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Maximus
“Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos.”
(Mt. 11,28-30)
Sono Massimo Esposito (Maximus Juvenis Baptista Expositio) nasco a Napoli nel 1580.
Musicista, teologo, meglio noto come cacciatore di streghe.
Non mi è concesso di sapere il giorno in cui sono nato non avendo conosciuto i miei genitori.
È l’8 aprile del 1580, quando vengo deposto nella Ruota degli Esposti.
La data risulta dai registri della Real Casa della Santissima Annunziata.
La ruota è un cilindro di legno diviso in due parti chiuse da uno sportello, gira ora verso l’esterno, ora verso l’interno.
Un ventre materno nascosto all’interno di un muro.
Istituita dalla regina d'Aragona, moglie di Roberto d'Angiò, nel 1343, è un dono prezioso di cui il popolo napoletano, e non solo, fa uso per salvare la vita di tanti orfani che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità di sopravvivere.
Siamo i figli abbandonati dalle madri o perché non hanno modo di crescerli o perché siamo illegittimi.
Quando veniamo accolti, annotano il giorno e l’ora di ingresso, l’età, i lineamenti e gli eventuali segni di riconoscimento, come abiti o piccoli biglietti.
Il suono della campanella e un pianto disperato annunciano la mia presenza. È questo il vagito che segna il mio ingresso nel mondo.
“Denutrito, magro di ossatura, il viso scavato, ha occhi vispi e curiosi, capelli neri e folti”, si legge ancora nel registro, “coperto solo di stracci, stringe nel pugno una croce di legno con un braccio scheggiato. Non presenta nessun altro segno che possa ricondurlo ai genitori”.
Io sono uno di quei bambini che nessuno vuole e come gli altri divento un figlio della Madonna (o figl’“ra Maronn”), perché è Lei che ci protegge e ci assiste.
Oltre all’ospizio per i trovatelli, il vasto complesso include la basilica, un ospedale, un convento e un conservatorio.
Il 16 aprile, il giorno di Pasqua, per volontà di Vincenzo Sapri, vengo battezzato nella Basilica della Santissima Annunziata Maggiore.
Padre Vincenzo appartiene all’ordine dei domenicani, nominato dalla Santa Sede in qualità di inquisitore, con l'incarico di ricercare e giudicare gli eretici.
È un uomo alto, spigoloso, falsamente mite, dai modi decisi e bruschi. Gli occhi profondi e vicini tra loro incutono rispetto e reverenziale terrore.
Mio padrino è Giovan Battista Manso, da cui prendo il secondo nome.
Da figlio abbandonato vengo, inspiegabilmente, accolto dalla nobiltà come un dono divino.
Il mio primo ricordo risale all’età di quattro anni.
È il 13 dicembre del 1584 quando, privo di sensi, cado in un braciere.
Il fatto è inspiegabile e si crede che sia opera malvagia di qualche megera.
Ho ustioni su gran parte del corpo e rimango tra la vita e la morte per diversi giorni.
Durante il delirio, parlo di figure femminili che mi spingono nelle braci ardenti. Un episodio che segna la mia vita e mi porta a diventare quello che sono: un cacciatore di streghe.
Ho nella carne i segni delle ustioni e nell’anima la convinzione, consolidata negli anni, che le streghe vadano perseguitate sempre e ovunque.
Il maestro Sapri è solito dire: “Numquam confidunt mulieres. Non credere a quello che esce dalla loro bocca, mentono.
Non guardarle negli occhi. Sanno ingannare anche solo con lo sguardo, perché sono figlie del demonio.”
Dal 1586 al 1590 Giovan Battista Manso diventa il mio precettore. È un uomo basso di statura, gentile, dallo sguardo ceruleo, la bocca carnosa, sebbene il viso sia scavato e lungo.
Nasce a Napoli nel 1535. La sua nobile famiglia è originaria di Scala, cittadina situata sulle colline della costa di Amalfi, dove a volte mi porta per respirare aria più salubre. In quegli anni ho un costante pallore e una frequente tosse che fanno pensare ai medici che non sarei vissuto a lungo.
Mi trasmette la passione per la matematica e per gli studi filosofici. Mi insegna la filosofia aristotelica, la logica, lo studio della fisica e della metafisica.
A causa della mia salute cagionevole, sono un bambino introverso e solitario, poco propenso a socializzare.
Preferisco leggere libri e studiare le cose di Dio.
Trascorro le mie giornate all’interno della basilica dell’Annunziata, tra le alte colonne delle navate; il pavimento a mosaico bianco e verde vede muovere i miei primi passi.
L’odore e la luce tremula delle candele rendono il mio animo offuscato e insicuro.
Ma in tutto il convento esiste un luogo dove mi sento quieto e protetto, la Sala de Profundis. È adiacente al refettorio, così chiamata perché prima di consumare i pasti i religiosi si fermano a pregare per i fratelli defunti.
È un locale diverso da tutti gli altri ambienti per fattezza e dimensioni, una sala rettangolare con un magnifico soffitto di legno. Sebbene sia una stanza di passaggio o di attesa, tra la sacrestia e il refettorio, è una camera silenziosa, dove pregare o stare in tranquillità.
All’interno due affreschi sopra le porte d’ingresso abbelliscono l’ambiente, il primo è un volto di Cristo nella lunetta di destra, raffigurante l'Ecce Homo,
L’altro, sulla parete sinistra, raffigura la Madonna con il Bambino in grembo.
Per me che non conosco mia madre, e da lei e da nessun’altra ricevo carezze, la sola visione mi commuove, pur non riuscendo a immaginare tanta bellezza.
Un armadio stretto e scuro occupa un’intera parete. contiene una collezione preziosa di arredi sacri e libri sulla vita di santi, tra cui Tommaso d’Aquino.
Tre inginocchiatoi sono rivolti verso il quadro del Salvator Mundi, con gli occhi che mi seguono; in un angolo semi buio spicca un crocifisso da processione in argento massiccio.
Due candelabri in ferro battuto stanno ai lati di una lunga panca su cui ci si può sedere per leggere o pregare.
Il 15 giugno del 1592, dopo la cerimonia del Corpus Domini, mi trattengo in chiesa con il suonatore di organo. È Cesare Sersale, ed è il primo maestro al conservatorio. Uomo dai modi modesti ma di ampia cultura, mi inizia allo studio prima del clavicembalo e poi dell’organo.
Quando le mie dita sfiorano i tasti e il suono si propaga per le navate provo un’emozione mai sentita prima.
Come se per la prima volta sentissi la mia voce, attraverso le dita sullo strumento, ho la certezza della mia esistenza.
Digitare sopra i tasti i motivi sacri, mi alza al di sopra della misera condizione umana.
E se per Renatus Cartesius l’assioma di tutto il suo pensiero è racchiuso in Cogito ergo sum, per me la musica e suonare lo strumento diventano le ragioni di vita e posso asserire con fermezza: Digito ergo sum.
Nel 1593, tredicenne, dalla Casa dell’Annunziata mi trasferisco al collegio dei gesuiti per intraprendere la carriera ecclesiastica.
I corsi prevedono altri tre anni di studio della grammatica, di studi umanistici e filosofici, oltre che di teologia e delle Scritture.
Ancora su indicazione e incoraggiamento di padre Vincenzo. Sento, da quando sono nato, di essere plasmato dalla sua forte personalità, anche se l’impegno costante e la passione per i libri fanno di me una persona interiormente libera.
Pretendo il massimo da me stesso, senza chiedermi se merito quanto mi viene dato.
Provo per lui un sincero affetto di riconoscenza, perché fa le veci di un padre, quello che non ho mai conosciuto.
Esco dal collegio nel settembre del 1596.
Per il regime di vita osservato, la mia salute migliora e si ristabilisce completamente.
Sono un giovane forte, dai tratti irregolari, i capelli folti e castani, gli occhi scuri sotto le folte ciglia.
Durante l’anno approfondisco e perfeziono gli studi musicali iniziati al conservatorio.
L’incontro decisivo è quello con Giovanni Maria Sabino. Nato a Turi, il 30 giugno del 1545, è eccellente organista e compositore. Diventa mio insegnante mentre è già primo maestro del conservatorio della Pietà dei Turchini.
Fa di me un vero musicista, tanto da diventare nell’ottobre del 1597, a soli diciassette anni, organista presso l'Oratorio di San Filippo.
Ma dalle mie mani non escono solo note celestiali che arrivano all’Altissimo.
Padre Vincenzo vuole che faccia parte della congregazione attiva nella ricerca degli eretici, quelli che apertamente, e non solo, si proclamano contro la Santa Chiesa e la sua dottrina.
È il tribunale dell’inquisizione che raccoglie testimonianze e testimoni per accertare l'eresia e ha il compito di tentare con tutti i mezzi, compresa la tortura, di convincere l'indagato ad abiurare.
Se questo non avviene resta una sola cosa da fare: ardere i loro corpi.
“Sta scritto nel libro dell'Esodo, (22, 18): Maleficos non patieris vivere, è solito citare padre Vincenzo.
E ancora dal Vangelo di Giovanni, (15, 6): “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi viene raccolto per essere gettato via e bruciato. Non lascerai vivere colei che pratica la magia”.
Divento, con la sua benedizione, il boia di Dio.
Così dalle stesse mani genero il fuoco con cui l’eretico, tra fiamme altissime, esala l’anima purificata fino a Dio.
Il 13 agosto 1598 muore padre Vincenzo lasciandomi orfano per la seconda volta.
Mantengo la sua eredità, rimango il cacciatore di streghe che le porta al rogo.
Il mio viso è diventato rubicondo, rosso vivo, come se le fiamme avessero lasciato anche su di me i segni del troppo calore.
È l’11 novembre Anno Domini 1600, quando, con solenne processione, ci muoviamo dalla cattedrale della Santissima Annunziata.
Sono le tre di un pomeriggio freddo e nuvoloso, una pioggia leggera rende l’aria e l’umore grigi.
La piazza davanti al duomo è gremita, durante la cerimonia religiosa partecipa tutta la cittadinanza.
Viene celebrata la messa solenne, quindi i colpevoli sfilano in miserabili condizioni davanti al vescovo che proclama la sentenza.
C'è spazio per il pentimento in extremis.
Mea culpa mea maxima culpa.
Sono in tre, colpevoli di praticare l'ebraismo in privato e, a quanto dicono testimoni, non solo. L’ uomo e una delle due donne abiurano e hanno salva la vita.
La terza no. Ha i tratti del viso irregolari, scalza, indossa una veste lercia da cui si vedono i segni delle torture. Trema più per il freddo che per la paura. Ha i capelli lunghissimi, castani, attaccati alla fronte madida. Le braccia, lungo i fianchi, hanno già abbandonato la vita, tanto sono bianche. Le dita affusolate, con le unghie strappate, sembrano capaci di suonare uno strumento piuttosto che di uccidere.
È accusata di preparare filtri e pozioni in grado di far perdere la ragione. Di aver fatto un sortilegio a un nobile napoletano, timorato padre di famiglia, di averlo circuito e poi ucciso e di aver gettato in mare il corpo.
È la sola condannata e dopo la lettura della sentenza, tiene la testa bassa, passa davanti a me dirigendosi al palo, mi guarda e lo sguardo è privo di odio.
Dalla piazza alla mia destra, si leva un urlo:
“Ferma la mano, ragazzo! La donna che stai dando alle fiamme non è una strega, è tua madre”.
Il brusio che si alza dalla folla non mi impedisce di sentire: “Non poteva tenerti. Sei figlio del peccato, di una meretrice e di un uomo di chiesa. Vincenzo Sapri è tuo padre. Chiedilo alla croce di legno con il braccio scheggiato che stringevi nel pugno appena nato”.
Sono le ultime parole che pronuncia, mentre la trascinano via, una vecchia tutt’ossa e senza denti, dalla cui bocca è uscita la calunnia di una strega o una spaventosa verità.
“Non guardarle negli occhi, non ascoltarle. Non credere a quello che ti dicono”.
Sebbene il rossore copra il mio volto, sento il sangue scorrere gelido, mentre assisto impassibile all'esecuzione.
Maleficos non patieris vivere
La sera si fa più buia e la gente lascia la piazza.
Aspetto che l'ultima fiamma sia spenta e che di quel corpo non rimanga più traccia.
Cinis cinerem, pulvis in pulverem.
È tardi quando rientro nel convento della Santissima Annunziata. Non conosco il motivo ma ho le spalle curve, come se portassi il peso di una croce.
La verità è un inganno o la mia vita è solo menzogna.
Utinam matrem meam scirem, hoc non esset factum.
Ripongo i paramenti in sacrestia. Dalla chiesa nessuna voce. L’abside è sgombro, l’altare vuoto.
Vado verso la Sala de Profundis. Non ho fame e vista l’ora anche il refettorio è chiuso.
Rimetto al suo posto, accanto al Salvator Mundi, la croce d’argento astile portata in processione. Ne estraggo il crocifisso, la parte terminale è appuntita.
Mi segno, lo bacio e, inginocchiandomi. lo stringo ancora una volta nel pugno,
mea culpa mea maxima culpa e con forza lo conficco nel petto, fino a trafiggermi il cuore.
De profundis clamavi ad te, Domine: Domine, exaudi vocem meam ...
Massimo Esposito, nacque a Napoli nell’Anno Domini 1580.
Organista, teologo, più tristemente noto come cacciatore di streghe.
Fu trovato riverso sopra un inginocchiatoio nella sala De Profundis, esanime, la mattina del 12 novembre 1600, all’età di vent’anni.
(Mt. 11,28-30)
Sono Massimo Esposito (Maximus Juvenis Baptista Expositio) nasco a Napoli nel 1580.
Musicista, teologo, meglio noto come cacciatore di streghe.
Non mi è concesso di sapere il giorno in cui sono nato non avendo conosciuto i miei genitori.
È l’8 aprile del 1580, quando vengo deposto nella Ruota degli Esposti.
La data risulta dai registri della Real Casa della Santissima Annunziata.
La ruota è un cilindro di legno diviso in due parti chiuse da uno sportello, gira ora verso l’esterno, ora verso l’interno.
Un ventre materno nascosto all’interno di un muro.
Istituita dalla regina d'Aragona, moglie di Roberto d'Angiò, nel 1343, è un dono prezioso di cui il popolo napoletano, e non solo, fa uso per salvare la vita di tanti orfani che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità di sopravvivere.
Siamo i figli abbandonati dalle madri o perché non hanno modo di crescerli o perché siamo illegittimi.
Quando veniamo accolti, annotano il giorno e l’ora di ingresso, l’età, i lineamenti e gli eventuali segni di riconoscimento, come abiti o piccoli biglietti.
Il suono della campanella e un pianto disperato annunciano la mia presenza. È questo il vagito che segna il mio ingresso nel mondo.
“Denutrito, magro di ossatura, il viso scavato, ha occhi vispi e curiosi, capelli neri e folti”, si legge ancora nel registro, “coperto solo di stracci, stringe nel pugno una croce di legno con un braccio scheggiato. Non presenta nessun altro segno che possa ricondurlo ai genitori”.
Io sono uno di quei bambini che nessuno vuole e come gli altri divento un figlio della Madonna (o figl’“ra Maronn”), perché è Lei che ci protegge e ci assiste.
Oltre all’ospizio per i trovatelli, il vasto complesso include la basilica, un ospedale, un convento e un conservatorio.
Il 16 aprile, il giorno di Pasqua, per volontà di Vincenzo Sapri, vengo battezzato nella Basilica della Santissima Annunziata Maggiore.
Padre Vincenzo appartiene all’ordine dei domenicani, nominato dalla Santa Sede in qualità di inquisitore, con l'incarico di ricercare e giudicare gli eretici.
È un uomo alto, spigoloso, falsamente mite, dai modi decisi e bruschi. Gli occhi profondi e vicini tra loro incutono rispetto e reverenziale terrore.
Mio padrino è Giovan Battista Manso, da cui prendo il secondo nome.
Da figlio abbandonato vengo, inspiegabilmente, accolto dalla nobiltà come un dono divino.
Il mio primo ricordo risale all’età di quattro anni.
È il 13 dicembre del 1584 quando, privo di sensi, cado in un braciere.
Il fatto è inspiegabile e si crede che sia opera malvagia di qualche megera.
Ho ustioni su gran parte del corpo e rimango tra la vita e la morte per diversi giorni.
Durante il delirio, parlo di figure femminili che mi spingono nelle braci ardenti. Un episodio che segna la mia vita e mi porta a diventare quello che sono: un cacciatore di streghe.
Ho nella carne i segni delle ustioni e nell’anima la convinzione, consolidata negli anni, che le streghe vadano perseguitate sempre e ovunque.
Il maestro Sapri è solito dire: “Numquam confidunt mulieres. Non credere a quello che esce dalla loro bocca, mentono.
Non guardarle negli occhi. Sanno ingannare anche solo con lo sguardo, perché sono figlie del demonio.”
Dal 1586 al 1590 Giovan Battista Manso diventa il mio precettore. È un uomo basso di statura, gentile, dallo sguardo ceruleo, la bocca carnosa, sebbene il viso sia scavato e lungo.
Nasce a Napoli nel 1535. La sua nobile famiglia è originaria di Scala, cittadina situata sulle colline della costa di Amalfi, dove a volte mi porta per respirare aria più salubre. In quegli anni ho un costante pallore e una frequente tosse che fanno pensare ai medici che non sarei vissuto a lungo.
Mi trasmette la passione per la matematica e per gli studi filosofici. Mi insegna la filosofia aristotelica, la logica, lo studio della fisica e della metafisica.
A causa della mia salute cagionevole, sono un bambino introverso e solitario, poco propenso a socializzare.
Preferisco leggere libri e studiare le cose di Dio.
Trascorro le mie giornate all’interno della basilica dell’Annunziata, tra le alte colonne delle navate; il pavimento a mosaico bianco e verde vede muovere i miei primi passi.
L’odore e la luce tremula delle candele rendono il mio animo offuscato e insicuro.
Ma in tutto il convento esiste un luogo dove mi sento quieto e protetto, la Sala de Profundis. È adiacente al refettorio, così chiamata perché prima di consumare i pasti i religiosi si fermano a pregare per i fratelli defunti.
È un locale diverso da tutti gli altri ambienti per fattezza e dimensioni, una sala rettangolare con un magnifico soffitto di legno. Sebbene sia una stanza di passaggio o di attesa, tra la sacrestia e il refettorio, è una camera silenziosa, dove pregare o stare in tranquillità.
All’interno due affreschi sopra le porte d’ingresso abbelliscono l’ambiente, il primo è un volto di Cristo nella lunetta di destra, raffigurante l'Ecce Homo,
L’altro, sulla parete sinistra, raffigura la Madonna con il Bambino in grembo.
Per me che non conosco mia madre, e da lei e da nessun’altra ricevo carezze, la sola visione mi commuove, pur non riuscendo a immaginare tanta bellezza.
Un armadio stretto e scuro occupa un’intera parete. contiene una collezione preziosa di arredi sacri e libri sulla vita di santi, tra cui Tommaso d’Aquino.
Tre inginocchiatoi sono rivolti verso il quadro del Salvator Mundi, con gli occhi che mi seguono; in un angolo semi buio spicca un crocifisso da processione in argento massiccio.
Due candelabri in ferro battuto stanno ai lati di una lunga panca su cui ci si può sedere per leggere o pregare.
Il 15 giugno del 1592, dopo la cerimonia del Corpus Domini, mi trattengo in chiesa con il suonatore di organo. È Cesare Sersale, ed è il primo maestro al conservatorio. Uomo dai modi modesti ma di ampia cultura, mi inizia allo studio prima del clavicembalo e poi dell’organo.
Quando le mie dita sfiorano i tasti e il suono si propaga per le navate provo un’emozione mai sentita prima.
Come se per la prima volta sentissi la mia voce, attraverso le dita sullo strumento, ho la certezza della mia esistenza.
Digitare sopra i tasti i motivi sacri, mi alza al di sopra della misera condizione umana.
E se per Renatus Cartesius l’assioma di tutto il suo pensiero è racchiuso in Cogito ergo sum, per me la musica e suonare lo strumento diventano le ragioni di vita e posso asserire con fermezza: Digito ergo sum.
Nel 1593, tredicenne, dalla Casa dell’Annunziata mi trasferisco al collegio dei gesuiti per intraprendere la carriera ecclesiastica.
I corsi prevedono altri tre anni di studio della grammatica, di studi umanistici e filosofici, oltre che di teologia e delle Scritture.
Ancora su indicazione e incoraggiamento di padre Vincenzo. Sento, da quando sono nato, di essere plasmato dalla sua forte personalità, anche se l’impegno costante e la passione per i libri fanno di me una persona interiormente libera.
Pretendo il massimo da me stesso, senza chiedermi se merito quanto mi viene dato.
Provo per lui un sincero affetto di riconoscenza, perché fa le veci di un padre, quello che non ho mai conosciuto.
Esco dal collegio nel settembre del 1596.
Per il regime di vita osservato, la mia salute migliora e si ristabilisce completamente.
Sono un giovane forte, dai tratti irregolari, i capelli folti e castani, gli occhi scuri sotto le folte ciglia.
Durante l’anno approfondisco e perfeziono gli studi musicali iniziati al conservatorio.
L’incontro decisivo è quello con Giovanni Maria Sabino. Nato a Turi, il 30 giugno del 1545, è eccellente organista e compositore. Diventa mio insegnante mentre è già primo maestro del conservatorio della Pietà dei Turchini.
Fa di me un vero musicista, tanto da diventare nell’ottobre del 1597, a soli diciassette anni, organista presso l'Oratorio di San Filippo.
Ma dalle mie mani non escono solo note celestiali che arrivano all’Altissimo.
Padre Vincenzo vuole che faccia parte della congregazione attiva nella ricerca degli eretici, quelli che apertamente, e non solo, si proclamano contro la Santa Chiesa e la sua dottrina.
È il tribunale dell’inquisizione che raccoglie testimonianze e testimoni per accertare l'eresia e ha il compito di tentare con tutti i mezzi, compresa la tortura, di convincere l'indagato ad abiurare.
Se questo non avviene resta una sola cosa da fare: ardere i loro corpi.
“Sta scritto nel libro dell'Esodo, (22, 18): Maleficos non patieris vivere, è solito citare padre Vincenzo.
E ancora dal Vangelo di Giovanni, (15, 6): “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi viene raccolto per essere gettato via e bruciato. Non lascerai vivere colei che pratica la magia”.
Divento, con la sua benedizione, il boia di Dio.
Così dalle stesse mani genero il fuoco con cui l’eretico, tra fiamme altissime, esala l’anima purificata fino a Dio.
Il 13 agosto 1598 muore padre Vincenzo lasciandomi orfano per la seconda volta.
Mantengo la sua eredità, rimango il cacciatore di streghe che le porta al rogo.
Il mio viso è diventato rubicondo, rosso vivo, come se le fiamme avessero lasciato anche su di me i segni del troppo calore.
È l’11 novembre Anno Domini 1600, quando, con solenne processione, ci muoviamo dalla cattedrale della Santissima Annunziata.
Sono le tre di un pomeriggio freddo e nuvoloso, una pioggia leggera rende l’aria e l’umore grigi.
La piazza davanti al duomo è gremita, durante la cerimonia religiosa partecipa tutta la cittadinanza.
Viene celebrata la messa solenne, quindi i colpevoli sfilano in miserabili condizioni davanti al vescovo che proclama la sentenza.
C'è spazio per il pentimento in extremis.
Mea culpa mea maxima culpa.
Sono in tre, colpevoli di praticare l'ebraismo in privato e, a quanto dicono testimoni, non solo. L’ uomo e una delle due donne abiurano e hanno salva la vita.
La terza no. Ha i tratti del viso irregolari, scalza, indossa una veste lercia da cui si vedono i segni delle torture. Trema più per il freddo che per la paura. Ha i capelli lunghissimi, castani, attaccati alla fronte madida. Le braccia, lungo i fianchi, hanno già abbandonato la vita, tanto sono bianche. Le dita affusolate, con le unghie strappate, sembrano capaci di suonare uno strumento piuttosto che di uccidere.
È accusata di preparare filtri e pozioni in grado di far perdere la ragione. Di aver fatto un sortilegio a un nobile napoletano, timorato padre di famiglia, di averlo circuito e poi ucciso e di aver gettato in mare il corpo.
È la sola condannata e dopo la lettura della sentenza, tiene la testa bassa, passa davanti a me dirigendosi al palo, mi guarda e lo sguardo è privo di odio.
Dalla piazza alla mia destra, si leva un urlo:
“Ferma la mano, ragazzo! La donna che stai dando alle fiamme non è una strega, è tua madre”.
Il brusio che si alza dalla folla non mi impedisce di sentire: “Non poteva tenerti. Sei figlio del peccato, di una meretrice e di un uomo di chiesa. Vincenzo Sapri è tuo padre. Chiedilo alla croce di legno con il braccio scheggiato che stringevi nel pugno appena nato”.
Sono le ultime parole che pronuncia, mentre la trascinano via, una vecchia tutt’ossa e senza denti, dalla cui bocca è uscita la calunnia di una strega o una spaventosa verità.
“Non guardarle negli occhi, non ascoltarle. Non credere a quello che ti dicono”.
Sebbene il rossore copra il mio volto, sento il sangue scorrere gelido, mentre assisto impassibile all'esecuzione.
Maleficos non patieris vivere
La sera si fa più buia e la gente lascia la piazza.
Aspetto che l'ultima fiamma sia spenta e che di quel corpo non rimanga più traccia.
Cinis cinerem, pulvis in pulverem.
È tardi quando rientro nel convento della Santissima Annunziata. Non conosco il motivo ma ho le spalle curve, come se portassi il peso di una croce.
La verità è un inganno o la mia vita è solo menzogna.
Utinam matrem meam scirem, hoc non esset factum.
Ripongo i paramenti in sacrestia. Dalla chiesa nessuna voce. L’abside è sgombro, l’altare vuoto.
Vado verso la Sala de Profundis. Non ho fame e vista l’ora anche il refettorio è chiuso.
Rimetto al suo posto, accanto al Salvator Mundi, la croce d’argento astile portata in processione. Ne estraggo il crocifisso, la parte terminale è appuntita.
Mi segno, lo bacio e, inginocchiandomi. lo stringo ancora una volta nel pugno,
mea culpa mea maxima culpa e con forza lo conficco nel petto, fino a trafiggermi il cuore.
De profundis clamavi ad te, Domine: Domine, exaudi vocem meam ...
Massimo Esposito, nacque a Napoli nell’Anno Domini 1580.
Organista, teologo, più tristemente noto come cacciatore di streghe.
Fu trovato riverso sopra un inginocchiatoio nella sala De Profundis, esanime, la mattina del 12 novembre 1600, all’età di vent’anni.
Different Staff- Admin
- Messaggi : 797
Punti : 2324
Infamia o lode : 7
Data di iscrizione : 26.02.21
Re: Maximus
Racconto interessante. Un’autobiografia di un cacciatore di streghe. Un’anticamera dal nome suggestivo di Sala de Profundis. Un doppio colpo di scena sia nella scoperta che la condannata di turno è la propria madre, sia che il padre è l’uomo di chiesa che lo ha cresciuto e indirizzato nel ruolo d’inquisitore e cacciatore di streghe.
L’autobiografia è strutturata in modo lineare dalla nascita alla morte per suicidio del protagonista, forse schiacciato dal peso delle verità sulle proprie origini.
Rimuoverei alcune note biografiche in eccesso (per esempio trovo non funzionale alla storia conoscere la data di nascita di Giovanni Maria Sabino).
Ben inserite le citazioni delle scritture e anche i motti in latino che conferiscono un valore aggiunto al testo senza appesantirlo.
Mi sembra un ottimo lavoro, ben curato e ben pensato. Complimenti.
L’autobiografia è strutturata in modo lineare dalla nascita alla morte per suicidio del protagonista, forse schiacciato dal peso delle verità sulle proprie origini.
Rimuoverei alcune note biografiche in eccesso (per esempio trovo non funzionale alla storia conoscere la data di nascita di Giovanni Maria Sabino).
Ben inserite le citazioni delle scritture e anche i motti in latino che conferiscono un valore aggiunto al testo senza appesantirlo.
Mi sembra un ottimo lavoro, ben curato e ben pensato. Complimenti.
Petunia- Moderatore
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Infamia o lode : 43
Data di iscrizione : 07.01.21
Età : 60
Località : Prato
Re: Maximus
L'autobiografia scorre senza alcuno scossone, anzi fin troppo lenta e con citazioni che offrono solo l'idea di quanto sia colto l'autore e una piccola battuta su Digitoergosum di cui non ho capito il perchè. La parte finale col "colpo della strega" mi ha ravvivato la lettura. Scritto che non ha pecche ma forse anche questo ha contribuito all'evidenziare solo la bravura letteraria e molto meno l'interesse che ogni racconto dovrebbe suscitare.
Antonio Borghesi- Cavaliere Jedi
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Data di iscrizione : 08.01.21
Età : 84
Località : Firenze
Re: Maximus
La prima cosa che mi viene da dire è che forse sarebbe stata più funzionale una biografia piuttosto che un'autobiografia.
Primo perché optare per la costruzione con una mano esterna e distaccata forse avrebbe potuto arricchire la biografia con pensieri e abbellimenti soggettivi, caricandola e romanzandola un poco.
In secondo luogo perché la logica porta a pensare che il protagonista abbia deciso di togliersi la vita dopo l'esecuzione della presunta madre, non appare come una cosa programmata da tempo e non ce lo vedo a ricapitolare i vent'anni della sua vita in poche ore e poi pugnalarsi.
Potrei fare finta di niente, affidarmi totalmente all'espediente letterario e tacitare la mia logica, ma questa situazione faccio fatica a ignorarla completamente.
Entrando nel merito l'interesse nella prima parte non è molto alto, tutto si ravviva nella parte finale con i colpi di scena relativi ai genitori del protagonista.
Rimango convinto che un'opera un pelo più vivace, più romanzata, avrebbe reso il testo più attrattivo.
Primo perché optare per la costruzione con una mano esterna e distaccata forse avrebbe potuto arricchire la biografia con pensieri e abbellimenti soggettivi, caricandola e romanzandola un poco.
In secondo luogo perché la logica porta a pensare che il protagonista abbia deciso di togliersi la vita dopo l'esecuzione della presunta madre, non appare come una cosa programmata da tempo e non ce lo vedo a ricapitolare i vent'anni della sua vita in poche ore e poi pugnalarsi.
Potrei fare finta di niente, affidarmi totalmente all'espediente letterario e tacitare la mia logica, ma questa situazione faccio fatica a ignorarla completamente.
Entrando nel merito l'interesse nella prima parte non è molto alto, tutto si ravviva nella parte finale con i colpi di scena relativi ai genitori del protagonista.
Rimango convinto che un'opera un pelo più vivace, più romanzata, avrebbe reso il testo più attrattivo.
Byron.RN- Maestro Jedi
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Re: Maximus
Innanzitutto complimenti perché questo è il primo racconto che leggo in cui non ci sono gli utenti di DT e non c'è un'avventura.
A me l'idea dell'autobiografia non è dispiaciuta e se è vero che la prima parte appare forse eccessivamente lenta alla fine risulta come una sorta di preparazione al colpo di scena finale; inoltre quella lentezza, quella malinconia di fondo è la cifra di questo racconto che trova la sua forza proprio nella difficile vita del protagonista cui fin dal primo giorno di vita è negata ogni carezza, è negato ogni sorriso ogni semplice gesto di affetto.
Per gusto personale ho trovato forse troppi gli inserti in latino e le citazioni dotte anche se fanno parte di un lungo studio preparatorio senza dubbio ammirevole.
Segnalo qualche imprecisione nella punteggiatura e una maiuscola mancata dopo un punto:
Un armadio stretto e scuro occupa un’intera parete. contiene una collezione preziosa di arredi
Non mi pronuncio sull'impaginazione perché non so se si tratta di un problema nell'invio del racconto, certo tanti a capo senza motivo non aiutano nella lettura.
Bene i paletti, tra i racconti letti finora è quello con l'anticamera più centrale senza dubbio.
A me l'idea dell'autobiografia non è dispiaciuta e se è vero che la prima parte appare forse eccessivamente lenta alla fine risulta come una sorta di preparazione al colpo di scena finale; inoltre quella lentezza, quella malinconia di fondo è la cifra di questo racconto che trova la sua forza proprio nella difficile vita del protagonista cui fin dal primo giorno di vita è negata ogni carezza, è negato ogni sorriso ogni semplice gesto di affetto.
Per gusto personale ho trovato forse troppi gli inserti in latino e le citazioni dotte anche se fanno parte di un lungo studio preparatorio senza dubbio ammirevole.
Segnalo qualche imprecisione nella punteggiatura e una maiuscola mancata dopo un punto:
Un armadio stretto e scuro occupa un’intera parete. contiene una collezione preziosa di arredi
Non mi pronuncio sull'impaginazione perché non so se si tratta di un problema nell'invio del racconto, certo tanti a capo senza motivo non aiutano nella lettura.
Bene i paletti, tra i racconti letti finora è quello con l'anticamera più centrale senza dubbio.
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paluca66- Maestro Jedi
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Re: Maximus
sono pure io dell'idea che avrebbe funzionato meglio la biografia rispetto all'autobiografia.
la scrittura è buona anche se vi sono tanti distacchi, per me troppi.
rivedrei la formattazione.
la storia è comunque ben narrata e le descrizioni sono piuttosto buone.
ci sono alcuni dati che si possono tranquillamente omettere senza disturbare la storia.
non conoscevo tale personaggio, sinceramente.
un discreto lavoro
la scrittura è buona anche se vi sono tanti distacchi, per me troppi.
rivedrei la formattazione.
la storia è comunque ben narrata e le descrizioni sono piuttosto buone.
ci sono alcuni dati che si possono tranquillamente omettere senza disturbare la storia.
non conoscevo tale personaggio, sinceramente.
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Re: Maximus
Mi è piaciuta la scelta, mi è piaciuto il modo di raccontarla.
La cornice culturale di questo bel quadro merita applausi, anzi, a poterlo fare, un abbraccio.
Ho letto il tuo racconto con un sottofondo di musica house e di ferro sbattuto sul pavimento, ma la tua palestra letteraria vale molto più di questa che in realtà amplifica la mia emozione. A poterlo fare ti eleggerei già vincitore, ma ci sono le regole, e devo leggere pure gli altri. Maledizione.
Mi sento in colpa per il mio commento grossolano.
Ammiro particolarmente la tua scrittura.
La cornice culturale di questo bel quadro merita applausi, anzi, a poterlo fare, un abbraccio.
Ho letto il tuo racconto con un sottofondo di musica house e di ferro sbattuto sul pavimento, ma la tua palestra letteraria vale molto più di questa che in realtà amplifica la mia emozione. A poterlo fare ti eleggerei già vincitore, ma ci sono le regole, e devo leggere pure gli altri. Maledizione.
Mi sento in colpa per il mio commento grossolano.
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tommybe- Maestro Jedi
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Re: Maximus
Ciao autor@
Autobiografia che scivola via senza intoppi.
Come dice Byron forse in terza persona avrebbe avuto un ritmo diverso, più coinvolgente.
Credo, però, che il tono distante e distaccato sia voluto, come se il protagonista si “dissociasse” da quella che è stata la sua vita, anaffettiva e piena di inganni.
L’anticamera, la sala de profundis, di cui non conoscevo l’esistenza, mi sembra poco vissuta e descritta velocemente, mi sarei soffermata maggiormente, ma i paletti erano tosti davvero!
L’utente DT c’è, Digitoergosum, c’entra forse come colui che usa le dita per suonare uno strumento musicale, l’organo, penso.
non so quanto poi si rispecchi in Maximus, spero per lui poco o niente!
A rileggerci presto
Autobiografia che scivola via senza intoppi.
Come dice Byron forse in terza persona avrebbe avuto un ritmo diverso, più coinvolgente.
Credo, però, che il tono distante e distaccato sia voluto, come se il protagonista si “dissociasse” da quella che è stata la sua vita, anaffettiva e piena di inganni.
L’anticamera, la sala de profundis, di cui non conoscevo l’esistenza, mi sembra poco vissuta e descritta velocemente, mi sarei soffermata maggiormente, ma i paletti erano tosti davvero!
L’utente DT c’è, Digitoergosum, c’entra forse come colui che usa le dita per suonare uno strumento musicale, l’organo, penso.
non so quanto poi si rispecchi in Maximus, spero per lui poco o niente!
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Resdei- Maestro Jedi
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Re: Maximus
I gusti sono gusti.
E il mio promuove pienamente l'autobiografia vs. una terza persona che avrebbe, a mio avviso, reso tutto più didascalico.
Il contesto storico è ben inquadrato, il tono distaccato rende l'atmosfera fredda di personaggi (inquisitori) senza umanità. Le citazioni in latino danno forza a questo qadro.
Forse, almeno alla fine, si poteva lasciare spazio a qualche emozione, per rendere più umano il personaggio.
Ottimo lavoro.
E il mio promuove pienamente l'autobiografia vs. una terza persona che avrebbe, a mio avviso, reso tutto più didascalico.
Il contesto storico è ben inquadrato, il tono distaccato rende l'atmosfera fredda di personaggi (inquisitori) senza umanità. Le citazioni in latino danno forza a questo qadro.
Forse, almeno alla fine, si poteva lasciare spazio a qualche emozione, per rendere più umano il personaggio.
Ottimo lavoro.
FedericoChiesa- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
Entro nella disputa fra prima e terza persona. Ritengo che la prima persona sia molto efficace in questo racconto. Un suggerimento potrebbe essere quello di interrompere l’uso della prima persona alla frase: “Rimetto al suo posto, accanto al Salvator Mundi, la croce d’argento astile portata in processione. Ne estraggo il crocifisso, la parte terminale è appuntita.” Segue poi la frase in latino: “De profundis clamavi ad te, Domine: Domine, exaudi vocem meam ...”
L’accaduto si capisce nella nota biografica finale senza dettagliare in prima persona l’atto del suicidio.
A parte questo ho gradito molto la lettura che ha tenuto sempre costante la mia attenzione. Lo stile usato, le citazioni latine, l’accurata descrizione di stati d’animo e di atmosfere dell’epoca, l’evidente ricerca storica (o forse conoscenza) sono tutti elementi che mi hanno strettamente legato alla vicenda.
L’unico elemento un po’ debole ai fini dello step mi è parso l’ospite, al di là della citazione “Digito ergo sum” che non è strettamente collegata all’amico di DT che non partecipa in veste di personaggio nel racconto, come avrei ritenuto più corretto.
In ogni caso, un gran bel lavoro!
L’accaduto si capisce nella nota biografica finale senza dettagliare in prima persona l’atto del suicidio.
A parte questo ho gradito molto la lettura che ha tenuto sempre costante la mia attenzione. Lo stile usato, le citazioni latine, l’accurata descrizione di stati d’animo e di atmosfere dell’epoca, l’evidente ricerca storica (o forse conoscenza) sono tutti elementi che mi hanno strettamente legato alla vicenda.
L’unico elemento un po’ debole ai fini dello step mi è parso l’ospite, al di là della citazione “Digito ergo sum” che non è strettamente collegata all’amico di DT che non partecipa in veste di personaggio nel racconto, come avrei ritenuto più corretto.
In ogni caso, un gran bel lavoro!
Danilo Nucci- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
Arrivata alla fine della lettura, ne esco con una buona impressione: di un racconto ben scritto e costruito, equilibrato, in cui la componente autobiografica e quella emotivo-narrativa si amalgamino bene, nel senso che l’autobiografia non è una semplice elencazione di fatti ma trova una sua ragion d’essere nello svolgimento di una trama, nel raccontare una storia.
Avevo l’impressione di avere già sentito il nome di Massimo Esposito nel forum, non so se tra gli utenti o in un racconto, ma non sono riuscita a ritrovarlo. Comunque, l’ho anche cercato su internet e non ho trovato niente, così come non ho trovato Vincenzo Sapri che, invece, mi aveva suscitato l’impressione di un ricordo scolastico. Esiste invece un Giovanni Battista Manso, la cui data di nascita non coincide però con quella del personaggio del racconto, anche se il periodo è più o meno quello. Esistito anche un Cesare Sersale. Storico anche Giovanni Maria Sabino anche se, di nuovo, le date del racconto non coincidono con quelle della persona realmente esistita.
In conclusione, mi sono fatta l’idea che ci troviamo di fronte a un racconto autobiografico che mescola elementi storici, elementi inventati e aspetti della biografia e della personalità di un utente del forum – non credo che il “digito ergo sum” sia casuale.
Mi sembra un lavoro davvero ben fatto, che non cede in alcun punto. La cosa interessante è che, pur dando la sensazione di una scrittura molto solida, quasi granitica, quindi un po’ fredda, in realtà questo racconto riesca a trasmettere comunque delle emozioni.
Arianna 2016- Maestro Jedi
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Re: Maximus
È il primo racconto in gara che leggo senza utenti e senza avventura, anche se la vita del protagonista potrebbe davvero esserlo: una nascita travagliata, l’abbandono, essere sì adottato, sostenuto, aiutato negli studi, ma pur sempre in balia di persone influenti cui dover garantire la propria fedeltà per non essere nuovamente abbandonato… insomma una vita intensa ma sofferta.
Un’autobiografia che mi ha trasmesso un forte senso di freddezza, quasi che con la sterile cronologia di tanti avvenimenti importanti e significativi per la sua crescita soprattutto intellettuale, il protagonista volesse tenacemente nascondere il suo essere più intimo, i dubbi, la sensazione di essere obbligato a certe scelte, che pure gli garantiscono benessere, protezione e istruzione in un’epoca non facile, ma che alla fine lo tengono prigioniero.
Se le avesse manifestate, avrebbe goduto delle stesse opportunità?
Proprio scorrendo le varie tappe della sua vita, sono rimasta piuttosto perplessa per la “velocità” con cui è assunto alla carica di “cacciatore di streghe”: gli studi teologici, ma comunque l’insieme degli studi seguiti da Massimo sono davvero compressi in pochi anni, ancorché avviatovi in tenera età, poco più che bambino. Ho sempre avuto l’idea che soprattutto gli studi teologici comportassero percorsi più lunghi e complessi e che l’esperienza – quindi l’età – ne fossero parte integrante.
Di fatto, un’infanzia non pare averla, mai accenna a relazioni con bambini, ai giochi o alla spensieratezza di un’età semplice. Ma al dolore per la mancanza delle carezze e del sostegno di una madre, di questo parla, di una mancanza importante. Ma solo poche parole.
Che sia un racconto scritto bene, con un buon lavoro di costruzione storica, un lessico adeguato, citazioni in latino che parlano di erudizione, non c’è dubbio. Scorre bene, anche se a volte il ritmo si perde, per i tanti rivoli in cui sono inseriti i coprotagonisti. D’altronde, una biografia ricca, sia pure di un ventenne, nello spazio a disposizione qualche pegno lo deve pagare. Il declinarlo come biografia avrebbe consentito di inserire un qualcosa che mitigasse l’impressione di una vita solitaria, la descrizione di sensazioni ed emozioni attribuibili al protagonista nonostante tutto, ma forse era proprio intento della Penna non far passare nulla di tutto questo, in vista della morte così drammaticamente solitaria di Maximus, descritta anzi addirittura anticipata, come fredda e ineluttabile conseguenza di un peccato non suo, ma realizzato come tale dall’aver saputo le sue origini.
Rileggendo una seconda volta il racconto, sono stata portata a pensare che dietro la biografia del protagonista si nascondessero vicissitudini più moderne, forse dell’autore stesso, momenti difficili affidati alla vita di una terza persona per essere accettati, per andare oltre. In fondo capita di mettere qualcosa di nostro nei racconti.
Sempre per via che vado a cercare freddo per il letto.
Un’autobiografia che mi ha trasmesso un forte senso di freddezza, quasi che con la sterile cronologia di tanti avvenimenti importanti e significativi per la sua crescita soprattutto intellettuale, il protagonista volesse tenacemente nascondere il suo essere più intimo, i dubbi, la sensazione di essere obbligato a certe scelte, che pure gli garantiscono benessere, protezione e istruzione in un’epoca non facile, ma che alla fine lo tengono prigioniero.
Se le avesse manifestate, avrebbe goduto delle stesse opportunità?
Proprio scorrendo le varie tappe della sua vita, sono rimasta piuttosto perplessa per la “velocità” con cui è assunto alla carica di “cacciatore di streghe”: gli studi teologici, ma comunque l’insieme degli studi seguiti da Massimo sono davvero compressi in pochi anni, ancorché avviatovi in tenera età, poco più che bambino. Ho sempre avuto l’idea che soprattutto gli studi teologici comportassero percorsi più lunghi e complessi e che l’esperienza – quindi l’età – ne fossero parte integrante.
Di fatto, un’infanzia non pare averla, mai accenna a relazioni con bambini, ai giochi o alla spensieratezza di un’età semplice. Ma al dolore per la mancanza delle carezze e del sostegno di una madre, di questo parla, di una mancanza importante. Ma solo poche parole.
Che sia un racconto scritto bene, con un buon lavoro di costruzione storica, un lessico adeguato, citazioni in latino che parlano di erudizione, non c’è dubbio. Scorre bene, anche se a volte il ritmo si perde, per i tanti rivoli in cui sono inseriti i coprotagonisti. D’altronde, una biografia ricca, sia pure di un ventenne, nello spazio a disposizione qualche pegno lo deve pagare. Il declinarlo come biografia avrebbe consentito di inserire un qualcosa che mitigasse l’impressione di una vita solitaria, la descrizione di sensazioni ed emozioni attribuibili al protagonista nonostante tutto, ma forse era proprio intento della Penna non far passare nulla di tutto questo, in vista della morte così drammaticamente solitaria di Maximus, descritta anzi addirittura anticipata, come fredda e ineluttabile conseguenza di un peccato non suo, ma realizzato come tale dall’aver saputo le sue origini.
Rileggendo una seconda volta il racconto, sono stata portata a pensare che dietro la biografia del protagonista si nascondessero vicissitudini più moderne, forse dell’autore stesso, momenti difficili affidati alla vita di una terza persona per essere accettati, per andare oltre. In fondo capita di mettere qualcosa di nostro nei racconti.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
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Re: Maximus
Sono rimasto affascinato dal tema del racconto e dalla scelta del personaggio. Con me, cacciatori di streghe e inquisizioni varie vanno a nozze in quanto a malia oscura.
Stando a questo aspetto, ma qui è più il mio lato narrativo a parlare, il "Cacciatore di streghe" l'ho sempre inteso come ruolo operativo, sul campo, più che da mero esecutore di condanne al patibolo (che definirei più excruciator o termine similare): Maximus non sembra partecipare attivamente alle indagini, alle azioni, e neppure alle interrogazioni che sono l'epitome del ruolo inquisitorio.
D'altra parte è cagionevole di salute e molto giovane.
In questo faccio mia l'obiezione di Arianna sulla troppo giovane età del protagonista per essere ricordato, in seguito, come "cacciatore di streghe".
Però questi sono cavilli da appassionato.
Il tema del suicidio finale, ancorché agisca come (buon) colpo di scena per far entrare la vicenda nel vivo, mi lascia qualche perplessità, a pelle.
Okay, la vita di Maximus è stata una menzogna, ma più o meno. Vincenzo, cui hai voluto bene come un padre, è davvero tuo padre. E' anche merito suo se sei stato accolto, senza ragione apparente, tra i ranghi dell'alta società ecclesiastica.
Tua madre ti ha abbandonato in quanto figlio illegittimo.
Non so, ci vedo più gli ingredienti per un conflitto interiore a base di rabbia, che non la disperazione tale da portare al suicidio.
Intendo: da un lato hai avuto molto più di qualsiasi orfano possa mai sognare, e dall'altro hai scoperto che tua madre è una strega. Ma ti hanno insegnato a odiare le streghe.
Non so, il suicidio è un'opzione ma forse non mi è arrivata con la giusta dose di disperazione o ineluttabilità che sembrerebbe necessitare.
Idea mia.
Argomento prima o terza persona.
Mi schiero col team terza persona, ma per un motivo molto semplice: dal momento in cui Maximus si appresta a mandare al rogo gli accusati tra i quali la madre, la storia cessa di essere una biografia e diventa un racconto in prima persona.
La biografia è una narrazione di fatti, date, avvenimenti; da quel punto, invece, tutto diventa descrizione, sequenza di cose, dettagli, momenti. Diventa racconto e non più biografia.
Probabilmente va bene per stare nei paletti, ma in termini generali, per me, è come se cambiasse genere.
La terza persona, al contrario, avrebbe permesso di stemperare questo effetto, pur sacrificando, va detto, qualcosa in termini di personalità della narrazione.
Stile ottimo, davvero nulla da dire su questo aspetto.
Il paletto dell'utente mi resta a mezz'aria.
Quella citazione di Digito, che è la chiave di tutto, non so come prenderla: se è una firma, un modo per dire "guardate che Maximus è Digito" (chiaro, la sua trasposizione secentesca) allora il paletto è rispettato.
In caso contrario, mi sfugge dove sia "L'utente" generico che era l'alternativa ai characters di DT.
In conclusione: il racconto mi è piaciuto, e anche tanto, dal punto di vista dell'idea e della scelta di tema e genere.
I dubbi che ho sulla resa della terza persona, sul suicidio e sul cambio di genere del finale un poco ridimensionano il giudizio finale, ma nel complesso posso dirmi soddisfatto.
Stando a questo aspetto, ma qui è più il mio lato narrativo a parlare, il "Cacciatore di streghe" l'ho sempre inteso come ruolo operativo, sul campo, più che da mero esecutore di condanne al patibolo (che definirei più excruciator o termine similare): Maximus non sembra partecipare attivamente alle indagini, alle azioni, e neppure alle interrogazioni che sono l'epitome del ruolo inquisitorio.
D'altra parte è cagionevole di salute e molto giovane.
In questo faccio mia l'obiezione di Arianna sulla troppo giovane età del protagonista per essere ricordato, in seguito, come "cacciatore di streghe".
Però questi sono cavilli da appassionato.
Il tema del suicidio finale, ancorché agisca come (buon) colpo di scena per far entrare la vicenda nel vivo, mi lascia qualche perplessità, a pelle.
Okay, la vita di Maximus è stata una menzogna, ma più o meno. Vincenzo, cui hai voluto bene come un padre, è davvero tuo padre. E' anche merito suo se sei stato accolto, senza ragione apparente, tra i ranghi dell'alta società ecclesiastica.
Tua madre ti ha abbandonato in quanto figlio illegittimo.
Non so, ci vedo più gli ingredienti per un conflitto interiore a base di rabbia, che non la disperazione tale da portare al suicidio.
Intendo: da un lato hai avuto molto più di qualsiasi orfano possa mai sognare, e dall'altro hai scoperto che tua madre è una strega. Ma ti hanno insegnato a odiare le streghe.
Non so, il suicidio è un'opzione ma forse non mi è arrivata con la giusta dose di disperazione o ineluttabilità che sembrerebbe necessitare.
Idea mia.
Argomento prima o terza persona.
Mi schiero col team terza persona, ma per un motivo molto semplice: dal momento in cui Maximus si appresta a mandare al rogo gli accusati tra i quali la madre, la storia cessa di essere una biografia e diventa un racconto in prima persona.
La biografia è una narrazione di fatti, date, avvenimenti; da quel punto, invece, tutto diventa descrizione, sequenza di cose, dettagli, momenti. Diventa racconto e non più biografia.
Probabilmente va bene per stare nei paletti, ma in termini generali, per me, è come se cambiasse genere.
La terza persona, al contrario, avrebbe permesso di stemperare questo effetto, pur sacrificando, va detto, qualcosa in termini di personalità della narrazione.
Stile ottimo, davvero nulla da dire su questo aspetto.
Il paletto dell'utente mi resta a mezz'aria.
Quella citazione di Digito, che è la chiave di tutto, non so come prenderla: se è una firma, un modo per dire "guardate che Maximus è Digito" (chiaro, la sua trasposizione secentesca) allora il paletto è rispettato.
In caso contrario, mi sfugge dove sia "L'utente" generico che era l'alternativa ai characters di DT.
In conclusione: il racconto mi è piaciuto, e anche tanto, dal punto di vista dell'idea e della scelta di tema e genere.
I dubbi che ho sulla resa della terza persona, sul suicidio e sul cambio di genere del finale un poco ridimensionano il giudizio finale, ma nel complesso posso dirmi soddisfatto.
Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
ehm ehm... l'obiezione era mia, non so se Arianna sarà stata contenta di essere scambiata per me! Grazie comunque di aver letto il commentoFante Scelto ha scritto:In questo faccio mia l'obiezione di Arianna sulla troppo giovane età del protagonista per essere ricordato, in seguito, come "cacciatore di streghe".
Però questi sono cavilli da appassionato.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
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Re: Maximus
Arianna, Susanna, son solo 3 lettere di differenza.
Che poi, a dirla tutta, mentre stavo scrivendo ho anche pensato "ma guarda che forse non era Arianna," ma la mia voce interiore ha messo tutto a tacere ponendo la fiducia sull'emendamento.
Che poi, a dirla tutta, mentre stavo scrivendo ho anche pensato "ma guarda che forse non era Arianna," ma la mia voce interiore ha messo tutto a tacere ponendo la fiducia sull'emendamento.
Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
Parto subito con un gioduzio soggettivo. Mi è piaciuto. E' un testo molto interessante e ben scritto. Un testo ricco. L'idea è buona e viene sviluppata abbastanza bene. E in quell'abbastanza pesa il fatto che l'autobiografia di un morto mi lascia alquanto perplesso. Sposo anch'io la tesi che un racconto in terza persona sarebbe stato più coerente col genere cercato. Forse meno forte, meno incisivo, lo so. Però... scusami ma rimango un poco perplesso sulla prima persona. Per il resto scorre abbastanza bene, anche se il ritmo è lento e il testo carico di informazioni. La scena del patibolo, la scena madre, è molto forte e ben realizzata, e "sveglia" un andamento rimasto fino a quel punto molto compassato.
Nel complesso un lavoro molto buono.
Complimenti
Grazie.
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Re: Maximus
Cara, cara Penna. Mi spiace essere sbrigativo nel commentare il tuo racconto, il più bello che fino ad ora ho letto. Non sto a spiegarti la fretta, se non che dal 19 maggio non sarò più in grado di commentare, e allora sono costretto a "correre" per rispettare come posso tutti i racconti. Ti ringrazio per la citazione "Digitoergosum" ma non è per questo che ho amato leggerti. Anzi, ho sorriso leggendo il riferimento a "cogito ergo sum" perché storicamente, secondo la data in cui si svolge il tuo racconto, Cartesio non era ancora nemmeno nato e non poteva essere conosciuta quella frase. Ma a prescindere, ho amato la doppia anticamera. E quella che più mi ha colpito è quella della Ruota degli Esposti. Un'anticamera a una nuova vita, nel bene e nel male. Il tuo lavoro è scritto bene, coinvolge, è originale e si discosta in positivo da molti altri lavori finora letti, dove forse i paletti hanno costretto o invitato a argomenti più leggeri e di svago. Alcuni tuoi passaggi sono eleganti, forbiti, importanti. Al momento, e sono a metà racconti, nelle mie preferenze il "tuo" spicca nelle mie preferenze. Grazie, veramente grazie cara Penna. Ho finalmente letto un racconto che alberga come deve nella nobile kermesse di DT.
digitoergosum- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
Trovo il racconto scritto molto bene, con una cadenza un po' introversa, quasi malinconica, che si addice a un testo autobiografico dai risvolti così drammatici. E gli inserti in latino si sposano benissimo con l'atmosfera religiosa e - di fatto - inquisitoria che il protagonista respira fin dalla nascita (o abbandono, che dir si voglia).
Ma se la scrittura, lo stile, sono i punti di forza, non posso fare a meno di notare un paio di evidenti - almeno per me - punti di debolezza.
Il primo punto sta nell'eccessiva reazione di Maximus nell'apprendere chi sono i suoi genitori, una reazione così forte da spingerlo addirittura al suicidio.
L'educazione ricevuta lo ha reso un religioso, addirittura un inquisitore, e per un tale personaggio il suicidio mi sembra difficile da contemplare. La madre, poi, si è voluta strega fino in fondo e fra una madre strega e Santa Madre Chiesa quale mai potrebbe essere la scelta (pur fra mille dubbi) di un ben indottrinato inquisitore? Né la scoperta di chi sia suo padre sembra così devastante: genitore biologico e genitore putativo si rivelano essere la stessa persona, quindi perché tanta disperazione? Dopotutto è un padre che lui ha sempre amato e dal quale ha ricevuto amore.
Il secondo punto è la scena stessa del suicidio, narrata, a dispetto di ogni logica, al presente indicativo.
Va bene la sospensione dell'incredulità, va bene la finzione letteraria, ma in un'autobiografia mi aspetterei il rispetto di una certa coerenza nella concatenzaione dei fatti. La soluzione, se l'autore mi permette un suggerimento, sarebbe stata semplice: volgere al futuro la parte finale, magari facendola precedere da una frase tipo "Una volta ultimata questa mia confessione, rimetterò al suo posto..." E il paragrafo conclusivo, in terza persona, avrebbe perfettamente confermato l'atto estremo di Maximus.
Comunque, tutto sommato, un buon lavoro.
M.
P.S.: la citazione di Cartesio è un bel salto nel futuro...
Ma se la scrittura, lo stile, sono i punti di forza, non posso fare a meno di notare un paio di evidenti - almeno per me - punti di debolezza.
Il primo punto sta nell'eccessiva reazione di Maximus nell'apprendere chi sono i suoi genitori, una reazione così forte da spingerlo addirittura al suicidio.
L'educazione ricevuta lo ha reso un religioso, addirittura un inquisitore, e per un tale personaggio il suicidio mi sembra difficile da contemplare. La madre, poi, si è voluta strega fino in fondo e fra una madre strega e Santa Madre Chiesa quale mai potrebbe essere la scelta (pur fra mille dubbi) di un ben indottrinato inquisitore? Né la scoperta di chi sia suo padre sembra così devastante: genitore biologico e genitore putativo si rivelano essere la stessa persona, quindi perché tanta disperazione? Dopotutto è un padre che lui ha sempre amato e dal quale ha ricevuto amore.
Il secondo punto è la scena stessa del suicidio, narrata, a dispetto di ogni logica, al presente indicativo.
Va bene la sospensione dell'incredulità, va bene la finzione letteraria, ma in un'autobiografia mi aspetterei il rispetto di una certa coerenza nella concatenzaione dei fatti. La soluzione, se l'autore mi permette un suggerimento, sarebbe stata semplice: volgere al futuro la parte finale, magari facendola precedere da una frase tipo "Una volta ultimata questa mia confessione, rimetterò al suo posto..." E il paragrafo conclusivo, in terza persona, avrebbe perfettamente confermato l'atto estremo di Maximus.
Comunque, tutto sommato, un buon lavoro.
M.
P.S.: la citazione di Cartesio è un bel salto nel futuro...
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M. Mark o'Knee- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
Inizio col dirti che sei stato molto abile ad utilizzare una scrittura adeguata all’epoca dei fatti narrati, scrittura che li rende molto verosimili. Una capacità che ti invidio e che denota una grande padronanza di linguaggio.
La storia, di per se interessante, è a mio avviso appesantita da molte spiegazioni a volte superflue (credo che tutti sappiano cosa sia la ruota degli Espositi ad esempio).
Per il resto non ho trovato refusi e l’ho letta senza annoiarmi, e questo è un pregio visto che non amo le biografie. Avrei dato più spazio alla parte finale sulla quale rimangono domande e dubbi, e snellito l’inizio. Ma è una mia opinione personale.
Sui paletti non mi dilungo molto, ci sono, anche se non hanno un ruolo significativo all’interno della storia. Però sono presenti e quanto basta.
La storia, di per se interessante, è a mio avviso appesantita da molte spiegazioni a volte superflue (credo che tutti sappiano cosa sia la ruota degli Espositi ad esempio).
Per il resto non ho trovato refusi e l’ho letta senza annoiarmi, e questo è un pregio visto che non amo le biografie. Avrei dato più spazio alla parte finale sulla quale rimangono domande e dubbi, e snellito l’inizio. Ma è una mia opinione personale.
Sui paletti non mi dilungo molto, ci sono, anche se non hanno un ruolo significativo all’interno della storia. Però sono presenti e quanto basta.
Mac- Padawan
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Re: Maximus
Il racconto non mi è piaciuto.
Ho trovato un distacco emotivo eccessivo. È un'autobiografia quindi mi sarei aspetto di leggere i tormenti di questo giovane uomo e non una sequenza di fatti. Si sofferma su dettagli inutili (narrativamente parlando perché da un altra parte denota grande ricerca dell'autore) e non da risalto a momenti fondamentali tipo, la caduta nel braciere. Cos'ha provato? cos'ha cambiato in lui?
Da qui percepisco quel distacco emotivo di cui mi riferivo prima.
Anche il finale mi è sembrato forzato, non per la scelta che hai fatto, ma perché il testo e il tuo personaggio non hanno raggiunto la carica emotiva che supportava un gesto così tanto estremo.
Mi spiace essere così duro ma le biografie mi piacciono molto, soprattuto se riescono a scendere nel profondo andando oltre i semplici fatti.
Ho trovato un distacco emotivo eccessivo. È un'autobiografia quindi mi sarei aspetto di leggere i tormenti di questo giovane uomo e non una sequenza di fatti. Si sofferma su dettagli inutili (narrativamente parlando perché da un altra parte denota grande ricerca dell'autore) e non da risalto a momenti fondamentali tipo, la caduta nel braciere. Cos'ha provato? cos'ha cambiato in lui?
Da qui percepisco quel distacco emotivo di cui mi riferivo prima.
Anche il finale mi è sembrato forzato, non per la scelta che hai fatto, ma perché il testo e il tuo personaggio non hanno raggiunto la carica emotiva che supportava un gesto così tanto estremo.
Mi spiace essere così duro ma le biografie mi piacciono molto, soprattuto se riescono a scendere nel profondo andando oltre i semplici fatti.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
Racconto affascinante. Il linguaggio, i dettagli sui personaggi, le citazioni in latino lo fanno apparire come se fosse veramente basato su fatti storici. Inganna bene: gran pregio.
Ben fatte le descrizioni delle persone: sguardo, carattere, fisionomia concentrate in poche parole.
Molte purtroppo sono le informazioni che, soprattutto nella prima parte, spiegano eccessivamente e mal si amalgamano con il testo in prima persona. (es.: perché ci deve dire che la ruota degli esposti sia stata istituita dalla regina d'Aragona, e soprattutto che era moglie di Roberto d'Angiò? Inutile anche sapere che Oltre all’ospizio per i trovatelli, il vasto complesso include la basilica, un ospedale, un convento e un conservatorio. E così altre.)
La prima persona al presente mi ha lasciato molto perplesso. Cioè: va bene la prima persona. Ma l’avrei tenuta al passato fino al suicidio, dove sarei passato al presente. Così sembra una sorta di diario, ma non è un diario. Non si capisce cosa sia.
I colpi di scena finali, anche se un po’ frettolosi, mi sono piaciuti.
L’ho trovato comunque un lavoro interessante che secondo me si merita dei punti.
Ben fatte le descrizioni delle persone: sguardo, carattere, fisionomia concentrate in poche parole.
Molte purtroppo sono le informazioni che, soprattutto nella prima parte, spiegano eccessivamente e mal si amalgamano con il testo in prima persona. (es.: perché ci deve dire che la ruota degli esposti sia stata istituita dalla regina d'Aragona, e soprattutto che era moglie di Roberto d'Angiò? Inutile anche sapere che Oltre all’ospizio per i trovatelli, il vasto complesso include la basilica, un ospedale, un convento e un conservatorio. E così altre.)
La prima persona al presente mi ha lasciato molto perplesso. Cioè: va bene la prima persona. Ma l’avrei tenuta al passato fino al suicidio, dove sarei passato al presente. Così sembra una sorta di diario, ma non è un diario. Non si capisce cosa sia.
I colpi di scena finali, anche se un po’ frettolosi, mi sono piaciuti.
L’ho trovato comunque un lavoro interessante che secondo me si merita dei punti.
SuperGric- Padawan
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Re: Maximus
Il racconto è scritto bene e, visto che il "problema" è stato posto da molti, io dico che funziona bene anche in prima persona. Certo, fa strano leggere un'autobiografia che culmina con un suicidio, ma personalmente lo ritengo un aspetto interessante o quantomeno originale.
Interessante e originale, parimenti, è la vicenda di vita che Massimo stesso racconta. Particolare l'evoluzione di questo orfano che da musicista diventa cacciatore di streghe: se ha avuto ottimi precettori e maestri per la filosofia e la musica, non si può dire lo stesso per l'aspetto religioso, anche se i tempi erano quello che erano.
Se posso dare un consiglio circa il miglioramento di questo testo, anch'io suggerisco che avrebbe potuto essere meno resoconto autobiografico e più racconto. Ma il genere scelto è quello, quindi il campo d'azione era giocoforza limitato, a maggior ragione in prima persona.
Grazie.
Interessante e originale, parimenti, è la vicenda di vita che Massimo stesso racconta. Particolare l'evoluzione di questo orfano che da musicista diventa cacciatore di streghe: se ha avuto ottimi precettori e maestri per la filosofia e la musica, non si può dire lo stesso per l'aspetto religioso, anche se i tempi erano quello che erano.
Se posso dare un consiglio circa il miglioramento di questo testo, anch'io suggerisco che avrebbe potuto essere meno resoconto autobiografico e più racconto. Ma il genere scelto è quello, quindi il campo d'azione era giocoforza limitato, a maggior ragione in prima persona.
Grazie.
Molli Redigano- Maestro Jedi
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Re: Maximus
Credo l'anticamera migliore letta fino a qui. Una che segna l'ingresso e l'altra che segna l'uscita. La Ruota degli Esposti e la Sala de Profundis. Meglio di così non credo si potesse fare. Complimenti.
Quanto all'utente spero proprio che la tua intenzione non fosse quella di usare digito ergo sum e sarei più propenso a pensare all'orfano come utente della Real Casa, inteso come colui che usufruisce di un servizio pubblico. Considerate tutte le scelte fatte mi sembra più in linea con il racconto che ho letto.
Quello che ho fatto davvero fatica a gestire è stata l'auto-narrazione, come ti hanno fatto notare praticamente tutti, ma sopratutto, problema mio personale, il linguaggio utilizzato, questo pescare continuamente nel passato, usare il latino, ecc. Non sono contro il passato, o i personaggi storici, non se hanno delle possibilità narrative come quello che hai scelto tu. Un potenziale per poter sfondare il muro del tempo. Ma quando si prende dal passato mi chiedo sempre perché non portare nel presente, perché non cercare di modernizzare il personaggio, interpretarlo alla luce della modernità, sopratutto da un punto di vista linguistico e narrativo. Ma ripeto, è un problema mio e se sono stati in tanti ad averti fatto notare che un approccio in terza persona avrebbe reso più convincente il tuo racconto, sono invece l'unico ad aver patito il linguaggio scelto per narrare.
Questo non toglie nulla al lavoro ottimo che hai fatto sulla stanza e siccome nei miei commenti predico sempre il fatto che dovrebbe essere centrale più di tutti gli altri paletti, farò il possibile per passare sopra i miei gusti quando sarà il momento di scegliere i racconti da votare.
Ottimo lavoro.
Quanto all'utente spero proprio che la tua intenzione non fosse quella di usare digito ergo sum e sarei più propenso a pensare all'orfano come utente della Real Casa, inteso come colui che usufruisce di un servizio pubblico. Considerate tutte le scelte fatte mi sembra più in linea con il racconto che ho letto.
Quello che ho fatto davvero fatica a gestire è stata l'auto-narrazione, come ti hanno fatto notare praticamente tutti, ma sopratutto, problema mio personale, il linguaggio utilizzato, questo pescare continuamente nel passato, usare il latino, ecc. Non sono contro il passato, o i personaggi storici, non se hanno delle possibilità narrative come quello che hai scelto tu. Un potenziale per poter sfondare il muro del tempo. Ma quando si prende dal passato mi chiedo sempre perché non portare nel presente, perché non cercare di modernizzare il personaggio, interpretarlo alla luce della modernità, sopratutto da un punto di vista linguistico e narrativo. Ma ripeto, è un problema mio e se sono stati in tanti ad averti fatto notare che un approccio in terza persona avrebbe reso più convincente il tuo racconto, sono invece l'unico ad aver patito il linguaggio scelto per narrare.
Questo non toglie nulla al lavoro ottimo che hai fatto sulla stanza e siccome nei miei commenti predico sempre il fatto che dovrebbe essere centrale più di tutti gli altri paletti, farò il possibile per passare sopra i miei gusti quando sarà il momento di scegliere i racconti da votare.
Ottimo lavoro.
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Asbottino- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
Molto intenso questo racconto, molto efficace il modo in cui è stato scritto perchè fa risaltare un azzeccato senso di drammaticità che ha caricato d'ansia tutta la lettura. Molto particolare quindi l'effetto finale della lettura: distaccata, spoglia di emozioni e artifici vari, dove spicca però una sorta di indole anaffettiva del personaggio, incapace di affezionarsi a qualcuno, nemmeno alla sua stessa vita.
Mi ha molto colpita il tono di questo resoconto senza fronzoli, senza speranza alcuna: l'autobiografia di una persona vinta dalla vita, rigida, bigotta e relegata all'angolo del dovere, incapace di accettare la sconcertante verità sulla sua nascita.
C'è uno sbilanciamento notevole sull'inserimento dell'anticamera e quello dell'utente: se la prima ha un'importanza notevole, sia concreta che simbolica, del secondo non trovo traccia. Ho aspettato di leggere gli altri commenti per avere chiarimenti (forse Asbottino suggerisce una plausibile chiave di lettura...), ma trovo l'inserimento davvero debole.
Ti faccio notare questo passaggio:
Fa di me un vero musicista, tanto da diventare nell’ottobre del 1597, a soli diciassette anni, organista presso l'Oratorio di San Filippo.
Il soggetto sottointeso è Sabino (colui che fa del protagonista un vero musicista).
Frase corretta:
Fa di me un vero musicista, tanto che nell'ottobre 1597, a soli diciassette anni, diventai organista presso l'Oratorio di San Filippo.
Mi ha molto colpita il tono di questo resoconto senza fronzoli, senza speranza alcuna: l'autobiografia di una persona vinta dalla vita, rigida, bigotta e relegata all'angolo del dovere, incapace di accettare la sconcertante verità sulla sua nascita.
C'è uno sbilanciamento notevole sull'inserimento dell'anticamera e quello dell'utente: se la prima ha un'importanza notevole, sia concreta che simbolica, del secondo non trovo traccia. Ho aspettato di leggere gli altri commenti per avere chiarimenti (forse Asbottino suggerisce una plausibile chiave di lettura...), ma trovo l'inserimento davvero debole.
Ti faccio notare questo passaggio:
Fa di me un vero musicista, tanto da diventare nell’ottobre del 1597, a soli diciassette anni, organista presso l'Oratorio di San Filippo.
Il soggetto sottointeso è Sabino (colui che fa del protagonista un vero musicista).
Frase corretta:
Fa di me un vero musicista, tanto che nell'ottobre 1597, a soli diciassette anni, diventai organista presso l'Oratorio di San Filippo.
caipiroska- Cavaliere Jedi
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Re: Maximus
Divido in due il mio commento a questo bel racconto, uno riguarda l'aspetto letterario, artistico, che almeno per i miei gusti è da dieci o giù di lì: ottimo lo stile, l'atmosfera, la successione degli eventi. Unica pecca, come ti hanno già fatto notare, il suicidio al presente indicativo, faccio mio il consiglio ottimo di Mark, volgi la parte finale al futuro e risolvi tutto. La seconda parte riguarda invece la componente storica. Ecco, io sono decisamente pignolo, e devo dire che ho storto il naso più volte. Alla citazione di Cartesio per poco non urlavo. È davvero un errore grossolano, via, soprattutto inserito in un testo con un retrogusto così colto come questo. Ho fatto poi delle ricerche sui personaggi, perché sono un curiosone e boh, ci sono rimasto un po' così. Ho letto che anche Ari le ha fatte e anche lei non ha trovato riscontri soddisfacenti. Insomma, come biografia storica proprio non ci siamo.
In conclusione che dire... Ho provato delle sensazioni così contrastanti durante la lettura che dovrò riflettere al momento di decidere i miei o preferiti. A rileggerci!
In conclusione che dire... Ho provato delle sensazioni così contrastanti durante la lettura che dovrò riflettere al momento di decidere i miei o preferiti. A rileggerci!
Akimizu- Cavaliere Jedi
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