La mano sinistra della fortuna
Il suo nome era tutto un programma. Mr. Mallory Deaves nondimeno non si riteneva un uomo sfortunato infatti, emigrato in Texas nel 2080, aveva messo su un’agenzia di pompe funebri che era andata a gonfie vele e in trent’anni di attività gli aveva permesso di accumulare un patrimonio notevole.
“Vero è che i soldi non danno la felicità” era solito dire “figuriamoci la miseria!” e Mr. Mallory l’aveva conosciuta, la miseria, fin da bambino in quel sobborgo londinese dove era nato e dove aveva trascorso un’infanzia infelice.
Ormai lontane le angustie passate, conduceva una vita agiata e aveva una moglie molto bella che forse non lo aveva sposato per amore, ma Penelope s’era poi rivelata una moglie affezionata e fedele e aveva avuto quattro figlie, una più bella dell’altra.
Insomma sulla soglia dei cinquant’anni Mr. Mallory avrebbe potuto considerarsi appagato, invece si sentiva profondamente infelice.
Si aggirava come uno spettro lungo i viali dei giardini che circondavano la villa lussuosissima dove abitava, una dimora d’altri tempi, una specie di castello dove trovavano lavoro uno stuolo di camerieri e di giardinieri per i quali la faccia di Mallory con l’immutabile espressione scontenta e il colorito livido di rabbia restavano un mistero.
«Che avrà mai» si domandavano «quali »crucci segreti lo affliggono?» I poveretti, che nei panni del loro padrone avrebbero fatto salti di gioia, non sapendo darsi una risposta finirono col pensare che l’espressione infelice non corrispondesse a un reale tormento interiore, ma fosse una maschera indossata per coerenza col mestiere, anzi con la nobile professione ̶ come Mallory amava dire – di dare degna sepoltura ai morti.
Infatti come dire con espressione serena ai clienti che si presentavano smunti e afflitti per scegliere la bara e concordare le modalità del funerale dei loro cari: «Dolente, condoglianze… »
Non si poteva, bisognava mostrare partecipazione a quel dolore e quindi assumere la faccia di circostanza. E non solo la faccia, ma anche l’abbigliamento, perfino il tono di voce, tutto doveva essere adeguato alla situazione.
Se non che in città, la gente si toccava nelle parti basse o addirittura cambiava strada solo a veder apparire da lontano la sagoma di Mallory. Non era stato capace di farsi un amico, aveva perso l’appetito e diventava sempre più magro e pallido.
Le sue notti erano spesso insonni e, quando riusciva ad addormentarsi, agitate da incubi.
Le sue figlie pur belle e ricche non avevano pretendenti. Che erano belle lo vedevano tutti, ma pochi sapevano quanto fossero ricche, sicché Mallory decise di fare una gran festa nella sua villa per mostrare ai concittadini l’opulenza della famiglia.
La sera della festa vide tra gli altri una donna e la invitò a ballare.
La sala da ballo alle pareti era piena di specchi, che riflettendosi moltiplicavano lo spazio, cristalli, lampadari e argenti brillavano. L’orchestra suonava armonie dolcissime, ma dei tanti invitati ben pochi erano arrivati alla villa e nemmeno il gioco di specchi riusciva a creare l’illusione che fossero in tanti, inoltre ballavano tra loro, mentre le figlie di Mallory facevano tappezzeria.
«Chi sei, bella signora, non ricordo d’averti invitato e non ti conosco, ma vedo che non mi schivi e non mostri d’aver paura di me, come mai?»
«Ti sbagli caro, mi conosci eccome, ma non mi riconosci. Eppure io ti sono stata vicina tenendoti per mano in tutti questi anni e devi a me tutto quello che hai.»
«Devi avermi tenuto con la mano sbagliata, visto che la ricchezza, il matrimonio, le mie figlie, insomma tutto quello che ho non basta a rendermi felice.»
«Cosa ti manca, cosa desideri?»
«Anzitutto mi è mancato l’amore. Mia moglie ha sposato il mio denaro, non me. Mi ha voluto bene, non lo nego, ma senza slanci, senza passione.»
«Hai scelto tu la moglie e mi pare non sia stata una cattiva scelta o forse avresti preferito una donna appassionata che t’avrebbe tradito dopo aver dilapidato il tuo patrimonio?»
«A conti fatti, quasi lo avrei preferito, pur di essere amato con passione.»
«E ti sarebbe piaciuto finire sul lastrico, ripiombare nella miseria?»
«Chi ti dice che, dopo tutto, non ne sarebbe valsa pena?»
«Sei ingrato e parli a sproposito. Hai quattro figlie sane e belle, di loro che mi dici?»
«Vedo la bellezza, ma anche la loro tristezza perché, a causa della mia attività, nessuno le corteggia, men che meno vuole sposarle, tutti pensano che io porti iella e così anche i miei familiari. Perciò conduciamo una vita ritirata ed evitiamo la città, ma quando andiamo in centro per la messa o per fare acquisti, tutti ci sfuggono, ci guardano male e si allontanano facendo gli scongiuri.»
«Vuoi forse dire che avresti preferito avere figlie brutte o malate?»
«Fossero state brutte, ma felici lo avrei preferito e le malattie si possono curare.»
«Dipende. Come al solito, non sai quello che dici. Bada però a esprimere desideri insani; gli dei potrebbero sentirti.»
Dette queste parole la donna spari e Mallory si ritrovò a danzare da solo in mezzo alla sala da ballo ormai quasi deserta. Penelope pensò che suo marito da qualche tempo aveva un comportamento strano. Come sempre, cercò di sdrammatizzare: «Via Mallory, andiamo a dormire; la festa non è riuscita, ma non è una tragedia e comunque ti avevo avvisato, gente come noi deve vivere appartata.»
«Già lo avevi previsto, sei tu che porti iella, maledetta!»
«Che dici marito mio, non si tratta di iella, il fatto è che la gente ci invidia, ma noi abbiamo abbastanza denaro per trasferirci in un’altra città e tu puoi smettere di lavorare. Vedrai che le nostre figlie avranno successo in un ambiente diverso, dove nessuno saprà del mestiere che hai esercitato e come ti sei arricchito. Diremo di aver ereditato una fortuna. Su, è tardi, andiamo a dormire.» La saggia Penelope trascinò quasi a forza il marito fuori dalla sala d ballo e lo condusse in camera da letto, ma la nottata fu terribile.
A Galvestorn non s’era mai vista una tempesta come quella che infuriò quella notte. I fulmini provocarono l’incendio della villa che venne quasi interamente distrutta: due delle ragazze morirono, le altre due riuscirono a salvarsi restando però orribilmente sfigurate.
L’uragano non risparmiò nemmeno l’impresa di pompe funebri. L’elegante benché macabro edificio fu distrutto con tutto quello che conteneva: legni pregiati, tessuti preziosi per foderare le bare, sculture d’autore d’angeli e croci d’argento per guarnirle. Rimase allagata pure la cereria, una vera e propria fabbrica annessa alla parte posteriore dell’edificio, contenente grossi ceri profumati in quantità tali da soddisfare la richiesta delle città vicine.
Anche Mallory rimase ferito. Povero, pazzo e infelice più che mai continuava a ripetere: «Colpa mia, è tutta colpa mia!»
La povera Penelope tentava inutilmente di convincerlo che un evento naturale non è colpa di nessuno, Mallory insisteva: No, no l’ho voluto io, disgraziato che sono, sono io il colpevole.»
Le stranezze di Mallory, purtroppo non si limitarono a questo e, divenuto violento, prese a sfogare aggressività e frustrazioni contro Penelope che fu costretta a farlo ricoverare in un ospedale per malati di mente.
Una notte, mentre tentava di dormire, Mr. Mallory ricevette una strana visita.
La bella donna rimase in piedi in silenzio ai piedi del letto.
«Finalmente sei venuta, bella signora, sapessi quanto ti ho invocata!»
«Eccomi! Di solito non passo mai una seconda volta, ma per te ho fatto un’eccezione.»
«Ti sono grato, avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno che mi capisse e potesse compatirmi. Vedi come sono ridotto, non ho più niente, sono malato, mia moglie mi ha relegato in questo posto orribile dove non fanno che torturarmi, ho perso due figlie e le altre due, che si sono salvate dall’incendio, sono talmente sfigurate che nessun uomo le guarderà più senza provare ribrezzo.»
«L’incendio? Di quale incendio parli?»
«Come, non sai nulla dell’uragano che ha distrutto la mia vita, i miei beni e i miei affetti più cari? I fulmini, uno dopo l’altro, irruppero nella sala degli specchi provocando un incendio di cui hanno parlato tutti i giornali e la gente malvagia si è divertita a dire che la iella l’ho cercata io, sfigato e iettatore come sono.»
«Invece non è così?»
«Sì. Purtroppo avevano ragione. Ma sapessi come sono pentito d’aver disprezzato tutto quello che mi è stato donato a piene mani. Sono stato un folle a desiderare di più, a desiderare altro.
E ora, disperato, rimpiango tutto quello che ho perso.» Mr. Mallory pronunciò queste parole singhiozzando come un bambino a cui è sfuggito di mano l’aquilone.
«Dunque sei pentito Mallory?»
«Eccome, non so dirti quanto e come vorrei poter tornare indietro. Però so che non è possibile e mi sembra d’impazzire d’angoscia e di rabbia.»
«Non c’è stato nessun uragano, Mallory, e nessun incendio.»
Penelope trascorse la notte accanto al marito sudato, che si affannava ad agitare le braccia come per cacciare uccelli inesistenti, urlando: «Via bestiacce, andate via corvacci!»
Non riuscì a svegliare lui, né lei a chiudere occhio. Solo verso l’alba Mallory sembrò calmarsi, il respiro assunse il ritmo normale e Penelope poté appisolarsi.
Nel giro di pochi mesi Mr.Mallory Deaves riuscì a vendere i suoi beni con vantaggio enorme e a trasferirsi in California, in una città molto lontana da Galvestorn, dove l’arrivo della famiglia suscitò clamore per il tenore di vita e l’ostentazione della ricchezza.
Mallory creò un regno. La sua residenza, una specie di Versailles del 2100, dotata di giardini, fontane e piscine e perfino di eliporto fu fotografata dalle maggiori riviste di architettura, l’eco dei banchetti e delle feste sontuose si diffuse in tutto il paese. Le ragazze Deaves brillavano per la loro bellezza e indossavano vestiti e gioielli fatti venire apposta dall’Europa e nel raggio di chilometri non c’era uomo che non ambisse sposarle, sicché, una dopo l’altra, convolarono a giuste nozze coi rampolli di famiglie altrettanto ricche.
La faccia di Mallory esprimeva una certa soddisfazione; era ingrassato e, dismessi gli abiti lugubri di un tempo, possedeva un ricco guardaroba. Vestiti, abiti, cappelli provenivano dai migliori negozi alla moda di New York. Novello Re Sole aveva le sue concubine, infatti poteva avere tutte le donne che avesse desiderato, eppure no, non era felice. In più si annoiava. A poco a poco la sua faccia prese ad assumere l’espressione scontenta di quando faceva l’impresario di pompe funebri.
La cosa non sfuggi a Penelope che cominciò a preoccuparsi.
«Marito mio, cosa ti affligge?» finalmente gli chiese.
«Mi annoio e ho deciso di giocare in borsa, così potrò accrescere il mio patrimonio.»
«Ma è una follia, un progetto rischioso e non ne hai bisogno, in un click potresti perdere tutto.»
«Non fare l’uccello di malaugurio, non correrò rischi perché mi circonderò di un esercito di consulenti finanziari.»
«La verità Mallory è che sei incontentabile; il tuo tarlo è l’insoddisfazione e ti porterà alla rovina.»
«Taci, corvaccio maledetto! Non dire a me cosa fare. Lo so io.»
Penelope pensò che Mallory era stato sempre incontentabile, ma ora era divenuto anche arrogante e presuntuoso, tuttavia tacque per non irritarlo.
Il crollo della borsa di New York del 2101 fu una catastrofe di fonte alla quale il disastro del 2007 sembrava una crisi da poco. Mallory ne fu coinvolto, perdendo quasi tutto il suo patrimonio.
«Povero me» era solito dire alla moglie, lamentandosi «come sono sfortunato!»
«Non è vero» ribatteva Penelope «più volte la fortuna ti ha preso per mano.»
«Già, con la mano sbagliata, moglie mia, la mano sinistra.»
«Sei proprio stolto Mallory, che vai farfugliando per non ammettere che tu solo sei causa delle tue disgrazie?»
«Non è colpa mia, ma della fortuna. La cosa sta così: se la dea capricciosa ti prende per mano con la destra, ti dona il necessario e allora puoi dirti fortunato. Quando però ti prende con la mano sinistra, ti dona il superfluo e allora non puoi dirti fortunato perché il superfluo ti esalta, ti fa cambiare carattere, ti spinge a non apprezzare quello che hai e a desiderare sempre di più e tutto ciò quasi sempre causa infelicità. Così se sei sano, non capisci quale ricchezza sia la salute; se possiedi molto denaro, non ti basta mai; se hai un matrimonio sereno, cerchi emozioni eccitanti; se… »
Mallory continuava a parlare e parlare, ma ̶ sebbene per una volta non dicesse cose insensate ̶ Penelope non lo stava più a sentire.
Lo sentì invece la Fortuna che, irritata, si palesò.
«Siamo alle solite, Mallory, continui a disprezzarmi e adesso – cosa che nessuno al mondo si sognerebbe mai di pensare ̶ addirittura a considerarmi causa di infelicità, nonostante abbia fatto di tutto per soddisfare i tuoi desideri. Il necessario, il superfluo, mano sinistra, che vai blaterando? Si può sapere cosa vuoi per essere felice?»
«Semplice. Voglio solo ciò di cui ho bisogno.»
«Bada, non è così semplice come credi. Ciò di cui hai bisogno devi guadagnarlo da solo.»
«E tu non puoi darmi una mano?»
«Per farmi dire che ti porgo la mano sinistra? No, caro, non ci penso nemmeno. Poi c’è un altro problema, grande come una montagna.»
«Qual è questo problema?»
«Per farla semplice, potrei farti una domanda, però non te la faccio perché forse non sapresti rispondere.»
«Te ne prego, bella signora, non spazientirti; fammi la domanda.»
«Ebbene, visto che insisti la domanda è: sei sicuro, Mallory, di sapere di cosa hai bisogno?»
Mallory non rispose e da quel momento non parlò più; era troppo impegnato a pensare perché cercava una risposta, ma senza riuscire a trovarla.
https://www.differentales.org/1145algarve#12725
Il suo nome era tutto un programma. Mr. Mallory Deaves nondimeno non si riteneva un uomo sfortunato infatti, emigrato in Texas nel 2080, aveva messo su un’agenzia di pompe funebri che era andata a gonfie vele e in trent’anni di attività gli aveva permesso di accumulare un patrimonio notevole.
“Vero è che i soldi non danno la felicità” era solito dire “figuriamoci la miseria!” e Mr. Mallory l’aveva conosciuta, la miseria, fin da bambino in quel sobborgo londinese dove era nato e dove aveva trascorso un’infanzia infelice.
Ormai lontane le angustie passate, conduceva una vita agiata e aveva una moglie molto bella che forse non lo aveva sposato per amore, ma Penelope s’era poi rivelata una moglie affezionata e fedele e aveva avuto quattro figlie, una più bella dell’altra.
Insomma sulla soglia dei cinquant’anni Mr. Mallory avrebbe potuto considerarsi appagato, invece si sentiva profondamente infelice.
Si aggirava come uno spettro lungo i viali dei giardini che circondavano la villa lussuosissima dove abitava, una dimora d’altri tempi, una specie di castello dove trovavano lavoro uno stuolo di camerieri e di giardinieri per i quali la faccia di Mallory con l’immutabile espressione scontenta e il colorito livido di rabbia restavano un mistero.
«Che avrà mai» si domandavano «quali »crucci segreti lo affliggono?» I poveretti, che nei panni del loro padrone avrebbero fatto salti di gioia, non sapendo darsi una risposta finirono col pensare che l’espressione infelice non corrispondesse a un reale tormento interiore, ma fosse una maschera indossata per coerenza col mestiere, anzi con la nobile professione ̶ come Mallory amava dire – di dare degna sepoltura ai morti.
Infatti come dire con espressione serena ai clienti che si presentavano smunti e afflitti per scegliere la bara e concordare le modalità del funerale dei loro cari: «Dolente, condoglianze… »
Non si poteva, bisognava mostrare partecipazione a quel dolore e quindi assumere la faccia di circostanza. E non solo la faccia, ma anche l’abbigliamento, perfino il tono di voce, tutto doveva essere adeguato alla situazione.
Se non che in città, la gente si toccava nelle parti basse o addirittura cambiava strada solo a veder apparire da lontano la sagoma di Mallory. Non era stato capace di farsi un amico, aveva perso l’appetito e diventava sempre più magro e pallido.
Le sue notti erano spesso insonni e, quando riusciva ad addormentarsi, agitate da incubi.
Le sue figlie pur belle e ricche non avevano pretendenti. Che erano belle lo vedevano tutti, ma pochi sapevano quanto fossero ricche, sicché Mallory decise di fare una gran festa nella sua villa per mostrare ai concittadini l’opulenza della famiglia.
La sera della festa vide tra gli altri una donna e la invitò a ballare.
La sala da ballo alle pareti era piena di specchi, che riflettendosi moltiplicavano lo spazio, cristalli, lampadari e argenti brillavano. L’orchestra suonava armonie dolcissime, ma dei tanti invitati ben pochi erano arrivati alla villa e nemmeno il gioco di specchi riusciva a creare l’illusione che fossero in tanti, inoltre ballavano tra loro, mentre le figlie di Mallory facevano tappezzeria.
«Chi sei, bella signora, non ricordo d’averti invitato e non ti conosco, ma vedo che non mi schivi e non mostri d’aver paura di me, come mai?»
«Ti sbagli caro, mi conosci eccome, ma non mi riconosci. Eppure io ti sono stata vicina tenendoti per mano in tutti questi anni e devi a me tutto quello che hai.»
«Devi avermi tenuto con la mano sbagliata, visto che la ricchezza, il matrimonio, le mie figlie, insomma tutto quello che ho non basta a rendermi felice.»
«Cosa ti manca, cosa desideri?»
«Anzitutto mi è mancato l’amore. Mia moglie ha sposato il mio denaro, non me. Mi ha voluto bene, non lo nego, ma senza slanci, senza passione.»
«Hai scelto tu la moglie e mi pare non sia stata una cattiva scelta o forse avresti preferito una donna appassionata che t’avrebbe tradito dopo aver dilapidato il tuo patrimonio?»
«A conti fatti, quasi lo avrei preferito, pur di essere amato con passione.»
«E ti sarebbe piaciuto finire sul lastrico, ripiombare nella miseria?»
«Chi ti dice che, dopo tutto, non ne sarebbe valsa pena?»
«Sei ingrato e parli a sproposito. Hai quattro figlie sane e belle, di loro che mi dici?»
«Vedo la bellezza, ma anche la loro tristezza perché, a causa della mia attività, nessuno le corteggia, men che meno vuole sposarle, tutti pensano che io porti iella e così anche i miei familiari. Perciò conduciamo una vita ritirata ed evitiamo la città, ma quando andiamo in centro per la messa o per fare acquisti, tutti ci sfuggono, ci guardano male e si allontanano facendo gli scongiuri.»
«Vuoi forse dire che avresti preferito avere figlie brutte o malate?»
«Fossero state brutte, ma felici lo avrei preferito e le malattie si possono curare.»
«Dipende. Come al solito, non sai quello che dici. Bada però a esprimere desideri insani; gli dei potrebbero sentirti.»
Dette queste parole la donna spari e Mallory si ritrovò a danzare da solo in mezzo alla sala da ballo ormai quasi deserta. Penelope pensò che suo marito da qualche tempo aveva un comportamento strano. Come sempre, cercò di sdrammatizzare: «Via Mallory, andiamo a dormire; la festa non è riuscita, ma non è una tragedia e comunque ti avevo avvisato, gente come noi deve vivere appartata.»
«Già lo avevi previsto, sei tu che porti iella, maledetta!»
«Che dici marito mio, non si tratta di iella, il fatto è che la gente ci invidia, ma noi abbiamo abbastanza denaro per trasferirci in un’altra città e tu puoi smettere di lavorare. Vedrai che le nostre figlie avranno successo in un ambiente diverso, dove nessuno saprà del mestiere che hai esercitato e come ti sei arricchito. Diremo di aver ereditato una fortuna. Su, è tardi, andiamo a dormire.» La saggia Penelope trascinò quasi a forza il marito fuori dalla sala d ballo e lo condusse in camera da letto, ma la nottata fu terribile.
A Galvestorn non s’era mai vista una tempesta come quella che infuriò quella notte. I fulmini provocarono l’incendio della villa che venne quasi interamente distrutta: due delle ragazze morirono, le altre due riuscirono a salvarsi restando però orribilmente sfigurate.
L’uragano non risparmiò nemmeno l’impresa di pompe funebri. L’elegante benché macabro edificio fu distrutto con tutto quello che conteneva: legni pregiati, tessuti preziosi per foderare le bare, sculture d’autore d’angeli e croci d’argento per guarnirle. Rimase allagata pure la cereria, una vera e propria fabbrica annessa alla parte posteriore dell’edificio, contenente grossi ceri profumati in quantità tali da soddisfare la richiesta delle città vicine.
Anche Mallory rimase ferito. Povero, pazzo e infelice più che mai continuava a ripetere: «Colpa mia, è tutta colpa mia!»
La povera Penelope tentava inutilmente di convincerlo che un evento naturale non è colpa di nessuno, Mallory insisteva: No, no l’ho voluto io, disgraziato che sono, sono io il colpevole.»
Le stranezze di Mallory, purtroppo non si limitarono a questo e, divenuto violento, prese a sfogare aggressività e frustrazioni contro Penelope che fu costretta a farlo ricoverare in un ospedale per malati di mente.
Una notte, mentre tentava di dormire, Mr. Mallory ricevette una strana visita.
La bella donna rimase in piedi in silenzio ai piedi del letto.
«Finalmente sei venuta, bella signora, sapessi quanto ti ho invocata!»
«Eccomi! Di solito non passo mai una seconda volta, ma per te ho fatto un’eccezione.»
«Ti sono grato, avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno che mi capisse e potesse compatirmi. Vedi come sono ridotto, non ho più niente, sono malato, mia moglie mi ha relegato in questo posto orribile dove non fanno che torturarmi, ho perso due figlie e le altre due, che si sono salvate dall’incendio, sono talmente sfigurate che nessun uomo le guarderà più senza provare ribrezzo.»
«L’incendio? Di quale incendio parli?»
«Come, non sai nulla dell’uragano che ha distrutto la mia vita, i miei beni e i miei affetti più cari? I fulmini, uno dopo l’altro, irruppero nella sala degli specchi provocando un incendio di cui hanno parlato tutti i giornali e la gente malvagia si è divertita a dire che la iella l’ho cercata io, sfigato e iettatore come sono.»
«Invece non è così?»
«Sì. Purtroppo avevano ragione. Ma sapessi come sono pentito d’aver disprezzato tutto quello che mi è stato donato a piene mani. Sono stato un folle a desiderare di più, a desiderare altro.
E ora, disperato, rimpiango tutto quello che ho perso.» Mr. Mallory pronunciò queste parole singhiozzando come un bambino a cui è sfuggito di mano l’aquilone.
«Dunque sei pentito Mallory?»
«Eccome, non so dirti quanto e come vorrei poter tornare indietro. Però so che non è possibile e mi sembra d’impazzire d’angoscia e di rabbia.»
«Non c’è stato nessun uragano, Mallory, e nessun incendio.»
Penelope trascorse la notte accanto al marito sudato, che si affannava ad agitare le braccia come per cacciare uccelli inesistenti, urlando: «Via bestiacce, andate via corvacci!»
Non riuscì a svegliare lui, né lei a chiudere occhio. Solo verso l’alba Mallory sembrò calmarsi, il respiro assunse il ritmo normale e Penelope poté appisolarsi.
Nel giro di pochi mesi Mr.Mallory Deaves riuscì a vendere i suoi beni con vantaggio enorme e a trasferirsi in California, in una città molto lontana da Galvestorn, dove l’arrivo della famiglia suscitò clamore per il tenore di vita e l’ostentazione della ricchezza.
Mallory creò un regno. La sua residenza, una specie di Versailles del 2100, dotata di giardini, fontane e piscine e perfino di eliporto fu fotografata dalle maggiori riviste di architettura, l’eco dei banchetti e delle feste sontuose si diffuse in tutto il paese. Le ragazze Deaves brillavano per la loro bellezza e indossavano vestiti e gioielli fatti venire apposta dall’Europa e nel raggio di chilometri non c’era uomo che non ambisse sposarle, sicché, una dopo l’altra, convolarono a giuste nozze coi rampolli di famiglie altrettanto ricche.
La faccia di Mallory esprimeva una certa soddisfazione; era ingrassato e, dismessi gli abiti lugubri di un tempo, possedeva un ricco guardaroba. Vestiti, abiti, cappelli provenivano dai migliori negozi alla moda di New York. Novello Re Sole aveva le sue concubine, infatti poteva avere tutte le donne che avesse desiderato, eppure no, non era felice. In più si annoiava. A poco a poco la sua faccia prese ad assumere l’espressione scontenta di quando faceva l’impresario di pompe funebri.
La cosa non sfuggi a Penelope che cominciò a preoccuparsi.
«Marito mio, cosa ti affligge?» finalmente gli chiese.
«Mi annoio e ho deciso di giocare in borsa, così potrò accrescere il mio patrimonio.»
«Ma è una follia, un progetto rischioso e non ne hai bisogno, in un click potresti perdere tutto.»
«Non fare l’uccello di malaugurio, non correrò rischi perché mi circonderò di un esercito di consulenti finanziari.»
«La verità Mallory è che sei incontentabile; il tuo tarlo è l’insoddisfazione e ti porterà alla rovina.»
«Taci, corvaccio maledetto! Non dire a me cosa fare. Lo so io.»
Penelope pensò che Mallory era stato sempre incontentabile, ma ora era divenuto anche arrogante e presuntuoso, tuttavia tacque per non irritarlo.
Il crollo della borsa di New York del 2101 fu una catastrofe di fonte alla quale il disastro del 2007 sembrava una crisi da poco. Mallory ne fu coinvolto, perdendo quasi tutto il suo patrimonio.
«Povero me» era solito dire alla moglie, lamentandosi «come sono sfortunato!»
«Non è vero» ribatteva Penelope «più volte la fortuna ti ha preso per mano.»
«Già, con la mano sbagliata, moglie mia, la mano sinistra.»
«Sei proprio stolto Mallory, che vai farfugliando per non ammettere che tu solo sei causa delle tue disgrazie?»
«Non è colpa mia, ma della fortuna. La cosa sta così: se la dea capricciosa ti prende per mano con la destra, ti dona il necessario e allora puoi dirti fortunato. Quando però ti prende con la mano sinistra, ti dona il superfluo e allora non puoi dirti fortunato perché il superfluo ti esalta, ti fa cambiare carattere, ti spinge a non apprezzare quello che hai e a desiderare sempre di più e tutto ciò quasi sempre causa infelicità. Così se sei sano, non capisci quale ricchezza sia la salute; se possiedi molto denaro, non ti basta mai; se hai un matrimonio sereno, cerchi emozioni eccitanti; se… »
Mallory continuava a parlare e parlare, ma ̶ sebbene per una volta non dicesse cose insensate ̶ Penelope non lo stava più a sentire.
Lo sentì invece la Fortuna che, irritata, si palesò.
«Siamo alle solite, Mallory, continui a disprezzarmi e adesso – cosa che nessuno al mondo si sognerebbe mai di pensare ̶ addirittura a considerarmi causa di infelicità, nonostante abbia fatto di tutto per soddisfare i tuoi desideri. Il necessario, il superfluo, mano sinistra, che vai blaterando? Si può sapere cosa vuoi per essere felice?»
«Semplice. Voglio solo ciò di cui ho bisogno.»
«Bada, non è così semplice come credi. Ciò di cui hai bisogno devi guadagnarlo da solo.»
«E tu non puoi darmi una mano?»
«Per farmi dire che ti porgo la mano sinistra? No, caro, non ci penso nemmeno. Poi c’è un altro problema, grande come una montagna.»
«Qual è questo problema?»
«Per farla semplice, potrei farti una domanda, però non te la faccio perché forse non sapresti rispondere.»
«Te ne prego, bella signora, non spazientirti; fammi la domanda.»
«Ebbene, visto che insisti la domanda è: sei sicuro, Mallory, di sapere di cosa hai bisogno?»
Mallory non rispose e da quel momento non parlò più; era troppo impegnato a pensare perché cercava una risposta, ma senza riuscire a trovarla.
https://www.differentales.org/1145algarve#12725