Non chiamarmi Letty
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Non chiamarmi Letty
“Da quant’è che non venivi qui?”
È seduta sulla punta del molo, i piedi che sfiorano la superficie del lago.
“Non lo so”, risponde senza pensarci. “E tu?”
Jeff arrotola i jeans fino al ginocchio, si siede accanto a lei. “Non lo so”, le fa eco, sorridendole.
È l’unico dei suoi fratelli con cui sia mai andata davvero d’accordo. Non si era mai accorta di quanto fosse simile al padre.
“Dove dormirai stanotte?” gli chiede, posando la testa sulla sua spalla.
“Pensavo alla mia vecchia stanza”, risponde Jeff. “E tu?”
Violet disegna dei cerchi sull’acqua con le punte dei piedi.
“Ovunque, ma non qui.”
“Lui non c’è più, Letty. Non devi per forza andartene.”
“Non chiamarmi Letty.”
Si alza. Fa un respiro lungo come se le mancasse l’aria, i piedi bagnati che lasciano impronte scure sulle assi scricchiolanti del molo.
“È meglio se ci diamo da fare ora”, dice, voltandogli le spalle, diretta verso casa.
“Letty, ci vorranno giorni per svuotarla.”
Si ferma. “Ti ho detto di non chiamarmi Letty”, ripete, girandosi.
Prende un sasso dalla tasca, uno di quelli piatti e lucidi che ha raccolto dalla riva. Lo lancia di lato per farlo schizzare sulla superficie.
“Che ti piaccia o no, non cambia il fatto che ci vorranno giorni.”
Il sasso fila via come se non avesse peso, sfiora l’acqua tre volte, poi all’improvviso si inabissa.
“Lo so”, risponde Violet. “Non sono io quella che ha deciso di vendere.”
Una raffica di vento spazza le sponde del Lago Wichita. Violet chiude gli occhi. Pensa all’ultima volta che è stata qui. Se lo ricorda bene, anche se ha detto il contrario a suo fratello.
Aveva un reading a Dallas. Il padre l’aveva raggiunta verso la fine.
La sala era stracolma di gente, sconosciuti venuti da fuori città per sentirla leggere una delle sue storie, ansiosi di mettersi in fila per farsi firmare una copia. E poi lui, in fondo, in piedi accanto all’uscita, come uno di passaggio.
Avevano pranzato insieme dopo.
“Lo sai che non ho mai letto libri”, le aveva detto per giustificare il ritardo.
Violet era stata tentata di rispondergli che avrebbe anche potuto fare un’eccezione per il suo, ma si era ripromessa di darci un taglio, di provare a essere meno schietta.
La verità non aveva mai funzionato tra loro.
Era come lavorare a un personaggio: una figlia amorevole, in cerca di attenzioni, che aveva smesso di battersi per essere diversa da come lui l’avrebbe voluta.
“Lo so papà”, gli aveva risposto.
“Il mio parere non conta nulla. Non sono un esperto.”
“Non importa. Davvero. Sono contenta che tu sia venuto comunque.”
“Scrivi anche di me? Di noi. Non so…”
“Non so cosa?”
“Non so come funziona.”
“È difficile. Alle volte non lo capisco nemmeno io. Ma parliamo d’altro, papà. Come stai?”
Dopo pranzo lo aveva accompagnato a casa.
“Ho trovato delle cose tue l’altro giorno”, le aveva detto, scendendo dall’auto. “Nell’autorimessa. Stavo facendo ordine, buttando via un po’ di roba. Dentro a una scatola, sotto il tavolo da lavoro. Una coperta, un blocco per appunti, la torcia. Scusa, ci ho guardato dentro. Forse non avrei dovuto farlo? È tutto lì, se lo vuoi.”
Gli aveva ripetuto ancora una volta che non aveva importanza. Aveva ascoltato la sua voce calma mentre lo ringraziava per aver pensato a lei, per non aver buttato via nulla di suo.
Apre gli occhi. “Andiamo ora”, dice rivolta a suo fratello. “Diamoci da fare.”
La luce filtra a fatica da finestrelle sporche, tra scaffali stipati di attrezzi, scatole sfondate, ceste di bottiglie vuote che suo padre teneva da parte per lei e i suoi fratelli.
Dentro c’è odore di umidità, di residui chimici, una traccia del tabacco che masticava suo padre.
Alza la serranda per cambiare aria e sposta il vecchio pick-up sullo spiazzo di fronte a casa.
“Inizi da qui? Pensavo la detestassi”, dice suo fratello.
“È così”, risponde Violet. Poi scuote la testa. “Non lo so. È complicato.”
“È sempre tutto così complicato per te”. Le dà un pugno sulla spalla, colpendola piano. “Non era meglio tenerla per la fine? O lasciare che me ne occupassi io?” aggiunge, abbassando la testa come un pugile, pensando che lei gli restituirà il colpo.
Violet distoglie lo sguardo. Si tocca il punto dove l’ha colpita. Non le ha fatto male, ma è come se il ricordo delle botte che le davano da piccola gli altri fratelli rendesse più acuto il dolore.
“Voglio farlo io. Vai a farti un giro. Ci sono tante altre stanze.”
“Let… Violet, dai.”
Ora anche la voce di Jeff, il suo modo di parlare, le ricordano il padre.
“Occupati di camera mia. Dei miei vecchi vestiti. Non metterò piede là dentro, stanne certo.”
Aspetta che suo fratello si allontani, poi smonta dal cofano e si fa avanti.
Sul pavimento sporco di grasso e di foglie secche c’è una macchia scura. È appena un’ombra, ma Violet riesce a vederla comunque.
Nei mesi freddi suo padre usava l’autorimessa dopo le battute di caccia. Appendeva i cervi a un gancio che scendeva dal soffitto. Per il collo o per i garretti. Gli tagliava la gola, li scuoiava. Poi li lasciava appesi per giorni, perché il sangue drenasse a terra, accumulandosi sul pavimento.
Violet aveva appena sedici anni la prima volta che aveva sparato a uno di quegli animali.
Se ne stava sdraiata in cima a una collinetta, a pancia in giù sul terreno ghiacciato.
Il cervo era al centro di una radura. Usava le corna e gli zoccoli per scavare sotto la neve in cerca di cibo.
Aveva chiesto al padre di passarle il fucile. Gli aveva detto posso farcela, ho una visuale migliore della tua, anche se non era vero perché erano stesi su quella collinetta uno accanto all’altra e lui era un tiratore esperto, più esperto di lei, fin dai tempi dell’esercito.
Lui non aveva detto una parola. Le aveva passato il Remington, annuendo, per poi indietreggiare, puntando i gomiti a terra come un soldato.
A quell’epoca i suoi fratelli se n’erano già andati da Wichita Falls. Chi a Dallas, chi a Fort Worth. Lei era rimasta l’unica che potesse accompagnarlo a caccia.
Era addestrata come gli altri. Sapeva come muoversi. Sapeva starsene al suo posto.
Non che il padre avesse davvero bisogno di lei. Aveva bisogno di un pubblico che ammirasse la sicurezza dei suoi gesti.
Fino a quell’età si era limitata a sparare alle bottiglie vuote. Non aveva mai colpito niente di vivo.
Quando il cervo si era afflosciato a terra, suo padre era saltato in piedi, urlando: “Lo hai preso, Letty. Lo hai preso, per la miseria!”
Era corso, incespicando nella neve, le braccia alzate verso il cielo grigio di quella mattina di inverno.
“Ora sai cosa devi fare”, le aveva detto, tirando fuori il coltello dalla tasca della giacca. “Devi incidere qui. Poi tirare fuori le interiora.”
“Lo so. Ti ho visto farlo decine di volte”, aveva risposto Violet, alzando gli occhi al cielo e sbuffando una nuvola di vapore nell’aria gelida.
“Non è la stessa cosa, Letty.”
Il ventre era ancora caldo quando lo aveva tagliato. All’inizio non era uscito molto sangue. Ma non era andata oltre. Si era alzata, aveva lasciato cadere il coltello a terra, pochi passi per poi crollare sulle ginocchia e vomitare la colazione.
Si era tirata su in tempo per vederlo scuotere la testa, raccogliere il coltello dalla neve e finire il lavoro.
“Almeno dammi una mano a caricarlo sul pick-up”, le aveva detto, puntandole addosso i guanti sporchi.
Violet l'aveva afferrato per le zampe e lui per le corna. La pelliccia era fredda, incrostata di schizzi di sangue e cristalli di neve. Gli occhi scuri e lucidi come le pietre sulla riva del lago.
“Scommetto che gli altri non l’hanno mai fatto, vero?” gli aveva chiesto, tornando a casa.
“Che cosa?”
“I miei fratelli. Scommetto che loro non hanno mai dato di stomaco.”
“Ognuno è fatto a modo suo”, le aveva risposto. Per uno come lui era la cosa più difficile da accettare al mondo.
“E che vuol dire?”
“Niente, Letty. Non vuol dire niente.”
Indossa i guanti da lavoro di suo padre. Resiste all’istinto di annusarli. Ha smesso di lavorare a quel personaggio, Letty, la figlia in cerca di attenzioni, che sa stare al suo posto.
La verità non ha mai funzionato tra loro. Ma ora un “loro” non esiste più. È come una pozza di sangue sul pavimento dell’autorimessa. Usi un prodotto chimico per ripulirla e dopo non resta che un’ombra. O forse nemmeno quella, eppure a distanza di anni non puoi fare a meno di vederla comunque.
Sotto il tavolo da lavoro, nascosta dietro una tendina impolverata, c’è la scatola con la sua roba.
La notte dopo aver ucciso il cervo era uscita dalla sua stanza mentre i suoi dormivano. Con sé aveva una coperta, la torcia, il blocco degli appunti. Sulle spalle uno zainetto con un cambio di vestiti.
Aveva preso delle provviste dalla cucina. Poche cose, cercando di non far rumore. Poi era sgattaiolata nell’autorimessa, in punta di piedi come un ladro.
Il cervo era appeso al gancio che scendeva dal soffitto. Il sangue colava lentamente sul pavimento, un filo sottile e vischioso nel cono di luce della torcia.
Si era sistemata sotto il tavolo da lavoro. La giacca abbottonata, il berretto in testa, la coperta addosso. Aveva preso il blocco degli appunti e si era messa a scrivere.
Una volta finito aveva strappato le pagine fitte della sua scrittura elegante e le aveva piegate e messe in tasca. Poi aveva vegliato il cervo fino al mattino, facendo del suo meglio per non addormentarsi.
Il vento scuoteva la serranda dell’autorimessa e ogni cosa attorno a lei sembrava agitarsi e gemere. Il gancio a cui era appeso l’animale si muoveva lentamente, cullato dalle raffiche che filtravano attraverso le fessure.
Aveva chiesto il fucile per sbagliare il colpo, per deludere suo padre, perchè lui la smettesse di chiederle di accompagnarlo nei boschi. Ma alla fine la sua educazione aveva prevalso, quella parte di lei che era stata addestrata, e lo aveva colpito e ucciso.
Non erano stati il sangue e le viscere a farle vomitare la colazione sul terreno candido dei boschi attorno al Lago Wichita. Era stato quello che aveva fatto a darle la nausea, quella parte di lei che, come i sassi lanciati sul lago, tornava ad avere un peso e si inabissava. Quella e l'immagine di suo padre che alzava le braccia al cielo.
Ancora adesso si chiede se lo abbia mai visto così felice per qualcosa che aveva fatto.
Non era così quando si era laureata. O al suo matrimonio. Non era così in ospedale quando aveva partorito Katy. O quando aveva pubblicato il suo primo libro.
Si è costruita una vita. Diversa da quella che lui aveva in mente, diversa da quella dei suoi fratelli. E lui è rimasto in fondo, defilato, a osservarla da lontano. Come uno di passaggio.
Alle prime luci del mattino aveva raccolto lo zaino e le provviste ed era uscita. Aveva camminato fino alla stazione di Wichita Falls ed era salita sul primo treno per Fort Worth. Era rimasta da un’amica per qualche giorno, Sally Lawton, nascosta nel seminterrato. Quando lo aveva scoperto, la madre di Sally aveva chiamato i suoi e suo padre era venuto a prenderla.
Non aveva detto una parola nel viaggio per tornare a casa. Aveva educato tutti i suoi figli allo stesso modo. Lei e i suoi fratelli. Ma ognuno era fatto a modo suo.
Seduta sul cofano, osserva l’autorimessa vuota illuminata dal sole basso del tardo pomeriggio.
“Non ti avevo detto di starmi alla larga?” dice al fratello che le viene incontro con due lattine di Lone Star.
“Che ne farai di quella roba?” le chiede, indicando il pianale del pick-up e lanciandole una birra.
“Che vuoi che ne faccia? La porto alla discarica.”
“Anche le bottiglie vuote?”
Beve un sorso di schiuma e lo guarda fisso.
“Hai un’idea migliore?”
“Quant’è che non prendi in mano un fucile?”
Trascinano una delle ceste dietro casa, tenendo un manico a testa, le lattine strette nelle mani libere.
“Tra poco farà buio”, dice Violet, finendo la birra.
“Non importa. Abbiamo ancora un po’ di tempo.”
Sistemano le bottiglie una accanto all’altra sopra il tronco rovesciato di un albero.
“Vuoi scommettere dei soldi?”
“C’è altro da bere in frigo?”
“Non abbastanza.”
“Chi perde va al negozio di liquori sulla statale.”
Si stringono la mano. Jeff le passa il fucile.
Lo odia. Eppure ogni volta che lo prende in mano ha l’impressione che le abbiano riattaccato un arto reciso.
Il profumo dell’olio è un ricordo che la fa sentire in pace con se stessa e uno schifo allo stesso tempo.
Butta giù un paio di bottiglie. Non ha perso la mano.
“Stai lavorando a qualcosa di nuovo?” le chiede Jeff.
“Forse. Non lo so. È presto per dirlo”, risponde.
La birra le ha messo appetito, ma forse, se ne berrà altre due o tre, le passerà la fame.
Il sole è sceso dietro le colline attorno al lago e l’aria è più fresca ora.
“Com’è che funziona?”
Violet abbassa il fucile. “Dici sul serio?” gli chiede.
“Che vuoi dire?”
“Ti interessa davvero saperlo?”
“Sembra che la cosa ti renda felice, no?”
“Cosa te lo fa pensare?” gli chiede, buttando giù un altro paio di bottiglie.
“Non è così?”
“E se ti dicessi che è complicato?”
Finisce i suoi bersagli, senza sbagliare un colpo, trattenendo una risata. Da ragazzi la chiamavano la guerra delle domande. Mentre i fratelli si prendevano a botte e contavano i lividi, loro si sfidavano a intere conversazioni senza risposte.
“Niente male, Letty.”
“Ti ho detto di non chiamarmi Letty.”
Passa il fucile al fratello.
“Scrivi mai di lui? Di noi?”
“Ora stai zitto e spara, se non vuoi pagare da bere.”
Pensa a quell’animale che ha ucciso a sedici anni, alle ore passate a vegliarlo, a tutte le storie che ha scritto dopo quella notte.
In un cassetto della sua scrivania ha ancora i fogli strappati dal blocco degli appunti. Ormai si leggono appena, ma conosce le parole a memoria.
Dove è andata a vivere non c’era una stanza solo per lei, così ha iniziato a usare l’autorimessa come studio.
È più piccola di questa. La loro auto nemmeno ci entra. Non puzza di umidità, di residui chimici o di tabacco, ma ha gli scaffali stracolmi di cose che nessuno si decide a buttare e finestrelle da cui entra la luce che avrebbero bisogno di una ripulita.
D’estate si siede alla scrivania in shorts e reggiseno. D’inverno indossa il berretto e i guanti tagliati. La notte, quando non riesce a dormire, si alza in punta di piedi e va lì a scrivere.
Suo marito non fa domande. Gli basta sentire il suono delle sue dita sui tasti del computer.
Se dovesse spiegarlo a qualcuno direbbe che scrivere è come una veglia funebre, un tentativo di rimediare ai propri errori, di chiedere scusa per quella parte di noi che all’improvviso torna ad avere un peso e sprofonda.
Chiude gli occhi, ascolta gli spari echeggiare nei boschi dietro la casa in cui è cresciuta, una casa che ha sempre odiato e che ora non vorrebbe vendere.
“Merda…”
“Molto bene”, dice, guardando l’ultima bottiglia rimasta in piedi sul tronco. “Vai e torna vincitore. E prendi anche qualcosa da mangiare che sto morendo di fame.”
“Sei davvero stramba, lo sai?”
“Ognuno è fatto a modo suo, no?”
“E che vuol dire?”
“Niente. Non vuol dire niente.”
Guarda Jeff allontanarsi a piedi e poi butta la cesta vuota sul pianale del pick-up.
Si mette al volante. Sul sedile del passeggero ci sono le sua vecchia coperta, la torcia, il blocco degli appunti.
Parcheggia nell’autorimessa, raccoglie le sue cose e scende.
Anche con il pick-up dentro non sembra più la stessa di prima. È solo una stanza vuota adesso.
Pensa alle braccia di suo padre alzate al cielo grigio di una mattina d'inverno, alla forza di gravità, a quanto c’è di più difficile da accettare al mondo.
Abbassa la serranda ed esce. Fuori si è fatto buio.
Cammina lentamente verso il lago. In tasca ha ancora una delle pietre lisce che ha raccolto sulla riva, nera e lucida come gli occhi di un animale morto.
Le assi del molo scricchiolano sotto i suoi piedi.
Prende il sasso dalla tasca e lo lancia di lato e quello sfiora l’acqua, fila via come se non avesse peso sulla superficie scura dal Lago Wichita, ma Violet distoglie lo sguardo.
Non sopporta l’idea di vederlo fermarsi e sprofondare.
Different Staff- Admin
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Re: Non chiamarmi Letty
Una storia circolare, mi verrebbe da dire, dove si parte e si arriva nello stesso punto. La circuitazione è lenta, intervallata da molte pause. Il viaggio è più importante della meta, in questo racconto. Vere protagoniste le descrizioni, sia nei flash-back che nel momento corrente. Le attese sono per una riscossa, per una riabilitazione del padre, forse. Ma tutto questo non c'è: è il bello e il brutto del racconto.
Stile secco, asciutto, come i sentimenti della protagonista verso il genitore. Freddo ma evocativo. Forse sono un po' troppo legati i tempi, forse si sarebbero dovute sciogliere un po' di più le briglie, ma tant'è.
Autorimessa presente, forse però non caratterizzante. Un luogo della memoria e del cuore, più che della vicenda.
Mi permetto un appunto: perché gli scrittori devono sempre parlare di scrittori?
Stile secco, asciutto, come i sentimenti della protagonista verso il genitore. Freddo ma evocativo. Forse sono un po' troppo legati i tempi, forse si sarebbero dovute sciogliere un po' di più le briglie, ma tant'è.
Autorimessa presente, forse però non caratterizzante. Un luogo della memoria e del cuore, più che della vicenda.
Mi permetto un appunto: perché gli scrittori devono sempre parlare di scrittori?
Nellone- Younglings
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Re: Non chiamarmi Letty
Una storia bellissima con la parte che veramente porta fuori dall'anima l'emozione: la morte del cervo. Il racconto fila via che è un piacere ed è proprio così che l'ho letto: con un immenso piacere per la tua scrittura essenziale senza alcuna sbavatura. Il podio per parte mi ce l'hai assicurato. Bravo.
Antonio Borghesi- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
Questo è esattamente il tipo di scrittura a cui sogno di poter arrivare un giorno. Uno stile che riesce a farmi immergere totalmente nella storia con tutti i sensi fisici ma anche col cuore.
Questa storia sembra estratta da un’epopea familiare che ci fai percepire tra le righe e strizza l’occhio più al capitolo di un romanzo che a un racconto.
Ci sono tecnica e cuore, capacità di una penna che può, a mio modo di vedere, dichiararsi Scrittore a pieno titolo.
La tua autorimessa presta il fianco ai ricordi dolorosi di Violet sul cui pdv poggia tutto il racconto: ne esce fuori un personaggio tridimensionale che buca il foglio.
Ottima la gestione dei flash back: straordinaria la scena della caccia non solo per le immagini descritte ma per la capacità di rendere palpabili i passaggi psicologici della vicenda.
Grazie per averci dato la possibilità di leggerti ancora, autore.
Questa storia sembra estratta da un’epopea familiare che ci fai percepire tra le righe e strizza l’occhio più al capitolo di un romanzo che a un racconto.
Ci sono tecnica e cuore, capacità di una penna che può, a mio modo di vedere, dichiararsi Scrittore a pieno titolo.
La tua autorimessa presta il fianco ai ricordi dolorosi di Violet sul cui pdv poggia tutto il racconto: ne esce fuori un personaggio tridimensionale che buca il foglio.
Ottima la gestione dei flash back: straordinaria la scena della caccia non solo per le immagini descritte ma per la capacità di rendere palpabili i passaggi psicologici della vicenda.
Grazie per averci dato la possibilità di leggerti ancora, autore.
Petunia- Moderatore
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Re: Non chiamarmi Letty
Ecco come si scrive un racconto.
Particolari mai banali, sentimenti forti, dialoghi fluidi.
Ricordi difficili che si accavallano, gestione dei tempi e dei ritmi che non ti stufano.
Complimenti
Particolari mai banali, sentimenti forti, dialoghi fluidi.
Ricordi difficili che si accavallano, gestione dei tempi e dei ritmi che non ti stufano.
Complimenti
FedericoChiesa- Padawan
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Re: Non chiamarmi Letty
Il racconto è molto bello. Forse lo avrei asciugato un po'. Forse avrei tolto la parte sulla scrittura e la veglia funebre. Non perché non contenga del vero, ma perché è una cosa detta spiegata in un racconto nel quale nulla è spiegato ma tutto è lasciato intendere. Sì fedele a questa linea, non spiegare niente. Non ci sono lezioni da trasmettere o cose da insegnare. Così farebbe suo padre, tanto simile a lei, tanto diverso da lei.
Perché poi ognuno è fatto a modo suo, Letty
Perché poi ognuno è fatto a modo suo, Letty
gipoviani- Padawan
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Re: Non chiamarmi Letty
Car autor,
Ho poco da dire.
Il tuo racconto è scritto davvero bene, riesci a entrare in empatia con il lettore e a coinvolgerlo nella storia che hai deciso di raccontare.
Mi piace anche questa atmosfera americana che traspare dai dialoghi e dalle dinamiche affettive. Sono dettagli piccoli ma che riescono a caratterizzare al meglio la tua storia. Sei brav. E penso che tu ne sia consapevole. E ti invidio per questo. Non perché sei brav ma perché lo sai. E riesci a piegare le parole alla tua volontà. Vai avanti così. Non smettere.
Piaciuto moltissimo.
Ele
Ho poco da dire.
Il tuo racconto è scritto davvero bene, riesci a entrare in empatia con il lettore e a coinvolgerlo nella storia che hai deciso di raccontare.
Mi piace anche questa atmosfera americana che traspare dai dialoghi e dalle dinamiche affettive. Sono dettagli piccoli ma che riescono a caratterizzare al meglio la tua storia. Sei brav. E penso che tu ne sia consapevole. E ti invidio per questo. Non perché sei brav ma perché lo sai. E riesci a piegare le parole alla tua volontà. Vai avanti così. Non smettere.
Piaciuto moltissimo.
Ele
Hellionor- Admin
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Re: Non chiamarmi Letty
Ciao Penna. Dopo aver letto il tuo lavoro, e dopo ancora aver letto i commenti dei colleghi, non ho dubbi che finirai in cinquina. Il racconto scorre potente e fintamente quieto. Mi ricorda il clima e la cappa che grava sui paesaggi di "Picknic a Hanging Rock", con quella splendida colonna sonora che racconta l'afa e il dramma. Nel trascorso del tuo personaggio c'è afa, un dramma trascorso eppur ancora influente, un qualcosa di irrisolto nel suo rapporto col padre, che non sembra essere "cattivo", a modo suo fa "crescere" i figli. Violet non accetta, impara a sparare, comincia anche a squartare, e poi si ribella. Non è la vita che vuole, vorrebbe spazzare via i ricordi, tanto da rifiutare anche il nomignolo con cui Jeff affettuosamente la chiamava. C'è ancora violenza interiore nell'elaborazione, che placa o sfoga scrivendo. Non sappiamo veramente cosa scrisse su quei foglietti, perché rifiuta il "Letty", se nei suoi libri parli delle sue "mene", e forse questa scelta letteraria è vincente. Complimenti cara Penna.
digitoergosum- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
A me il racconto non è piaciuto. È tutto troppo fintamente americano e mi ha dato l'impressione di una storia già letta e addirittura già vista in qualche film.
La scrittura è ottima, ma purtroppo non è quel genere di scrittura che mi coinvolge; è così perfetta e poetica che quello che fa è allontanarmi dal testo.
Non sono entrato in sintonia con il racconto, e mi sono annoiato.
Il problema, però, è mio e non di certo dell'autore.
Ultimo appunto, anche sul punto di vista dell'autorimessa ho qualche dubbio, mi sembra poco incisiva nel racconto.
La scrittura è ottima, ma purtroppo non è quel genere di scrittura che mi coinvolge; è così perfetta e poetica che quello che fa è allontanarmi dal testo.
Non sono entrato in sintonia con il racconto, e mi sono annoiato.
Il problema, però, è mio e non di certo dell'autore.
Ultimo appunto, anche sul punto di vista dell'autorimessa ho qualche dubbio, mi sembra poco incisiva nel racconto.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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A Arunachala e vivonic garba questo messaggio
Re: Non chiamarmi Letty
Sul sedile del passeggero ci sono le sua vecchia coperta
Sono sicuro che hai messo questa svista di proposito per farci vedere che anche se scrivi divinamente sei uman*.
So che i commenti non possono limitarsi a due battute fugaci ma per stavolta penso che anche gli Admin mi perdoneranno se scrivo solo che quetso racconto è perfetto, emozionante, coinvolgente, bellissimo.
Grazie per averlo scritto.
Sono sicuro che hai messo questa svista di proposito per farci vedere che anche se scrivi divinamente sei uman*.
So che i commenti non possono limitarsi a due battute fugaci ma per stavolta penso che anche gli Admin mi perdoneranno se scrivo solo che quetso racconto è perfetto, emozionante, coinvolgente, bellissimo.
Grazie per averlo scritto.
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paluca66- Maestro Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
Ciao, Autore. Immagino non sia una novità per te ricevere complimenti per la scrittura, ma ciononostante te li rinnovo.
Quello che non mi è piaciuto, però, è il tuo racconto. La cosa strana è che ho trovato il mio commento scritto dalla Giraffa praticamente, perché io ti avrei scritto esattamente le stesse cose, tranne forse la parte in cui dice che il problema è il suo. Non è il mio il problema
Resta evidente che a quasi tutti gli altri il tuo racconto sia piaciuto molto, quindi probabilmente in questo caso mi viene quasi da dire che sia un problema generazionale, visto che abbiamo condiviso le stesse osservazioni con Pier.
Penso che tu abbia scritto racconti migliori di questo, che ho faticato a finire entrambe le volte che l'ho letto.
Insomma, uno dei tuoi personaggi direbbe che "it isn't my cup of tea".
Mi dispiace.
Quello che non mi è piaciuto, però, è il tuo racconto. La cosa strana è che ho trovato il mio commento scritto dalla Giraffa praticamente, perché io ti avrei scritto esattamente le stesse cose, tranne forse la parte in cui dice che il problema è il suo. Non è il mio il problema

Resta evidente che a quasi tutti gli altri il tuo racconto sia piaciuto molto, quindi probabilmente in questo caso mi viene quasi da dire che sia un problema generazionale, visto che abbiamo condiviso le stesse osservazioni con Pier.
Penso che tu abbia scritto racconti migliori di questo, che ho faticato a finire entrambe le volte che l'ho letto.
Insomma, uno dei tuoi personaggi direbbe che "it isn't my cup of tea".
Mi dispiace.
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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
vivonic- Admin
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A Arunachala garba questo messaggio
Re: Non chiamarmi Letty
Ho finito di leggere questo racconto con le lacrime agli occhi
L'immagine di Violet che chiede il fucile per poter sbagliare il colpo e non lo sbaglia e che poi veglia tutta la notte il povero cervo appeso ti strappa il cuore. C'è quotidianità e tanta umanità in questo racconto. Lo stile.americano appartiene a questo autore., è la sua firma e a me piace chi riconosco.
O vogliamo fare diventare difetto l'unicità?
Abbraccio immenso.
L'immagine di Violet che chiede il fucile per poter sbagliare il colpo e non lo sbaglia e che poi veglia tutta la notte il povero cervo appeso ti strappa il cuore. C'è quotidianità e tanta umanità in questo racconto. Lo stile.americano appartiene a questo autore., è la sua firma e a me piace chi riconosco.
O vogliamo fare diventare difetto l'unicità?
Abbraccio immenso.
tommybe- Cavaliere Jedi
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A Resdei e digitoergosum garba questo messaggio
Re: Non chiamarmi Letty
Un racconto estremamente cinematografico. Leggi e le immagini scorrono nella tua mente. Cinema e America sono una firma indiscutibile. E a prescindere dal fatto che il racconto mi sia piaciuto o meno, trovo incredibile come si possa anche solo immaginare di scrivere una storia del genere, dove tutto è esattamente dove deve essere. Dove ogni parola riempie lo spazio ad essa assegnato. Come lo spartito di una perfetta melodia. La stessa sensazione dello step precedente.
Non posso che farti i complimenti e ringraziarti per questo racconto.
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I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
CharAznable- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
E' davvero un racconto nel quale tutto è messo al posto giusto, dove la storia ha continui rimandi a sé stessa e li spende senza risultare mai banale o prevedibile.
Lo stile è quello inconfodibile di chi conosce più che bene la Scrittura con la S maiuscola.
Al solito, il punto veramente forte sono le emozioni, questa volta più mostrate che suscitate, ma ci torno tra un attimo.
So che spesso faccio questa osservazione, ma scrivere di personaggi anche molto diversi da noi, vivendone le emozioni e cesellandole in una trama che ha tutto il sapore della vita vissuta, non è una cosa che si possa fare senza aver vissuto.
E questo è il grande rammarico che ho quando mi capita di leggere racconti come questo e pensare che io non saprei scriverne uno simile.
Tornando al racconto, ne ho ravvisato un personale limite, ed è la distanza emotiva che c'è, almeno in parte, tra i personaggi e chi legge: così diversi da noi, nei modi, nei concetti, così profondamente americani.
Mi sono arrivati poco ma come mi arrivano poco i molti personaggi, in qualche modo simili, che il cinema mette su schermo nei suoi lavori più impegnati.
Li guardi, ne ammiri la profondità, rimani meravigliato dagli incredibili paesaggi nei quali si muovono, ma ti sembrano lonanissimi, irraggiungibili.
Anche se le emozioni sono le stesse, qui come in America.
Ti segnalo una piccolezza che mi è saltata all'occhio. C'è un punto (forse anche due) in cui Violet scende dal cofano del pick-up senza ci venga detto che ci è salita.
E' solo un dettaglio.
Per il resto, un lavoro di alto livello.
Lo stile è quello inconfodibile di chi conosce più che bene la Scrittura con la S maiuscola.
Al solito, il punto veramente forte sono le emozioni, questa volta più mostrate che suscitate, ma ci torno tra un attimo.
So che spesso faccio questa osservazione, ma scrivere di personaggi anche molto diversi da noi, vivendone le emozioni e cesellandole in una trama che ha tutto il sapore della vita vissuta, non è una cosa che si possa fare senza aver vissuto.
E questo è il grande rammarico che ho quando mi capita di leggere racconti come questo e pensare che io non saprei scriverne uno simile.
Tornando al racconto, ne ho ravvisato un personale limite, ed è la distanza emotiva che c'è, almeno in parte, tra i personaggi e chi legge: così diversi da noi, nei modi, nei concetti, così profondamente americani.
Mi sono arrivati poco ma come mi arrivano poco i molti personaggi, in qualche modo simili, che il cinema mette su schermo nei suoi lavori più impegnati.
Li guardi, ne ammiri la profondità, rimani meravigliato dagli incredibili paesaggi nei quali si muovono, ma ti sembrano lonanissimi, irraggiungibili.
Anche se le emozioni sono le stesse, qui come in America.
Ti segnalo una piccolezza che mi è saltata all'occhio. C'è un punto (forse anche due) in cui Violet scende dal cofano del pick-up senza ci venga detto che ci è salita.
E' solo un dettaglio.
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Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
A questo step, dopo aver composto il mio commento, leggo anche quello di chi mi precede, e in questo caso condivido pienamente quanto espresso da altri: è il racconto che mi piacerebbe riuscire a scrivere. Tutto così equilibrato, con una storia assolutamente plausibile, con personaggi veri e ben tratteggiati dai dialoghi e da particolari distribuiti qua e lò, mi vien da dire con sapienza ma in realtà è bravura. Punto.
Una storia di base sviluppata con intensità, ma senza esagerazioni. E lo stile è solo in apparenza semplice: non servono frasi arzigogolate o altisonanti, lessico sofisticato e termini desueti per raggiungere pienamente il lettore o impressionarlo. Cioè qualche volta ci può stare, ma il contesto deve essere particolare. La semplicità penso a volte sia altrettanto complessa da gestire che la ricercatezza.
Il rapporto genitori/figli è spesso molto complicato: da figli vorremmo essere noi stessi, con le nostre idee, i nostri progetti, anche diversi da quelli dei genitori, talvolta molto diversi, cercandone però la condivisione, l’apprezzamento e l’incoraggiamento. Può capitare che si cerchi di accontentarli in qualcosa, quasi un'elemosina, per essere accettati, per non deluderli, ma se è una forzatura prima o poi questa si ripresenta. E da genitori facciamo i nostri bravi errori, a volte inconsapevolmente, a volte per il nostro sentire “a fin di bene”, con l’intento di fare al meglio il nostro lavoro, più difficile che non fare l’astronauta: lì almeno di sono regole precise per non sbagliare.
Questa storia racchiude tanto di questa complessità, compreso il momento in cui la si deve affrontare di petto, da entrambe le parti, chiudendo con ricordi che fanno troppo male.
La scrittura è davvero impeccabile e sono molto curiosa di sapere chi è la Penna che ci ha regalato questo pezzo di bravura, che mi molto emozionato.
Una storia di base sviluppata con intensità, ma senza esagerazioni. E lo stile è solo in apparenza semplice: non servono frasi arzigogolate o altisonanti, lessico sofisticato e termini desueti per raggiungere pienamente il lettore o impressionarlo. Cioè qualche volta ci può stare, ma il contesto deve essere particolare. La semplicità penso a volte sia altrettanto complessa da gestire che la ricercatezza.
Il rapporto genitori/figli è spesso molto complicato: da figli vorremmo essere noi stessi, con le nostre idee, i nostri progetti, anche diversi da quelli dei genitori, talvolta molto diversi, cercandone però la condivisione, l’apprezzamento e l’incoraggiamento. Può capitare che si cerchi di accontentarli in qualcosa, quasi un'elemosina, per essere accettati, per non deluderli, ma se è una forzatura prima o poi questa si ripresenta. E da genitori facciamo i nostri bravi errori, a volte inconsapevolmente, a volte per il nostro sentire “a fin di bene”, con l’intento di fare al meglio il nostro lavoro, più difficile che non fare l’astronauta: lì almeno di sono regole precise per non sbagliare.
Questa storia racchiude tanto di questa complessità, compreso il momento in cui la si deve affrontare di petto, da entrambe le parti, chiudendo con ricordi che fanno troppo male.
La scrittura è davvero impeccabile e sono molto curiosa di sapere chi è la Penna che ci ha regalato questo pezzo di bravura, che mi molto emozionato.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
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Re: Non chiamarmi Letty
Non concordo con chi ha definito questo racconto “fintamente americano”. Per me è fin troppo americano; luoghi, personaggi, mentalità mi restano estranei, preferisco storie nostrane. I gusti sono personali, ma cinema e serie tv ci hanno invaso con prodotti americani di qualità così scadente da far venire la nausea e non parliamo degli scrittori, esclusi i classici. Però il pubblico applaude, quindi le storie americane funzionano. Accade anche qui in DT.
Per forza! Vuoi mettere se i protagonisti di questa storia si fossero chiamati Goffredo e Violetta o se la vicenda fosse stata ambientata sul lago Pollino? Meglio il lago Wichita, anche se parecchi –io per prima - devono andare su internet per sapere dove si trova.
Si scrive su quel che si conosce e il narratore questi luoghi li conosce e li descrive molto bene, così li fa conoscere anche a noi. Del resto si legge anche per imparare. Quindi grazie, autore, scrivi benissimo e sono sicura che vincerai.
Sommessamente vorrei dire che il racconto non mi è piaciuto, ma non lo dico e non spiego perché. Infatti mi troverei a ripetere il commento di Vivonic.
Aggiungo però qualcosa su un periodo che ha destato il mio interesse.
“Se dovesse spiegarlo a qualcuno direbbe che scrivere è come una veglia funebre, un tentativo di rimediare ai propri errori, di chiedere scusa per quella parte di noi che all’improvviso torna ad avere un peso e sprofonda.”
Un punto da approfondire - a mio avviso – invece sembra inserito nel testo come una divagazione.
Se dovesse spiegarlo a qualcuno, ma quando ne ha l’occasione, quando Jeff o il padre le pongono domande, Violet risponde che non lo sa, è complicato, non sa cosa scrivere, sembra che le importi poco. Ecco, manca la passione della scrittrice.
Per forza! Vuoi mettere se i protagonisti di questa storia si fossero chiamati Goffredo e Violetta o se la vicenda fosse stata ambientata sul lago Pollino? Meglio il lago Wichita, anche se parecchi –io per prima - devono andare su internet per sapere dove si trova.
Si scrive su quel che si conosce e il narratore questi luoghi li conosce e li descrive molto bene, così li fa conoscere anche a noi. Del resto si legge anche per imparare. Quindi grazie, autore, scrivi benissimo e sono sicura che vincerai.
Sommessamente vorrei dire che il racconto non mi è piaciuto, ma non lo dico e non spiego perché. Infatti mi troverei a ripetere il commento di Vivonic.
Aggiungo però qualcosa su un periodo che ha destato il mio interesse.
“Se dovesse spiegarlo a qualcuno direbbe che scrivere è come una veglia funebre, un tentativo di rimediare ai propri errori, di chiedere scusa per quella parte di noi che all’improvviso torna ad avere un peso e sprofonda.”
Un punto da approfondire - a mio avviso – invece sembra inserito nel testo come una divagazione.
Se dovesse spiegarlo a qualcuno, ma quando ne ha l’occasione, quando Jeff o il padre le pongono domande, Violet risponde che non lo sa, è complicato, non sa cosa scrivere, sembra che le importi poco. Ecco, manca la passione della scrittrice.
mirella- Padawan
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A Arunachala garba questo messaggio
Re: Non chiamarmi Letty
Non so se si può imparare a scrivere così, se è puro studio e applicazione oppure è qualcosa che si ha dentro. Le storie, le trame voglio dire, hanno una grande importanza, ma anche il modo in cui si confezionano ne ha.
Questo racconto potrebbe stare benissimo sugli scaffali di librerie importanti, perché l'autore non ha nulla da invidiare a degli scrittori professionisti.
L'ultimo tuo pezzo non mi era piaciuto, lo avevo trovato troppo freddo, distante.
Anche questo non è molto espansivo, ma è carico di cose non dette, di silenzi, di sentimenti che si agitano per provare a uscire e trovare un proprio approdo.
Leggendo la tua storia mi sono dimenticato di leggere una storia, è stato un pò come vedere un film, l'altra tua passione, forse quella principale.
In America ci sei stato in carne e ossa, ma ho la convinzione che tu la vivi in ogni film che guardi, le storie e le immagini ti entrano dentro, si mischiano, si confondono tra loro per partorire nuove storie. Può essere che la scena del cervo sia un rimando, un omaggio esplicito o inconscio a Il cacciatore? Magari sbaglio, ma alcune scene sembrano davvero tratte da film, immagini familiari, e forse è per questo che piacciono.
Io adoro King e a me l'America affascina, non quella delle grandi città, ma quella di provincia. Qui non ci sono mostri, non c'è paranormale, non c'è il fantastico, non c'è una storia eclatante, ma le atmosfere che hai creato hanno una magia.
Sì, la tua scrittura molto spesso è magia.
E ora smetto di farti i complimenti perché sono un pò invidioso, lo ammetto, perché so che nemmeno dopo aver letto 500 romanzi o 100 manuali di scrittura riuscirò ad acquisire una linearità e armonia di scrittura come la tua.
Questo racconto potrebbe stare benissimo sugli scaffali di librerie importanti, perché l'autore non ha nulla da invidiare a degli scrittori professionisti.
L'ultimo tuo pezzo non mi era piaciuto, lo avevo trovato troppo freddo, distante.
Anche questo non è molto espansivo, ma è carico di cose non dette, di silenzi, di sentimenti che si agitano per provare a uscire e trovare un proprio approdo.
Leggendo la tua storia mi sono dimenticato di leggere una storia, è stato un pò come vedere un film, l'altra tua passione, forse quella principale.
In America ci sei stato in carne e ossa, ma ho la convinzione che tu la vivi in ogni film che guardi, le storie e le immagini ti entrano dentro, si mischiano, si confondono tra loro per partorire nuove storie. Può essere che la scena del cervo sia un rimando, un omaggio esplicito o inconscio a Il cacciatore? Magari sbaglio, ma alcune scene sembrano davvero tratte da film, immagini familiari, e forse è per questo che piacciono.
Io adoro King e a me l'America affascina, non quella delle grandi città, ma quella di provincia. Qui non ci sono mostri, non c'è paranormale, non c'è il fantastico, non c'è una storia eclatante, ma le atmosfere che hai creato hanno una magia.
Sì, la tua scrittura molto spesso è magia.
E ora smetto di farti i complimenti perché sono un pò invidioso, lo ammetto, perché so che nemmeno dopo aver letto 500 romanzi o 100 manuali di scrittura riuscirò ad acquisire una linearità e armonia di scrittura come la tua.
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A tommybe garba questo messaggio
Re: Non chiamarmi Letty
Si può odiare e amare, allo stesso tempo e con uguale intensità, il proprio padre?
Sembra di sì. Questo è un racconto splendido, firmato da una splendida penna, riconoscibile come un quadro di Hopper o di Monet. Parla di sentimenti universali e li ambienta nei luoghi che forse meglio conosce o ricorda.
Il padre, con la sua educazione, è una presenza talmente ingombrante da seguire la vita di Violet anche quando se ne allontana.
Se dovesse spiegarlo a qualcuno direbbe che scrivere è come una veglia funebre, un tentativo di rimediare ai propri errori, di chiedere scusa per quella parte di noi che all’improvviso torna ad avere un peso e sprofonda.
Non potrebbe spiegarlo meglio!
Poi quando torna e ritrova quell’ombra, come una coperta, se ne avvolge.
Parla come il padre, risponde al fratello con le stesse sue parole. Che tutto quell’odio si sia tramutato in amore? Un macigno che, sebbene le pesi sul cuore, non vuole vedere sprofondare.
Per tutto quello che riesci a trasmettere, caro autore, rimane il solo desiderio di poter leggere ancora tanti tuoi racconti.
Complimenti sinceri.
Sembra di sì. Questo è un racconto splendido, firmato da una splendida penna, riconoscibile come un quadro di Hopper o di Monet. Parla di sentimenti universali e li ambienta nei luoghi che forse meglio conosce o ricorda.
Il padre, con la sua educazione, è una presenza talmente ingombrante da seguire la vita di Violet anche quando se ne allontana.
Se dovesse spiegarlo a qualcuno direbbe che scrivere è come una veglia funebre, un tentativo di rimediare ai propri errori, di chiedere scusa per quella parte di noi che all’improvviso torna ad avere un peso e sprofonda.
Non potrebbe spiegarlo meglio!
Poi quando torna e ritrova quell’ombra, come una coperta, se ne avvolge.
Parla come il padre, risponde al fratello con le stesse sue parole. Che tutto quell’odio si sia tramutato in amore? Un macigno che, sebbene le pesi sul cuore, non vuole vedere sprofondare.
Per tutto quello che riesci a trasmettere, caro autore, rimane il solo desiderio di poter leggere ancora tanti tuoi racconti.
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Resdei- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
Leggendo il racconto ho quasi avuto l'impressione di trovarmi di fronte a un addio al concorso. L'idea della fine, del commiato: la storia ne è pervasa.
C'è una casa intera da svuotare, da mettere in vendita perché nessuno ci abita più e nessuno ci vuole più abitare. E la protagonista Letty/Violet inizia proprio dall'autorimessa, da quella stanza che mi sembra rappresenti il suo punto più basso, l'aver ucciso un essere vivente, e quello più alto, lo scriverne come atto di possibile redenzione.
La stanza è simbolica, ma è anche un luogo reale, con roba da buttare, il pavimento sporco. E poi quella macchia di sangue, a puntare il dito sul fatto che per quanto ci provi, certi ricordi non si possono cancellare del tutto. Forse avrebbe meritato ancora più spazio.
Il tema della caccia al cervo è tipico della letteratura americana, in cui il racconto affonda pesantemente la sue radici, ma l'idea di leggerezza e pesantezza, della scrittura come possibilità di elevarsi e vincere momentaneamente la gravità, mi sembra più europea rispetto a un cultura dove è per assurdo bisogna avere ventun anni per comprarsi da bere ma basta un permesso per sparare a sedici e la gente viaggia con la pistola nel cassetto dell'auto dove noi teniamo il libretto.
Concordo con chi dice che sembra quasi un capitolo di qualcosa di più ampio, come se ci fosse un'intera casa e questa fosse soltanto una stanza.
C'è una casa intera da svuotare, da mettere in vendita perché nessuno ci abita più e nessuno ci vuole più abitare. E la protagonista Letty/Violet inizia proprio dall'autorimessa, da quella stanza che mi sembra rappresenti il suo punto più basso, l'aver ucciso un essere vivente, e quello più alto, lo scriverne come atto di possibile redenzione.
La stanza è simbolica, ma è anche un luogo reale, con roba da buttare, il pavimento sporco. E poi quella macchia di sangue, a puntare il dito sul fatto che per quanto ci provi, certi ricordi non si possono cancellare del tutto. Forse avrebbe meritato ancora più spazio.
Il tema della caccia al cervo è tipico della letteratura americana, in cui il racconto affonda pesantemente la sue radici, ma l'idea di leggerezza e pesantezza, della scrittura come possibilità di elevarsi e vincere momentaneamente la gravità, mi sembra più europea rispetto a un cultura dove è per assurdo bisogna avere ventun anni per comprarsi da bere ma basta un permesso per sparare a sedici e la gente viaggia con la pistola nel cassetto dell'auto dove noi teniamo il libretto.
Concordo con chi dice che sembra quasi un capitolo di qualcosa di più ampio, come se ci fosse un'intera casa e questa fosse soltanto una stanza.
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Re: Non chiamarmi Letty
posso solo dire che è scritto perfettamente, e qui ti faccio i miei più sinceri complimenti. nessun errore o refuso.
però non mi piaciuto e devo dire che concordo appieno con quanto ecritto da vivonic e Imagiraffe.
di sicuro ne può uscire un romanzo, una sorta di saga di famiglia, che piace a moltissima gente ma a me non affascina per niente.
mi spiace.
però non mi piaciuto e devo dire che concordo appieno con quanto ecritto da vivonic e Imagiraffe.
di sicuro ne può uscire un romanzo, una sorta di saga di famiglia, che piace a moltissima gente ma a me non affascina per niente.
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Re: Non chiamarmi Letty
Parto dalla mia sintesi conclusiva: bel racconto, scritto benissimo, con tecnica e professionalità. Complimenti!
E ora le mie riflessioni.
Questo racconto non parla di una donna chiamata Violet né di un uomo chiamato Jeff. Violet, Jeff, il padre, i fratelli sullo sfondo, la madre nella sua assenza, sono tutte funzioni psichiche dell’autore che diventano personaggi, che si muovono per rappresentare qualcosa, raccontare qualcosa dell’autore. Raccontano una genesi, di come è nata e da dove ha avuto origine la sua scrittura.
Non mi aspettavo che questa genesi ruotasse attorno a qualcosa di così cruento. No, certo non intendo un’uccisione vera, che sia di un animale o di un essere umano, non intendo il fatto concreto in sé. Intendo l’emozione. Molto forte, legata alla morte.
Un cervo morto al centro di questa nascita. Un cervo morto indifeso e innocente. Un innocente ucciso per compiacere il padre. Un atto compiuto contro quello che si è, per assecondare l’immagine che si vuole che il padre abbia del figlio. Un atto tanto emotivamente forte da essere sentito come mortale dalla psiche.
“Scrivere è come una veglia funebre”. Di nuovo, l’elemento della morte come centro propulsivo della scrittura. Perché, in modo paradossale, proprio da questo strappo doloroso scaturisce la cosa che per lo scrittore diventa poi più vitale e più rappresentativa di se stesso.
In questo racconto c’è come un’assenza, qualcosa attorno a cui sempre si gira ma non viene mai esplicitamente detto. Apparentemente viene raccontato tutto, ma in realtà quello che è essenziale viene taciuto.
Avere causato la morte del cervo è così determinante da andarsene? Da fuggire di casa? Questa morte non è reale. Nel senso che sì, è reale nel racconto, ma è metafora di altro, e le spiegazioni che apparentemente Violet dà, anche tramite la voce del narratore, sono ben lontane dall’essere esaustive.
E questa domanda ripetuta: “Anche di me? Di noi?”, “Scrivi mai di lui? Di noi?”.
Perché? Cosa ci sarebbe da scrivere? Perché sia il padre che Jeff sembrano quasi preoccupati che Violet scriva di loro? E quando il padre dice “noi”, a quale noi si riferisce? Tutte assenze.
C’è un’altra grande assenza: la madre. Due volte viene detto “i suoi”, ma chi sono questi “suoi”? La madre è compresa o no? Dov’è la madre? In ogni senso, concreto ed emotivo.
Bene. Come vedi, il tuo racconto mi ha dato materiale su cui elucubrare. In realtà, mi sono venute in mente anche altre cose, ma mi fermo qui.
Arianna 2016- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
Un racconto davvero strano e molto particolare, dove l'indubbia bravura dell'autore rende nitide e quasi visibili le varie scene.
La trama si sposta avanti e indietro nel tempo, dove s'indaga un rapporto padre e figlia abbastanza nella norma: i due non si capiscono e lei sembra soffrire della cosa.
Ecco, questo mi ha colpita molto e mi ha fatto perdere qualcosa: il testo gira tutto intorno a una mancanza, a qualcosa che potrebbe essere stato e invece non è successo. Violet è una donna matura e ancora sembra ferita da qualcosa che ha radici nel passato: le braccia alzate del padre euforico (per qualcosa che comunque ha fatto lei) non riescono ad appagarla.
E il racconto, a leggerlo con attenzione, appare tutto così: in bilico, inconcluso, con domande che non hanno risposte, dove si ha nostalgia di un rapporto che non esisteva... e il lettore non saprà mai perchè la protagonista non vuole essere chiamata Letty: c'è un segreto nascosto in questa storia, dunque? Perchè non vuole entrare in camera? Perchè tutti le chiedono se scrive di noi?
Al netto della bella scrittura e delle frasi a effetto, credo che il testo si soffermi troppo da una parte, caricandolo di un dramma che non esiste, sbilanciando il racconto. Per questo ho percepito nel testo una pesantezza immotivata, dove forse anche l'autore prova a porre rimedio innescando l'esigenza di Violet di fare pulizia, a liberarsi della zavorra che la tira giù, come i sassi che non vuol vedere affondare.
Il punto di vista sul rapporto è univoco: peccato che lei non sia riuscita a entrare nel mondo del padre e ad apprezzare ciò che lui poteva offrirle.
Ma il testo rimane un pò ermetico su alcuni punti.
Forse sembra davvero estrapolato da una storia più ampia ed esauriente.
Mi scuso con l'autore se sono stata un pò brusca, ma ho preferito soffermarmi sulle parti che mi hanno convinta meno, in un testo che comunque cattura e non lascia indifferenti.
La trama si sposta avanti e indietro nel tempo, dove s'indaga un rapporto padre e figlia abbastanza nella norma: i due non si capiscono e lei sembra soffrire della cosa.
Ecco, questo mi ha colpita molto e mi ha fatto perdere qualcosa: il testo gira tutto intorno a una mancanza, a qualcosa che potrebbe essere stato e invece non è successo. Violet è una donna matura e ancora sembra ferita da qualcosa che ha radici nel passato: le braccia alzate del padre euforico (per qualcosa che comunque ha fatto lei) non riescono ad appagarla.
E il racconto, a leggerlo con attenzione, appare tutto così: in bilico, inconcluso, con domande che non hanno risposte, dove si ha nostalgia di un rapporto che non esisteva... e il lettore non saprà mai perchè la protagonista non vuole essere chiamata Letty: c'è un segreto nascosto in questa storia, dunque? Perchè non vuole entrare in camera? Perchè tutti le chiedono se scrive di noi?
Al netto della bella scrittura e delle frasi a effetto, credo che il testo si soffermi troppo da una parte, caricandolo di un dramma che non esiste, sbilanciando il racconto. Per questo ho percepito nel testo una pesantezza immotivata, dove forse anche l'autore prova a porre rimedio innescando l'esigenza di Violet di fare pulizia, a liberarsi della zavorra che la tira giù, come i sassi che non vuol vedere affondare.
Il punto di vista sul rapporto è univoco: peccato che lei non sia riuscita a entrare nel mondo del padre e ad apprezzare ciò che lui poteva offrirle.
Ma il testo rimane un pò ermetico su alcuni punti.
Forse sembra davvero estrapolato da una storia più ampia ed esauriente.
Mi scuso con l'autore se sono stata un pò brusca, ma ho preferito soffermarmi sulle parti che mi hanno convinta meno, in un testo che comunque cattura e non lascia indifferenti.
caipiroska- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
Concludo in bellezza.
Trovo ci sia una sproporzione tra scrittura e anima del racconto. Ovviamente la mia è un'impressione del tutto personale: scrittura perfetta che non va di pari passo con il contenuto, con la storia. Intendo dire che invidio (è questa la parola giusta) lo stile e la costruzione, non mi è piaciuta la storia di Violet poiché ho faticato a vedere in lei la scrittrice di successo che è nata successivamente all'uccisione del cervo quando aveva sedici anni. Anche la figura del padre, che se ho ben compreso è passato a miglior vita, non l'ho ben inquadrata soprattutto rispetto all'educazione che si dice abbia impartito ai figli. Ripeto, sono dubbi del tutto personali. Forse qui è la tecnica ad essere preponderante su ciò che viene narrato, come fosse una distrazione. Credo che se leggessi il racconto dentro un'antologia, ignorando l'esistenza di DT/DR, capirei molto di più e apprezzerei meglio la storia. Ma è impossibile.
Mi scuserà l'Autore ma, anche se non vuol dire niente, ognuno è fatto a modo suo.
Grazie
Trovo ci sia una sproporzione tra scrittura e anima del racconto. Ovviamente la mia è un'impressione del tutto personale: scrittura perfetta che non va di pari passo con il contenuto, con la storia. Intendo dire che invidio (è questa la parola giusta) lo stile e la costruzione, non mi è piaciuta la storia di Violet poiché ho faticato a vedere in lei la scrittrice di successo che è nata successivamente all'uccisione del cervo quando aveva sedici anni. Anche la figura del padre, che se ho ben compreso è passato a miglior vita, non l'ho ben inquadrata soprattutto rispetto all'educazione che si dice abbia impartito ai figli. Ripeto, sono dubbi del tutto personali. Forse qui è la tecnica ad essere preponderante su ciò che viene narrato, come fosse una distrazione. Credo che se leggessi il racconto dentro un'antologia, ignorando l'esistenza di DT/DR, capirei molto di più e apprezzerei meglio la storia. Ma è impossibile.
Mi scuserà l'Autore ma, anche se non vuol dire niente, ognuno è fatto a modo suo.
Grazie
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"Già credo che in qualunque punto dell'universo ci si stabilisca si finisce coll'inquinarsi. Bisogna moversi. La vita ha dei veleni, ma anche degli altri veleni che servono di contravveleni. Solo correndo si può sottrarsi ai primi e giovarsi degli altri."
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Molli Redigano- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
Una nota a margine. Il giorno prima avevo commentato il racconto, con qualche perplessità sul fatto che una relazione di questo tipo col padre avesse potuto scatenare una reazione di tale portata emotiva. Il giorno dopo vedo una puntata di Fringe in cui Astrid dell'universo parallelo, alla morte del padre, va in crisi perché non si è mai sentita accettata da lui e si chiede se lui avrebbe potuto amarla ed esprimerle affetto, se lei fosse stata diversa, "normale", dice lei (è autistica ad alto funzionamento). Il giorno dopo Facebook mi presenta un post di Psicoadvisor sui danni alla crescita causati dal padre emotivamente distante (qui il link se a qualcuno interessa Il padre assente emotivamente devasta lo sviluppo emotivo e cognitivo dei figli - Psicoadvisor ).
Insomma, mi scuso per avere forse sottovalutato la portata della tematica raccontata in questo racconto, che evidentemente invece è molto forte.
Insomma, mi scuso per avere forse sottovalutato la portata della tematica raccontata in questo racconto, che evidentemente invece è molto forte.
Arianna 2016- Cavaliere Jedi
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Re: Non chiamarmi Letty
Che bel racconto! Il rapporto conflittuale tra padre e figlia comunque legati da profondo amore. L'uccisione del cervo e la conseguente veglia all'animale appeso al gancio segna la vita di Violet. Il rapporto privilegiato col fratello minore, che è così simile al padre...
Il finale ribadisce la grande sensibilità della protagonista.
Veramente bello!
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Come l'acqua che scorre, sono un viandante in cerca del mare. Z. M.
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