Come ti chiami?
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Different Tales :: Off Topic :: Archivio :: Different Rooms - Tutti i racconti :: Step 7 - L'anticamera
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Come ti chiami?
Vuoto – spazio – incoscienza fatta coscienza dalla nudità della colpa.
(da Iris Nebula, 1794, raccolta privata)
Europa - Cosmo. Anticamera dell’ufficio di polizia crono temporale, sezione assistenza psicologica. Sulla parete la cornice contenente il frammento di un antico testo scientifico - religioso:
«Vuoto – spazio – incoscienza fatta coscienza dalla nudità della colpa» .
- Pace, ordine e armonia. Grazie per aver chiesto i nostri servigi. I tuoi dubbi, quelle che consideri ingiustizie, tutto occorre ad analizzare sotto una diversa luce come conciliare e quale peso dare alle tante Leggi che vengono scritte dai popoli nello spazio e nel tempo. Per poter consultare il poliziotto medico devi riportare su una tavoletta di impressione mnemonica la scheda psicostorica, che occorre per la corretta anamnesi. Nella tua lingua natale equivale a scrivere l’autobiografia. Può essere che questo Ufficio abbia commesso un errore. Non ti occorrerà molto tempo, hai sempre avuto il vezzo della scrittrice. È giusto che tu sappia che ciò che scriverai sarà reso disponibile nella biblioteca intergalattica, quindi sarà resa pubblica.
- Pace, ordine e armonia a te. Posso avvalermi dello schermo per vedere cosa accade nel mio tempo e nella realtà parallela?
- Pace, ordine e armonia. Certamente, anche se non so quanto conforto possa darti. In ogni caso la visione sarà certamente terapeutica.
“Non ti occorrerà molto tempo”, mi ha detto quell’infermiere Rigelliano col camice bianco e gallonato da sergente. Ma il tempo, suvvia, è una convenzione. Non so nemmeno datare quando sto scrivendo, visto che mi leggerà una platea così ampia ed eterogenea. Per te, lettore di Sulfenia, sarà una data, per te di Skuldur un’altra e per te di Geoga un’altra ancora. Sebbene la mia virtuosa arte nello scrivere, qualsiasi cosa significhi “scrivere” tra schiatte cosmiche, mi abbia portato a disapprovare i rimandi storici, le anticipazioni, e altri scaltri strattagemmi, penso che stavolta occorrano. Se tu, caro lettore, riuscissi a prolungare la tua pazienza solo per un momento, troveresti che non esiste un motivo per ciò che sto narrando, questa parziale biografia sulla stravaganza criminale di una ordinaria maîtresse, e che in ciò insista comunque qualcosa di interessante. Ci sta: scrivere di sé può sembrare un esercizio facile e narcisista, ma fammi vantare l’uso fluente di settemiladuecentodue lingue universali. Da bambina sapevo già parlare con chiunque, di qualsiasi razza cosmica, da qualsiasi colonia d’oltremondo provenisse.
Come è iniziato il tutto? Fammi ricordare, lettore. La mia vita è stata un peregrinare, un fuggire, un ricominciare nuda in una nuova capsula.
Eppure c’è un’origine, quando, bambina, a discrezione della polizia crono temporale interrazziale, feci qualcosa di sbagliato. E non sarebbe stata l’unica volta, ne feci molte di cose errate o calcolate male. È per questo che ora sono qui, seduta con la tavoletta di trascrizione mnemonica che si riempie, ad aspettare il mio turno: per capire un po’ meglio come esseri superiori abbiano inteso interpretare e mediare le leggi di infinti mondi e se il mio destino fosse proprio e giusto.
Quando ho rilevato la gestione dell’hotel ai confini dell’universo, luogo esclusivo frequentato dalle razze più eleganti e agiate, mi capitava di frequente di perdermi nei meandri della psiche, poi scrivere su questi vagheggiamenti. Mi succedeva nei momenti del riposo. Forse era per quella fantastica vista sull’infinito: dal balcone della mia camera osservavo tutte le costellazioni e nebulose, stelle fiammeggianti, pianeti che sapevo essere azzurri e appena velati da garbate nuvole rosa. Sporgendomi in avanti, sulla enorme terrazza frequentata dai libertini che sapevano teletrasportarsi spontaneamente, vedevo i clienti estasiati affacciarsi allo splendido firmamento colorato di sfumature e per tutti alieno, e anch’io alzavo lo sguardo e subivo il fascino di quel qualcosa indefinito che scintillava oltre il confine inteso come luogo a tre dimensioni, che si distingueva attingendo ai colori dell’anima, da quella tavolozza situata lì dove c’è il soffio vitale.
Sognavo a occhi aperti, come e forse più degli altri. Il sogno era per lo più consolante, come un cuscino da stringere al risveglio, quando sole ci si sente vestite col manto della malinconia.
Ma forse non è veramente la parte con cui cominciare la mia storia. Forse dovrei cominciare dalla maschera.
- Come sei bella Mamma! Anch’io voglio essere bella come te.
Mi rispose, più o meno (correva l’anno 1600, è passato molto tempo):
- Presto andremo a Venezia, ti piacerà. Festeggeremo il Carnevale più bello del mondo, amore mio. Sarà la celebrazione della fine del secolo e tutti guarderanno a quella data fausta, che festa! Ti sto intessendo la maschera più bella del carnevale, ti piace il rosso? Guarda come sta venendo! Con questa sarai anche più bella di me. (Una volta indossata la maschera, nessuno potrà vedere che non sei bella, ti proteggerà dall’evidenza).
Non sono sicura che l’inciso che ho riportato, che attribuisco a mia madre, sia proprio testuale. Avevo quattro anni, questa frase forse me la sono costruita, ma nel tempo è diventata vera.
Non la ricordo veramente, i suoi tratti, quelli sì, erano bellissimi. Ho fatto di tutto per tenere a mente il suo volto. Ma non ho una sua immagine, si sa che i ricordi più cari svaniscono. So che di quella maschera ho abusato indossandola in occasione di una funzione religiosa. Non ricordo i vestiti, i tessuti, con cui ero vestita l’ultima volta che ho visto il mio mondo originario. Mi sono svegliata dentro una capsula, vestita con una pellicola trasparente, di fatto nuda, con l’unica reliquia del mio precedente mondo: la maschera rossa. Ancora non sapevo che sarei stata la bambina e l’adulta più sola dell’universo.
Per lunghi anni non mi sono mai incontrata con persone della mia specie. Non sapevo toccarmi, tranne quando mi davo piacere in quella parte intima che vagheggiava qualcosa che non conoscevo. So solamente che, per essere bella come Mamma, per potermi piacere, dovevo mascherarmi.
Nessuno, fino a quel giorno (abbiate pazienza, ve ne parlerò di quel momento), mi aveva visto senza la maschera. Non avrei potuto, altrimenti, essere bella.
Ero brutta “svestita”.
O forse dovrei cominciare a parlare di me spiegando come abbia vissuto in un mondo alieno, sempre che il termine “alieno” significhi qualcosa.
Indagai, nel tempo, ai motivi che mi hanno portato dove sono. Cercai fonti nella biblioteca galattica. Sono avvezza a un linguaggio moderno, attuale. Quando trovai quella norma giuridica dovetti impegnarmi per capirla.
Chi giocarà mentre fi cantano le Meffe, Vefperi, Compiete, & fi dice la Dottrina Chriftiana, a qual fi voglia fonte di gioco, cada in pena di lire cinque planet, per ogni volta, & fe giocarà in lochi facri, cadi in pena del doppio, eccettuandoli giochi di carte fopranominati, la mita della qual pena vadi all’accufator l’altra mita al Comune.
Cap. VI. Quarta parte degli Statuti della Communità di Giuvenasca,
Perli Sabbij, in la Magnifica Repubblica di Venezia,
nella quale fi dichiara le pene de’ danni, & altre pene civili.
MDC
Ok, avevo trovato ciò a cui avevo contravvenuto. Era quell’anno, il 1600, che era uscito quello Statuta del Comune confinante con la Serenissima. Avevo quattro anni, certamente non conoscevo la cosiddetta Legge.
Chi mi ha deportato, punendomi (quale crimine può commettere una bambina?), mi fornì di ogni strumento. Uscii dalla capsula con quello spaventoso bagaglio di infinita conoscenza, per la prima volta conscia della fragilità insita nella nudità e gravata da un’incommensurabile colpa. Non sapevo veramente quale fosse, ma solo che mi era stata scolpita nell’anima. Intuivo che avrei vissuto secondo alcune regole mentre altre le avrei eluse. E che a ogni mia trasgressione sarei stata deportata e denudata da capo. Sapevo che mai avrei commesso un omicidio ma che ne ero capace. Ero una bambina spaventosamente cosciente, quando uscii da quella placenta meccanica, nuda, appena spaventata. Qualcuno che mi dicesse cosa fare? No. Mi avevano in qualche modo pienamente istruito. E nemmeno mi imposero qualcosa, questi Superiori.
C’era un messaggio impressomi:
- Pace, ordine e armonia. Ora viaggia e costruisciti un presente. Puoi farlo in ogni dove, nell’infinito cosmo, tranne che sul tuo pianeta d’origine, dove hai trasgredito. Ogni volta che violerai la legge ricomincerai da un’altra parte e in un altro tempo.
Viaggiai, in compagnia della mia maschera. Sono stata avventuriera, commerciante, biologa, insegnante, segretaria, ovviamente anche scrittrice di successo. Mi sono anche candidata alle elezioni politiche di alcune razze di lontane galassie. Molte volte ho violato la legge, costretta poi a ricominciare. Ma dove davvero eccellevo era nella gestione dei bordelli interrazziali.
O forse dovrei parlare di Lui.
- Come ti chiami?
Non dicevo a nessuno il mio nome, non era un segreto, non me lo chiedeva nessuno. Davo anche piacere ad altre razze, quando mi andava e incontravo “persone” intriganti, ed ero diventata esperta nel conoscere i segreti sessuali delle diverse specie, era come parlare settemiladuecentodue lingue, e ne avrei di cose da raccontare. Si, gli davo piacere, non ne chiedevo in cambio, mi bastava e non mi denudavo mai. Quelle sono altre storie, magari le preferireste, caro lettore. Ma nessuno mi chiedeva come mi chiamo, i nomi alieni sono inutili.
- Giocasta. Mi chiamo Giocasta Tribuno.
Non ho mai rinunciato al nome che mi apparteneva, che mi era stato dato alla nascita nel mio mondo originario.
Se scrivessi solo alla mia specie, nel tempo in cui sono stata prelevata, in pieno carnevale (non perdeteci tempo, non so come tradurre “carnevale” per ognuno dei vostri settemiladuecentontodue linguaggi; “carnevale” è un suono che vuol dire “festa”), resterei incompresa. Nessuno andava oltre la Terra: inconcepibile anche solo pensare a un universo diversamente popolato. Ero così felice, così orgogliosa della maschera che mi faceva essere bella come Mamma, di come la indossai dentro quella chiesa, quando avrei dovuto forse recitare un Supèrus Noster e attendere un attimo. Non dovevo giocare dentro alla Basilica. Avevo tempo per sentirmi bella più tardi, correndo tra le calle dietro altre maschere. Desiderare di essere bella davanti a un Dio, davanti a un Superiore, come purtroppo ho scoperto, è infrazione.
Ora lo so, caro “lettore”; vuoi che parli di Lui.
Sono nell’anticamera di questo studio di polizia medica e ringrazio i Superiori che nessuno dei richiedenti assistenza, qui in attesa come me, sia della mia razza. Ho disgusto della mia specie. E sì che siamo in tanti. Mi guardo, non sono più così giovane, la pelle non è così tesa, il ventre non è più piatto, ho un occhio blu col quale ho visto e vedo, uno azzurro che si volta e Lo ricorda. So tutto, anche di ogni colpa scolpita in me, tranne il motivo per cui la prima volta sono stata punita. Per questo sono qui, non capisco e alla mia età ho diritto a qualche spiegazione.
Ma non indugio oltre.
Era un avventuriero, poteva viaggiare autonomamente nel tempo e nello spazio. Un privilegio che spettava ai Superiori, ai poliziotti crono temporali e ai diplomatici come Lui. Portava una maschera, era bellissima e falsa, da addetto d'ambasciata. Arrivò nel mio hotel ai confini dell’universo in compagnia di una splendida donna della mia razza, era la prima volta che incontravo qualcuno della mia specie. Lei rideva, rideva sempre, rideva sciocca. Ammirava costellazioni e nebulose, stelle fiammeggianti, pianeti che nemmeno sapeva che erano azzurri e rosa, e di nuovo rideva sciocca facendosi toccare il seno, si divertiva la scimunita, e si compiacevano gonzi, così volgari entrambi. Lui sfiorava le sue gambe e osservava voglioso le mie.
Cosa ci facevano nel mio hotel? Era un luogo raffinato, quello che gestivo. Era, si, un bordello, ma ci venivano solamente persone di alto rango. Colopiani dai quattro nasi perfettamente pettinati, angeli Brugundi che rinfrescavano la gola con gli aperitivi afrodisiaci accompagnati da tortine di pangrano ed erbe selvatiche che crescevano soltanto su Aurora. Razze che vestivano con raffinati paramenti, con pelle di colori diversi, con innesti di qualche sostanza opalescente sulle spalle. “Gente” che sapeva vivere la curva stretta.
Alla vanesia e formosa sua compagna offrii un bicchiere del mio pregiato sidro di Comsulu, avrebbe dormito per due suoi giorni terrestri. Quel farabutto mi cercò, era così bello, così volgare, così attraente nel corteggiarmi.
- Come ti chiami?
Già mi aveva scopata. Era stato il momento più bello della mia vita. Non mi importava della sciocca incosciente nella stanza accanto, della mia verginità andata; il mio luogo intimo finalmente conosceva quello che vagheggiava. Ma avevo concesso ben altro. Mi ero tolta la maschera, non so se capite il gesto. E Lui mi disse che ero “una” delle più belle donne che avesse mai incontrato. “Una” delle tante, ho pensato. Lui, invece, era l’unico.
Per questo mi ero denudata, e il nudo è un atto di amore e fiducia.
- Come ti chiami?
Vibravo, la sua carezza mi dava ebbrezza e scossa, mi saliva qualcosa lungo la gamba che bussava alla porta del mio corpo, dove dallo spiraglio usciva il suo seme prepotente e fertile. Ne sentivo ancora il sapore caldo, un sapore di polline come di profumi mai indagati da bambina e poi anche dopo. Mi aveva toccato e provocato un terremoto che avevo localizzato a est del cuore.
Avevo tolto la maschera, non mi svestivo mai, ché il nudo è un atto di intimità e scoperta.
Pensavo ai suoi colpi pulsanti e sordi nella mia cavità di donna.
Non mi denudavo mai, perché spogliarsi è un rito elegante e discreto.
Mi fece sentire completa, come quelle femmine vespertine, dai contorni fuggitivi e fatui di Diadema, le spose preferite dei magnati di Brdo, quelli che decidono le sorti dell’economia universale. Ero felice, forse per la prima volta.
Per la prima volta, questo è certo, mi ero spogliata della colpa originale, quella che mi era stata impressa già a quattro anni.
- Come ti chiami?
Non gli risposi, mi alzai dal letto e andai in bagno. Vidi vicino al purificatore batterico un capello biondo e un ricciolo più scuro, quello di un pube, rimasugli organici della sciocca Terrestre. Terrestre come me, forse gelosa come me. Fatemelo confessare. Mi strappai un capello scuro, diverso, e lo misi in bella vista. Il mio trofeo. Poi mi staccai un pelo dal pube e lo misi accanto a quello della sciocca, che si facessero compagnia. Quindi uscii.
- Penso di amarti.
Mi guardò soddisfatto, tronfio.
- Perché pensi di amarmi? Già, perché pensavo di amarlo? Era stato un momento, un rapporto amoroso, il primo, in un crepuscolo fresco d’estate, perché ai confini dell’universo è sempre estate e c’è il tempo del poetico tramonto anche nella notte perpetua. Ma tutto ciò sarebbe dovuto entrare, senza conseguenze, in quel nocciolo morbido della mente dove custodivo di tutto: profumi di infusi alieni, diari, desideri, i libri umidi di rugiada dei miei occhi, biancheria intima che mi faceva sembrare almeno un po’ bella, le poesie che scrivevo dappertutto quando avevo l’intuizione romantica, soprattutto quella che avevo scritto in cucina sulla carta maleodorante di un pesce Licusiano. Perché c’era qualcosa di diverso? Non lo sapevo ancora, ero confusa, qualcosa di personale mi disturbava. Provavo a fare deserto e m’indagavo, ma restavo con la sensazione di uno sguardo accusatorio sulla schiena nuda e indifesa, la mia parte più intima. Potremmo chiamarlo “istinto femminile terrestre”.
- Non te lo so dire. Lui insistette.
- Provaci.- È la prima volta che mi incontro e giaccio con uno della mia razza, con qualcuno. Sei l’unica entità che mi ha convinto a togliermi la maschera. Non so, c’è ancora qualcos’altro. So di amarti.
E allora tenne duro:
- E perché dovrei amarti anch’io? Non conosco nulla di te, nemmeno come ti chiami. - Giocasta. Mi chiamo Giocasta Tribuno.
Lo vidi sbiancare.
-Non è possibile. Mia madre si chiama Giocasta Tribuno.Di colpo compresi tutto. Mi disgustò e mi disgustai. Prima di ucciderlo mi rimisi la maschera.
--------
Quando anni prima confidai a una amica conosciuta a Zingrand che ero ancora vergine, che non sapevo cosa fosse la passione carnale, mi chiese come potessi apprezzare la quiete senza conoscere il dolore dell’amore, col suo veicolo sensuale entusiasmante. Non mi mancava, non mi mancherà quella passione. Ciò che mi faceva struggere era la maternità che senza quell’atto non potevo soddisfare. Ero la bambina e la donna più sola dell’universo.
Ora mi trovo in questo ufficio di polizia intercosmica su Europa. Ho anche quello che nella Terra, quattrocento e più anni dopo il mio tempo terrestre, sarebbe stato chiamato teleschermo. Vedo sul monitor mio figlio che vive il carnevale mascherato, lungo le calle, licenzioso, con più donne bionde e brune. Vedo una intera città magnificente. La mia speme che ci sguazza perfettamente a suo agio. Vedo me, genitore, all’interno di un palazzo, preoccupata che possa accadergli qualcosa, una madre. Sono senza maschera, in quella realtà sono una donna attempata, bellissima e triste.
Penso a quell’uomo, l’unico umano che mi abbia mai violato, che mi tolse la verginità. A quel profumo così nuovo eppure famigliare. Sento una vita innocente che già mi dimora nel ventre, quella creatura in divenire sarà una bestemmia, una “violazione”, ma non ne ha colpa. Non so ancora come amarla, ma l’aspetto.
- Pace, ordine e armonia. Giocasta Tribuno, è il tuo turno.Guardo la porta aperta, ogni risposta è disponibile, sento una nuova esistenza risvegliarsi nel mio utero. Forse, ora, potrei anche togliermi la maschera. No…no. La tengo indossata.
- Pace, ordine e armonia. Grazie Sergente. Rimando a un altro giorno. Devo ancora terminare la mia biografia. Sono solo una brutta e ordinaria maîtresse ma ho ancora molto da scrivere, da raccontare, e tanto deve ancora accadere. - File allegati
Ultima modifica di Different Staff il Ven Apr 29, 2022 11:22 pm - modificato 1 volta.
Different Staff- Admin
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Re: Come ti chiami?
INTERVENTO DI MODERAZIONE
A causa di errori nella formattazione del racconto che non riescono a essere sanati, si allega il file pdf con il testo nella versione inviata dall'aut.
(Lo trovate alla fine del racconto)
Different Staff- Admin
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Re: Come ti chiami?
Parto andando a cercare Iris Nebula su internet. Credevo di trovare una poetessa, un poeta o altro, dato che sembrava una citazione poetica, invece trovo che è proprio una nebulosa, scoperta nel 1974.
Ho provato a cercare la citazione vera e propria, ma non l’ho trovata.
A questo punto, posso proprio supporre che sia una creazione dell’autore del racconto.
E quando sono arrivata all’Hotel ai confini dell’universo, ho supposto che, appunto, si trovi all’interno di Iris Nebula (tra l’altro, l’idea di un posto/hotel/ristorante di questo tipo ha una certa tradizione letteraria, dal ristorante al termine dell’universo di Douglas Adams in poi, tanto che anche io ho scritto un racconto dal titolo “All’incrocio dei mondi”; insomma, un posto che mi affascina).
Sin dal primo momento, l’impressione che ho avuto è che questo sia un racconto ricercato, che si muova ad un livello di non fruizione immediata, anche a livello della sintassi, che richiede - in modo particolare all’inizio poi in altri punti - alcune riletture per essere sbrogliata.
Certamente è un testo che gioca più sulla suggestione – complice il genere autobiografico, che permette le libere associazioni e impressioni – che sulla trama, anche se la storia c’è, pur dipanandosi in modo non lineare. Come dice all’inizio l’autore, il lettore deve avere pazienza.
Ho l’impressione che dietro tutto quello che viene raccontato ci sia un significato metaforico che però faccio fatica a cogliere. Di sicuro, ha qualcosa a che vedere con il senso di colpa, con le regole, con la relatività delle leggi e delle punizioni.
Quando viene svelato il nome di lei e viene raccontato il resto, si comprende di avere letto una rivisitazione, in qualche modo, di un mito. Capisco il legame tra lei e lui ma, al tempo stesso, il gioco cosmico/temporale che permette quello che è accaduto/accadrà mi rimane un po’ oscuro, confuso, così come soffro un po’ nel non comprendere bene il rapporto tra questi universi, anche se, di solito, io ci sguazzo abbastanza, nell’idea del multiverso.
Tirando le somme, un racconto molto suggestivo, con una bella idea, quasi più un dipinto o una musica che una narrazione, che fatico però a gustarmi del tutto.
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Re: Come ti chiami?
Mi dispiace ma non l'ho proprio capito. Mi sarebbe piaciuto fosse un vero racconto di fantascienza che però non credo lo sia in quanto non entrerebbe nel tema dato dagli Admin. Forse è un'avventura di questa Giocasta che viaggia nel tempo e nello spazio (stessa cosa) cambiando pianeta e luogo ogni volta che commette un'infrazione (questo è un bello spunto) poi però si perde in una relazione amorosa col figlio che le toglie la virginità (modifica spazio/tempo impossibile). Se ho capito bene. Perchè non è per niente facile da leggere questo testo, specie all'inizio. La mia domanda è: che ci fa in questo step? Magari, anzi senz'altro, sono io a non averci capito nulla. Sono talmente confuso che non so nemmeno cosa ci volesse raccontare l'autor@
Antonio Borghesi- Cavaliere Jedi
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Re: Come ti chiami?
Ciao autor@
alla fine mi decido a commentare il racconto. Non ti nascondo che gli ho dedicato molto tempo e svariate letture perché leggendo mi sono sentita frustrata. Ho toccato con mano tutta la mia grande ignoranza che non mi consente di comprendere appieno tutto ciò che è scritto.
Il testo affascina e cattura per l’atmosfera che lo pervade.
L’incipit è riuscitissimo, proietta subito il lettore in un mondo “parallelo” una realtà tra il sogno e la follia
che invoglia a proseguire la lettura.
Poi, ci sono vari modi di affrontarla, questa lettura. Si stacca la spina del cervello razionale e ci si lascia portare per “penna” nelle suggestive descrizioni, avviluppare dalla magia della parola scritta, godere della musicalità. In questo modo si compie un viaggio onirico e al risveglio si ha la sensazione di aver compiuto un viaggio in una diversa dimensione ma non si ricorda il perché. Si esce storditi e si ha voglia di intraprendere di nuovo il viaggio. Come quando capita di voler riprendere un sogno pur sapendo che è impossibile.
Un altro modo di affrontarla, se, come la sottoscritta, non si ha una cultura classica approfondita, è di cercare di informarsi. Allora scatta la ricerca partendo dalle date, dai nomi, dalle situazioni descritte.
È un gran lavoro ma tutto sommato divertente e arricchente.
Allora la nebulosa comincia un po’ a diradarsi anche se restano tante domande. La scelta del nome della protagonista Giocasta, la madre incestuosa, la tragedia di Edipo. Bene, qualcosa si comincia a intuire.
La chiave di volta è questa frase.
Pace, ordine e armonia. Ora viaggia e costruisciti un presente. Puoi farlo in ogni dove, nell’infinito cosmo, tranne che sul tuo pianeta d’origine, dove hai trasgredito. Ogni volta che violerai la legge ricomincerai da un’altra parte e in un altro tempo.
alla fine mi decido a commentare il racconto. Non ti nascondo che gli ho dedicato molto tempo e svariate letture perché leggendo mi sono sentita frustrata. Ho toccato con mano tutta la mia grande ignoranza che non mi consente di comprendere appieno tutto ciò che è scritto.
Il testo affascina e cattura per l’atmosfera che lo pervade.
L’incipit è riuscitissimo, proietta subito il lettore in un mondo “parallelo” una realtà tra il sogno e la follia
che invoglia a proseguire la lettura.
Poi, ci sono vari modi di affrontarla, questa lettura. Si stacca la spina del cervello razionale e ci si lascia portare per “penna” nelle suggestive descrizioni, avviluppare dalla magia della parola scritta, godere della musicalità. In questo modo si compie un viaggio onirico e al risveglio si ha la sensazione di aver compiuto un viaggio in una diversa dimensione ma non si ricorda il perché. Si esce storditi e si ha voglia di intraprendere di nuovo il viaggio. Come quando capita di voler riprendere un sogno pur sapendo che è impossibile.
Un altro modo di affrontarla, se, come la sottoscritta, non si ha una cultura classica approfondita, è di cercare di informarsi. Allora scatta la ricerca partendo dalle date, dai nomi, dalle situazioni descritte.
È un gran lavoro ma tutto sommato divertente e arricchente.
Allora la nebulosa comincia un po’ a diradarsi anche se restano tante domande. La scelta del nome della protagonista Giocasta, la madre incestuosa, la tragedia di Edipo. Bene, qualcosa si comincia a intuire.
La chiave di volta è questa frase.
Pace, ordine e armonia. Ora viaggia e costruisciti un presente. Puoi farlo in ogni dove, nell’infinito cosmo, tranne che sul tuo pianeta d’origine, dove hai trasgredito. Ogni volta che violerai la legge ricomincerai da un’altra parte e in un altro tempo.
Una eterna punizione per l’amore incestuoso. Una donna costretta a vagare per sempre nei vari universi.
Ho apprezzato la presenza dell’infermiere rigelliano preso direttamente da Star Trek.
Il racconto è una summa di tante storie con un unico obiettivo. Quello dantesco di far perpetrare il dolore all’infinito per la colpa commessa (mi resta ancora oscuro l’episodio della maschera veneziana, ma sono certa che fra noi c’è qualcuno che saprà trovare la spiegazione anche per questa)
Nel racconto c’è anche una forte componente erotica che mi ha fatto pensare allo step precedente.
Come se qualcosa fosse penetrato nella mente dell’autore per riaffiorare in questa seducente biografia.
In totale lo trovo un lavoro geniale per certi aspetti, la scrittura si contraddistingue per l’uso di un lessico ricercato. Come di fronte a un dipinto di Accademia, si resta a guardare ammirati. La struttura è decisamente personale e si distingue nettamente dal resto dei lavori letti.
Certo, autor@ se tutte le storie fossero così, i nostri admin dovrebbero concederci un mese in più per leggere e commentare.
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Re: Come ti chiami?
E' stato uno dei primi racconti che ho letto.
Non aveva commenti, ma un numero elevato di "visitatori" e ciò mi aveva incuriosito.
L'ho riletto, una o due volte, ma non ho trovato il coraggio di commentarlo per primo, ero troppo in difficoltà.
Ora, con piacere, vedo che i primi commenti sono in linea con le mie sensazioni. Scrivo "con piacere" perché altrimenti mi sarei sentito proprio inadeguato.
Mi metto tra quelli che non l'hanno capito, ma penso che sia colpa mia e se riuscissi a leggerlo nella giusta ottica sicuramente mi piacerebbe molto.
Alla fine, dopo altri commenti o tuoi chiarimenti, lo rileggerò.
Non aveva commenti, ma un numero elevato di "visitatori" e ciò mi aveva incuriosito.
L'ho riletto, una o due volte, ma non ho trovato il coraggio di commentarlo per primo, ero troppo in difficoltà.
Ora, con piacere, vedo che i primi commenti sono in linea con le mie sensazioni. Scrivo "con piacere" perché altrimenti mi sarei sentito proprio inadeguato.
Mi metto tra quelli che non l'hanno capito, ma penso che sia colpa mia e se riuscissi a leggerlo nella giusta ottica sicuramente mi piacerebbe molto.
Alla fine, dopo altri commenti o tuoi chiarimenti, lo rileggerò.
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Re: Come ti chiami?
Prima lettura veloce e ne esco con un senso di inadeguatezza e di frustrazione. Per un lettore medio, di media cultura e con pazienza meno che media come me, l’impresa mi appare piuttosto ardua, ma mi riprometto di affrontare di nuovo la lettura in un altro momento, in condizioni psicofisiche ottimali. Per ora mi limito a dire che se l’intenzione dell’Autore era creare un muro nei confronti di uno scrittore e lettore amatoriale ci è riuscito perfettamente.
Danilo Nucci- Cavaliere Jedi
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Re: Come ti chiami?
Cerco di completare il giudizio dopo la seconda lettura.
La scrittura è molto ricercata, con un uso sapiente delle parole, ma è difficile immedesimarsi nella storia quando si fa tanta difficoltà nel comprendere le reali intenzioni dell’autore e quello che vuole farti passare. La sensazione è quella che ci sia sempre un’intenzione precisa, un significato, ma non credo di essere riuscito quasi mai a coglierlo.
Il nome Giocasta ti fa pensare subito al noto complesso, cosa che poi si manifesta più chiaramente in seguito. In effetti l’erotismo mi è parso l’elemento prevalente del racconto, assai più della parte biografica (o autobiografica) che doveva essere il genere prescelto, visto che non è certamente l’avventura. L’anticamera mi è sembrata del tutto secondaria nella storia e il 1600 un inserimento un po’forzato, senza riferimenti storici a quel preciso anno.
Riepilogando: una bella scrittura e una cultura di una vastità impressionante oltre a una ricerca accurata, ma avrei gradito una maggiore attenzione al lettore.
La scrittura è molto ricercata, con un uso sapiente delle parole, ma è difficile immedesimarsi nella storia quando si fa tanta difficoltà nel comprendere le reali intenzioni dell’autore e quello che vuole farti passare. La sensazione è quella che ci sia sempre un’intenzione precisa, un significato, ma non credo di essere riuscito quasi mai a coglierlo.
Il nome Giocasta ti fa pensare subito al noto complesso, cosa che poi si manifesta più chiaramente in seguito. In effetti l’erotismo mi è parso l’elemento prevalente del racconto, assai più della parte biografica (o autobiografica) che doveva essere il genere prescelto, visto che non è certamente l’avventura. L’anticamera mi è sembrata del tutto secondaria nella storia e il 1600 un inserimento un po’forzato, senza riferimenti storici a quel preciso anno.
Riepilogando: una bella scrittura e una cultura di una vastità impressionante oltre a una ricerca accurata, ma avrei gradito una maggiore attenzione al lettore.
Danilo Nucci- Cavaliere Jedi
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Re: Come ti chiami?
Quasi fosse un canto epico, l'autore esordisce con una sorta di supplica, ma non diretta a invocare l'aiuto o la benevolenza degli dei, bensì la pazienza del lettore ("Se tu, caro lettore, riuscissi a prolungare la tua pazienza...") dato che, d'altra parte, è già ben consapevole della sua "virtuosa arte nello scrivere".
Un'arte virtuosa sfoggiata e messa in mostra al pari di ampie conoscenze che spaziano dalla mitologia alla fantascienza.
E il lettore, pur paziente, si vede sfilare davanti agli occhi Asimov e la sua psicostoria; Douglas Adams e il suo Ristorante al termine dell'Universo; viaggi spazio-temporali alla Star Trek ("l’infermiere Rigelliano") e la relatività delle leggi "che vengono scritte dai popoli nello spazio e nel tempo".
Il tutto per una rivisitazione molto personale del mito di Giocasta ed Edipo, nella quale la donna, per espiare la propria colpa, si trova di volta in volta a "ricominciare nuda in una nuova capsula". Non senza che - piccola contraddizione? - qualche altra lei esista in un altro tempo o in una "realtà parallela".
In verità il racconto è scritto molto bene, ma la lettura non mi ha lasciato granché, a parte, appunto, la sensazione di sfoggio.
Come dice l'autore stesso, "fammi vantare l’uso fluente"...
M.
Un'arte virtuosa sfoggiata e messa in mostra al pari di ampie conoscenze che spaziano dalla mitologia alla fantascienza.
E il lettore, pur paziente, si vede sfilare davanti agli occhi Asimov e la sua psicostoria; Douglas Adams e il suo Ristorante al termine dell'Universo; viaggi spazio-temporali alla Star Trek ("l’infermiere Rigelliano") e la relatività delle leggi "che vengono scritte dai popoli nello spazio e nel tempo".
Il tutto per una rivisitazione molto personale del mito di Giocasta ed Edipo, nella quale la donna, per espiare la propria colpa, si trova di volta in volta a "ricominciare nuda in una nuova capsula". Non senza che - piccola contraddizione? - qualche altra lei esista in un altro tempo o in una "realtà parallela".
In verità il racconto è scritto molto bene, ma la lettura non mi ha lasciato granché, a parte, appunto, la sensazione di sfoggio.
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M. Mark o'Knee- Cavaliere Jedi
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Re: Come ti chiami?
Wow. Affascinante e suggestivo questo racconto.
La costruzione non lineare, il rivisitare di miti classici in chiave fantascientifica, l’affondare con pochi tratti nei temi della colpa, della sessualità, della nudità, dei rapporti madre-figlia: tutto splendido. Un contesto fantastico rigoglioso pieno di citazioni e di fantasia. Un linguaggio ricercato e ricco.
Complimenti, null’altro da dire.
(quando non so cosa leggere a volte pesco a caso tra tutti i libri scaricati negli anni e accumulati sul Kobo e ora sto finendo La morte della Pizia di Dürrenmatt che rivisita proprio il mito di Edipo. Ieri sera ho portato una banda di cinque undicenni a vedere Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Il tuo racconto si incastra tra questo libro e questo film. Queste coincidenze a volte mi fanno dubitare del caso…)
La costruzione non lineare, il rivisitare di miti classici in chiave fantascientifica, l’affondare con pochi tratti nei temi della colpa, della sessualità, della nudità, dei rapporti madre-figlia: tutto splendido. Un contesto fantastico rigoglioso pieno di citazioni e di fantasia. Un linguaggio ricercato e ricco.
Complimenti, null’altro da dire.
(quando non so cosa leggere a volte pesco a caso tra tutti i libri scaricati negli anni e accumulati sul Kobo e ora sto finendo La morte della Pizia di Dürrenmatt che rivisita proprio il mito di Edipo. Ieri sera ho portato una banda di cinque undicenni a vedere Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Il tuo racconto si incastra tra questo libro e questo film. Queste coincidenze a volte mi fanno dubitare del caso…)
SuperGric- Padawan
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Re: Come ti chiami?
Sembra una lezione universitaria di D.F.Wallace. O meglio quando lui si rivolge ai suoi studenti attraverso le pagine di un suo saggio.
Il titolo no, il titolo mi ricorda fortemente Carver e il suo brevissimo racconto ' Sei un dottore?'
Per farla breve ognuno di noi legge qualcosa di diverso nella tua strepitosa biografia. Hai il dono di riuscire a rivolgerti a tutti o sei talmente bravo che tutti si rivolgono a te?
Mi domando pure se tu sia apparso all'improvviso. Tanta bravura bisognava notarla prima, se c'eri. Io sono particolarmente distratto, ma gli altri no.
Un abbraccio.
Il titolo no, il titolo mi ricorda fortemente Carver e il suo brevissimo racconto ' Sei un dottore?'
Per farla breve ognuno di noi legge qualcosa di diverso nella tua strepitosa biografia. Hai il dono di riuscire a rivolgerti a tutti o sei talmente bravo che tutti si rivolgono a te?
Mi domando pure se tu sia apparso all'improvviso. Tanta bravura bisognava notarla prima, se c'eri. Io sono particolarmente distratto, ma gli altri no.
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tommybe- Maestro Jedi
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Re: Come ti chiami?
Ah be', che dire? Mi piace la domanda di Tom nel suo commento: Hai il dono di riuscire a rivolgerti a tutti o sei talmente bravo che tutti si rivolgono a te? A parer mio tutti i lettori si rivolgeranno a te, caro autore, per motivi diversi. Chi ha bisogno di spiegazioni, chi vuole farti notare che ha colto tutte le citazioni, chi si lamenta di non aver compreso una cippa. Io boh, sinceramente non lo so. So cosa ho provato mentre leggevo, è stata una specie di caccia al tesoro, tipo: leggo dell'hotel alla fine dell'universo e mi viene in mente Adams, sì, ma questo è un hotel, non un ristorante, e allora continuo a leggere, riferimenti all'infinito, allora può essere una citazione del paradosso del Grand Hotel di Hilbert! Eureka! O le domande che mi sono posto e a cui non ho trovato risposta, come il nome, cioè Giocasta lo sappiamo, ma Tribuno? Perché? Ecco, potrei continuare, ma mi fermo, perché sì, figo il gioco e tutto, ma alla fine della fiera cosa mi rimane? Non voglio certo pensare a un mero sfoggio di cultura, a una stesura criptica fatta di proposito, per cosa poi? Allora ecco come mi pongo nei tuoi confronti, come mi rivolgo a te, caro autore: perché hai voluto scrivere un racconto così complesso?
Nell'attesa della fine dello step per sapere chi sei, stringerti la mano e conoscere la risposta alla mia domanda, mi limito a farti comunque i complimenti, perché il tuo è un lavoro che di certo non passa inosservato. A rileggerci!
Nell'attesa della fine dello step per sapere chi sei, stringerti la mano e conoscere la risposta alla mia domanda, mi limito a farti comunque i complimenti, perché il tuo è un lavoro che di certo non passa inosservato. A rileggerci!
Akimizu- Cavaliere Jedi
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Re: Come ti chiami?
Il racconto è scritto bene, l'autore ha una sua visione precisa, ma questo è il tipo di scrittura che mi respinge all'istante.
Qualcosa si intuisce, la protagonista per come la vedo io è una sorta di dannata, costretta a rivivere la stessa pena in eterno, però il tutto è troppo arzigogolato.
Per come la intendo io la lettura è intrattenimento, una sorta di relax, di sospensione dai problemi e dalle noie quotidiane. Non mi piace impelagarmi in storie troppo criptiche e complesse, sono un consumatore poco esigente, in cerca di puro svago, di storie a facile fruizione.
La tua bravura non è in discussione ma io sono decisamente agli antipodi dei fruitori di questo tipo di creazioni letterarie.
Qualcosa si intuisce, la protagonista per come la vedo io è una sorta di dannata, costretta a rivivere la stessa pena in eterno, però il tutto è troppo arzigogolato.
Per come la intendo io la lettura è intrattenimento, una sorta di relax, di sospensione dai problemi e dalle noie quotidiane. Non mi piace impelagarmi in storie troppo criptiche e complesse, sono un consumatore poco esigente, in cerca di puro svago, di storie a facile fruizione.
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Byron.RN- Maestro Jedi
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Re: Come ti chiami?
Un racconto molto complicato: fino ad ora ho trovato solo un altro racconto altrettanto complesso da commentare, nel Natale Bifronte.
Per non esserne influenzata, non ho volutamente letto i commenti che mi precedono: quindi forse andrò contro corrente, probabile che abbia cercato significati nascosti inesistenti; se avrò preso una cantonata pazzesca… ne porterò a casa i cocci. Potrei anche causare a tutti un attacco di risate di quelle che fanno ribaltare dalla poltrona. Vedremo a fine step cosa ne pensa la Penna.
Il commento è lungo, spero che almeno l’autore/l’autrice abbia la pazienza di cimentarsi nell’avventura di leggerlo fino in fondo. Non so se sia più complesso il racconto o il mio commento. So però che finirà in cinquina.
Ho letto il racconto più di una volta e a pezzi, perché il testo è talmente complesso e ricco che per essere compreso e assimilato ha richiesto tempo e concentrazione, oltre che diverse ricerche su Internet. Non mi vergono a dire che in certi momenti mi sono sentita ignorante, ma l’ignoranza (il non sapere) è l’anticamera del sapere (e adesso mi arriva questa idea, mannaggia), quindi ho imparato qualcosa.
Prima di illustrarti le mie impressioni, mi soffermo sullo stile molto particolare, moderno e un po’ arcaico al contempo, sulla qualità della bella scrittura, curata e ricercata, ricca di riferimenti culturali, il che rappresenta tanto un pregio quanto un possibile difetto. È un pregio, indiscutibilmente, per chi ama anche l’erudizione in un testo, ma anche un difetto per chi non ha la pazienza, o purtroppo il tempo, di soffermarsi adeguatamente sui vari passaggi, di ricercare e assimilare i concetti espressi con tanta prolissità.
Concordo con @Petunia: se tutti i racconti fossero di questa complessità e ricchezza lessicale, davvero il tempo a disposizione per commentare non sarebbe sufficiente.
Parte “burocratica”: i paletti: ci sono, soprattutto l’anticamera, luogo che consente alla protagonista di raccontarsi/studiarsi, come quando vai dal medico e ragioni su cosa raccontargli, su come descrivere un tuo malanno o il dubbio se sia malanno o meno; Europa è un po’ deboluccio, ma il racconto si dipana in un universo che ricorda molto Massimo Mangai e le vicende del suo cuoco viaggiatore, quindi ci sta; l’utente in questo caso è la Protagonista che attende di essere ricevuta dal poliziotto medico.
Rivisitazione della vicenda di Giocastra ed Edipo da un punto di vista femminile, in un futuro che ritorna al passato: mi sta bene, ma mi sono sentita di andare oltre, di vedere questa vicenda come un “escamotage” per raccontare altro, di più profondo e intimo. Di personale.
Cosa mi ha trasmesso questa impressione? Non lo so, tutto mi arrivava man mano che leggevo.
E come se tu Penna, volessi raccontarci tanto di te, del tuo essere più intimo, ma al contempo temi di non essere compreso/a e quindi entri nella storia di due figure che possiamo o meno conoscere, assumi il ruolo di una di essere, riprendi e trasferisci il tutto in uno spazio/tempo quasi impossibile, in modo da mascherare quello che vuoi dire. La maschera torna spesso nel racconto.
Emblematica questa frase. Ci sta: scrivere di sé può sembrare un esercizio facile e narcisista.
Ho estrapolato dal testo le frasi che mi avevano colpito e che mi ero appuntata a parte, non so se sono nell’ordine esatto, mi scuserai.
…la vista sul balcone: il poter vedere il mondo al di sopra e al di fuori, liberi da legami, pregiudizi o pastoie
…vedevo i clienti estasiati affacciarsi allo splendido firmamento colorato –
…Sognavo a occhi aperti, come e forse più degli altri ... con quello spaventoso bagaglio di infinita conoscenza…
Mi si propone una persona che vorrebbe scrivere ad un livello che affascini sé stessa come scrivente prima di tutto e poi i lettori; o meglio, il desiderio di scrivere qualcosa di importante che arrivi al lettore nel profondo, perché, tu Penna, sei affascinata dall’enormità di quello che è possibile trasmettere scrivendo, sai di poterci arrivare ma al contempo temi di non essere compresa, o forse già non sei stata compresa.
Per lunghi anni non mi sono mai incontrata con persone della mia specie. Anche se poi si parla di sesso, questa frase mi ha colpito in altro senso. Il senso della solitudine, il non aver trovato persone con cui capirsi nel profondo
So solamente che, per essere bella come Mamma, per potermi piacere, dovevo mascherarmi. Ero così felice, così orgogliosa della maschera che mi faceva essere bella come Mamma
A volte il soddisfare le aspettative altrui, che siano persone di famiglia o del mondo del lavoro, condiziona parecchio e comporta di nascondere quello che si vorrebbe davvero essere. L’orgoglio di riuscire a compiacere, e quindi essere accettati e anche gratificati (sempre importante la gratificazione, se non altro per la fatica spesa), ha però un prezzo da pagare.
Ci sono poi molte frasi a doppia lettura, che possono essere interpretate, anzi collocate, in quello che può essere un ambito lavorativo: paiono regole “di lavoro”, soprattutto se ad es. operi in aziende dislocate sul territorio (ricordo i miei inizi lavorativi in banca): non puoi lavorare dove abiti, ma più o meno lontano e attento a non trasgredire, altrimenti trasferimento non proprio nei paraggi di casa, e ricominci da capo. Puoi incontrare “Superiori” che interpretano regole a loro favore, che spesso mascherano pochezze e impreparazione, di cui puoi travisare i comportamenti, restando “fregato” (scusa il temine).
L’ultima parte dei miei (s)ragionamenti è più di carattere psicologico: per preparare il materiale per il poliziotto medico, la protagonista ricorda il momento in cui si era messa a nudo, lei che non si denudava mai, perché il nudo è un atto di amore e fiducia perché spogliarsi è un rito elegante e discreto. Avulso dal resto del testo, anche questa frase mi ha costretto a fermarmi: non si denudavo mai: è un’asserzione complessa. Una donna che si concede, soddisfa, ma non si denuda, non si mostra mai com’è veramente, ché il nudo è un atto di intimità e scoperta
Però è arrivato il momento, in quell’anticamera, nell’attesa del medico, di mettere ordine nei suoi pensieri, di decidere cosa raccontare di sé stessa, perché deve spiegare, trovare il modo di ricordare tutto, ripercorrere la sua intera vita, focalizzarsi sugli errori commessi, sui sogni lasciati indietro, su quelle vicende che hanno influenzato il suo crescere (Per la prima volta, questo è certo, mi ero spogliata della colpa originale, quella che mi era stata impressa già a quattro anni ), il suo ricominciare dopo ogni errore commesso, errore cui ne seguiranno altri. In quell’anticamera deve presentare il suo essere, senza maschera. Una lunga anamnesi per essere curata, per curarsi. Ma non è ancora pronta.
Piccolo dubbio:
tutto occorre ad analizzare forse intendevi “tutto concorre” nel senso che tutto serve
Per non esserne influenzata, non ho volutamente letto i commenti che mi precedono: quindi forse andrò contro corrente, probabile che abbia cercato significati nascosti inesistenti; se avrò preso una cantonata pazzesca… ne porterò a casa i cocci. Potrei anche causare a tutti un attacco di risate di quelle che fanno ribaltare dalla poltrona. Vedremo a fine step cosa ne pensa la Penna.
Il commento è lungo, spero che almeno l’autore/l’autrice abbia la pazienza di cimentarsi nell’avventura di leggerlo fino in fondo. Non so se sia più complesso il racconto o il mio commento. So però che finirà in cinquina.
Ho letto il racconto più di una volta e a pezzi, perché il testo è talmente complesso e ricco che per essere compreso e assimilato ha richiesto tempo e concentrazione, oltre che diverse ricerche su Internet. Non mi vergono a dire che in certi momenti mi sono sentita ignorante, ma l’ignoranza (il non sapere) è l’anticamera del sapere (e adesso mi arriva questa idea, mannaggia), quindi ho imparato qualcosa.
Prima di illustrarti le mie impressioni, mi soffermo sullo stile molto particolare, moderno e un po’ arcaico al contempo, sulla qualità della bella scrittura, curata e ricercata, ricca di riferimenti culturali, il che rappresenta tanto un pregio quanto un possibile difetto. È un pregio, indiscutibilmente, per chi ama anche l’erudizione in un testo, ma anche un difetto per chi non ha la pazienza, o purtroppo il tempo, di soffermarsi adeguatamente sui vari passaggi, di ricercare e assimilare i concetti espressi con tanta prolissità.
Concordo con @Petunia: se tutti i racconti fossero di questa complessità e ricchezza lessicale, davvero il tempo a disposizione per commentare non sarebbe sufficiente.
Parte “burocratica”: i paletti: ci sono, soprattutto l’anticamera, luogo che consente alla protagonista di raccontarsi/studiarsi, come quando vai dal medico e ragioni su cosa raccontargli, su come descrivere un tuo malanno o il dubbio se sia malanno o meno; Europa è un po’ deboluccio, ma il racconto si dipana in un universo che ricorda molto Massimo Mangai e le vicende del suo cuoco viaggiatore, quindi ci sta; l’utente in questo caso è la Protagonista che attende di essere ricevuta dal poliziotto medico.
Rivisitazione della vicenda di Giocastra ed Edipo da un punto di vista femminile, in un futuro che ritorna al passato: mi sta bene, ma mi sono sentita di andare oltre, di vedere questa vicenda come un “escamotage” per raccontare altro, di più profondo e intimo. Di personale.
Cosa mi ha trasmesso questa impressione? Non lo so, tutto mi arrivava man mano che leggevo.
E come se tu Penna, volessi raccontarci tanto di te, del tuo essere più intimo, ma al contempo temi di non essere compreso/a e quindi entri nella storia di due figure che possiamo o meno conoscere, assumi il ruolo di una di essere, riprendi e trasferisci il tutto in uno spazio/tempo quasi impossibile, in modo da mascherare quello che vuoi dire. La maschera torna spesso nel racconto.
Emblematica questa frase. Ci sta: scrivere di sé può sembrare un esercizio facile e narcisista.
Ho estrapolato dal testo le frasi che mi avevano colpito e che mi ero appuntata a parte, non so se sono nell’ordine esatto, mi scuserai.
…la vista sul balcone: il poter vedere il mondo al di sopra e al di fuori, liberi da legami, pregiudizi o pastoie
…vedevo i clienti estasiati affacciarsi allo splendido firmamento colorato –
…Sognavo a occhi aperti, come e forse più degli altri ... con quello spaventoso bagaglio di infinita conoscenza…
Mi si propone una persona che vorrebbe scrivere ad un livello che affascini sé stessa come scrivente prima di tutto e poi i lettori; o meglio, il desiderio di scrivere qualcosa di importante che arrivi al lettore nel profondo, perché, tu Penna, sei affascinata dall’enormità di quello che è possibile trasmettere scrivendo, sai di poterci arrivare ma al contempo temi di non essere compresa, o forse già non sei stata compresa.
Per lunghi anni non mi sono mai incontrata con persone della mia specie. Anche se poi si parla di sesso, questa frase mi ha colpito in altro senso. Il senso della solitudine, il non aver trovato persone con cui capirsi nel profondo
So solamente che, per essere bella come Mamma, per potermi piacere, dovevo mascherarmi. Ero così felice, così orgogliosa della maschera che mi faceva essere bella come Mamma
A volte il soddisfare le aspettative altrui, che siano persone di famiglia o del mondo del lavoro, condiziona parecchio e comporta di nascondere quello che si vorrebbe davvero essere. L’orgoglio di riuscire a compiacere, e quindi essere accettati e anche gratificati (sempre importante la gratificazione, se non altro per la fatica spesa), ha però un prezzo da pagare.
Ci sono poi molte frasi a doppia lettura, che possono essere interpretate, anzi collocate, in quello che può essere un ambito lavorativo: paiono regole “di lavoro”, soprattutto se ad es. operi in aziende dislocate sul territorio (ricordo i miei inizi lavorativi in banca): non puoi lavorare dove abiti, ma più o meno lontano e attento a non trasgredire, altrimenti trasferimento non proprio nei paraggi di casa, e ricominci da capo. Puoi incontrare “Superiori” che interpretano regole a loro favore, che spesso mascherano pochezze e impreparazione, di cui puoi travisare i comportamenti, restando “fregato” (scusa il temine).
L’ultima parte dei miei (s)ragionamenti è più di carattere psicologico: per preparare il materiale per il poliziotto medico, la protagonista ricorda il momento in cui si era messa a nudo, lei che non si denudava mai, perché il nudo è un atto di amore e fiducia perché spogliarsi è un rito elegante e discreto. Avulso dal resto del testo, anche questa frase mi ha costretto a fermarmi: non si denudavo mai: è un’asserzione complessa. Una donna che si concede, soddisfa, ma non si denuda, non si mostra mai com’è veramente, ché il nudo è un atto di intimità e scoperta
Però è arrivato il momento, in quell’anticamera, nell’attesa del medico, di mettere ordine nei suoi pensieri, di decidere cosa raccontare di sé stessa, perché deve spiegare, trovare il modo di ricordare tutto, ripercorrere la sua intera vita, focalizzarsi sugli errori commessi, sui sogni lasciati indietro, su quelle vicende che hanno influenzato il suo crescere (Per la prima volta, questo è certo, mi ero spogliata della colpa originale, quella che mi era stata impressa già a quattro anni ), il suo ricominciare dopo ogni errore commesso, errore cui ne seguiranno altri. In quell’anticamera deve presentare il suo essere, senza maschera. Una lunga anamnesi per essere curata, per curarsi. Ma non è ancora pronta.
Piccolo dubbio:
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
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Re: Come ti chiami?
C'è un continuo rimando alla nudità, al denudarsi, all'essere nuda e indifesa. E di contro alla maschera, al coprirsi, al nascondersi. L'abbondanza di parole di questo racconto sembra proprio questo, la complessità offerta al lettore come qualcosa dietro a cui nascondere la propria fragilità, forse la fragilità delle proprie aspirazioni di scrittore o scrittrice.
"Non esiste un motivo per ciò che sto narrando"
E ancora
"Scrivere di per sé può sembrare un esercizio facile e narcisista"
Sembrano quasi delle dichiarazioni di intenti, poste all'inizio della storia.
Certi passi sono trascinanti, inutile negarlo. Altri lo sono meno, si dimenticano che c'è qualcuno che sta leggendo. Di base è un difetto grave per un racconto. Ma la maschera a furia di portarla sul volto ci si dimentica di indossarla, o del motivo per cui la si indossa. "Questa frase forse me la sono costruita, ma nel tempo è diventata vera". Quante cose ci raccontiamo che finiscono per diventare la nostra biografia? Spesso bugie, o mezze verità.
L'anticamera serve a dilatare il tempo e lo spazio. Anche qui è un non-luogo.
Nel gioco dei riferimenti io ci ho visto, forse sbagliando, Asimov. La biblioteca intergalattica, la psicostoria. Ma non tanto l'Asimov dei romanzi, quanto più quello del recente tentativo di Apple di fare della Fondazione una serie TV. Tentativo fallito, secondo me. Ma qui ho ritrovato certe atmosfere delle poche puntate che ho visto. La varietà di mondi e di razze, un tempo sospeso tra passato, presente e futuro. La concretezza narrativa sacrificata in favore di una bellezza formale e di un certo alone di mistero.
E poi Edipo e Giocasta. Altri riferimenti, altre storie, rielaborazioni e influenze che compongono un affresco spaziale, talmente ampio da non riuscire ad abbracciarlo con lo sguardo. Qualcosa rimane ai bordi, qualcosa sfugge sempre.
Insomma tante roba. Un sforzo non indifferente richiesto al lettore. Spesso ripagato, ma sinceramente non su tutta la lunghezza del racconto. Mentirei se dicessi che mi ha folgorato, ma ugualmente mentirei se dicessi che non vale il prezzo del biglietto. Nel complesso un giudizio va dato. Anche se non mi sembra che il racconto se lo aspetti. Di nuovo quella sensazione che il lettore serva e non serva.
Per certi versi è come se oscillasse tra il desiderio di essere amato e la consapevolezza che nascondersi a quell'amore sia l'unico modo per sopravvivere. In sé è un atteggiamento molto umano. La nostra storia, quello che raccontiamo di noi, vero o inventato che sia, è il solo modo che abbiamo per proteggere noi stessi e allo stesso tempo per esporci agli altri. Maschera e nudità.
Di certo è un messaggio potente. Magari non era quello che volevi passasse, ma alla fine, se c'è una cosa che ho imparato in tanti anni qui o dove eravamo prima, è che l'unico messaggio che conta è quello che ci vedono i lettori. Una volta che è fuori il racconto non è più tuo. Non è più questione di essere mascherati o nudi. Non ti appartiene, è come una capsula lanciata nello spazio e nel tempo.
"Non esiste un motivo per ciò che sto narrando"
E ancora
"Scrivere di per sé può sembrare un esercizio facile e narcisista"
Sembrano quasi delle dichiarazioni di intenti, poste all'inizio della storia.
Certi passi sono trascinanti, inutile negarlo. Altri lo sono meno, si dimenticano che c'è qualcuno che sta leggendo. Di base è un difetto grave per un racconto. Ma la maschera a furia di portarla sul volto ci si dimentica di indossarla, o del motivo per cui la si indossa. "Questa frase forse me la sono costruita, ma nel tempo è diventata vera". Quante cose ci raccontiamo che finiscono per diventare la nostra biografia? Spesso bugie, o mezze verità.
L'anticamera serve a dilatare il tempo e lo spazio. Anche qui è un non-luogo.
Nel gioco dei riferimenti io ci ho visto, forse sbagliando, Asimov. La biblioteca intergalattica, la psicostoria. Ma non tanto l'Asimov dei romanzi, quanto più quello del recente tentativo di Apple di fare della Fondazione una serie TV. Tentativo fallito, secondo me. Ma qui ho ritrovato certe atmosfere delle poche puntate che ho visto. La varietà di mondi e di razze, un tempo sospeso tra passato, presente e futuro. La concretezza narrativa sacrificata in favore di una bellezza formale e di un certo alone di mistero.
E poi Edipo e Giocasta. Altri riferimenti, altre storie, rielaborazioni e influenze che compongono un affresco spaziale, talmente ampio da non riuscire ad abbracciarlo con lo sguardo. Qualcosa rimane ai bordi, qualcosa sfugge sempre.
Insomma tante roba. Un sforzo non indifferente richiesto al lettore. Spesso ripagato, ma sinceramente non su tutta la lunghezza del racconto. Mentirei se dicessi che mi ha folgorato, ma ugualmente mentirei se dicessi che non vale il prezzo del biglietto. Nel complesso un giudizio va dato. Anche se non mi sembra che il racconto se lo aspetti. Di nuovo quella sensazione che il lettore serva e non serva.
Per certi versi è come se oscillasse tra il desiderio di essere amato e la consapevolezza che nascondersi a quell'amore sia l'unico modo per sopravvivere. In sé è un atteggiamento molto umano. La nostra storia, quello che raccontiamo di noi, vero o inventato che sia, è il solo modo che abbiamo per proteggere noi stessi e allo stesso tempo per esporci agli altri. Maschera e nudità.
Di certo è un messaggio potente. Magari non era quello che volevi passasse, ma alla fine, se c'è una cosa che ho imparato in tanti anni qui o dove eravamo prima, è che l'unico messaggio che conta è quello che ci vedono i lettori. Una volta che è fuori il racconto non è più tuo. Non è più questione di essere mascherati o nudi. Non ti appartiene, è come una capsula lanciata nello spazio e nel tempo.
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Asbottino- Cavaliere Jedi
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Re: Come ti chiami?
Di sicuro questo è un racconto erudito, sfoggia un linguaggio ricercato, non vi sono errori stilistici, ma l’ho trovato veramente noioso. Mi dispiace perché dietro questo lavoro si vede una grande ricerca e una grande conoscenza letteraria e non. L’ho letto due volte, a fatica, perché volevo trovare un appiglio per salvare un lavoro così importante.
Due cose non capisco: perché la scelta di usare un linguaggio arcaico? Avevi la possibilità di scegliere visto che il tuo racconto spazia nel tempo.
L’altra domanda è: cosa volevo raccontare? Quale messaggio nascosto volevi trasmettere?
Premio la fantasia, l’idea, la scelta del genere autobiografico, per me molto ostico, ma alla fine non mi ha lasciata nulla.
In alcuni punti il tuo voler dimostrare la tua bravura e padronanza risulta fastidioso, anche se ci avevi avvertiti, questo è vero.
La scelta del titolo mi ha lasciato molto perplessa, così semplice e non in linea con il resto.
Due cose non capisco: perché la scelta di usare un linguaggio arcaico? Avevi la possibilità di scegliere visto che il tuo racconto spazia nel tempo.
L’altra domanda è: cosa volevo raccontare? Quale messaggio nascosto volevi trasmettere?
Premio la fantasia, l’idea, la scelta del genere autobiografico, per me molto ostico, ma alla fine non mi ha lasciata nulla.
In alcuni punti il tuo voler dimostrare la tua bravura e padronanza risulta fastidioso, anche se ci avevi avvertiti, questo è vero.
La scelta del titolo mi ha lasciato molto perplessa, così semplice e non in linea con il resto.
Mac- Padawan
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Re: Come ti chiami?
mah, che dire...
leggendolo mi sono venuti in mente "Il ristorante al termine dell'universo" di Dougla Adams e svariate canzoni di Roberto Vecchioni.
non so se fosee quella l'intenzione, resta il fatto che alla fine si capisce davvero poco.
oh, perbacco, la storia è chiara, quella sì. non sono chiari i contorni e gli atti che si susseguono, per niente.
scritto molto bene, ci sono pochi refusi, non riesce però a trasmettermi quello che probabilmente l'aut* voleva.
mi spiace, ma alla fine devo dire che pur avendo grandi potenzialità non colpisce, non lascia il segno.
leggendolo mi sono venuti in mente "Il ristorante al termine dell'universo" di Dougla Adams e svariate canzoni di Roberto Vecchioni.
non so se fosee quella l'intenzione, resta il fatto che alla fine si capisce davvero poco.
oh, perbacco, la storia è chiara, quella sì. non sono chiari i contorni e gli atti che si susseguono, per niente.
scritto molto bene, ci sono pochi refusi, non riesce però a trasmettermi quello che probabilmente l'aut* voleva.
mi spiace, ma alla fine devo dire che pur avendo grandi potenzialità non colpisce, non lascia il segno.
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Arunachala- Admin
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Re: Come ti chiami?
Ciao Penna. Perdonami la brevità del mio commento. Ho trovato uno o due refusi, ma nel contesto di una buona scrittura sono marginali. Condivido l'opinione dei più che hanno commentato il tuo racconto. Hai voluto mostrare i muscoli di chi scrive senza molta attenzione al lettore. Hai trovato uno "statuta" che certamente esiste in qualche testo storico e hai risolto di usarlo per dimostrare come le leggi seguano il tempo e come si possa punire quando chi scrive la Legge è il più forte. C'è la sensazione di un messaggio importante dietro questo testo, di un significato a più e tanti livelli, ma l'hai reso criptico. Ho ammirato la capacità di lettura di alcuni commentatori. Io non sono così capace. Ma ti ringrazio per l'impegno e la passione con cui hai voluto donarci questo racconto.
digitoergosum- Cavaliere Jedi
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Re: Come ti chiami?
Ciao autor@
Ho letto. Che dire? Ho sfondato il muro della prima parte, lo chiamerei il muro della diffidenza, dove mi sono mossa alla cieca, tra capisco ma non comprendo.
Ho apprezzato il tentativo di rendermi partecipe della complessità del tuo personaggio.
Ma ancora non ti interessa veramente farmi capire, racconti e basta e dici, a me che leggo, di avere pazienza.
La tua bravura regge la sfida e vinci perché andando avanti mi innamoro del tuo personaggio.
Hai premiato la mia fiducia, mi hai parlato di te, della tua tragedia, umanamente una delle peggiori, amare il proprio figlio e da lui generare.
Calata la maschera mi ero denudata, e il nudo è un atto di amore e fiducia.
…avevo concesso ben altro. Mi ero tolta la maschera, non so se capite il gesto.
Non è forse così, indossiamo una maschera e ci muoviamo tra la gente, universi, galassie e mondi diversi dal nostro.
Questa la mia inutile interpretazione, questo il senso di angoscia per il vivere in solitudine e tristezza che mi trasmette il tuo racconto e per tanta bravura con cui hai descritto posso farti solo molti complimenti.
a rileggerci presto
Ho letto. Che dire? Ho sfondato il muro della prima parte, lo chiamerei il muro della diffidenza, dove mi sono mossa alla cieca, tra capisco ma non comprendo.
Ho apprezzato il tentativo di rendermi partecipe della complessità del tuo personaggio.
Ma ancora non ti interessa veramente farmi capire, racconti e basta e dici, a me che leggo, di avere pazienza.
La tua bravura regge la sfida e vinci perché andando avanti mi innamoro del tuo personaggio.
Hai premiato la mia fiducia, mi hai parlato di te, della tua tragedia, umanamente una delle peggiori, amare il proprio figlio e da lui generare.
Calata la maschera mi ero denudata, e il nudo è un atto di amore e fiducia.
…avevo concesso ben altro. Mi ero tolta la maschera, non so se capite il gesto.
Non è forse così, indossiamo una maschera e ci muoviamo tra la gente, universi, galassie e mondi diversi dal nostro.
Questa la mia inutile interpretazione, questo il senso di angoscia per il vivere in solitudine e tristezza che mi trasmette il tuo racconto e per tanta bravura con cui hai descritto posso farti solo molti complimenti.
a rileggerci presto
Resdei- Maestro Jedi
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Re: Come ti chiami?
Una rivisitazione del mito di Giocasta in chiave fantascientifica.
C'è tanta eleganza in questo racconto, sia dal punto di vista della scrittura che dal punto di vista della trama, forse troppa, perché il rischio è quello di un racconto "elitario", troppo difficile da capire per lettori come me, ad esempio.
La lunga introduzione, in effetti, è un atto di fiducia nella speranza che a un certo punto le cose si chiariscano; per chiarirsi si chiariscono ma sempre in maniera molto arzigogolata, inseguendo strade piene di tornanti che alla fine rischiano di far venire il mal di testa.
Niente da dire sulla cultura immensa che questo racconto ha richiesto sia che fosse già di proprietà dell'aut* sia che sia frutto di un'attenta e profonda ricerca.
Bene, molto bene i paletti e apparentemente nessun refuso (ho verificato che "strattagemma" si può scrivere con la doppia "t") in una scrittura davvero ammirevole.
Purtroppo non sarò io a inserirti nella cinquina ma questo non cambia il fatto che scrivi proprio bene.
C'è tanta eleganza in questo racconto, sia dal punto di vista della scrittura che dal punto di vista della trama, forse troppa, perché il rischio è quello di un racconto "elitario", troppo difficile da capire per lettori come me, ad esempio.
La lunga introduzione, in effetti, è un atto di fiducia nella speranza che a un certo punto le cose si chiariscano; per chiarirsi si chiariscono ma sempre in maniera molto arzigogolata, inseguendo strade piene di tornanti che alla fine rischiano di far venire il mal di testa.
Niente da dire sulla cultura immensa che questo racconto ha richiesto sia che fosse già di proprietà dell'aut* sia che sia frutto di un'attenta e profonda ricerca.
Bene, molto bene i paletti e apparentemente nessun refuso (ho verificato che "strattagemma" si può scrivere con la doppia "t") in una scrittura davvero ammirevole.
Purtroppo non sarò io a inserirti nella cinquina ma questo non cambia il fatto che scrivi proprio bene.
paluca66- Maestro Jedi
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Re: Come ti chiami?
Be', se Pal si defila per la nomination, ti inserisco io nella cinquina, e non per fare il simpaticone, perché come scrivi mi piace proprio.
tommybe- Maestro Jedi
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Re: Come ti chiami?
Non voglio essere ipocrita, il racconto non mi è piaciuto.
Percepisco, come tutti, una penna accurata, una conoscenza vasta e un pensiero filosofico molto spiccato. Sono tutti complimenti che come autore ti porti a casa ma purtroppo credo che il testo abbia senso solo per te.
Mi spiego meglio. Io lettore mi sento escluso, non mi sento considerato. Ho letto il testo sette volte e ancora mi sento escluso dal racconto.
Ho già detto, in un altro racconto in gara, che a volte i testi vanno presi per quello che sono e per le sensazioni che lasciano in questo caso quello che lascia è frustrazione, un filino di rabbia e anche un pizzico di noia.
la sensazione finale è che mi sento in difetto rispetto al racconto. Mi sento stupido perché non l'ho compreso fino in fondo e questa sensazione non mi piace.
Percepisco, come tutti, una penna accurata, una conoscenza vasta e un pensiero filosofico molto spiccato. Sono tutti complimenti che come autore ti porti a casa ma purtroppo credo che il testo abbia senso solo per te.
Mi spiego meglio. Io lettore mi sento escluso, non mi sento considerato. Ho letto il testo sette volte e ancora mi sento escluso dal racconto.
Ho già detto, in un altro racconto in gara, che a volte i testi vanno presi per quello che sono e per le sensazioni che lasciano in questo caso quello che lascia è frustrazione, un filino di rabbia e anche un pizzico di noia.
la sensazione finale è che mi sento in difetto rispetto al racconto. Mi sento stupido perché non l'ho compreso fino in fondo e questa sensazione non mi piace.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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Re: Come ti chiami?
Complimenti, autore, questo racconto ha tutte le carte in regola per stupirmi e farmi annuire con ammirazione.
Hai creato un mix sapiente di complessità e fascino artistico, non privo di punti oscuri ma che funziona.
Parto dall'idea, che è ciò che mi ha folgorato di più.
La rivisitazione di Edipo e Giocasta in chiave fantascientifica è geniale. E' notevole.
Il dipanarsi della trama attraverso spazio e tempo è fatto in un modo sapiente, calcolato, naturale al punto da risultare criptico (come spazio e tempo di fatto sono, nella loro essenza, per la mente umana).
Le allegorie di cui hai disseminato il testo fanno parte del mio personale areale d'interesse: non le ho sicuramente colte tutte, ma l'impressione è che hai trasposto elementi di vita ordinaria in un contesto surreale e fantascientifico con tale efficacia da lasciare tutti i dubbi interpretativi del caso.
Scelta, per il mio gusto, ideale.
Veniamo all'apice della curva narrativa: l'incesto.
E' vero, il nome Giocasta avrebbe dovuto suggerirmi qualcosa, ma lì per lì non ricordavo chi fosse nella mitologia greca e quindi niente, la rivelazione che il suo unico amante è di fatto il figlio mi ha folgorato. Letteralmente.
Forse non ho capito il come, ma penso di sì.
Sospetto che non sia lei a viaggiare nel tempo, ma lui, perché a un certo punto viene definito un Diplomatico. Quindi Lui viaggia nel passato, incontra la madre, avviene l'incesto, si crea quel paradosso pazzesco, e così difficile da accettare per la razionalità umana, del fatto che ora lei è incinta di lui stesso.
Un paradosso, appunto.
Talmente potente da sfuggire alla razionalità, da lasciare addosso un senso d'inquietudine, foss'anche solo per la domanda "e adesso come potrà mai svolgersi il tutto?"
Lo stile di scrittura che hai scelto alterna momenti di grande enfasi, riusciti, forti, d'impatto, d'impatto proprio per la naturalezza con la quale la voce narrante della protagonista racconta, si racconta e parla di cose impossibili, fuori dal nostro schema razionale, come fossero (e per lei lo sono) normali.
Ecco, questa è la vera potenza della tua scrittura: rende al 100% il punto di vista di una donna semi-aliena di un futuro alienato e alienante.
Come ci sei riuscito, non lo so.
Ci sono aspetti che mi piacciono meno.
L'uso degli incisi in parentesi: proprio non mi piacciono. Spezzano la voce narrante e sembrano far fare intrusione all'autore, più che al personaggio. Impressione mia, ma stridono.
Alcuni passaggi sono troppo carichi, specie di aggettivi. In qualche modo creano un arcaismo che è intonato al personaggio e al contesto, ma sono difficili da leggere e intoppano la lettura.
I passaggi di natura sessuale, non so, in certi punti suonano male, forzati. Non capisco se siano causa di una mano maschile che quindi non riesce a esprimersi con la dovuta femminilità, o se siano invece una mano femminile che cede alla "eccessiva" naturalezza del personaggio.
La "cavità femminile", te lo dico, mi darà gli incubi.
Ecco, a dirla tutta, non riesco assolutamente a capire se tu autore sia uomo o donna. Perché ho ravvisato scelte stilistiche, impronte, modi di pensare, di esprimersi, che oscillano tra l'uno e l'altro genere. E questa cosa è destabilizzante (in senso buono!).
Sei il racconto, ad ora, ma me ne mancano pochissimi, di cui più fremo di conoscere l'autore per togliermi sto dubbio atavico.
Infine, i paletti.
Ero pronto a calare con la scure di Pyramid-Head [cit.], dicendo che tutta la meraviglia che mi hai saputo suscitare veniva controbilanciata da un uso dei paletti troppo esile.
Ti salva, come la sirena di Silent Hill, Ariann... SUSANNA, che col suo commento mi è riuscita a convincere della bontà delle tue scelte.
L'utente non lo avevo proprio colto, non lo vedevo nella maniera più assoluta. Letto come "utente del servizio di cura intergalattica cui la protagonista si rivolge per supporto", okay, ha senso e, a differenza di altre biografie che ho letto, è di fatto l'elemento portante dell'intera storia, anzi la ragione stessa della biografia.
Riconosco il mio errore.
Sul 1600 mi tengo il dubbio che sia veramente esile, ma d'altronde, una biografia e un singolo anno sono per forza di cose incompatibili.
Ho un'idea diversa di biografia, questo è più un monologo, una rimembranza, però magari è un'idea fallace che ho in mente. Sorvolo.
La chiesa c'è, ma è solo un punto d'inizio, Europa invece è giusto una menzione.
L'anticamera?
Qui boh, è il luogo dove si svolge l'attesa per la seduta, ma è appunto solo un accenno iniziale.
E' stata spesa bene? Male? Non so dirti.
Autore, ci sto girando intorno per la suspense, peggio dei peggio presentatori televisivi, ma la verità è che il tuo racconto l'ho trovato strepitoso. Perfezionabile, ma strepitoso.
Il mio giudizio finale rimane mitigato solo ed esclusivamente dall'uso non proprio convincente dei paletti.
Non mi sbilancio mai, per correttezza verso tutti, ma qui faccio uno strappo, do a Cesare quel che è di Ottaviano, e un posto in cinquina te lo garantisco.
Era da un po' che non davo un voto così alto nella mia tabellina excel dei concorsi DT.
Complimenti sinceri.
Hai creato un mix sapiente di complessità e fascino artistico, non privo di punti oscuri ma che funziona.
Parto dall'idea, che è ciò che mi ha folgorato di più.
La rivisitazione di Edipo e Giocasta in chiave fantascientifica è geniale. E' notevole.
Il dipanarsi della trama attraverso spazio e tempo è fatto in un modo sapiente, calcolato, naturale al punto da risultare criptico (come spazio e tempo di fatto sono, nella loro essenza, per la mente umana).
Le allegorie di cui hai disseminato il testo fanno parte del mio personale areale d'interesse: non le ho sicuramente colte tutte, ma l'impressione è che hai trasposto elementi di vita ordinaria in un contesto surreale e fantascientifico con tale efficacia da lasciare tutti i dubbi interpretativi del caso.
Scelta, per il mio gusto, ideale.
Veniamo all'apice della curva narrativa: l'incesto.
E' vero, il nome Giocasta avrebbe dovuto suggerirmi qualcosa, ma lì per lì non ricordavo chi fosse nella mitologia greca e quindi niente, la rivelazione che il suo unico amante è di fatto il figlio mi ha folgorato. Letteralmente.
Forse non ho capito il come, ma penso di sì.
Sospetto che non sia lei a viaggiare nel tempo, ma lui, perché a un certo punto viene definito un Diplomatico. Quindi Lui viaggia nel passato, incontra la madre, avviene l'incesto, si crea quel paradosso pazzesco, e così difficile da accettare per la razionalità umana, del fatto che ora lei è incinta di lui stesso.
Un paradosso, appunto.
Talmente potente da sfuggire alla razionalità, da lasciare addosso un senso d'inquietudine, foss'anche solo per la domanda "e adesso come potrà mai svolgersi il tutto?"
Lo stile di scrittura che hai scelto alterna momenti di grande enfasi, riusciti, forti, d'impatto, d'impatto proprio per la naturalezza con la quale la voce narrante della protagonista racconta, si racconta e parla di cose impossibili, fuori dal nostro schema razionale, come fossero (e per lei lo sono) normali.
Ecco, questa è la vera potenza della tua scrittura: rende al 100% il punto di vista di una donna semi-aliena di un futuro alienato e alienante.
Come ci sei riuscito, non lo so.
Ci sono aspetti che mi piacciono meno.
L'uso degli incisi in parentesi: proprio non mi piacciono. Spezzano la voce narrante e sembrano far fare intrusione all'autore, più che al personaggio. Impressione mia, ma stridono.
Alcuni passaggi sono troppo carichi, specie di aggettivi. In qualche modo creano un arcaismo che è intonato al personaggio e al contesto, ma sono difficili da leggere e intoppano la lettura.
I passaggi di natura sessuale, non so, in certi punti suonano male, forzati. Non capisco se siano causa di una mano maschile che quindi non riesce a esprimersi con la dovuta femminilità, o se siano invece una mano femminile che cede alla "eccessiva" naturalezza del personaggio.
La "cavità femminile", te lo dico, mi darà gli incubi.
Ecco, a dirla tutta, non riesco assolutamente a capire se tu autore sia uomo o donna. Perché ho ravvisato scelte stilistiche, impronte, modi di pensare, di esprimersi, che oscillano tra l'uno e l'altro genere. E questa cosa è destabilizzante (in senso buono!).
Sei il racconto, ad ora, ma me ne mancano pochissimi, di cui più fremo di conoscere l'autore per togliermi sto dubbio atavico.
Infine, i paletti.
Ero pronto a calare con la scure di Pyramid-Head [cit.], dicendo che tutta la meraviglia che mi hai saputo suscitare veniva controbilanciata da un uso dei paletti troppo esile.
Ti salva, come la sirena di Silent Hill, Ariann... SUSANNA, che col suo commento mi è riuscita a convincere della bontà delle tue scelte.
L'utente non lo avevo proprio colto, non lo vedevo nella maniera più assoluta. Letto come "utente del servizio di cura intergalattica cui la protagonista si rivolge per supporto", okay, ha senso e, a differenza di altre biografie che ho letto, è di fatto l'elemento portante dell'intera storia, anzi la ragione stessa della biografia.
Riconosco il mio errore.
Sul 1600 mi tengo il dubbio che sia veramente esile, ma d'altronde, una biografia e un singolo anno sono per forza di cose incompatibili.
Ho un'idea diversa di biografia, questo è più un monologo, una rimembranza, però magari è un'idea fallace che ho in mente. Sorvolo.
La chiesa c'è, ma è solo un punto d'inizio, Europa invece è giusto una menzione.
L'anticamera?
Qui boh, è il luogo dove si svolge l'attesa per la seduta, ma è appunto solo un accenno iniziale.
E' stata spesa bene? Male? Non so dirti.
Autore, ci sto girando intorno per la suspense, peggio dei peggio presentatori televisivi, ma la verità è che il tuo racconto l'ho trovato strepitoso. Perfezionabile, ma strepitoso.
Il mio giudizio finale rimane mitigato solo ed esclusivamente dall'uso non proprio convincente dei paletti.
Non mi sbilancio mai, per correttezza verso tutti, ma qui faccio uno strappo, do a Cesare quel che è di Ottaviano, e un posto in cinquina te lo garantisco.
Era da un po' che non davo un voto così alto nella mia tabellina excel dei concorsi DT.
Complimenti sinceri.
Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Data di iscrizione : 08.01.21
Località : Torino
Re: Come ti chiami?
Ciao, autore.
Per quanto io possa rimanere affascinato dal valore intrinseco di un lavoro del genere, quello che poi viene
a mancare è la piacevolezza della lettura.
È innegabile che il racconto non si legga con scorrevolezza, così come evidenziato dai commenti che mi hanno preceduto.
Anche l'analisi dei requisiti sull'ammissione ci ha mandati nel pallone: per me mancava il genere e non era ammissibile, per Pier era biografia, per Stefania era avventura... Lo abbiamo ammesso dopo svariate letture, e questo dimostra che il racconto ha bisogno di molto tempo per riuscire a parlare con il lettore.
Ho già fatto questo esempio un'altra volta, ma perché lo reputo calzante: è un po' come portare Replay a Sanremo. Il pubblico capisce che il pezzo è raffinato, una spanna sopra le altre canzoni, ma poi dove si è piazzata in classifica? Chi ha vinto nel 2000? Gli Avion Travel hanno vinto...
Poi Replay è comunque arrivata quinta, perché il valore di un lavoro artistico di qualità, alla lunga, si riconosce..
Ecco, per me questo racconto è Replay a Sanremo 2000.
E sono sicuro che eri consapevole di questa accoglienza al tuo racconto, quindi sicuramente va bene così
Per quanto io possa rimanere affascinato dal valore intrinseco di un lavoro del genere, quello che poi viene
a mancare è la piacevolezza della lettura.
È innegabile che il racconto non si legga con scorrevolezza, così come evidenziato dai commenti che mi hanno preceduto.
Anche l'analisi dei requisiti sull'ammissione ci ha mandati nel pallone: per me mancava il genere e non era ammissibile, per Pier era biografia, per Stefania era avventura... Lo abbiamo ammesso dopo svariate letture, e questo dimostra che il racconto ha bisogno di molto tempo per riuscire a parlare con il lettore.
Ho già fatto questo esempio un'altra volta, ma perché lo reputo calzante: è un po' come portare Replay a Sanremo. Il pubblico capisce che il pezzo è raffinato, una spanna sopra le altre canzoni, ma poi dove si è piazzata in classifica? Chi ha vinto nel 2000? Gli Avion Travel hanno vinto...
Poi Replay è comunque arrivata quinta, perché il valore di un lavoro artistico di qualità, alla lunga, si riconosce..
Ecco, per me questo racconto è Replay a Sanremo 2000.
E sono sicuro che eri consapevole di questa accoglienza al tuo racconto, quindi sicuramente va bene così
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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
vivonic- Admin
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Re: Come ti chiami?
Una donna che è mille donne, su mille mondi, in mille tempi. Un racconto che mi è piaciuto, molto. Ma del quale non possiedo le chiavi per capirlo appieno. Perchè, caro autore, tu spargi indizi, citazioni, come semi sparsi al vento, che purtroppo cadono morti sul mio terreno arido di conoscenza. Purtroppo mi perdo il panorama dei fronzoli e procedo diritto lungo la strada principale, quella della trama. E, come la muscia dei Pink Floyd, alla settima od ottava rilettura ho iniziato a orientarmi, e ad apprezzare il tutto.
La scrittura è ottima, fin troppo. I paletti non so, ma non voglio saperlo.
Ti ringrazio e ti faccio i complimenti per un'opera stupenda ma non facile. Ti porterò al ballottaggio, non posso promettere che sarà in cinquina ma sicuramente è un racconto che lascia il segno.
Grazie.
La scrittura è ottima, fin troppo. I paletti non so, ma non voglio saperlo.
Ti ringrazio e ti faccio i complimenti per un'opera stupenda ma non facile. Ti porterò al ballottaggio, non posso promettere che sarà in cinquina ma sicuramente è un racconto che lascia il segno.
Grazie.
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I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
CharAznable- Maestro Jedi
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