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Vera - una donna coraggiosa

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Messaggio Da gemma vitali Dom Gen 10, 2021 9:37 pm

Vera   - una donna coraggiosa Vera_011
 

«Spostiamo il tavolo, così ci stiamo tutti.»
E ognuno si dava da fare seguendo le indicazioni del signor Mario. Le padrone di casa in prima fila, accanto a loro la signora Mina, poi Lidia e le bambine. Due file di sedie. Tutti pronti per assistere allo spettacolo televisivo a casa delle signorine Maffini, due anziane e ricche sorelle.
«Mi raccomando, ora che appare il presentatore e dice “Buonasera” rispondete, non vorrete che ci prenda per maleducati» le incitava Gino, ridendo sotto i baffi.
E al fatidico “buonasera” tutti rispondevano in coro, tranne Gino che si divertiva a osservare le signorine che facevano l’inchino, la piccola Anna sgranare gli occhi nel vedere le persone che si muovevano in quella strana scatola e sua moglie Lidia che agitava la manina di Vera, di appena due anni, in segno di saluto. Tornati a casa Gino assumeva un’aria seria.
«Vedrai, appena guadagnerò qualcosa in più, comprerò un televisore anche per noi, ma adesso con due bambine ancora piccole…»
«Non ti preoccupare» diceva Lidia abbracciandolo, «non è così importante». 
Ma per Gino lo era, e faceva straordinari, turni impossibili che lo stremavano, tutto per regalare quella scatola magica alla sua famiglia. Quando finalmente riuscì a raggiungere il suo scopo, tornò a casa con un grosso involucro di cartone e chiamò le sue donne a raccolta. Montato l’apparecchio, Lidia e le bambine, che avevano seguito ogni movimento col fiato sospeso, lanciarono gridolini di gioia.
Davanti al televisore, Anna e Vera aspettavano ogni giorno, con ansia, l’ora della TV dei ragazzi per guardare le avventure di Rin Tin Tin. Lidia era contenta perché spesso avevano ospiti che venivano per guardare qualche programma e intanto Gino lavorava come un matto per pagare le rate. Una mattina, forse a causa dell’eccessivo lavoro, Gino si sentì male e dovettero portarlo in ospedale.
Aveva avuto un attacco di cuore, ma essendo giovane c’erano buone speranze di ripresa. Il mondo che sembrava essersi colorato per la famiglia Macci ridivenne bianco e nero, come i programmi di quello strano contenitore che dovevano ancora finire di pagare.
Lidia cominciò a lavorare in una sartoria e si divideva tra il lavoro e l’ospedale. Spesso era costretta a lasciare le bambine da sole, affidando la minore che aveva poco più di due anni ad Anna che ne aveva compiuti sei.
Faceva freddo. Per tenere caldo il soggiorno Lidia usava il “braciere” che riempiva con la brace raccolta dal focolare in cucina. Lei e le bambine durante pomeriggio sedevano intorno a quella fonte di calore e si riscaldavano fino a sera.
Un giorno Lidia dovette uscire per una commissione.
«Anna mi raccomando. Stai attenta a Vera! Io tornerò presto.»
Pioveva a dirotto e solo dopo alcune ore riuscì a tornare a casa.
Già sull’uscio cominciò a sentire il pianto e le grida delle figlie. Era accaduto qualcosa. Vera stava distesa sul divano e gridava e Anna accanto si tirava i capelli e piangeva disperata.
«Mamma, non è colpa mia. Stavamo guardando Rinty.  L’ho presa in braccio… lei non voleva. È caduta a faccia in giù.»
A Lidia sembrò di vivere il suo peggiore incubo, mentre allucinata si avvicinò alla figlia minore che aveva una metà del volto bruciata.
All’ospedale poterono fare ben poco.
«L’unica soluzione sarebbe una plastica facciale» disse lo specialista, ma occorrevano soldi, e tanti, che loro non avevano.
Gino, quando uscì dall’ospedale, sembrava l’ombra di sé stesso e la disperazione di vedere la figlioletta in quelle condizioni gli mise una pena nell’anima che in soli due anni lo portò alla morte.
Lidia era una donna forte, continuò il suo lavoro di sarta e cominciò a insegnare anche ad Anna l’arte del cucito. Rivendette il televisore e cercò di portare avanti la famiglia. L’unica che sembrava non accorgersi di niente era Vera: forte dell’incoscienza infantile non badava al suo aspetto.
«Come sei bella» le ripeteva la madre e lei era convinta di esserlo.
Quando uscivano da casa, Lidia le metteva in testa un fazzoletto molto vivace che lei stessa aveva cucito.
«Così sei ancora più bella» diceva e cercava di coprirle il volto.
Spesso Anna e Vera andavano a comprare il latte. La più grande dava la mano alla piccola e camminava a passo svelto per timore che qualcuno si fermasse a parlare con loro.
Davanti al bar i soliti giovinastri perditempo cominciarono a prenderle di mira e ridacchiavano al loro passaggio.
«Guardate, ragazzi. La befanella arlecchino!» fece un giorno un ragazzo riccioluto, mentre, con le mani in tasca, si rivolgeva a un suo amico.
«Hai ragione, Marco. Solo che siamo a maggio. È fuori tempo» e cominciarono a ridere, contagiando anche gli altri.
Anna non ebbe coraggio di dire alla madre quello che era successo e così ogni volta passare davanti al bar diventava una tortura.
Quel Marco assumeva un’aria sempre più arrogante e Anna cercava di trascinare la sorella più in fretta che poteva.
Era luglio. Le bambine stavano passando davanti al bar.
“Strano, non c’è nessuno fuori” pensò Anna. Dall’interno veniva un brusio. Erano tutti incollati davanti allo schermo della TV a seguire quello che sembrava un evento eccezionale.
«Sulla luna, ragazzi. Siamo andati sulla luna! Ma voi pensate...» Era la voce di Marco.
Anna si era fermata solo un attimo sulla porta del bar, aperta, tenendo stretta la mano di Vera. Ma fu sufficiente perché Marco alzatosi di scatto le raggiungesse e strappasse il fazzoletto dalla testa della bambina.
«Ah, ecco perché lo porti! Sei un piccolo mostro. Ragazzi, abbiamo anche un extraterrestre» disse mostrando la piccola Vera col volto deturpato. Anna d’impeto gli diede un calcio e trascinò via la sorella.
«Il fazzoletto. L’ho perso! Mamma si arrabbierà» piagnucolava la piccola. «Lascia stare quel dannato fazzoletto.»
Arrivate a casa Anna scoppiò a piangere e abbracciando la sorellina non faceva che ripetere «Perdonami… perdonami.»
«Anna, che significa mostro?»
«Non dirlo, non dirlo mai più.»
Anna si sentiva terribilmente in colpa per quanto era accaduto alla sorella.
 “Se non mi fossi incantata a vedere la televisione Vera non sarebbe caduta” e guardando il volto martoriato della bambina scoppiò a piangere ancora più forte. Lidia entrò e le trovò sconvolte.
«Cosa è successo?»
«Niente mamma solo che…ho rotto la bottiglia del latte e, per correre, Vera ha perso il fazzoletto.»
Da quel giorno Lidia decise che la sua bambina non avrebbe più nascosto il volto e la gente si abituò a vederla com’era.
Nel suo disincanto, Vera divenne consapevole di cosa volesse dire essere un mostro. Lo leggeva negli sguardi disgustati della gente, nell’espressione spavalda di Marco ogni volta che lei passava davanti al bar. 
Non riuscì a piangere nemmeno una lacrima e crebbe insieme al suo dolore disseccato che stranamente le dava forza e alimentava la sua decisione di reagire e rimodellare la storia della sua vita.    
In famiglia lei appariva tranquilla. Non osava dimostrare il suo tumulto interiore per non dare un altro dispiacere alla madre e alla sorella, ma dentro di sé andava maturando una decisione di cui non fece partecipe nessuno, neanche la sorella che tanto amava. Dopo il diploma fece le valigie e lasciò il paese. Trovarono un biglietto in camera sua.  Solo due righe:
Carissime Anna e mamma, so di darvi un dolore, ma io devo ricostruire i pezzi della mia vita sciupata. Abbiate cura di voi. Un giorno tornerò.
 
***

Con gli occhi chiusi aspettava di vedere il suo nuovo volto e si sentiva come se stesse per nascere in quel momento. L’intervento era andato bene, doveva solo attendere che il professore desse il via per toglierle le bende. Quanto tempo era passato… forse troppo, da quando era partita dal suo paese.
Al “Laguna blu”, il locale notturno nel quale aveva lavorato fino a poco tempo prima, era diventata amica di Kitty. Facevano entrambe le cameriere e lei aveva ottenuto di poter indossare una maschera, mostrando quanto di buono aveva il suo corpo. Due magnifiche gambe e un seno da copertina. Aveva affittato un piccolo appartamento dividendolo con Kitty. Una sera, al ritorno dal locale, Vera aveva visto l’amica mettere da parte un abbondante rotolino di soldi.
«Accidenti, quante mance ti hanno dato!»
«Non fare l’ingenua, non sono mance, sono extra, per prestazioni a clienti esigenti.» Vera la guardò triste.
«Ma cosa guardi, pensaci invece, anche questo è un lavoro, si guadagnano tanti soldi e tu potresti fare l’intervento al viso.»
Non era stato facile, ma alla fine Vera aveva accettato le avance di quei ricchi signori. A loro non importava del suo viso mascherato, ma del bellissimo corpo che aveva. Aveva nausea di quelle mani su di lei, di quell’odore di uomini diversi. La notte nel suo letto avrebbe voluto piangere e lavare via tutta la nausea e il dolore che sentiva, ma restava immobile, con gli occhi sbarrati a sperare che il tempo passasse presto, allontanando da lei tutto questo.
Quando riuscì a mettere da parte il denaro necessario per la plastica facciale cominciò a elargire sorrisi al “Laguna blu” come non aveva mai fatto fino ad allora. La sua vita sarebbe cambiata di lì a poco.
L’infermiera entrò e le tolse le bende, poi le porsero uno specchio, Vera non credeva ai propri occhi. Per la prima volta da quando era stata bambina si sentì felice.  Il suo bel volto era venuto fuori in tutto il suo splendore. Non avrebbe più lavorato al “Laguna blu”. Aveva ancora qualche risparmio da parte e poteva mettersi a cercare un nuovo lavoro.
I giorni passavano muti, tra tentativi, domande, richieste. Doveva trovare un lavoro ad ogni costo, solo così avrebbe poi avuto il coraggio di tornare a casa. Quando lesse l’annuncio sul giornale, neanche lei ci credeva, ma volle provare lo stesso, e la sua tenacia fu premiata. Le era accaduta una cosa straordinaria: era diventata un’annunciatrice della televisione.

***
Erano passati dieci anni da quando Vera era andata via. Anna lavorava in sartoria. Sua madre, a casa, passava il tempo davanti alla TV. Stavolta si trattava di un apparecchio a colori; peccato non ci fossero in casa dei bambini: ne sarebbero stati felici. La vista di Lidia era molto calata e doveva aiutarsi con gli occhiali. Un giorno che li aveva smarriti, guardando lo schermo si trovò davanti una nuova annunciatrice e quando ne sentì la voce esclamò trasognata: «Vera, sei tu, figlia mia. Sei tornata…»
Il bel volto di sua figlia continuava a parlare e lei senza sentire le sue parole le disse:
«Ecco, non posso nemmeno abbracciarti. Perché te ne stai lì dentro?»
Ogni sera alla stessa ora, Anna parlava con sua figlia nei pochi minuti che lei appariva, senza aspettare risposte. Sapeva che il loro incontro durava poco. Quando raccontò ad Anna l’accaduto, lei alzò le spalle.
«Perché non mi credi? Ci parlo tutte le sere. Mi dice “buonasera” e io le racconto un sacco di cose.
«E lei risponde?» chiese Anna che cercava di capire.
“Non ne sono sicura, lo sai che non sento molto bene, ma lei mi sorride e io mi sento felice.»
«Piacerebbe anche a me, mamma, ma non può essere lei.»
E quando vide l’annunciatrice, attraverso il piccolo schermo commentò: «Sì, è vero, un poco le somiglia. Com’è bella! Anche lei sarebbe stata così…»
Un giorno Vera si decise a telefonare a sua madre.
«Mamma, sono Vera. Come stai?».
«Bene! Lo sapevo che eri tu, ma Anna non ha voluto credermi.»
«Anna… cosa fa adesso?»
«Lavora in sartoria, al mio posto.»
«Senti mamma, scriviti il mio numero di telefono e di’ ad Anna di chiamarmi.»
Lidia scrisse il numero, ma poi lo dimenticò e un colpo di vento dalla finestra aperta fece il resto: il foglio finì per terra, andò a infilarsi sotto la credenza e finì spazzato via con la polvere.
“Non vuole sentirmi. Non vogliono più vedermi” pensava Vera, ma lei doveva tornare al paese. Ora che aveva ricostruito il suo volto, Vera voleva ricomporre anche la sua famiglia. Non vedeva l’ora di riabbracciare madre e sorella. C’era anche un’altra cosa che voleva fare, per una piccola soddisfazione personale.
Giunse al paese con la sua auto nuova. Era una sera d’estate afosa, senza stimoli. Al bar tutto scorreva noiosamente. Marco si rigirava un bicchiere di birra tra le mani. La donna che scese dall’auto catalizzò, in un istante, l’attenzione di tutti. Bionda, capelli a caschetto e occhiali da sole. La gonna di seta che le ondeggiava sul ginocchio metteva in risalto il suo passo di gazzella. Scollatura generosa, ma non volgare, un foulard di chiffon annodato al collo. Una donna così l’avevano vista solo sui giornali o in televisione: magari era un’attrice. Sapeva di femmina lontano un miglio. Bastava guardarla per sentirsi inebriati, ubriachi di lei.
A Marco la birra andò di traverso. In fondo era sempre un bell’uomo, nonostante qualche filo grigio. E una donna così non poteva lasciarla andare via senza tentare un approccio. La bionda entrò nel bar e ordinò una cedrata. Poi si sedette su uno sgabello alto. Faceva dondolare il piede e con la mano lisciava la gonna di seta sulle gambe snelle.
Marco si avvicinò in preda a una frenesia che lo stava stuzzicando fino nel fondo del suo essere.
«Pago io quello che ha preso la signorina» disse con voce strozzata.
Lei abbassò un poco gli occhiali da sole e lo fissò compiaciuta dritto negli occhi.
«Grazie, molto gentile! Sa indicarmi la toilette, per favore?»
«In fondo a sinistra» mormorò Marco, mentre un nugolo di pensieri cominciò ad assillarlo.
“Mi sta invitando a seguirla…Non ci sono dubbi. Ho fatto colpo. E chi se lo aspettava! Una donna così…”
Lei gli sorrise sfacciatamente e sinuosa scivolò dallo sgabello dirigendosi alla toilette. Marco non stava in sé dall’eccitazione, gli amici lo incitavano. «Che fortuna…»
«Evvai! Poi ci racconti.»
Con gli occhi luccicanti e come trasognato Marco seguì la bionda.
Era appoggiata con la schiena al lavabo e aveva in mano il foulard che portava annodato al collo. Gli sorrideva e si passava la mano sul seno sfiorandolo. Marco si avvicinò e provò a baciarla. «Dopo, non avere fretta. Voglio fare un bel gioco con te.»
«Tutto quello che vuoi.»
«Chiudi gli occhi» gli disse e lo bendò con il foulard.
Marco sentiva il profumo dolce e penetrante della donna che lo stordiva, poi la sua mano che gli sbottonava la camicia lentamente e infine scendeva giù a sfilargli la cintura e a calargli i pantaloni e i boxer, molto lentamente.
«Adesso conta fino a dieci. Piano però, devi darmi il tempo di spogliarmi, dopo aprirai gli occhi.»
Appena Marco cominciò a contare, la donna, svelta, uscì, senza fare rumore, e attraversato il bar con noncuranza salì in macchina e ripartì.
Quando Marco arrivò al dieci e tolse la benda c’erano tutti i suoi amici davanti a lui che ridevano come matti. Di quella storia si sarebbe parlato a lungo in paese.
La bionda alla prima curva tolse la parrucca e si fermò al portone all’angolo. Due anziani portinai erano alla guardiola.
«Scusi, cerca qualcuno?» chiese il signor Mario.
«Cerco la famiglia Macci.»
«Ha un volto familiare... è una parente?» chiese sua moglie Mina.
«Sì, sono una parente. Mi trovo di passaggio, volevo salutare Lidia ed Anna.» «Allora vada pure. Terzo piano.»
Dopo che si fu allontanata, la signora Mina disse al marito.
«Hai visto, sembra proprio quella presentatrice della TV.»
«Ma dai, tu vedi la televisione dappertutto, è la tua ossessione.»
Al terzo piano Anna aveva aperto la porta e si era trovata davanti una sconosciuta.
«Prego?»
«Anna, sono io, non mi riconosci? Sono Vera.»
Il suono della voce era quello, solo che era talmente bella che non poteva crederci. Le sfiorò il volto con una carezza.
«Sei tu. Sei proprio tu…» disse e l’abbracciò stretta.
«Entra. Abbiamo tante cose da dirci. Non ci posso credere. Mamma non c’è, ma penso che tornerà presto. Vieni siediti, raccontami tutto.»
«Avevo telefonato a nostra madre e lasciato il mio numero di telefono. Speravo mi chiamassi.»
«Oh, Vera, mamma avrà perduto il tuo numero. Sai, ultimamente è un po’ “svanita”. A modo suo mi ha detto che ti parlava, pensavo fosse una sua fantasia. Non riuscivo a capire…» e guardandola negli occhi continuò: «Quanti anni… sempre con la speranza di rivederti, di sapere se mi avessi perdonato.»
«Anna, tu non hai colpa. È semplicemente andata così.»
Raccontare tanti anni non è semplice, specie se il dolore ha segnato il tempo scandendolo incessantemente, ma seduta sul divano accanto a sua sorella Vera si sentiva avvolta da un calore familiare che non aveva dimenticato e che le dava la forza di raccontare anche le cose più difficili da dire.
Sorseggiò il caffè che avevano preparato insieme, poi si alzò e si avvicinò alla finestra per guardare giù. Alcuni curiosi osservavano la sua macchina.
«Sai Anna, ho fatto una cosa…» disse con un sorriso un po’ amaro e le raccontò l’avventura del bar.
Sua sorella l’ascoltò e non sapeva se ridere o piangere.
Il rumore della chiave nella toppa le fece voltare.
«Vera, finalmente sei riuscita a uscire da lì dentro» disse Lidia indicando la TV e spalancò le braccia per accoglierla.
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Messaggio Da mirella Lun Gen 11, 2021 9:35 am

Un incidente turba la tranquilla quotidianaità di una famiglia. La vita è a una svolta.
Il "dopo" è molto triste: il padre che s'ammazza di lavoro per trovare il denaro necessario per l'intervento chirurgico al fine di restituire alla figlia un volto gradevole, la cattiveria dei bambini, l'angoscia di Vera quando acquista coscienza del suo volto deturpato.
Non sono cose facili da superare, ma la ragazza è determinata e alla fine, anche se a prezzo di sacrifici che lasciano lividi nell'anima, avrà la sua rivincita. Ma niente sarà più come prima.

Hai voluto dare un finale ottimistico al dramma familiare; certo la vita continua, ma niente si cancella. Mi sarei soffermata di più su questo aspetto che forse avrebbe dato maggiore profondità psicologica al personaggio di Vera e della madre.
Il racconto si legge volentieri ed è scritto in forma chiara e corretta. Prediligo la prima parte, molto realistica. L'unico appunto: ti suggerirei di curare il finale, che mi sembra un po' frettoloso.
Noto comunque che, rispetto ai primi racconti (di dieci anni fa), hai migliorato molto la qualità della scrittura, nei racconti come nei commenti. Complimenti!

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Messaggio Da gemma vitali Lun Gen 11, 2021 9:46 am

Cara Mirella sono molto contenta di questo tuo commento . Nel tempo ho rivisto tutti i miei racconti e ho cercato di migliorarli. Molti sono finiti in antologie di concorsi. Questo che non rileggevo da tempo mi ha dato lo spunto per un personaggio che sarà presente in un racconto più lungo. La prima parte ha alcuni passaggi di vita familiare vissuta e la vita  spesso è molto più ricca di eventi che non un racconto. Un abbraccio.
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Messaggio Da Petunia Lun Gen 11, 2021 1:29 pm

Ciao Gemma. Un altra bella storia a lieto fine. Leggere i tuoi racconti rasserena. Ci trovo il gusto delle cose buone, non so come spiegarti. La tua penna scivola agile ed è semplice entrare in empatia con i personaggi. Come ha già fatto Mirella, anche io ti suggerisco di lavorare ancora sulla parte finale della storia. Senza i vincoli dei contest, puoi approfondire e curRe al meglio tutte le fasi del racconto.
Bella lettura.
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