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Il Canto e il Sogno Empty Il Canto e il Sogno

Messaggio Da Different Staff Sab Mar 02, 2024 12:02 am


0 – La fine del Sogno

All’inizio fu il Serpente Arcobaleno.
Il suo Spirito dette il via al Tempo del Sogno, il Tempo in cui tutto prese vita, in cui tutte le creature uscirono dal buio e presero a muoversi sulle vie del mondo. Il Tempo in cui anche le rocce, il deserto e i corsi d’acqua assorbirono parte dello spirito e divennero tutt’uno con gli esseri viventi, costruendo un legame che pareva indissolubile fra terra, uomini, animali e piante; un legame naturale chiamato il Sognare, perché, come il Sogno, la creazione non avesse mai fine.
E fu quello il tempo in cui sorse anche il grande monolite chiamato Uluru.
Poi, il Serpente Arcobaleno, esaurito il suo compito, distese le sue spire sulle colline che ancora portano il suo nome e divenne anch’esso parte della terra.
Ma, col trascorrere dei millenni, il Sognare cominciò ad affievolirsi, fin quasi a spegnersi del tutto, offuscato dai bagliori di città sempre più grandi e dai riverberi di edifici che, nel loro incedere, rubavano spazio anche al deserto; esautorato dal comportamento di esseri che, consapevoli o meno, parevano decisi piuttosto a farlo crescere dentro di sé, il deserto.
Fu dunque proprio il Deserto, col suo Spirito inquieto, che decise di mettersi all’opera: cancellare tutto e ripartire da zero; far rinascere il Tempo del Sogno e restituire al Sognare l’antica dignità. Far sì che anche le formiche verdi potessero tornare a sognare.
E la prima tappa sarebbe stata ricreare il buio e le sue creature.



1 – Sal

Si voltò un attimo, verso l’ultimo scorcio scintillante della città: acciaio, cemento e un vortice di auto e pedoni senza fine. Libero, finalmente. Ma anche consapevole che, ovunque fosse andato, per quanto piccolo il suo bagaglio, si sarebbe comunque portato dietro un ingombrante se stesso.
Se stesso e un certo senso di solitudine che solo ora sembrava riuscire a mettere a fuoco: sentirsi solo in mezzo a un milione di persone, fra donne e uomini che quella sensazione, insieme a molte altre, l’avevano bandita, cancellata, sostituita con luci abbaglianti ed effetti speciali, effimere compagnie che creavano solo assuefazione.
Scosse la testa e, con un’alzata di spalle, riprese il suo cammino. Nessun rimpianto: troppo forte era stato lo stimolo, il desiderio di allontanarsi dalla città, che aveva sentito nascere improvviso e prepotente dentro di sé.
Soltanto un piccolo brivido, un leggero tremito, giusto il senso di timore per l’ignoto che, da quel momento, gli sarebbe andando incontro. Strinse il giubbotto e via, passo dopo passo, i pollici infilati sotto gli spallacci dello zaino mezzo vuoto, nelle folate di vento che parevano volergli strappare la pelle di dosso.
Via via che usciva dalla città tutto appariva sempre più degradato, la faccia nascosta dello splendore fatta di sporcizia, miseria e alcol a buon mercato. E in breve si trovò a calpestare buche fangose piene di erbacce, tratti di asfalto sbriciolato e sporco.
Gli sembrava di essere tornato indietro di secoli.
Carcasse di auto arrugginite; macchie nere di copertoni bruciati; pezzi di macchinari obsoleti ricoperti da arbusti scheletrici e spinosi che, nella luce radente del tramonto, parevano artigli conficcati nel corpo della preda. E, in quelle zone, sarebbe potuto diventarlo lui stesso.
E poi le figure furtive che apparivano e sparivano fra cespugli e ciuffi d’erba alta. Brevi visioni colte con la coda dell’occhio. Animali. O forse bambini. In un caso o nell’altro, incontri da evitare. Circolavano voci che presso alcuni gruppi dell’outback i figli venissero allevati come bestie, capaci di contendere il cibo alle fiere stesse.
Era convinto che non sarebbe stata una passeggiata. Ma continuava ad andare avanti, sfidando il vento, la paura e il freddo.
Sapeva bene dove andare, anche se avrebbe giurato di non esserci mai stato.
Un luogo preciso, in mezzo al deserto.


2 – Odile

Sfiorò il pulsante sul pannello dell’ascensore e le porte si aprirono. Entrò nella capsula trasparente che scorreva sul fianco del palazzo di vetro e acciaio in cui lavorava e iniziò la discesa. E, come ogni volta, sfruttando l’orientamento dell’edificio, lasciò vagare lo sguardo verso l’orizzonte lontano dell’outback dove, in giornate limpide come quella, si poteva scorgere anche la sagoma dell’antico monolite.
Un tuffo dal trampolino. Un senso di libertà della durata di un battito di ciglia.
Un lieve effetto di accelerazione e in pochi secondi gli immensi spazi sparirono alla vista, e, giunta a livello stradale, si ritrovò immersa nel solito brulichio di gente e veicoli che le mozzava il respiro.
Topi.
Cavie ficcate in labirinti dalle alte pareti a specchio, senza via d’uscita. Così le parevano i suoi simili e così si sentiva lei stessa.
Ma con una differenza: la consapevolezza.
Si era svegliata già con la precisa sensazione di essere rimasta sola, quasi fosse l’unica sopravvissuta di una catastrofe; di poter contare solo su di sé, perché quegli esseri che le camminavano a fianco o le venivano incontro non parevano altro che dei morti viventi, degli inconsapevoli passeggeri di un treno lanciato a mille verso il precipizio.
Cercò inutilmente di cacciar via i pensieri e, con un leggero salto, si immise sul tapis roulant che scorreva indifferente verso la via di casa: semplici spostamenti da un luogo all’altro senza niente di nuovo o di bello da osservare.
Mai come ora sentiva che era ormai andato perso il gusto di fare quattro passi da soli o in compagnia, il piacere del passeggiare senza una meta che ormai trovava evocato soltanto nei suoi vecchi libri. Nei quali non vedeva l’ora di immergersi.
E, con quell’idea in testa, si immaginò in piedi, di fronte agli scaffali, a cercare testi che assecondassero quello strano desiderio che le si era insinuato dentro: la voglia di una camminata senza scopo, di un vagare da flâneur completamente impensabile qui e ora, in un tempo così lucido e asettico, senza più sorprese da assaporare o regalare; in quella vita da semi-addormentati che conducevano tutti quanti.
Il desiderio di lasciare tutto e andare verso il deserto.
Entrò in casa e, appena oltre la soglia, sentì la spinta diventare incontenibile. Capì che non c’era tempo per attardarsi fra le pagine di un libro né per sedersi al tavolo di una cena solitaria. Scambiò l’abito elegante e le scarpe col tacco con jeans, felpa, giubbotto e calzature comode, legò i capelli in una stretta coda e in un batter d’occhio si ritrovò di nuovo in strada. Un vecchio zaino e una nuova sensazione, un misto di paura e curiosità per l’ignoto, come uniche compagnie.
Si avviò decisa verso le fiamme del tramonto, sferzata dal vento. Verso un luogo che pareva essere stato impresso a fuoco nella sua mente.


3 – Wiltja

Con la preda ancora stretta fra le dita, un giovane wallaby che troppo tardi si era reso conto dell’importanza di correre veloci, il ragazzo si accucciò fra i ciuffi d’erba che fiancheggiavano la strada.
Era uno dei pochi del suo sparuto gruppo di busher che non aveva paura di spingersi così vicino ai margini della città: molti animali si aggiravano nelle zone della periferia in cerca di cibo e, per un giovane cacciatore come lui, c’era solo l’imbarazzo della scelta.
Così, come al solito, a piedi nudi e abbigliato solo di un paio di calzoncini corti un po’ sfilacciati, si era tuffato nell’acqua del torrente vicino alle baracche che davano riparo alla sua gente e si era rotolato nella sabbia rossa del deserto; poi si era cosparso viso e capelli col succo verdastro di alcuni licheni; e, ben mimetizzato, aveva atteso la sua vittima.
Ma fin dal mattino aveva colto qualcosa di diverso nell’aria. Suoni e odori nuovi, portati dal vento, carezzavano i suoi sensi e instillavano nel suo spirito semplice sensazioni contrastanti e intense, mai provate prima.
Un canto sommesso e distante che pareva scaturire dalle profondità stesse della terra sembrava volerlo avvolgere nelle sue spire suadenti, attrarlo verso di sé per guidarlo verso luoghi sconosciuti; tanto potente che aveva faticato non poco per tenerlo a bada e riuscire a catturare il wallaby, misera selvaggina che forse sarebbe stata appena sufficiente a sfamare se stesso.
E ora, quelle due figure solitarie, illuminate dagli ultimi raggi del sole, che avanzavano distanziate di qualche passo lungo la strada che si perdeva nel deserto. Camminavano, incuranti del vento, sollevando a tratti la testa come per fiutare una debole traccia o ascoltare un richiamo lontano. Wiltja li osservò dal suo nascondiglio, sempre più convinto che anche loro dovevano essere preda dello stesso incantesimo: un uomo e una donna della lucente non si sarebbero spinti nell’outback, a piedi e disarmati, se non attratti da qualcosa di irresistibile.
I due lo raggiunsero e superarono, mentre la distanza fra loro diminuiva passo dopo passo, e Wiltja, abbandonata la preda e, sfidando la diffidenza inculcata fin da piccoli verso i cittadini, cominciò a seguire le ombre esili che si allungavano sull’asfalto.
Verso il deserto.


4 – Il Deserto

All’apparenza era tranquillo, specie ora che il vento era un po’ calato d’intensità. Ma il suo Spirito era tormentato, fremente nell’attesa di chi, nonostante l’approssimarsi del buio, ancora non si vedeva. E pur sapendo per certo che i tre viandanti sarebbero arrivati.
Per tutto il tempo aveva continuato a disfare e ricomporre le sue dune, granello per granello, mutando senza posa le linee sinuose del paesaggio. Si era spinto fino ai margini della città, cavalcando le onde di sabbia che avevano graffiato i cristalli scuri dei palazzi, ed era tornato indietro nei mulinelli che vorticavano lungo il nastro nero del quale stava pian piano riprendendo possesso.
Sapeva, il deserto, che presto il suo dominio si sarebbe esteso di nuovo, fino ad arrossare le strade e i quartieri già assediati da vicino, nell’incuranza di quegli esseri ormai quasi del tutto privi del germe di natura che, in tempi ormai lontani, li aveva resi parte del Sognare.
Gli abitanti del mondo si erano fatti sordi ai Canti. Diventati stanziali, avevano edificato inutili totem scintillanti e sdipanato fili scuri sopra le sue sabbie; avevano perso il contatto con l’essenza.
Si era esaurito il vagare nomade, il lento camminare da un pozzo all’altro, da un villaggio all’altro; e con esso era cessato lo scambio di canti e sogni fra gli uomini. I corpi si erano svuotati, come tronchi secchi ai margini dell’outback, spelonche cave e impietrite nelle quali nemmeno i serpenti avrebbero scelto di vivere.
Era scomparsa la fantasia, la capacità di meravigliarsi, il desiderio di cercare.
E anche le formiche verdi, cacciate dai loro luoghi sacri, avevano smesso di sognare.
Chiari segnali che il Tempo del Sogno, così come era nato, stava volgendo al termine; che il Sognare era relegato solo a pochi, e a quei pochi il Deserto aveva dato il compito di lanciare i richiami, vaghi appelli verso coloro che, pur vivendo fra i senza cuore, in fondo al loro essere ancora ne conservavano un barlume.
Quattro vecchi aborigeni si erano seduti ai vertici dei venti, ai piedi dell’antico monte degli Anangu, le cui pareti rossastre ancora mostravano le cicatrici della lotta fra Liru e Kunia.
Ed erano iniziati i canti.


5 – I tre viandanti

Ancora pochi passi e furono costretti a fermarsi nel buio fitto che li aveva colti alla sprovvista. Da un po’ di tempo camminavano affiancati sulla lingua d’asfalto. Era bastato uno scambio di sguardi per riconoscersi compagni di viaggio, per capire che avevano in comune la stessa meta, la stessa guida nella mente. Senza fermarsi, avevano condiviso i loro nomi come pezzi di pane.
Ma ora la notte li circondava e non lasciava più intuire alcun punto di riferimento. Alzando gli occhi al cielo potevano godere di un firmamento straripante di puntini: agglomerati di stelle impossibili da cogliere nel cielo cittadino e invisibili anche ai busher come Wiltja, tanto estesa era la fascia luminosa.
Miliardi di punte di spillo a formare pagine e pagine di segni di un alfabeto ormai sconosciuto, di una lingua che nessuno dei tre era capace di interpretare per ritrovare l’orientamento e la direzione, ora che anche il vento era calato, il canto taceva e l’asfalto era diventato tutt’uno con il buio.
Il ragazzo prese per mano la donna e l’uomo e li condusse fuori dalla strada, verso la sagoma appena percettibile di una capanna. Sfruttando le minime conoscenze della loro lingua, spiegò loro l’utilità di formare un cerchio di arbusti tutto intorno, ai quali dar fuoco per tenere lontani animali notturni e spiriti malevoli.
Divisero le poche provviste e, vinti dalla stanchezza, si addormentarono su un inusuale giaciglio – almeno per due di loro – di sterpi e foglie.
Li destò il fruscio della sabbia soffiata dal vento contro le pareti di frasche. Era appena sorta l’alba e del fumo grigio ancora esalava dalle ceneri dei falò. Dopo una breve sosta al pozzo si rimisero in cammino. Con il vento, anche il canto era tornato a farsi vivo e i banchi di nuvole che si stavano addensando all’orizzonte, e che avrebbero attenuato i dardi infuocati del sole, sembrarono loro un buon viatico per andare avanti.
A dispetto di tutti i timori, quello che doveva essere un viaggio avventuroso e irto di pericoli, si dimostrò invece più semplice del previsto. Si trattò più che altro di lunghe camminate a passo sostenuto e di brevi soste per rifocillarsi presso i pozzi che ogni tanto affiancavano la strada. Il canto arrivava comunque sempre più chiaro e forte. Li avvolgeva e proteggeva il loro cammino.
Wiltja spiegò ai suoi compagni che la strada che stavano percorrendo era molto vecchia. I racconti tramandati dagli anziani la definivano come una specie di serpente sacrilego, posato dai bianchi sulle sabbie del deserto al solo scopo di profanare la loro terra e il monolite caro agli spiriti. Sal e Odile si scambiarono uno sguardo d’intesa: era stata una via per far arrivare facilmente i turisti ad Ayers Rock, creata, come sempre accadeva, senza curarsi del male che ne poteva derivare agli aborigeni. Una via comunque già da tempo abbandonata, da quando anche il turismo era cessato, insieme alla voglia di viaggiare, di scoprire uomini e orizzonti diversi.
Alcuni segni lungo il cammino indicarono loro che la meta era vicina: un manifesto con la sagoma del monte scolorita dagli anni e, poche centinaia di metri dopo, lo scheletro di un chiosco dove una tazza, con il muso di un koala appena distinguibile, tintinnava nel vento appesa a un gancio arrugginito.
Era quasi sera quando i tre viandanti raggiunsero la destinazione: il gigantesco monolite di Uluru apparve davanti ai loro occhi come la punta di un iceberg dai colori cangianti che si stagliava sul mare rosso del deserto.


6 – Uluru

Accolse i nuovi arrivati con un vecchio aborigeno accovacciato in squat con a fianco un lungo yam-stick stretto nella mano. Era l’ultimo dei quattro disposti ai vertici dei venti. Dimostrando un’inattesa agilità, scattò in piedi e, dirigendosi verso di loro, li gratificò di un sorriso fatto di rughe profonde e denti storti e di un breve discorso in una lingua antica e dolce, della quale solo Wiltja sembrò afferrare qualche parola. Poi, indicando la montagna con il bastone, fece loro cenno di seguirlo e si avviò spedito verso uno dei tanti anfratti che ne solcavano il fianco.
La spaccatura si rivelò essere l’ingresso di una grotta.
I tre si affacciarono all’interno e dovettero schermarsi gli occhi con le mani, tanta era la luce prodotta dalle migliaia di fiaccole appese alla volta. E, una volta assuefatti al riverbero, si resero conto che le meraviglie non erano finite.
Incastonate nelle pareti della caverna c’erano centinaia di cellette di forma ovoidale interamente ricoperte da una membrana di vetro o pellicola trasparente, attraverso la quale erano distinguibili gli occupanti: donne e uomini di età ed etnie differenti rannicchiati in posizione fetale e profondamente addormentati. Solo tre delle celle erano ancora vuote e aspettavano proprio loro.
Il vecchio li fece spogliare e li condusse sotto dei potenti getti d’acqua tiepida che li rinfrancarono e pulirono Wiltja degli ultimi resti della sua mimetizzazione. Poi li accompagnò davanti alle cellette vuote e, una volta entrati ognuno nella propria, parlò ancora nella stessa lingua con la quale li aveva accolti.
Quasi fosse un preciso comando, alle sue parole anche le ultime membrane trasparenti si chiusero e un turbine di vento e sabbia salì a spegnere le torce, come fossero candeline su una torta di compleanno.
Odile, Sal e Wiltja dopo pochi secondi già condividevano il sonno di tutti gli altri abitanti della grotta. E l’oscurità divenne un rassicurante abbraccio, una sorta di avvolgente placenta, pronta a custodire le nuove creature del buio.


7 – Il Deserto

Ora che il primo atto poteva dirsi finalmente concluso, era tempo di proseguire l’opera.
Lo Spirito del Deserto si acquattò fra le sue sabbie come un grosso felino pronto a balzare sulla preda. Tutti avrebbero conosciuto la sua potenza e, ci fossero voluti dieci o mille o diecimila anni, il Tempo del Sogno sarebbe comunque tornato a vivere. E con lui avrebbe ripreso fiato l’antica armonia perduta.
Nella notte, intanto, il vento ricominciò a infuriare.
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Messaggio Da Petunia Dom Mar 03, 2024 3:29 pm

Il paragrafo 6 vale da solo la lettura. Questo racconto, per l’ambientazione,  sarebbe stato bene nello step di different rooms di qualche tempo fa.
Scritto molto bene, in bilico tra realtà e fantasia tra passato e futuro in una sorta di uorboro. Il ciclo vitale che inizia di nuovo, il serpente arcobaleno si sveglia, le larve umane prescelte  tra le persone  che non sono  più capaci di vivere nel mondo presente.
Forse non troppo originale, ma di sicuro un bel racconto che ho letto volentieri. La parte 6 è quella che ho apprezzato di più. Complimenti.
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Messaggio Da M. Mark o'Knee Dom Mar 03, 2024 11:19 pm

Il mito aborigeno della creazione, del Tempo del Sogno, che ha bisogno di essere rinverdito nel momento in cui gli esseri umani (e le formiche verdi) smettono di sognare. E il Deserto subentra al Serpente Arcobaleno per far ripartire tutto.
Nel racconto non viene specificato un momento, un anno, preciso, ma non credo che gli avvenimenti siano calati in un tempo troppo distante dal nostro: già oggi è possibile vedere specie di zombi aggirarsi con occhi vacui per le città.
La storia è ben concepita e sostenuta da una scrittura piuttosto sicura e senza errori evidenti. Si possono cogliere alcune ripetizioni, ma direi che, nel contesto, sono piccoli peccati veniali che non appesantiscono affatto la lettura: il testo infatti scorre fluido, con giuste interruzioni in capitoletti per riprendere fiato.
Buona la caratterizzazione dei personaggi, fra i quali spicca, per potenza, lo Spirito del Deserto, già in piena operatività per il compimento della sua missione. Ce lo vedo proprio nei panni di un gattone rossiccio "pronto a balzare sulla preda".
Aggiungo una piccola annotazione sulla location scelta: Uluru era infatti uno dei luoghi dell'ottavo step (se non ricordo male) di Different Rooms e penso che questo racconto non ci avrebbe sfigurato - naturalmente con l'aggiunta di un "salotto"...
Grazie
M.

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Messaggio Da ImaGiraffe Mar Mar 05, 2024 11:06 am

Per chi, come me, ha partecipato allo step in cui uno dei paletti era Uluru, non può che aver già letto molti dei riferimenti a quella cultura aborigena, che viene sempre poco considerata. Questo mi ha avvicinato molto al testo e predisposto in modo positivo.
Ha reso la trama bella e affascinante.
L'idea di dividere il racconto in "capitoli" l'ho trovata veramente azzeccata; è uno dei rari casi in cui il risultato non sembra il riassunto di un libro, ma piuttosto il modo di dare un ordine al racconto.
Quindi solo per questo, ti vanno i miei complimenti.

Dal punto di vista della "pancia", il racconto non mi ha coinvolto come avrebbe potuto. Quello che mi ha "commosso" di più è il ricordo che ha risvegliato in me, piuttosto che il racconto stesso, il che è un peccato perché il potenziale c'è. A mio avviso, quello che ha frenato la mia "pancia" è il ripetersi dei concetti nei vari capitoli. Si capiscono sin da subito le intenzioni dei personaggi, quindi mi sembrava superfluo calcare la mano con immagini e sensazioni.
Tutto questo, però, non compromette il racconto che rimane più che piacevole da leggere.
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Messaggio Da Fante Scelto Ven Mar 08, 2024 11:06 am

Il mio indice di gradimento per il racconto è andato in calando via via che la lettura proseguiva.
L'ambientazione pre-apocalittica mi aveva piuttosto coinvolto, grazie anche alle sapienti descrizioni e a un narratore onnisciente più che sobrio.
Poi però la storia non si è evoluta, o comunque non è andata lontano come pensavo. Sono un po' rimasto freddino di fronte alla mancata profondità dei personaggi, che sono proprio solo dei nomi che camminano verso un luogo senza sapere perché, forse non così diversi dal resto dell'umanità della quale non si sentono più parte.
Speravo che almeno il finale mi risollevasse un po', ma non credo di averlo compreso fino in fondo. Immaginavo che Uluru ospitasse una qualche vita alternativa, o un passaggio verso un posto migliore, e le capsule criogenetiche mi hanno un po' spiazzato. Pensavo fosse opera di alieni, o un progetto di nuova genesi tutto umano (che sarebbe stato un bel colpo di scena viste le premesse), invece sembrerebbe un piano dello Spirito del Deserto per eliminare l'umanità e soppiantarla con solo "i meritevoli" selezionati. Se ho ben interpretato.
Non so, è una soluzione narrativa che non mi convince molto, perlomeno in questa veste, perché sembra mixare tra loro due elementi, natura e creazione umana, senza che ci sia vera commistione.

Qui forse pesano anche un po' le mie personali convinzioni sull'argomento, ovvero che l'Uomo è un prodotto della Natura, e di conseguenza si comporta esattamente come la Natura ha voluto e previsto, incluso la sua eventuale autodistruzione. Non riesco a trattare l'Umanità come fosse qualcosa che con la Natura non c'entra niente, ma a livello narrativo non trovo mai autori che esplorino questa possibilità, ed è un peccato secondo me.

Nulla da dire invece sulla tua scrittura, che è davvero ottima. Leggendo mi sono sentito coinvolto dall'atmosfera, dalle descrizioni essenziali ma funzionanti, e persino dalle sensazioni che hai saputo suscitare molto bene e con maestria.
Apprezzata anche la suddivisione in capitoli, che su racconti brevi è sempre un rischio, ma a te è riuscita in pieno.

In conclusione, rimango combattuto tra forma, eccellente, e contenuto, che invece non mi ha appagato del tutto.
E' sicuramente un lavoro con più pregi che difetti, comunque.
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Messaggio Da Giammy Ven Mar 08, 2024 3:11 pm

Sono molto combattuto sul commento da riportare riguardo il "Il canto e il sogno". Mi chiedo se la mia concezione di racconto sia valida o se la devo totalmente rivedere. Per certi aspetti il testo è un gioiello, come evidenziato da molti. L'autore o l'autrice ha una grande padronanza del vocabolario e della grammatica, oltre a una significativa conoscenza del tema trattato, viste tutte le citazioni e i riferimenti. Proprio il riconoscere le qualità del suo creatore mi porta a notare e amplificare alcuni aspetti che da positivi diventano negativi. Mi riferisco alle ripetizioni di alcune parti la cui assenza non avrebbero pregiudicato la comprensione della storia, anzi,  avrebbero conferito un ritmo diverso, meno schiacciato. 
Ritorno al passaggio iniziale in cui rifletto sulla funzione del racconto, che nelle mie convinzioni deve sempre fornire tutti gli elementi utili a favorire la comprensione del lettore. A maggiore ragione mi aspetto di vedere una capacità esplicativa da parte di chi padroneggia con bravura la "lingua scritta", come in questo caso. 
Ne sono consapevole, in parte è colpa mia che durante la lettura ho scontato la mia ignoranza rispetto a tanti riferimenti o termini a me sconosciuti e proprio perché li ignoro ho bisogno di un narratore che mi aiuta a capire. Se questo manca il risultato finale è compromesso. E mi chiedo: per chi si scrive? E aggiungo: perché si scrive? Perdonate le mie fisime mentali che assolutamente non desiderano penalizzare un testo rispetto a un altro. 
Per concludere, "Il canto e il sogno" è un ottimo lavoro anche se non è il mio preferito.
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Messaggio Da tommybe Ven Mar 08, 2024 3:56 pm

Questa volta pensavo di aver scritto un buon racconto, ma dopo aver letto il tuo, autore, corro a nascondermi, a sotterrarmi. Sei di una bravura immensa.
Una volta scoperto il tuo nome sarò fedele alla tua scrittura per tutta la vita.
Volevo riportare qualche frase che mi è rimasta particolarmente impressa nella memoria, poi mi sono ricordato che non ho più memoria, almeno quella breve. Mi devi dare fiducia sulla parola, autore. Sei il più grande.
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Messaggio Da Molli Redigano Lun Mar 11, 2024 11:31 pm

Il racconto è scritto molto bene. Personalmente mi ha colpito il lessico variato. Concordo con chi sostiene che la divisione in "capitoli" è sempre un rischio in un testo breve, ma in questo caso ci sta benissimo. 

Confesso candidamente che fino al "capitolo" 6 ci stavo capendo ben poco. Voglio dire che non riuscivo a collegare tra loro i "capitoli" precedenti. Anche perché, e ancora ci penso, effettivamente non c'è collegamento tra i tre personaggi di ciascun paragrafo, se non l'ambiente in cui vivono e il richiamo del deserto. Ecco, il richiamo del deserto l'ho sentito anch'io e mi ha messo i brividi, quasi fossi pronto a seguirlo. Questa è una sensazione forte.

Giunto all'epilogo o quasi, ho compreso la fine del ciclo che è compiuto e le basi per il nuovo ciclo che verrà. Trasportato nella realtà aborro "il nuovo inizio" che sarà, ma lo apprezzo incondizionatamente a fini narrativi. 

Ultima osservazione: l'Autore certamente conosce bene luoghi e tradizioni o, se non è così, ha svolto un grande lavoro di ricerca.

Grazie

______________________________________________________
"Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci lectorem delectando pariterque monendo."

"Ottiene il risultato migliore chi - nell'opera letteraria - ha saputo unire l'utile col piacevole, divertendo e ammaestrando nello stesso momento il lettore."

Orazio, Ars Poetica, vv. 343-344


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Messaggio Da Arunachala Mar Mar 12, 2024 10:21 am

ambientato nel medesimo luogo di un mio racconto dal titolo "Tjukurrpa, il tempo del sogno", si legge con piacere fino in fondo, essendo molto scorrevole e ben scritto.
tutti i paragrafi sono gradevoli, ma gli ultimi due li trovo particolarmente belli.
in generale, la storia, pur apparendo complicata, è molto semplice: smettere di sognare è deleterio.
e concordo appieno.

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Messaggio Da FedericoChiesa Mar Mar 12, 2024 10:32 pm

Un racconto che mi è particolarmente piaciuto.
L'inizio mi ha ricordato la Genesi, anche per il lessico utilizzato, l'enfasi che permea le frasi.
I personaggi sono ben inquadrati nel mondo di acciaio e cemento.
Alla fine, nella grotta, il cerchio si chiude.
Non mi ha fatto impazzire solo la suddivisione in capitoli, o almeno non li avrei numerati, ma è una piccolezza.
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Messaggio Da mirella Mer Mar 13, 2024 11:07 am

Forse vado controcorrente, ma il testo non mi ha convinto, malgrado  la qualità della scrittura e le belle descrizioni relative al mito aborigeno della creazione.
Il paragrafo 0 si collega al settimo, conferendo al racconto un andamento ciclico, ma i personaggi rimangono scollegati lungo tutto il percorso narrativo e si ricongiungono solo nella grotta dove gli spiriti dormienti recuperano, attraverso il sogno rigeneratore, l’originario legame intimo e autentico con la natura.
Ma Sal, Odile,Wiltja  non lo sanno – e non lo sa il lettore - che rimane in attesa di capire il senso  di questi percorsi autonomi e quale sarà la meta finale.
I protagonisti fuggono da città degradate verso il deserto. Sono ombre, che non sanno dove andare; ma restare è insopportabile. La  descrizione apocalittica di città disumanizzate prevale sulla descrizione dei personaggi, delineati da pochi tratti essenziali.
Probabilmente il non dire è finalizzato a suscitare attesa e generare pathos nel progressivo succedersi di tappe narrative. Nel mio caso non ha funzionato, forse perché l’iter narrativo è lungo rispetto alla brevità del finale. Il racconto ha creato aspettative poi deluse, senza regalarmi emozioni.

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Messaggio Da Gimbo Ven Mar 15, 2024 6:22 pm

Ho apprezzato la scrittura ben curata e l'ambientazione suggestiva, ammiro in particolare la divisione in capitoli che ha contribuito a mantenere un ritmo fluido nella narrazione. Ho inoltre notato una ricchezza lessicale e una padronanza dei temi trattati. Tuttavia, non mi è completamente chiaro il collegamento tra i personaggi per via della complessità della trama, che ha reso difficile seguire la storia. Ho notato alcune ripetizioni e alcuni passaggi mi sono sembrati meno coinvolgenti. Ciononostante, valuto positivamente il racconto nel suo insieme, anche se ho notato i problemi sulla struttura e sul contenuto.

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Messaggio Da caipiroska Sab Mar 16, 2024 12:01 am

Un racconto scritto davvero molto bene, ma che alla fine mi lascia un po' perplessa per una storia che non mi convince del tutto.
Il viaggio dei tre personaggi è ben descritto, si alternano dubbi e perplessità, coraggio e timore, ma il perchè di questo viaggio rimane a mio avviso un po' troppo sospeso. Inoltre avrei alleggerito il testo perchè in alcuni punti ho avvertito un po' di fatica nella lettura avvertendo una certa pesantezza d'immagini e concetti.
I tre si addormentano in attesa di qualcosa che non mi è arrivato nitidissimo, presumo una futura rinascita solo per pochi eletti, ma non ho ben capito in base a quali requisiti queste persone siano state selezionate.
Ecco, credo che il testo sia ricco di belle descrizioni, ma avaro di informazioni.
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Messaggio Da CARLA EBLI Lun Mar 18, 2024 8:42 am

Il modo in cui scrivi è veramente da elogiare, ma non posso commentare questo racconto, perché non riuscirei ad essere obbiettiva.
Per gusto o limite, se vuoi, personale questo tipo di racconti non entra nelle mie corde, tanto che ho faticato a leggerlo.
Quindi mi astengo da qualsiasi altro commento e mi limito ad elogiare il tuo stilee la tua bravura nel maneggiare la scrittura.

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Messaggio Da Susanna Mar Mar 19, 2024 12:02 am

Uluru, ovvero un bellissimo ottavo step di Rooms! Quanti ricordi! Uno spunto perfetto per questa prima tappa di una nuova avventura.
Un gran bel racconto e devo dire che quando sono arrivata alla fine mi è spiaciuto, perché le atmosfere sono state così ben descritte che avrei voluto altro da leggere. Il ritmo tiene bene dalla prima all’ultima riga, senza un tentennamento e la lettura è scivolata via, grazie a una scrittura potente e sicura. La suddivisione in capitoli, sempre un azzardo nei racconti brevi, a mio parere ha permesso alla Penna di dare il giusto spessore ai singoli personaggi e al momento in cui sentono di dover partire: li ho trovati tratteggiati con cura e al contempo con semplicità, rendendoli ben immaginabili al lettore.
Il tema del primo step, il deserto, è sviluppato con cura ma senza eccessi: un deserto vivo, in collera con l’uomo che ha fatto invece di se stesso un deserto, ma un deserto definitivo e senza possibilità di riparazione, senza più il desiderio di sognare, di relazionarsi, di compiere quei tanti piccoli gesti che diano un senso alle giornate. Il finale chiude il cerchio con il primo capitolo: dopo tanta fatica per creare il mondo, adesso bisogna ricominciare da capo, e qui anche un po’ di fantascienza o simil fantascienza con le cellette che conservano esemplari di uomini che si spera, nel futuro, adottino comportamenti più consoni alla conservazione del mondo. Ma intanto il deserto deve ripulire per bene il mondo (semplificando).
Quindi, mi è piaciuto davvero.

Il viaggio dei tre viandanti nel deserto mi ha ricordato il controverso romanzo – inizialmente dichiarato autobiografico ma poi accertato essere solo di fantasia - di Marlo Morgan “E venne chiamata due cuori”, in cui la protagonista viaggia nel deserto australiano assieme ad alcuni aborigeni.
Quanto racchiude Uluru assomiglia invece un po’ a Il Global Seed Vault, un deposito nel remoto arcipelago artico delle isole Svalbard (anche qui un luogo decisamente inospitale) che garantisce la conservazione a lungo termine di duplicati di semi conservati nelle banche del germoplasma di tutto il mondo, da usarsi "in caso di ferale necessità".

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Messaggio Da Albemasia Mar Mar 19, 2024 10:50 am

Finalmente un racconto scritto con grande rispetto per il lettore, in quanto sicuramente l'autore/autrice ha dedicato del tempo per una revisione del testo, ripulendolo da eventuali refusi o ripetizioni. Anche la punteggiatura è stata correttamente distribuita in base a un ritmo apprezzabile e la formattazione in paragrafi ben definiti ha agevolato la lettura e la stessa comprensione delle vicende narrate. 
Personalmente apprezzo sempre un testo ben curato anche dal punto di vista orto-sintattico e lessicale.

Detto questo, devo riconoscere un mio limite rispetto al gradimento del genere scelto e anch'io mi sono "imposta" di mantenere alta l'attenzione fino in fondo, perché normalmente non amo questo tipo di genere.
Tuttavia ho apprezzato la storia e la descrizione accurata delle ambientazioni.
I personaggi, probabilmente per una scelta dell'autore/autrice, appaiono molto sfumati, quasi abbozzati. Non compare nemmeno un dialogo che aiuterebbe a caratterizzarli un po' meglio. Ma forse il motivo risiede nel fatto che in definitiva non sono che una rappresentazione di quella fetta di umanità "eletta", perché rimasta più sensibile all'importanza dell'interconnessione con il mondo naturale. 
Ecco, questa parte del messaggio mi è piaciuta meno, come se all'interno del "mare magnum" di uomini e donne che popolano il pianeta ci fossero abitanti di serie A - e quindi meritevoli di essere salvati e di proseguire il genere umano - e abitanti di serie B, passibili dell'azione purificatrice del deserto, che nel finale ha assunto un po' il ruolo di "Signora con la falce" che tutti livella. Almeno i "non salvati".
Insomma, nel leggere il finale mi è rimasto un retrogusto che mi garba poco. 
Poi magari è soltanto una sensazione mia che non rientra nelle intenzioni di chi ha scritto questo racconto, che resta sicuramente uno dei più belli di questo contest.
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Messaggio Da Achillu Mar Mar 19, 2024 11:21 pm

Ciao, Penna.

Ho notato questo refuso: "gli sarebbe andando" poi per il resto non ho avuto inceppamenti nella lettura.
Tra i tre personaggi il più piatto mi è sembrato Sal, mentre Odile e Wiltja sembrano avere un po' più di profondità. Dal punto di vista spirituale ho apprezzato molto il racconto, soprattutto i due personaggi che hanno provato a deviare dalla loro chiamata. Se proprio devo trovare un difetto, non succede nulla sulla strada tra la città luminosa e Uluru. Invece trovo molto bella e coinvolgente la costruzione del mondo, l'ambientazione è essa stessa un personaggio che si rivela senza necessità di spiegazioni. Man mano che la storia dei personaggi umani si appiattisce, ecco che il mondo futuro e preapocalittico si svela. Piaciuta molto questa narrazione.

Grazie e alla prossima.

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Messaggio Da Claudio Bezzi Mer Mar 20, 2024 9:18 am

Nessun errore, punteggiatura appropriata, ottima costruzione delle frasi. C’è il giusto ritmo, la giusta sospensione, fino a un finale forse inatteso negli elementi contestuali (la grotta con le nicchie) ma ben propiziato da quanto preceduto, in sé ovvio ma corretto, non originalissimo ma comunque appropriato. Ha i tempi giusti, le giuste caratterizzazioni (un po’ distaccate, senza eccessi, bene così), un certo “guardare dall’alto” la storia, come se fosse il Serpente Arcobaleno a sorvegliare, con una certa consapevole distanza, la storia dei tre protagonisti. Un distacco funzionale, coerente, anche leggermente ipnotico. Qualche piccolo décalage, qua e là - alcuni lettori li hanno sottolineati - vengono perdonati dalla qualità complessiva del racconto

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Messaggio Da vivonic Mer Mar 20, 2024 11:29 am

Ciao Autore. Aspettavo di rileggere questo testo a distanza di qualche tempo, per capire quanto fosse alto il mio gradimento. Trovo che sia un testo raffinato, scritto con molta attenzione e con una ricerca preziosa alle spalle.
Indubbiamente in molti di noi ha riportato alla mente l'ottavo step dello scorso concorso, e questo può essere un bene o un male.
Uluru era più una montagna in quello step, di quanto non fosse deserto, e infatti questo mi ha destabilizzato un po' all'inizio, quando leggevo per decidere sull'ammissione o meno.
Devo dire che è stata una lettura interessante e che mi ha arricchito.
Bello il titolo e bella la suddivisione in paragrafi che, invece di inceppare la lettura come sovente accade, la agevola.
Complimenti.

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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
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Messaggio Da Resdei Gio Mar 21, 2024 12:48 pm

A me questo racconto è piaciuto molto. 
Ho apprezzato il linguaggio, la scelta di dividere in brevi capitoli per dare chiarezza e ordine. Ottima l’atmosfera che hai creato con la descrizione di un mondo grigio e vuoto, per molti versi simile al nostro. 
I personaggi acquistano consapevolezza lungo il cammino, si dirigono fiduciosi verso un dove a loro stessi sconosciuto e che li sta aspettando. 
Molto poetiche alcune immagini. Davvero un ottimo lavoro. Complimenti.
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Messaggio Da gipoviani Ven Mar 22, 2024 3:23 pm

Il racconto è certamente ben scritto.
Tuttavia sarà per la divisione in parti, sarà per uno stile un po' barocco, non sono riuscito a comprenderne bene il senso. Probabilmente è colpa mia. 
Ho terminato il racconto con difficoltà e per ottemperare alla necessità di recensirlo. 
La frase finale mi è molto piaciuta.

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Messaggio Da Arianna 2016 Sab Mar 23, 2024 1:35 am

Racconto bello, suggestivo, ben scritto e strutturato. Mi è piaciuto molto l’incipit, con cui mi sono sentita in sintonia come atmosfera e mi ha trascinato con sé nel racconto.
Mi ha incuriosito il riferimento a formiche verdi e, tra l’altro, formiche verdi che devono tornare a sognare. Allora ho cercato su internet e ho trovato proprio le formiche verdi australiane e un film “Dove sognano le formiche verdi”, dove si fa riferimento al mito degli aborigeni per cui “le formiche verdi sognano” e distruggere il posto in cui lo fanno ha come conseguenza la distruzione dell’umanità. Il film lo devo ancora guardare (ma cercherò di farlo) quindi in realtà non so esattamente di cosa parla, ma mi sembra molto suggestiva questa idea di un legame così forte tra degli esseri piccoli come le formiche e l’umanità. Insomma, un po’ come la farfalla che batte le ali da una parte del mondo e provoca una catastrofe dall’altra.
Ho sentito forte il legame tra i personaggi e l’idea australiana delle “vie dei canti”. Tutto il racconto ha proprio questo “ritmo del cammino”.
Bella anche l’idea della nuova arca, nell’attesa della distruzione.
Suggestivo anche l’ultimo paragrafo, in particolare l’ultima riga.
Insomma, davvero un bel racconto che mi è piaciuto molto leggere.
 
Come dicevo, ottima la scrittura. Toglierei solo questa precisazione “un inusuale giaciglio – almeno per due di loro” che suona didascalica.
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Messaggio Da Asbottino Ven Mar 29, 2024 2:44 pm

Livello altissimo, poco da dire. Scrittura di una precisione disarmante, mai una parola fuori posto, mai un'immagine di troppo. Una ricerca lessicale quasi maniacale e idee chiarissime, dal principio alla fine. Certo è più un racconto di testa che di cuore, l'immedesimazione non scatta mai e non credo nemmeno potesse (o volesse) scattare. La storia vive di concetti e di immagini. Le emozioni sono rarefatte, asciugate fino a diventare polvere. Lettura che insegna molto a chi vuole scrivere, anche solo cosa sia la pulizia e la capacità di dire tanto in una spazio breve senza puntare a dire troppo e perdere lettori strada facendo. Bravissimo.

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Messaggio Da Byron.RN Sab Mar 30, 2024 10:38 pm

Mi piace l'atmosfera che sei riuscito a creare, una civiltà in disfacimento, senza più sogni e prospettive, con lo spettro dell'apocalisse in agguato dietro l'angolo.
Il paragrafo 6 forse è quello più gustoso, ma a me sono piaciuti anche il numero 1 e il 2, coi due cittadini che dopo aver percepito la chiamata abbandonano la città annichilente e intraprendono il loro viaggio in solitaria.
Anch'io come la maggior parte dei vecchi frequentatori del forum, ho avuto una sorta di dejà vu quando ho capito l'ambientazione e ho letto di Uluru.
Non so se questo racconto riuscirà a entrare nella mia top 5, ma il risultato è davvero buono.
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Messaggio Da Hellionor Dom Mar 31, 2024 9:42 am

Un racconto raffinato e ben condotto, che adotta un registro narrativo alto e coerente per tutto il testo. Ho apprezzato particolarmente proprio il registro narrativo, il lessico accurato e variegato.
La storia, o meglio il narratore onnisciente che le hai assegnato, tende a mettere una certa distanza emotiva tra lettore e personaggi, ma la considero una scelta consapevole e pertanto la apprezzo.
Il racconto è davvero molto ben scritto, non rientra nei miei personalissimi gusti ma questo non mi impedisce di complimentarmi per un ottimo lavoro.
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