La voce
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La voce
Prima è sottile, quasi un’eco appena accennata che all’inizio fatica a raggiungermi le orecchie. Ma è persistente: un sottofondo che diventa sempre più assillante, impossibile da ignorare. Un grammelot ininterrotto del quale non riesco a localizzare l’origine; non posso che mettere da parte ciò che sto facendo e dedicarci tutta la mia attenzione.
Comincio a scandagliare la stanza, quasi fossi un radar, girando lentamente la testa da destra a sinistra e viceversa.
Finché… Eccola.
Sì, è proprio quello il punto da dove proviene la voce.
Stretta nell’intercapedine fra la parete di un mobile e il fianco del divano c’è una vecchia cartella di pelle marrone dall’aria esausta, con il manico logoro e alcune cuciture sfilacciate. È uguale a quella che usavo per andare a scuola alle elementari. Anzi, forse è proprio quella, visto che proviene dall’appartamento dove il babbo ha trascorso i suoi ultimi anni.
Ripenso ai giorni concitati in cui mia sorella e io ne abbiamo svuotato le stanze e ricordo di aver usato la cartella per infilarci dentro alla rinfusa carte, documenti e disegni che il babbo teneva in vari cassetti e schedari, con l’intento (non ancora realizzato) di mettere tutto in ordine e conservare solo ciò che avesse importanza sia in senso strettamente burocratico che, soprattutto, in senso affettivo.
Sfilo la cartella, faccio scorrere con una certa difficoltà le serrature ormai un po’ arrugginite e comincio a frugare tra fogli e odore di stantio. Ma da lì dentro la voce mi arriva sempre più chiara. E mi ritrovo in mano un cartoncino, all’incirca delle dimensioni di una cartolina postale, con un disegno a china fatto dal babbo parecchi anni fa: un piccolo di passerotto con le piume arruffate e il becco aperto in cerca di cibo. Ha le zampette aggrappate al dito indice di una mano, mentre pollice e indice dell’altra gli porgono una briciola.
Le riconosco quelle dita. Lunghe, grandi, con le unghie ben curate. Sono le stesse che hanno impresso il disegno su quel cartoncino, le stesse che hanno scritto il titolo in stampatello (L’orfano) e svolazzato il nome dell’autore. Il babbo ha certamente preso le proprie a modello. E mi rendo conto con un certo stupore che è proprio dalle dita, anzi, dalle mani, che mi arriva la voce.
Ma lo stupore non dura che un attimo. Perché so che davvero le sue mani mi hanno sempre parlato, forse ancor più della sua bocca o dei suoi occhi.
Mi hanno parlato con il linguaggio dell’affetto e mai con quello della violenza. Senza usare parole, ma granelli di sabbia a formare castelli o piste per le biglie sulla spiaggia.
Mi hanno parlato di rettitudine, col fruscio leggero di un pennino che scivola sulla carta, impilando e incasellando lettere e cifre con una precisione quasi maniacale.
Mi hanno parlato di lavoro, con la perizia e l’attenzione dedicate al maneggiare un trapano, un martello, un cacciavite…
Mi hanno anche parlato di pazienza e dedizione, con il semplice raspare delicato di una scheggia di vetro su un pezzo di legno, dal quale poteva poi nascere qualunque cosa.
E mi hanno parlato di amore, con la voce di una carezza tenera e distratta lasciata scivolare sulla guancia di mamma.
Mi hanno spiegato con un disegno – spesso più esplicito di mille parole – la soluzione di un problema di matematica che non ero capace di afferrare. Come quella volta in cui tracciò su un grande foglio a quadretti la sagoma di una vasca con rubinetto e foro di scarico, circondata da una serie di quadranti di orologio. Il tutto per cercare di venire a capo di uno di quei problemi assurdi su quanto ci mette a riempirsi una vasca di capacità enne metri cubi sapendo che il rubinetto versa tot litri al minuto e lo scarico ne fa uscire un altro tot… Il giorno dopo, a scuola, il sorriso che mi elargì la prof di matematica quando le esposi la soluzione compensò abbondantemente le ore perse per arrivarci.
Erano grandi e forti, le mani del babbo. E anche la loro voce lo era.
Fissando quel piccolo disegno ne posso riascoltare le diverse sfumature.
Perché la voce delle sue mani aveva il tono scabro del contadino, consapevole di quanto pesano vanga, zappa e parole, ma anche l’andamento sciolto, la parlantina, quasi da commesso viaggiatore, di chi sa incantare ma mai imbrogliare.
Era una voce autorevole e comprensiva, che sapeva come tenermi dritto. Che mi guidava, reggendo ben saldi manubrio e sellino della bicicletta e incitandomi a pedalare.
Fino a quando, in un sussurro, lasciando la presa al momento giusto, la voce delle sue mani diceva “Ecco, sei pronto. Vai per la tua strada”.
M. Mark o'Knee- Cavaliere Jedi
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Re: La voce
Bello. Secondo me ci sono delle imprecisioni sintattiche, ma poca roba. Quello che emerge è questo ricordo del padre che a me - mi sbaglierò - sembra autobiografico. Sarà che in un certo senso è "autobiografico" anche per me, ma mi è piaciuto.
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L'uomo fa il male come l'ape il miele (William Golding).
Re: La voce
Non sbagli Claudio. È davvero autobiografico e il fatto che anche tu lo abbia sentito come tale mi fa doppiamente apprezzare le tue parole.
Grazie mille per il tuo passaggio e alle prossime letture.
M.
Grazie mille per il tuo passaggio e alle prossime letture.
M.
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"E perché è più utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già." - Matteo Bussola
M. Mark o'Knee- Cavaliere Jedi
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Re: La voce
Il racconto vale il doppio se la storia è dell'autore.
Io la penso così.
Doppio abbraccio, grazie
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tommybe- Maestro Jedi
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Re: La voce
Triplo grazie Tommy!!!
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M. Mark o'Knee- Cavaliere Jedi
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Re: La voce
L'ho letto tutto di un fiato e mi è arrivata forte l'emozione che traspare dalle tue parole.
Non poteva essere che l'eco di una storia vissuta in prima persona a far vibrare certe corde.
Scrivere dei propri ricordi e delle proprie emozioni può essere così liberatorio...
Non poteva essere che l'eco di una storia vissuta in prima persona a far vibrare certe corde.
Scrivere dei propri ricordi e delle proprie emozioni può essere così liberatorio...
Albemasia- Padawan
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Re: La voce
Bello @M. Mark o'Knee quando intingi l’inchiostro nei sentimenti veri, questi riescono a bucare il foglio e toccare il cuore. Tanti aggettivi per un pezzo così breve li sfoltirei un po’, la magia resterebbe intatta.
Complimenti
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Petunia- Moderatore
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Re: La voce
Mi piace proprio come scrivi, e quello che scrivi mi ricorda mio padre.
Grazie.
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tommybe- Maestro Jedi
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