Valerio sta seduto a gambe aperte facendo mucchietti di terra, così concentrato che gli sta calando la bava dalla bocca.
Ha polvere di gesso appiccicato ai polpacci perché non è lontano dalla fascia laterale.
Sta ogni volta lì, ma oggi ha voglia di giocare. Sarà che la mamma gli ha messo le scarpe coi tacchetti, sarà che il sole non picchia, con quelle nuvole stanche che lo oscurano a tratti.
E poi, il pallone lo porta sempre lui. È il regalo del nonno, quello che abita a Pavia.
Valerio si alza, si dà delle pacche sui calzoncini e s'asciuga la bava con la maglietta.
«Ma devi già andare via?» gli chiede qualcuno, che l'ha visto in piedi e si è preoccupato.
Valerio scuote la testa, pensa per un momento di rimettersi a giocare con la terra, poi farà come sempre, si metterà a correre per tornare a casa e la mamma lo vedrà sudato e penserà che tutto è andato bene. Invece fa un passo dentro al campo.
«Gioco anche io» dice. Forse lo dice piano, però, perché nessuno gli dà ascolto.
Giorgio gli passa vicino, correndo, con la faccia contrita, i capelli tutti appiccicati sulla fronte.
«Spostati, scemo» urla e si sbraccia, chiamando la palla.
Valerio fa un altro passo in campo.
«Gioco anche io» dice. Sente qualcuno che ride. Si mette a correre, grugnendo, con l'andatura sbilenca e la pancia che ballonzola.
«Quello fa sul serio» dice Luigi, sconsolato. Tutti si fermano, qualcuno sputa in terra, altri ne approfittano per bere.
Valerio si fionda sul pallone e lo calcia, prendendolo di punta e spedendolo fuori dal campo.
«Non si sa neanche in che squadra sei» gli dice Filippo, sistemandosi gli occhiali sul naso.
«E mandatelo via!» urla Giorgio.
«Certo, via… che il pallone è il suo» sentenzia Filippo.
«Lo facciamo stare nella porta» dice Luigi.
«Certo, nella porta vostra» ribatte Filippo.
«No, nella porta e basta, tre minuti basteranno» dice Luigi, mentre fa l'occhiolino.
Si avvicina a Valerio e lo prende sottobraccio.
«Adesso stai in porta e devi parare, va bene?»
Valerio annuisce.
Dalla porta vede tutto il campo, fino all'altra parte. Si incanta un poco a osservare quello che rimane della rete: qualche filo appeso alla traversa, come una ragnatela abbandonata.
Qualcuno fischia, lui si volta e il pallone lo centra sulla guancia. Barcolla un attimo, si tocca il viso, dove lo sente caldo.
«Bravo scemo, bella parata!» urla Luigi. Tutti applaudono e cominciano a rincorrersi per prendere la palla. Appena se ne impossessano tirano in porta, cercando di colpire Valerio. Lui scatta, goffo, si ripara la pancia, una coscia, si gira di schiena.
«Andateci piano» ammonisce Filippo, «che se la sua mamma s'accorge di qualcosa addio pallone.»
«Tanto altre due pallonate e si rimette a cuccia» dice Giorgio, tirando una bordata di sinistro. La palla si alza, indirizzata sotto l'incrocio. Valerio la vede, fa un passetto di lato, salta e la smanaccia fuori.
«Te l'ha parata, cazzone!» ride Luigi.
Giorgio diventa tutto rosso, prende il pallone e lo tira addosso a Valerio, da due metri, centrandolo sulle costole.
«Parata!» esulta Valerio, muovendosi come un granchio sulla linea di porta, un poco dolorante, ma felice.
Intanto il cielo s'è oscurato e cade qualche goccia di pioggia.
Giorgio insiste a prendere a pallonate Valerio, il vento aumenta d'intensità, la pioggia pure e qualche ragazzo salta sulla bicicletta e lascia il campo.
«Dai, andiamo via anche noi» dice Filippo, ha gli occhiali appannati e la maglietta fradicia appiccicata al petto.
Giorgio ansima. Senza dire una parola si allontana, calciando la terra bagnata.
Valerio rimane ancora un po' tra i pali, con i goccioloni che dalla traversa gli cadono dritti tra i capelli.
Si sente bene. Recupera il pallone e apre l'ombrello che sua mamma gli ha dato, che non si sa mai in questo periodo.
Quando esce dal campo vede Filippo al riparo sotto un albero.
Gli mette l'ombrello sulla testa.
«Andiamo?» gli chiede.
«Mi ha lasciato qua, quello, mi doveva portare sulla stecca, ma era troppo incazzato.»
Valerio piega un poco la testa di lato.
«Mi è piaciuto stare nella porta» dice.
«Ma come ti è piaciuto?»
«Perché c'ero anch'io con voi. Eravamo insieme, per davvero.»
Filippo scuote la testa e si pulisce gli occhiali.
«Andiamo» dice.
«La prossima volta mi rimetto nella porta e le paro tutte» sussurra tra sé Valerio.
È stato fortunato che suo nonno di Pavia gli ha regalato quel pallone, proprio fortunato.