L’anticamera della DT Room al centro del DR Palace, posto in cima alla collinetta che dominava la Piazza Centrale di DT City, era uno dei posti più temuti dai cittadini della leggendaria località.
Chi c’era stato narrava di attese lunghe anche più di dodici ore prima di essere ricevuti da “I due Presidenti”, così conosciuti da tempo immemore.
Quando finalmente ottenevano udienza, anziché tirare un sospiro di sollievo, gli astanti entravano in un vero e proprio stato di angoscia: i Presidenti ricevevano i cittadini in formazione tipo.
Alla scrivania, chino immancabilmente su una pila di appunti, stava Vivonic, l’ineffabile, colui che ascoltava, intervistava e infine liquidava i malcapitati che si presentavano con richieste che si potrebbero definire… sciocche? banali? inutili?
Vivonic era inflessibile, non aveva tempo da perdere, lui doveva studiare – sulla sua scrivania sostavano non meno di trenta libri tra romanzi, saggi, biografie, recensioni – e per prassi consolidata non perdeva più di una decina di minuti con chi si presentava al suo cospetto.
Ma chi incuteva un sacro timore in chi entrava in quella stanza era The Raven!
Si trattava di una figura mitica a metà tra l’essere umano e il libro, inteso proprio come oggetto di carta composto da un numero imprecisato di pagine.
Troneggiava da un soppalco cui si accedeva – trattasi di modo di dire, nessuno vi aveva mai avuto accesso al di fuori dello stesso Raven – per una scalinata ellittica che lo circondava da entrambe le parti; il colpo d’occhio era notevole in quanto il soggetto si mimetizzava con la parete retrostante che, al pari delle altre tre, era interamente ricoperta da scaffalature stracolme di libri.
Nessuno lo aveva mai sentito proferire parola.
Quel giorno nell’anticamera, in attesa di essere ricevuti, si trovavano Mac, Valentina, MarcoG e M.Mark O’Knee e ciascuno di loro avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì.
Infatti, cosa più unica che rara, non si erano presentati con la solita sfilza di domande inutili da fare ma erano stati convocati dai due Presidenti; sì, avete capito bene: erano stati convocati.
I quattro eroi ostentavano una calma che contrastava con tutto ciò che ribolliva dentro di loro; ma si sarebbero fatti uccidere piuttosto che ammetterlo davanti agli altri.
Cosa mai potevano aver fatto – di male – per trovarsi lì, in quel momento, tra l’altro a poco più di dodici ore di distanza dall’uscita dell’ultimo editto del DR Palace, quello che aveva stabilito con puntualità svizzera i celebri paletti, gli strumenti con i quali da mesi ormai veniva governata la città?
A sottolineare l’estrema urgenza di quella convocazione i quattro furono ammessi al cospetto delle due mitiche figure dopo nemmeno un’ora di attesa.
«Lasciamo perdere i preamboli e veniamo al dunque» esordì Vivonic, dando a intendere che l’udienza sarebbe stata breve come sempre.
«Ci è giunta voce che tra la popolazione di DT City c’è fermento; pare che qualcuno non abbia ben compreso cosa intendiamo con il termine “utenti” e, di conseguenza, abbia cominciato a serpeggiare una sorta di malcontento».
Mac guardò di sottecchi gli altri tre, cercando nei loro occhi lo stesso imbarazzo che provava in quel momento. Gli sguardi erano rivolti a terra e il fatto che si dondolassero sui piedi diceva molto più di mille parole sul loro stato d’animo.
«Abbiamo pensato che l’unico modo per fare cessare ogni dubbio sia quello di mandare qualcuno nel 1600 a verificare cosa intendessero, allora, con la parola “utente”».
Stavolta fu Valentina a guardare gli altri, lo sguardo a metà strada tra l’allarmato e l’incredulo: quei due non potevano pensare sul serio a una cosa del genere.
«La nostra, naturalmente – l’avverbio venne sottolineato con un deciso cambio del tono della voce di Vivonic – non è una proposta, è una decisione già presa e - indovinate un po’? - i prescelti siete voi quattro».
Valentina provò a dire «ecco, io, avrei i bambini della scuola, in questo momento…».
Non riuscì a finire la frase che Vivonic la interruppe: «ho qui un elenco di ventitré cittadini che hanno dato la loro disponibilità in caso di emergenza e mi sembra di vedere anche il tuo nome. O mi sbaglio?».
«No, non sbaglia» sussurrò Valentina quasi impercettibilmente.
«Volevo ben dire» concluse Vivonic che, pur non avendo sentito la risposta, dava per scontato che non potesse che essere una: quella che Valentina aveva biascicato.
«Se nessuno ha più niente da chiedere direi che il nostro incontro è finito. Presentatevi oggi pomeriggio alle tre precise al tempio dalle sacerdotesse, loro vi diranno cosa fare. Buon viaggio».
Così dicendo, tornò ai suoi libri e non degnò più della sua attenzione i presenti.
Alle tre precise i prescelti si trovarono al tempio - ad essere precisi si trovarono nell’anticamera del tempio perché al suo interno l’accesso era precluso ai normali cittadini - al cospetto delle due sacerdotesse, la bionda e la mora, che li accolsero sulla soglia, avvolte in una leggera nebbia: Petunia e Hellionor erano magnifiche nelle loro vesti bianche e incutevano timore e rispetto grazie a una bellezza sfolgorante e alla grazia innata con cui trattavano i fedeli che si presentavano quasi ogni giorno con richieste di ogni tipo, spesso molto strampalate.
MarcoG si guardò attorno con una certa agitazione in cerca di qualcosa che non riusciva a trovare.
«MarcoG cosa stai cercando?» fu Petunia a rivolgergli la parola «ti vedo troppo inquieto».
«Mi chiedevo dove fosse la macchina del tempo che ci porterà nel passato» rispose MarcoG incoraggiato dalla voce calma e armoniosa della sacerdotessa.
«Macchina del tempo?» chiese di rimando, non riuscendo a celare un certo stupore, Hellionor. «Credete, forse, di essere in un romanzo di fantascienza? Non mi sembra proprio che sia questo il genere dello step attuale».
«Ma… come facciamo ad andare nel 1600, allora?» chiese Mac andando incontro all’amico che era rimasto sorpreso dalla risposta della vestale.
«Mi stupisco di voi» intervenne Petunia, sempre con dolcezza e calma imperturbabili «siete o non siete degli scrittori?».
La domanda era volutamente pleonastica, se si trovavano in DT City non potevano che esserlo, scrittori.
Nessuno ebbe il coraggio di rispondere e allora fu Hellionor che, con un sorriso che avrebbe ammansito perfino la Shere Khan di “disneyana” memoria, chiese: «qual è la principale dote che dovrebbe avere uno scrittore?».
La risposta la sapevano bene tutti ma nessuno sembrava avere il coraggio di parlare.
Fu Mark, fino a quel momento silenzioso osservatore di quanto stava accadendo, a rispondere con disarmante semplicità: «la fantasia!».
«Esattamente» confermò Hellionor la cui voce si era fatta, se possibile, ancora più dolce.
«Sarà la fantasia che dovrete utilizzare per proiettarvi nel passato e tanto più forte sarà il grado di fantasia che raggiungerete tanto più vicino a ciò che desiderate riuscirete ad arrivare».
«Ora andate» concluse Petunia «non avete molto tempo a disposizione e prima partirete meglio sarà».
La nebbia si infittì, nascondendo tempio e vestali.
«Ma dove siamo finiti?» chiese Mark, guardandosi attorno.
Si trovavano al centro di una grande piazza brulicante di gente che andava da tutte le parti proprio come sarebbe successo quattrocento anni più tardi.
Accanto a loro si trovava una strana scultura lignea che non aveva una forma ben definita finendo con l’assomigliare più che altro a un ammasso di tronchi, rami e legnetti accatastai alla meno peggio attorno ad un palo che si ergeva in verticale.
«Non può essere arte astratta» osservò Mac e subito aggiunse «sono certa che sia arrivata molto più tardi, storicamente parlando».
Sul lato destro della Piazza c’era quello che oggi non esiteremmo a definire un assembramento di persone e animali, cavalli per la precisione, e verso di loro si diressero Mac e MarcoG in cerca di qualche informazione.
Intanto Mark, che aveva cominciato a intuire qualcosa, osservava Valentina che appariva piuttosto imbarazzata.
«Tu sai dove ci troviamo e anche perché, vero?» le disse all’improvviso cogliendola di sorpresa.
«E perché dovrei saperlo?» rispose lei, facendosi rossa in viso.
«Stavo pensando che sei la più giovane e la forza della tua fantasia è molto più intensa delle nostre per cui immagino che siamo finiti dove tu hai desiderato che fossimo» argomentò Mark.
Messa con le spalle al muro Valentina decise che era inutile negare e confessò: «volevo vedere come era San Valentino nel 1600 e così penso che siamo finiti al 14 febbraio di quell’anno; però non so proprio dirti dove siamo come luogo».
«Lo so io dove siamo finiti e non mi piace proprio per niente» rispose Mark con aria molto preoccupata.
Nel frattempo Mac e MarcoG stavano tornando verso di loro.
«Non avete idea di dove siamo capitati» stava dicendo MarcoG con aria troppo eccitata.
«Siamo in Campo de’ Fiori a Roma» lo interruppe Mark.
«Sì, esatto» confermò ancora MarcoG e poi con fare dubbioso «ma tu come fai a saperlo?».
«Valentina ci ha portati qui perché voleva scoprire come era San Valentino nel 1600 per cui oggi è il 14 febbraio; e siccome quello è senza dubbio un mercato di cavalli, non possiamo che essere stati catapultati a Roma in Campo de’ Fiori».
«Ma non sapete ancora la cosa più importante» riprese MarcoG ritrovando all’istante l’entusiasmo di qualche secondo prima.
«Quella è la pira dove bruceranno Giordano Bruno» ripeté Mark senza scomporsi.
Per la seconda volta il sorriso si spense sul volto di MarcoG «sì, ma… come fai a saperlo?».
«Amici, non dimentichiamo il motivo per cui siamo qua» intervenne Mac che era già stata messa al corrente da MarcoG sulla folle idea che gli era venuta pochi attimi prima.
«Giusto» confermò Valentina «cerchiamo qualche innamorato cui chiedere come festeggia San Valentino».
«Valentina!» la richiamò all’ordine Mac.
«Ragazzi, ma vi rendete conto dell’occasione d’oro che abbiamo? Possiamo salvare la vita a Giordano Bruno! Lo possiamo liberare!» intervenne MarcoG ritrovando tutto l’entusiasmo che Mark aveva già provato a spegnergli un paio di volte.
Gli altri si guardarono stupiti poi rivolti a MarcoG, all’unisono: «ma stai scherzando?»
«Niente affatto! Pensateci bene, sappiamo dove si trova, dove è rinchiuso, abbiamo dalla nostra tutta l’esperienza maturata in secoli di progresso, cosa volete che sia? Ci vorrà un attimo…» ribatté MarcoG tirando fuori dalla tasca e mostrando agli altri un passepartout che aveva saggiamente portato con sé dal futuro.
«Scusate se mi ripeto, ma non perdiamo di vista il motivo principale per cui siamo qui: Vivonic è stato molto chiaro, mi sembra» provò a ripetere Mac.
«Ma chi meglio di un grande studioso potrà darci tutte le risposte che cerchiamo! Liberiamolo e poi potremo chiedergli tutto quello che vogliamo, anche solo per gratitudine sarà felicissimo di accontentarci. Mark che dici?».
Mark sembrava pensieroso. L’idea di vedere e parlare con il Bruno lo stuzzicava ma voleva arrivare il più presto possibile all’obiettivo prefissato e tornare nel più comodo 2022. Rifletté ancora qualche secondo e poi sentenziò: «Perché no? Proviamoci! Ma appena qualcosa dovesse andare storto lasciamo perdere le gesta eroiche e torniamo alla missione principale».
«Mac? Valentina?» chiese MarcoG reso euforico dall’appoggio di Mark.
«Ma potremo chiedergli anche come festeggiano San Valentino?» riprovò a chiedere Valentina.
«Valentina!» urlarono esasperati gli altri tre.
Ormai la missione era decisa e, a passo svelto e con fare circospetto, i quattro eroi si diressero verso le prigioni dove era tenuto il buon Giordano.
Arrivarono senza troppi problemi alle carceri di Tor di Nona, sulla riva del Tevere, a parte un momento di imbarazzo quando, a un crocevia, Mark tirò fuori il cellulare per attivare Google Maps: «Accidenti! Non c’è campo» esclamò sorpreso.
Toccò a Valentina prendersi la sua rivincita: «Mark, siamo nel 1600, manca ancora qualche settimana alla scoperta di Internet; metti via quel coso prima che ci arrestino tutti!»
Come era facile da prevedere anche senza aver mai aperto un libro di storia, la fortezza era presidiata da soldati e guardie a piedi e a cavallo.
«Ci vuole un piano» sussurrò Valentina «altrimenti come facciamo a introdurci all’interno senza essere scoperti?».
«Sei tu il nostro piano, Valentina» le rispose MarcoG.
«Io?».
Sì, passeggerai proprio qui davanti, al braccio di Mark, mostrando quanto più possibile le tue gambe mentre io e Mac approfitteremo della… ehm… distrazione delle guardie per intrufolarci alle loro spalle».
«No, no, no, scordatevelo! No, mi spiace, io non lo faccio, non mostro proprio un bel niente io a questi energumeni qua» ribatté con convinzione Valentina.
Cinque minuti dopo, mentre le guardie erano distratte da un paio di splendide gambe esibite senza pudore, MarcoG e Mac entravano nelle carceri di Tor di Nona in cerca di Giordano Bruno; quando finalmente lo trovarono, l’uomo che si materializzò davanti a loro e dietro le sbarre era molto lontano dall’immagine che si erano fatti.
Minuto, piuttosto basso, dimostrava almeno vent’anni in più rispetto all’età anagrafica; MarcoG aprì il cancello e il Bruno seguì i due senza proferire parola, così, sulla fiducia: era libero!
L’appuntamento con Valentina e Mark era lì vicino presso una chiesa che avevano individuato avvicinandosi alle carceri; li avrebbero aspettati sulle panche dell’ultima fila, fingendosi assorti in preghiera.
Se qualcosa fosse andato storto si sarebbero trovati al calar del sole in campo de’ Fiori, accanto alla pira pronta per l’eretico.
E qualcosa andò storto, anzi, non cominciò nemmeno ad andare!
Il Bruno si rivelò una zavorra, troppi giorni di carcere ne avevano fiaccato il corpo e così quando si trattò di cominciare a correre per scappare dalle guardie – a dirla tutta fu un intempestivo starnuto di MarcoG a far precipitare la situazione – il filosofo si piantò e il terzetto fu catturato dopo nemmeno sei minuti di fuga.
La fragorosa irruzione in chiesa delle guardie fece schizzare in piedi Valentina e Mark che decisero al volo di dividersi; la prima si diresse verso la sacrestia, l’altro verso l’altare.
Il rumore aveva fatto uscire il prevosto dal confessionale dove si era ritirato in preghiera e, vista la situazione, intimò senza indugio l’alt alle guardie che già si stavano disperdendo tra le navate all’inseguimento dei due fuggitivi.
«Questa è la mia chiesa» affermò con voce ferma «è la casa del Signore, come vi permettete di entrare in questo modo! Inginocchiatevi davanti al crocifisso!».
Le guardie, colte alla sprovvista, si guardarono incerte sul da farsi dando modo a Valentina di eclissarsi all’interno della sacrestia.
Intanto Mark, da dietro l’altare osservava quanto stava accadendo cercando di capire se ci fosse modo di liberare MarcoG e Mac che, con le mani legate dietro la schiena, si trovavano alle spalle di un ometto che doveva essere il grande eretico.
Fu il capo delle guardie il primo a riprendersi e, indicando i prigionieri, dichiarò «Padre, ci lasci fare il nostro lavoro; come vede abbiamo catturato due complici del condannato per eresia che erano riusciti a liberarlo».
«Oh vedo» disse il parroco «ma non capisco la necessità di tutto questo baccano qui nella mia chiesa».
«Ci sono altri due complici dei prigionieri all’interno della chiesa e le chiediamo di collaborare affinché vengano presto consegnati nelle nostre mani e giustiziati come meritano per eresia».
In quel momento il sacrestano che aveva sentito tutto uscì dalla sacrestia tenendo tra le braccia Valentina che consegnò immediatamente al capo delle guardie.
Mark si sentì perso, si guardò attorno e capì di non avere via di scampo e allora scese correndo dall’altare urlando all’impazzata.
Ci fu un attimo di caos del quale Mac approfittò per rifilare un calcio alla guardia più vicina e precipitarsi fuori dalla chiesa seguita da MarcoG: peccato che appena usciti furono circondati da sei guardie rimaste sul sagrato a controllare che nessuno entrasse nell’edificio scaro.
Nemmeno un’ora dopo che Valentina aveva sfilato davanti alle carceri di Tor di Nona al braccio di Mark, si ritrovò insieme ai suoi tre compagni di sventura nella stessa cella da cui avevano tirato fuori il grande Giordano Bruno che, ora, li guardava con una certa commiserazione: da quando lo avevano incontrato non aveva spiccicato mezza parola.
Tre giorni dopo in Campo de’ Fiori cinque pire davano spettacolo a una gran folla riunita per assistere ai fuochi d’artificio.
Le fiamme avevano appena cominciato ad attaccare la legna e già lambivano i piedi dei cinque condannati quando improvvisamente Mark, Valentina, Mac e MarcoG si ritrovarono nell’anticamera del DT Palace.
Il sollievo evidente nascondeva a fatica un certo stupore cosicché, quando Vivonic uscì dalla DT Room andando loro incontro, Mac non seppe trattenersi: «Ma cosa è successo? Come abbiamo fatto a tornare qui?»
«Dovete ringraziare chi ha scritto questo strampalato racconto – ancora non posso rivelarvi se trattasi di autore o autrice, spero che comprendiate – che, nonostante la vostra incoscienza, ha deciso di fare salva la vostra vita».
«Il grande Vivonic è uscito dalla sua stanza per noi, avete visto?» sussurrò MarcoG ma Vivonic, fulminandolo con uno sguardo, lo avvertì: «se sono uscito è solo per fare un grande favore a chi ha scritto questo inutile racconto, altrimenti il paletto dell’anticamera rischiava di essere troppo esile».
«Non che così sia molto più importante» fece osservare Mac con un sorriso di sufficienza.
«Sono d’accordo con te, ma non siamo né io né te a dover giudicare; fosse per me questo racconto lo cestinerei dopo una prima rapida lettura».
«Io non sarei così drastica» provò a farsi sentire Valentina «a me non è dispiaciuto essere la protagonista di un racconto».
«Direi che dopo questa affermazione possiamo mettere la parola fine a questo pasticcio pseudo letterario, ho molto da fare e vorrei tornare alla mia vita di sempre» concluse Vivonic rientrando nella DT Room e chiudendosi in modo definitivo la porta alle spalle.
«Però a me non è dispiaciuto essere la protagonista del racc…»
«VALENTINA!!!»