Cinque componimenti in versi liberi (quindi bisognerebbe chiedere ai moderatori lo spostamento nella sezione giusta) con voce fuori campo in prosa che fornisce un contesto per interpretare le poesie.
Le poesie sono definite lettere, scritte in prima persona tutte dallo stesso narratore (Acepsut) e destinate tutte alla stessa destinataria (Akenafis) alla quale il narratore si riferisce in seconda persona.
L'assenza di risposte da parte di Akenafis può essere interpretata in diversi modi: le risposte esistono, ma non sono riportate; le risposte non esistono. Se anche esistessero risposte, Acepsut non ne fa alcun riferimento, rendendo le cinque lettere di fatto un monologo in cinque parti.
A me piacciono questi componimenti epici in versi, o comunque mi affascinano, e questo non fa eccezione. L'abbondanza di immagini metaforiche di ispirazione erotica mi ricorda il Cantico dei cantici; del resto, i nomi usati ricordano (anche se non viene nominato esplicitamente) l'antico Egitto e/o comunque una cultura di tipo semitico, proprio come l'ispirazione del Cantico.
Quello che mi resta di quest'opera è la sensazione che Acepsut sia rimasto ossessionato dall'amore per Akenafis, la quale ha probabilmente ricambiato ma in modo più superficiale. L'esito finale, tragico, raccoglie in sé il corto circuito mentale in cui è caduto il protagonista; il quale si sarebbe forse potuto salvare dopo le prime lettere, ma la cui situazione invece si aggrava e scende in un pozzo da cui non riesce più a uscire.