso tempo: anche se si racconta la vita intera di Selima il ritmo non è mai incalzante o forzato e tutta la narrazione scivola via senza nessun inciampo.
La prima parte l'ho trovata praticamente perfetta; quando invece si raccontano i vari stadi della vita di Selima ho trovato in alcuni punti una specie di forzatura, una ricerca forse un pò troppo studiata per un'aggettivazione d'impatto ma in alcuni punti poco allineata con il testo.
Ma questa è solo una piccola sfumatura che niente toglie alla piacevolezza del racconto che rimane impresso per la magia nascosta tra le parole e per quel nonsochè di esotico e perturbante che accompagna per tutta la lettura.
I toni pacati con cui si narra il racconto ammaliano e affascinano allo stesso tempo: anche se si racconta la vita intera di Selima il ritmo non è mai incalzante o forzato e tutta la narrazione scivola via senza nessun inciampo.
La prima parte l'ho trovata praticamente perfetta; quando invece si raccontano i vari stadi della vita di Selima ho trovato in alcuni punti una specie di forzatura, una ricerca forse un pò troppo studiata per un'aggettivazione d'impatto ma in alcuni punti poco allineata con il testo.
Ma questa è solo una piccola sfumatura che niente toglie alla piacevolezza del racconto che rimane impresso per la magia nascosta tra le parole e per quel nonsochè di esotico e perturbante che accompagna per tutta la lettura.
caipiroska- Cavaliere Jedi
- Messaggi : 941
Punti : 1002
Infamia o lode : 7
Data di iscrizione : 07.01.21
Re: Il tempo di un nome
Tra le fiabe, la preferisco per la bontà della scrittura e la struttura della trama che non annoia.
La storia di Selima, la donna che racconta per non dimenticare, mi ha coinvolto per la poesia di cui è intrisa. Anche il messaggio è importante: nel deserto - e non solo nel deserto – l’acqua è più preziosa del petrolio. Lo sanno tutti, ma serve ricordarlo.
Ho apprezzato la scrittura esperta e la vivacità del ritmo narrativo.
mirella- Padawan
- Messaggi : 317
Punti : 373
Infamia o lode : 5
Data di iscrizione : 08.01.21
Re: Il tempo di un nome
Che bello questo racconto!
Scritto con molta cura, anche se in alcuni passaggio fin troppo ricco. Forse si poteva togliere qualche aggettivo e qualche inciso per renderlo ancora più pulito. Non è una critica, sia chiaro, la scrittura è ottima, è solo un suggerimento.
La storia è ben congegnata. L’intuizione dei tre nomi che segnano le tre fasi della vita di Selima, quasi tre donne diverse, è potente e come viene raccontata la storia, attraverso lei che racconta di sé, è un escamotage efficace.
Molto bello.
Scritto con molta cura, anche se in alcuni passaggio fin troppo ricco. Forse si poteva togliere qualche aggettivo e qualche inciso per renderlo ancora più pulito. Non è una critica, sia chiaro, la scrittura è ottima, è solo un suggerimento.
La storia è ben congegnata. L’intuizione dei tre nomi che segnano le tre fasi della vita di Selima, quasi tre donne diverse, è potente e come viene raccontata la storia, attraverso lei che racconta di sé, è un escamotage efficace.
Molto bello.
SuperGric- Padawan
- Messaggi : 324
Punti : 355
Infamia o lode : 3
Data di iscrizione : 18.01.21
Età : 52
Località : Milano
Re: Il tempo di un nome
Racconto ben riuscito. Mi è piaciuto molto, complimenti.
Parto dal titolo, già molto bello.
La storia è piacevole, scritta magnificamente e con contenuti universali di speranza e forse per questo ha qualcosa di fiabesco. La custode dell’acqua e della vita, una sacerdotessa dai superpoteri, bella e soprattutto cosciente delle sue capacità. Se proprio devo fare un appunto minuscolo, la storia d’amore con Richard mi è arrivata poco, una parentesi importante, sicuramente, ma niente di più in confronto alla missione di Selima.
...un quadernetto, su cui avrebbe annotato nel tempo i ricordi più importanti della loro storia. E di cui, forse, non hai voluto rivelare tutto il contenuto.
Come vedi è veramente una piccolezza.
Parto dal titolo, già molto bello.
La storia è piacevole, scritta magnificamente e con contenuti universali di speranza e forse per questo ha qualcosa di fiabesco. La custode dell’acqua e della vita, una sacerdotessa dai superpoteri, bella e soprattutto cosciente delle sue capacità. Se proprio devo fare un appunto minuscolo, la storia d’amore con Richard mi è arrivata poco, una parentesi importante, sicuramente, ma niente di più in confronto alla missione di Selima.
...un quadernetto, su cui avrebbe annotato nel tempo i ricordi più importanti della loro storia. E di cui, forse, non hai voluto rivelare tutto il contenuto.
Come vedi è veramente una piccolezza.
Resdei- Maestro Jedi
- Messaggi : 1093
Punti : 1177
Infamia o lode : 5
Data di iscrizione : 07.01.21
Età : 61
Località : Roma
Re: Il tempo di un nome
Selima è un bel personaggio e se n'è accorto pure l'autore che gli fa fare troppe cose. Ma nulla è caotico, tutto godibile come la sua storia che non mi azzardo a ripetere per non commettere errori temporali. Dal mio punto di vista bisognerebbe minimizzare qualcosa, anche se non so cosa.
Resta uno dei lavori migliori comunque.
Abbracci.
Resta uno dei lavori migliori comunque.
Abbracci.
tommybe- Maestro Jedi
- Messaggi : 1417
Punti : 1540
Infamia o lode : 19
Data di iscrizione : 18.11.21
Età : 72
Località : Roma
Re: Il tempo di un nome
scritto molto bene, questo racconto, complimenti.
ma è anche splendida la storia, carica di tanti significati.
splendide le descrizioni, ottima l'idea della narrazione fatta in questo modo.
una storia che si legge volentieri dall'inizio alla fine, senza pause e con piacere.
rinnovo i complimenti
ma è anche splendida la storia, carica di tanti significati.
splendide le descrizioni, ottima l'idea della narrazione fatta in questo modo.
una storia che si legge volentieri dall'inizio alla fine, senza pause e con piacere.
rinnovo i complimenti
______________________________________________________
L'unico modo per non rimpiangere il passato e non pensare al futuro è vivere il presente
Non si può toccare l'alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.
Kahlil Gibran
Kahlil Gibran
Arunachala- Admin
- Messaggi : 1405
Punti : 1645
Infamia o lode : 16
Data di iscrizione : 20.10.20
Età : 67
Località : Lago di Garda
Re: Il tempo di un nome
Il racconto è piacevole da leggere e scritto in maniera egregia. C'è tanta "carne al fuoco", forse troppa, in alcuni passaggi mi sono perso e ho dovuto riprendere la lettura. Ho notato alcune "imprecisioni" come ad esempio la frase "Quando decisero di ritirarsi in molti musei" che è troppo generica. La storia d'amore con Richard risulta essere solo una parentesi, anche se dura vent'anni e in un racconto così lungo mi sarei aspettato un maggiore spazio e approfondimento.
Nel complesso è un buon lavoro.
Nel complesso è un buon lavoro.
Giammy- Younglings
- Messaggi : 128
Punti : 148
Infamia o lode : 4
Data di iscrizione : 01.02.24
Località : Varese
Re: Il tempo di un nome
Tra i personaggi di questo racconto io ci ho visto anche il tempo. Sarà che mi sono sempre piaciuti i romanzi come “La casa degli spiriti”, “Tocaia Grande” e altri di cui adesso mi sfugge il titolo, in cui la vita dei protagonisti si dilata oltremodo nel tempo e dove la Storia (reale o inventata) si mescola alle vicende dei tanti personaggi.
A volte accade qualcosa che ha del soprannaturale o che non trova una spiegazione plausibile o razionale, se non nella superstizione o nella suggestione di potenti leggende tramandate nel tempo e, di generazione in generazione, arricchite di particolari.
Anche in questo racconto ho trovato una mescolanza simile, un insieme realistico (gli ambienti molto chiusi e arcaici, le fatiche di una donna che vuole crescere ecc. e il deserto ovviamente) viene coniugato con un che di fiabesco (gli eventi della notte in cui Selima nasce, l’arrivo della giovane donna all’oasi, il desero come figura consolatoria). Ma alla fine da lettrice ho accettato ogni cosa: è così e basta.
Il deserto è sempre ben presente, sia come luogo che come entità che vada oltre l’aspetto fisico: un deserto anonimo, non si sa in quale paese si svolgano le vicende (anche se immaginabile) così come il tempo storico è appena accennato. E forse è questa vaghezza che consente al lettore di crearsi un suo luogo/tempo in cui veder svolgersi la storia.
Immagino che con il poco spazio a disposizione non deve essere stato facile “limitarsi”: la storia di Selima si presta davvero a tanti rivoli narrativi. Magari la Penna potrà farne un racconto lungo, sviluppando la parte centrale del racconto.
Ma la scelta di focalizzarsi solo sulle esperienze di vita di Selima legate ai nomi che le sono stati dati – e quindi al tempo che è stato vissuto in tal senso - senza dilungarsi troppo, a mio parere rende più trasparente e leggero il personaggio.
Il filo conduttore che lega la nascita di Selima alla sua scomparsa rimane ben teso, senza troppe distrazioni.
Anche i personaggi di contorno (il padre, le Sagge, il marito) pur nella brevità della loro apparizione, non sono semplicemente dei nomi/delle figure ma lasciano una loro traccia.
Le mie note: ma l’interno era curata--- all’interno; agli operari---agli operai; quando si ritirarono in molti musei--- manca la virgola dopo ritirarono; i soliti subdoli refusi!
A volte accade qualcosa che ha del soprannaturale o che non trova una spiegazione plausibile o razionale, se non nella superstizione o nella suggestione di potenti leggende tramandate nel tempo e, di generazione in generazione, arricchite di particolari.
Anche in questo racconto ho trovato una mescolanza simile, un insieme realistico (gli ambienti molto chiusi e arcaici, le fatiche di una donna che vuole crescere ecc. e il deserto ovviamente) viene coniugato con un che di fiabesco (gli eventi della notte in cui Selima nasce, l’arrivo della giovane donna all’oasi, il desero come figura consolatoria). Ma alla fine da lettrice ho accettato ogni cosa: è così e basta.
Il deserto è sempre ben presente, sia come luogo che come entità che vada oltre l’aspetto fisico: un deserto anonimo, non si sa in quale paese si svolgano le vicende (anche se immaginabile) così come il tempo storico è appena accennato. E forse è questa vaghezza che consente al lettore di crearsi un suo luogo/tempo in cui veder svolgersi la storia.
Immagino che con il poco spazio a disposizione non deve essere stato facile “limitarsi”: la storia di Selima si presta davvero a tanti rivoli narrativi. Magari la Penna potrà farne un racconto lungo, sviluppando la parte centrale del racconto.
Ma la scelta di focalizzarsi solo sulle esperienze di vita di Selima legate ai nomi che le sono stati dati – e quindi al tempo che è stato vissuto in tal senso - senza dilungarsi troppo, a mio parere rende più trasparente e leggero il personaggio.
Il filo conduttore che lega la nascita di Selima alla sua scomparsa rimane ben teso, senza troppe distrazioni.
Anche i personaggi di contorno (il padre, le Sagge, il marito) pur nella brevità della loro apparizione, non sono semplicemente dei nomi/delle figure ma lasciano una loro traccia.
Le mie note: ma l’interno era curata--- all’interno; agli operari---agli operai; quando si ritirarono in molti musei--- manca la virgola dopo ritirarono; i soliti subdoli refusi!
______________________________________________________
"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
- Messaggi : 2457
Punti : 2715
Infamia o lode : 23
Data di iscrizione : 03.02.21
Età : 67
Località : Rumo (TN)
Re: Il tempo di un nome
Ciao, Autore.
Per me questa è stata una lettura un po' ostica. La sovrabbondanza di proposizioni parentetiche e l'eccessiva aggettivazione, unite a una punteggiatura non sempre efficace, non mi hanno agevolato la lettura di un testo molto lungo e a tratti un po' ridondante. Mi è piaciuto quanto sia pregnante il deserto come tema del racconto, questo sì, ma credo che sia l'unica nota positiva che io riesca a trovare.
Mi dispiace, ma non è un racconto che mi ha catturato, neanche a distanza di tempo tra una lettura e l'altra.
Ti consiglierei di asciugare un (bel) po' la scrittura, ecco. Alla prossima.
Per me questa è stata una lettura un po' ostica. La sovrabbondanza di proposizioni parentetiche e l'eccessiva aggettivazione, unite a una punteggiatura non sempre efficace, non mi hanno agevolato la lettura di un testo molto lungo e a tratti un po' ridondante. Mi è piaciuto quanto sia pregnante il deserto come tema del racconto, questo sì, ma credo che sia l'unica nota positiva che io riesca a trovare.
Mi dispiace, ma non è un racconto che mi ha catturato, neanche a distanza di tempo tra una lettura e l'altra.
Ti consiglierei di asciugare un (bel) po' la scrittura, ecco. Alla prossima.
______________________________________________________
Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
vivonic- Admin
- Messaggi : 1583
Punti : 1772
Infamia o lode : 35
Data di iscrizione : 06.01.21
Età : 39
Località : Cesena
Re: Il tempo di un nome
La miscela realtà e leggenda è molto elegante e ben congeniata.
Gli aggettivi per le descrizioni sono troppo usuali. Sarebbe stato utile cercare dei sinonimi.
Il titolo vale tanto quanto una poesia.
Unico piccolo neo a mio modesto parere.
Avrei lasciato a Salima l'onere e l'onore di raccontare la sua storia in prima persona.
Gli aggettivi per le descrizioni sono troppo usuali. Sarebbe stato utile cercare dei sinonimi.
Il titolo vale tanto quanto una poesia.
Unico piccolo neo a mio modesto parere.
Avrei lasciato a Salima l'onere e l'onore di raccontare la sua storia in prima persona.
______________________________________________________
dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori
CARLA EBLI- Younglings
- Messaggi : 72
Punti : 102
Infamia o lode : 0
Data di iscrizione : 29.11.23
Re: Il tempo di un nome
Un bel racconto su cui ogni tanto mi sono un po' impiantato nella lettura.
Ho faticato ad ambientarlo temporalmente, in un mondo in cui una donna (forse berbera) va all'università e si muove da sola per il mondo. Unico indizio le carovane, ma sono le ultime.
QA volte ho faticato ad ambientarlo anche geograficamente Il deserto è sempre al margine e lo si sente lontano: Selima lo disegna quasi idealizzandolo, come il mare e le foreste che forse non ha mai visto.
Nomen omen; questo aspetto è stato portato avanti in modo magistrale.
Ho faticato ad ambientarlo temporalmente, in un mondo in cui una donna (forse berbera) va all'università e si muove da sola per il mondo. Unico indizio le carovane, ma sono le ultime.
QA volte ho faticato ad ambientarlo anche geograficamente Il deserto è sempre al margine e lo si sente lontano: Selima lo disegna quasi idealizzandolo, come il mare e le foreste che forse non ha mai visto.
Nomen omen; questo aspetto è stato portato avanti in modo magistrale.
FedericoChiesa- Cavaliere Jedi
- Messaggi : 600
Punti : 665
Infamia o lode : 3
Data di iscrizione : 24.04.21
Età : 57
Località : Milano
Re: Il tempo di un nome
Mi accodo ai tanti commenti positivi su questo racconto sospeso tra fiaba e realtà.
L'autore/autrice ci svela una bella storia che mi ha trasportata tra le dune, dove il tempo e il deserto sono il fil rouge di tutta la narrazione.
Inizialmente ho immaginato una connotazione temporale molto antica, da leggenda, poi il riferimento a concetti più "occidentali" come i libri, il treno, l'università, i musei hanno scardinato questa sensazione fiabesca da Mille e una Notte, fino a giungere al finale, con il riferimento all'attività estrattiva petrolifera.
Personalmente avrei un po' asciugato soprattutto la parte centrale di una serie di eventi non indispensabili alla storia, così come avrei eliminato un po' di aggettivi, perché la storia è così bella che emergerebbe ancora meglio con una scrittura un po' meno ridondante.
Apprezzato il finale che lascia adito a diverse interpretazioni (io ho implicitamente pensato a un ritorno della stessa Selima - giovane - una sorta di Araba fenice, come già intuito da Petunia).
Complimenti.
L'autore/autrice ci svela una bella storia che mi ha trasportata tra le dune, dove il tempo e il deserto sono il fil rouge di tutta la narrazione.
Inizialmente ho immaginato una connotazione temporale molto antica, da leggenda, poi il riferimento a concetti più "occidentali" come i libri, il treno, l'università, i musei hanno scardinato questa sensazione fiabesca da Mille e una Notte, fino a giungere al finale, con il riferimento all'attività estrattiva petrolifera.
Personalmente avrei un po' asciugato soprattutto la parte centrale di una serie di eventi non indispensabili alla storia, così come avrei eliminato un po' di aggettivi, perché la storia è così bella che emergerebbe ancora meglio con una scrittura un po' meno ridondante.
Apprezzato il finale che lascia adito a diverse interpretazioni (io ho implicitamente pensato a un ritorno della stessa Selima - giovane - una sorta di Araba fenice, come già intuito da Petunia).
Complimenti.
Albemasia- Padawan
- Messaggi : 397
Punti : 454
Infamia o lode : 11
Data di iscrizione : 23.01.24
Località : Tra le nebbie della Lomellina
Re: Il tempo di un nome
Apprezzo la bellezza e potenza della storia. La narrazione è coinvolgente e ammaliante, con toni pacati ma affascinanti. Ammiro l'attenzione ai dettagli, come i colori che delineano la trama e il personaggio di Selima. Apprezzo la capacità di amalgamare fantasia e realtà, così come la scrittura e la narrazione che ricordano una fiaba orientale. Anche il messaggio ecologico è importante e ben inserito nella trama. Alcuni passaggi sono ricchi di dettagli e possono essere asciugati per rendere il racconto più pulito, ma nel complesso si tratta di piccole cose in un lavoro altrimenti ben riuscito.
Gimbo- Padawan
- Messaggi : 175
Punti : 200
Infamia o lode : 1
Data di iscrizione : 20.06.23
Re: Il tempo di un nome
Racconto delicato e potente al tempo stesso. Un'ambientazione senza tempo e senza spazio, sospesa tra il mito e l'attualità. Un mix particolare ma che ho apprezzato. Forse è un po' troppo lungo e in alcuni passagi si rischia di annoiare e perdere il lettore. Il personaggio di Selima è forte e concreto. Decisamente un'eroina positiva.
Un lavoro molto buono.
Complimenti.
Grazie.
Un lavoro molto buono.
Complimenti.
Grazie.
______________________________________________________
I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
CharAznable- Maestro Jedi
- Messaggi : 1103
Punti : 1242
Infamia o lode : 13
Data di iscrizione : 22.02.21
Età : 49
Località : Magenta
Re: Il tempo di un nome
Deve essere intesa come fiaba, permeata di magia. Riesce bene nell’intento, la costruzione della storia è certamente originale. Diciamo che a me le buone intenzioni esplicite infastidiscono un po’, e qui - come in diversi altri racconti - i cattivoni insensibili alla natura che trivellano il deserto sembrano uno stereotipo che appesantisce e crea una frattura nel lirismo del testo. Non era necessario: la “prova”, tipica delle fiabe, fosse anche una prova di carattere ambientale per stare nel filone suggerito da Pachamama, poteva essere più sottile, a sua volta più magica e onirica come il resto del racconto, e forse in questo modo anche più drammatica, ché certamente è nelle corde dell’autore/trice, vista la qualità della sua scrittura (diversi errori a parte).
______________________________________________________
L'uomo fa il male come l'ape il miele (William Golding).
Re: Il tempo di un nome
Condensare la vita di una persona in un racconto è certamente possibile, ma in questo caso ho trovato il racconto estremamente noioso.
Chiedo scusa, ma lo stile mi ha annoiato così tanto che troppo spesso mi sono distratto, mi sono fermato, ho riletto i paragrafi. Purtroppo, ciò ha compromesso irrimediabilmente l'impatto emotivo del racconto e mi ha reso indigesta la protagonista.
Ho cercato di leggerlo più volte, ma ogni volta il risultato è stato lo stesso. È lungo e prolisso, si sofferma su dettagli che in un libro sarebbero stati perfetti ma in un racconto appesantiscono notevolmente la narrazione.
Mi piacerebbe leggere una versione della storia più sintetica, poiché tutto sommato la trama merita.
Chiedo scusa, ma lo stile mi ha annoiato così tanto che troppo spesso mi sono distratto, mi sono fermato, ho riletto i paragrafi. Purtroppo, ciò ha compromesso irrimediabilmente l'impatto emotivo del racconto e mi ha reso indigesta la protagonista.
Ho cercato di leggerlo più volte, ma ogni volta il risultato è stato lo stesso. È lungo e prolisso, si sofferma su dettagli che in un libro sarebbero stati perfetti ma in un racconto appesantiscono notevolmente la narrazione.
Mi piacerebbe leggere una versione della storia più sintetica, poiché tutto sommato la trama merita.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
- Messaggi : 871
Punti : 947
Infamia o lode : 2
Data di iscrizione : 04.02.21
Età : 38
Re: Il tempo di un nome
Una bella storia, con un bel ritmo, scritta molto bene.
Il mio unico suggerimento è quello di asciugarla un po'. A volte alcuni passaggi e descrizioni sono ridondanti e potrebbero essere eliminati per rendere la storia ancora più fluida.
Bello il finale
Il mio unico suggerimento è quello di asciugarla un po'. A volte alcuni passaggi e descrizioni sono ridondanti e potrebbero essere eliminati per rendere la storia ancora più fluida.
Bello il finale
gipoviani- Padawan
- Messaggi : 324
Punti : 363
Infamia o lode : 3
Data di iscrizione : 01.05.21
Re: Il tempo di un nome
Ciao, Penna.
Ci sono tanti modi per raccontare la vita di una persona che ha un inizio e una fine leggendarie e una parentesi durante la quale non succede nulla che possa essere ricondotto a uno o all'altra. Quello che dispiace è che questa parentesi alla fine non lascia nulla se non una parentesi, un racconto nel racconto su una tematica che per me è molto importante, ma mi chiedo se sia o meno estranea alla trama complessiva.
La parte spirituale e magica mi è piaciuta molto così come la rinascita della guardiana dell'oasi, che riconosco dagli occhi azzurri e dalle gocce turchese alle orecchie. Ho sbirciato e ho visto che qualcuno ha scritto "come una fenice" e mi trovo d'accordo. Nel complesso posso dire di aver letto un racconto pulito, che mi ha tenuto incollato allo schermo.
Grazie e alla prossima.
Ci sono tanti modi per raccontare la vita di una persona che ha un inizio e una fine leggendarie e una parentesi durante la quale non succede nulla che possa essere ricondotto a uno o all'altra. Quello che dispiace è che questa parentesi alla fine non lascia nulla se non una parentesi, un racconto nel racconto su una tematica che per me è molto importante, ma mi chiedo se sia o meno estranea alla trama complessiva.
La parte spirituale e magica mi è piaciuta molto così come la rinascita della guardiana dell'oasi, che riconosco dagli occhi azzurri e dalle gocce turchese alle orecchie. Ho sbirciato e ho visto che qualcuno ha scritto "come una fenice" e mi trovo d'accordo. Nel complesso posso dire di aver letto un racconto pulito, che mi ha tenuto incollato allo schermo.
Grazie e alla prossima.
______________________________________________________
Re: Il tempo di un nome
Un racconto che mi ha tenuto incollato allo schermo dall’inizio alla fine nonostante non sia affatto semplice; merito dell’aut* che ha saputo creare un personaggio molto bello e calarlo, nonostante un vago senso di magia aleggiante, in vicende credibili e molto realistiche.
La scrittura pulita e praticamente senza refusi (segnalo solo, per revisione futura ma l’interno era curata e accogliente) rende sicuramente la lettura agevole e anche se alla fine il messaggio veicolato non è dei più originali (uomo contro Natura, quanti ne abbiamo letti in questo contest!) arriva chiaro al lettore e non riesce a lasciarlo indifferente.
Mi è piaciuta tantissimo la chiusura con il ritorno di Selima giovane e bella, quasi a ricordare al lettore la forza della ciclicità della Natura che, come purtroppo sempre più spesso i disastri che si abbattono sulla nostra povera Terra ci ricordano, alla fine ha sempre la meglio sulla nostra piccolezza.
La scrittura pulita e praticamente senza refusi (segnalo solo, per revisione futura ma l’interno era curata e accogliente) rende sicuramente la lettura agevole e anche se alla fine il messaggio veicolato non è dei più originali (uomo contro Natura, quanti ne abbiamo letti in questo contest!) arriva chiaro al lettore e non riesce a lasciarlo indifferente.
Mi è piaciuta tantissimo la chiusura con il ritorno di Selima giovane e bella, quasi a ricordare al lettore la forza della ciclicità della Natura che, come purtroppo sempre più spesso i disastri che si abbattono sulla nostra povera Terra ci ricordano, alla fine ha sempre la meglio sulla nostra piccolezza.
______________________________________________________
paluca66- Maestro Jedi
- Messaggi : 1468
Punti : 1585
Infamia o lode : 8
Data di iscrizione : 07.01.21
Età : 58
Località : Milano
Re: Il tempo di un nome
Provare a raccontare una vita intera in un racconto breve di solito è una scelta azzardata. A male pena ci riescono certi romanzi. Sarebbe come pretendere di chiudere un deserto intero in una clessidra, quando una manciata di sabbia sarebbe più che sufficiente. Ma qui l'autore o autrice non rinuncia a nulla e nonostante la scrittura sia molto chiara e aiuti la lettura, si arriva in fondo con la sensazione di essersi persi qualcosa e che il racconto sia simile al volo fatto sul deserto dalla protagonista. Sorvoli ogni singola duna, ma non ti fermi mai veramente. Ecco quello che manca è il vero contatto, toccare con mano il deserto, un piccolo momento che duri una vita intera piuttosto una intera vita condensata in un racconto. Come altri usa un tono di leggenda e di leggenda parla, scelta che a lungo andare contribuisce a renderlo più distante di quanto non sia, tanto che l'università o l'amore per l'archeologo o il petrolio sembrano quasi dettagli troppo reali.
Nonostante tutto resta una lettura piacevole. Toglierei la parte introduttiva che rende la storia di Selima quasi un racconto nel racconto.
Nonostante tutto resta una lettura piacevole. Toglierei la parte introduttiva che rende la storia di Selima quasi un racconto nel racconto.
______________________________________________________
Asbottino- Cavaliere Jedi
- Messaggi : 573
Punti : 619
Infamia o lode : 0
Data di iscrizione : 07.01.21
Età : 49
Località : Torino
Re: Il tempo di un nome
L’incipit è molto bello, suggestivo, crea subito un’atmosfera sospesa, da leggenda. Il ritmo della narrazione è fluido e coinvolgente: ci si sente lì con Selima, a gustare il suo tè e i suoi pasticcini.
Bella questa biografia romanzata e mitizzata, fatta diventare leggenda.
Bello legare ogni fase della propria vita a un nome da spendere. Mi hai fatto venire voglia di provarci anch’io, a inventarne per me. So che anche in certe popolazioni native americane si faceva così: una persona riceveva diversi nomi nel corso della propria vita, e trovare il nome definitivo richiedeva tempo.
Mi ha fatto venire voglia di andare, tornare a quella sorgente d’acqua calma, dove i segni del tempo scompaiono e dove il proprio destino si compie.
Ecco, fin qui il racconto mi è piaciuto molto e secondo me ha una sua forte coerenza.
Trovo un po’ dissonante il passaggio alla tematica ambientalista, quella del petrolio. Forse ti sei sentito in dovere di metterla, per il contest. Al tempo stesso, però, trovo molto affascinante questa ultima incarnazione di Selima, il suo diventare un’entità potente, implacabile e distruttrice, e il suo (forse?) rinascere poi a nuova giovinezza.
La scrittura nel complesso è buona e corretta. Ti segnalo solo un paio di cose:
Ah Selima: Ah, Selima
Bravissima in disegno: “in disegno” fa un po’ materia scolastica e stona con lo stile del resto; si può sostituire con “a disegnare”, “disegnava molto bene”, “a dipingere” o cose del genere.
“oltretutto senza titoli da spendere”: sul momento non ho capito questa frase, dato che lei si è appena laureata in archeologia. L’ho capita solo poi quando ho letto che, morto Richard, tutti si dimenticano di lei, quindi immagino che lo stesso sia accaduto con la sua laurea. Ecco, forse quel passaggio andrebbe chiarito meglio.
“Quando decisero di ritirarsi in tanti musei”: qui occorre una virgola, dopo “ritirarsi”, altrimenti sembra che tu stia dicendo che si ritirano in tanti musei
“portarla sul deserto”: forse è meglio “farle sorvolare il deserto”, “farla volare sul deserto”
Arianna 2016- Maestro Jedi
- Messaggi : 1131
Punti : 1191
Infamia o lode : 7
Data di iscrizione : 07.01.21
Età : 55
Pagina 1 di 2 • 1, 2
Pagina 1 di 2
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.
|
|
Oggi alle 12:51 am Da Byron.RN
» Abeti rossi
Oggi alle 12:10 am Da Susanna
» Different Staffetta Autonoma - Settimana del 07/10/2024
Ieri alle 10:00 pm Da Achillu
» Il rumore del mare
Ieri alle 7:54 pm Da Byron.RN
» Il quaderno
Ieri alle 7:02 pm Da paluca66
» I colori del vento
Ieri alle 6:30 pm Da paluca66
» Come ombre nel vento
Ieri alle 6:15 pm Da paluca66
» Non ci sono più le mezze ragioni
Ieri alle 5:24 pm Da Byron.RN
» Il ribelle annoiato
Ieri alle 4:06 pm Da Achillu