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Messaggio Da Different Staff Dom Dic 04, 2022 3:47 pm

La porticina laterale di Palazzo Citterio che conduceva da mia madre era di un rosso rugginoso e malconcio. Vi arrivai trafelato e titubante.
Palazzo Citterio… non ero ancora abituato, nonostante ci vivessi da anni, a chiamare casa quel luogo. Tanto meno ora che erano cinque giornate che non vi facevo ritorno. Cinque giorni di moti e di combattimenti sulle barricate in cui non avevo visto né un letto né un bagno come si deve.
Un’ombra oscurò il vicolo. La porzione di cielo che si intravedeva tra i tubi fumanti e i panni stesi fu oscurata da un’aeronave austriaca irta di spingarde e bandiere e aquile bicefali. Brutto segno, quei bastardi imperiali avevano cominciato a muovere le forze aree.
Mentre aprivo la porta, la testa corazzata di una giraffa della cavalleria reale eritrea fece capolino da dietro un muro e poi scomparve. Il rombo di un’esplosione increspò il fango putrido della stradina e mi scosse: dovevo sbrigarmi, la Patria e la Libertà mi stavano chiamando e la mia anima fremette.
Entrai nelle viscere del palazzo. Seguii i corridoi e gli anfratti familiari stando attento a non sbattere porte né a urtare alcunché con lo spadone giapponese che mi pendeva dalla schiena. Fin dall’infanzia avevo un’attenzione ossessiva a non far rumore per non disturbare il riposo della contessa Rosa Acerboni Cini, colei che ci aveva accolti a palazzo dopo l’incidente con gli ussari e la morte di mio padre. Ora che la nobildonna era di fatto sorda, quest’attenzione non aveva più molto senso, ma l’abitudine era ancora forte. Oltretutto i fragori della rivolta che imperversava per Milano credo che stessero risvegliando perfino gli scheletri di San Bernardino alle Ossa.
Dopo corridoi e cantine e dispense giunsi all’entrata della cucina. Mi fermai per riprendere fiato e preparami alla vista di mia madre.
Non ero pronto, non ero mai pronto. Il suo corpo e il suo spirito martoriati dalla furia degli invasori imperiali, la sua espressione indecifrabile e spaventosa mi dilaniavano ogni volta. Ma ero qui per dirle addio e l’incontro esigeva la sua necessaria solennità.
Mi sistemai la lente dell’oculo incastonato sotto il sopracciglio, lisciai il corpetto di cuoio e oricalco anneriti dalla lotta, raddrizzai la katana che mi pendeva dalla schiena. Respirai a fondo ed entrai.
Lei si trovava lì, come sempre, in mezzo alla grande cucina.
Quel luogo mi affascinava e mi ripugnava. I soffitti incrostati di fuliggine e le finestre opache per l’unto possedevano una loro decadente bellezza, per quanto non piacevole da ammirare. Gli Alambicchi, i condotti e i sifoni di ottone e zinco, usati da mia madre nella preparazione dei cibi serviti alla contessa, gemevano e a tratti sbuffavano. Le sfumature dei colori delle pareti, così come la pelle di mia madre, erano spente e torbide per la mancanza di aria fresca e di sole. Le finestre sbarrate da anni avevano stratificato nell’aria odori e vapori foschi che bruciavano gli occhi.
Il fedele Lucio, il corvo bianco che fu di mio padre, con una gemma incastonata sulla fronte, era sul suo trespolo e mi guardava. Muoveva lentamente le ali rafforzate da giunti metallici, densi di ingranaggi e pulegge, che gli penetravano tra le piume e gli entravano nella coda, alimentati da un dispositivo a molla sul dorso. Ogni mattina, puntuale da anni, mia madre caricava il congegno, uno dei suoi pochi gesti amorevoli di cui mi ricordi.
Lei era lì. La parte inferiore del suo viso ricoperta dall’innesto di acciaio e stagno che le proteggeva le carni dopo l’incidente. I lunghi capelli bianchi che le ricadevano dritti sulle spalle. Gli occhi del colore assente della pioggia che non mi guardavano. Non si girò per salutarmi. Non si mosse quando la chiamai. Apatia, alessitimia, distanza siderale da tutto e da tutti, fuga nel suo mondo. Non so cosa fosse, sta di fatto che, da quando gli ussari imperiali le avevano ucciso il marito mio padre e sfigurato il volto, non aveva più detto una parola e non aveva più reagito a nulla. Preparava solo il cibo per la contessa e accudiva Lucio. In segreto speravo che la rivolta di Milano potesse scuoterla, che l’odio per gli occupanti austriaci potesse risvegliarla da quella maledetta catatonia. Forse, pensai, era per questo che stavo andando a combattere e probabilmente a morire. Per Milano, ma soprattutto per lei.
Madre”, le dissi. “Mamma,”, ripetei di fronte alla sua immobilità. “L’Arciduca Ranieri, il viceré, è fuggito da Milano. A Vienna, Metternich è scappato sotto la furia degli insorti. L’alleanza degli Asburgo Lorena con l’imperatore giapponese Osahito e il re eritreo Uollo Zaguè è disfatta. Le forze africane e asiatiche hanno abbandonato Milano. Gli austriaci sono sguarniti e disorienti. Il trono imperiale vacilla, madre, e Milano è insorta.” Mi fermai per attendere una sua reazione. Si mosse! Ma solo per avvicinarsi alla cucina e girare lentamente la manopola di una serpentina.
Il feldmaresciallo Radetzky,” continuai, “è sotto assedio nel Castello e le strade della città sono gremite di gente con armi e bastoni pronta a sacrificarsi. Il 1848 sarà ricordato come l’anno della libertà di Milano e dell’Italia.”
Il fischio di una valvola di sfiato mi interruppe.
Vieni anche tu, madre,” ripresi, piano. Avevo le lacrime agli occhi, non solo per l’aria ammorbata di quella cucina malsana. “Apri le finestre. Esci. Ci siamo tutti. Cesare Correnti, i fratelli Morosini, Luciano Manara. Persino il grande Alessandro Manzoni ci ha salutato e spronato dal suo balcone. Vieni! Ci sono fucili, forche, bastoni. Ci sono messaggi da portare, feriti da soccorrere, barricate da rinforzare. Esci da questo buco in cui ti sei reclusa. Vendicati! Combatti anche tu contro quei maledetti austriaci che ti hanno ridotto in questo stato.”
L’assenza di reazioni mi feriva più di un colpo di moschetto.
Almeno porta qualcosa da mangiare”, dissi ancora. “La gente ha fame. Anche i martinitt stanno combattendo. Sono ragazzini, magrissimi, e hanno bisogno di mettere continuamente qualcosa sotto i denti.”
Girò lentamente la testa verso Lucio, e forse tese i muscoli delle spalle. Forse. Forse invece era stata solo una mia impressione.
Un boato fece tremare i vetri e mi scosse le viscere e lo spirito. Mi avvicinai per abbracciarla poi, bloccato dalla sua immobilità, cambiai idea. Presi dei contenitori da uno scaffale, aprii un rubinetto collegato all’intrico di tubi e spillai un alimento denso, color del sangue, dall’odore speziato. Era il cibo della contessa. Ne mangiai in quantità, era buono e nutriente e mi diede energia. Poi riempii i contenitori e li riposi nella bisaccia.
Per i compagni,” dissi, rivolto a mia madre, alzando la sacca, come un saluto. Lei era sempre lì, immobile, lo sguardo rivolto al nulla e le mani sul bancone.
Prima che le lacrime offuscassero completamente l’ultima immagine di lei, mi gira. “Addio, mamma” dissi, più a me stesso. Poi mi misi a correre a ritroso per i corridoi e gli stanzoni finché giunsi all’esterno.
La luce fuori era abbagliante e l’aria intrisa di fumo e grida. Respirai a fondo fino a inebriarmi. Mi sembrava di essere un’entità risorta alla vita dopo un giro nell’ade.
Mi diressi verso il Broletto, smanioso di combattere.
Fui presto accontentato. Una piccola guarnigione di ulani ungheresi e dragoni croati stava attaccando una barricata dove donne, ragazzi e bottegai si difendevano a sassate e con colpi di vecchi moschetti recuperati dal museo diocesano. Estrassi dal fodero sulla schiena la mia katana nera, di cui ero tanto orgoglioso, sottratta a un soldato giapponese dopo un duello. L’avevo chiamata Akimizu.
Colsi i soldati nemici alle spalle. Combattevo con la foga di chi non cerca di sopravvivere, con l’energia del martire e la violenza del disperato. Con rapidi fendenti, Akimuzi seminò il panico tra gli imperiali presi di sorpresa da dietro. Gli insorti, visto il disorientamento dei nemici, contrattaccarono e rapidamente ottennero una insperata vittoria.
Rapide ombre oscurarono il sole. Alzai gli occhi, ancora ansimante per la lotta, mentre i gemiti dei feriti e le urla di esultanza dei milanesi saturavano l’aria. Nel cielo, le enormi aeronavi austriache erano attorniate dai veloci aquiloni corazzati milanesi, come elefanti attaccati da nugoli di insetti voraci. Era impossibile capire chi stesse vincendo.
Ehi!”, mi urlò un ragazzino che legava le mani a un soldato croato agonizzante. “Ehi, tu, con quell’oculo! Non perderti a guardare le nuvole. Dicono che di fronte alla Chiesa di San Babila i nostri abbiano urgente bisogno di rinforzi.”
Sorrisi alla sua giusta insolenza.
San Babila non era vicina. Avevo bisogno di un mezzo veloce. Intravidi la giraffa corazzata che prima aveva fatto capolino da un muro, abbandonata dalle forze africane in ritirata. Era un animale robusto e docile, abituata alle zone di guerra. In un attimo riuscii ad arrampicarmi sui complessi finimenti eritrei e a mettermi in sella.
Il galoppo tra macerie fumanti, corpi straziati e persone in lacrime fu insieme fantastico e terribile. La battaglia non è vero che anestetizza, anzi porta all’estremo ogni emozione e ogni sensazione. L’esaltazione per la lotta e l’antica disperazione per mia madre convivevano in me, due estremi che si toccavano e combattevano nel mio cuore. Non sapevo quale delle due stesse vincendo.
In un attimo giunsi a San Babila, questa volta dal lato degli insorti. Qui la situazione era drammatica. Non potevo intervenire con la mia spada ma ero in grado di portar conforto con il cibo che avevo con me.
Persone di ogni età giacevano prostrate dopo cinque giornate di lotta. Con le poche forze rimaste, chi riusciva dava il cambio ai combattenti che si trovavano in cima alla barricata, ma senza energie nuove gli insorti non avrebbero resistito alle continue cariche austriache.
Hai da mangiare?” mi chiese un ragazzino tutto pelle e ossa con una mano sanguinante e l’altra che reggeva una pistola. “Devo tornare a combattere,” farfugliò. A stento riusciva a stare seduto.
Estrassi uno dei contenitori che avevo nella bisaccia e glielo porsi. Guardò dubbioso il recipiente che gli offrivo. Dopo un mio gesto d’incoraggiamento assaggiò il contenuto, poi ne mangiò abbondanti bocconi al punto che dovetti portargli via il vasetto perché non lo finisse.
In pochi istanti il giovane si rialzò e ritornò a combattere. “Grazie!”, mi urlò dalla cima della barricata. Girai mentalmente il ringraziamento a mio padre. Era stato lui a elaborare quell’alimento e a costruire l’attrezzatura per produrlo. Sospetto anche che fosse stato ucciso per aver rifiutato di condividerne il segreto con l’Imperatore.
Incominciai a distribuire il cibo a ogni combattente ferito o esausto, ma i contenitori si svuotarono troppo in fretta.
Gli imperiali continuavano ad assaltare e, nonostante il bombardamento di sassi, tegole e stoviglie che subivano dalle finestre, dai tetti e dai campanili, presto avrebbero avuto la meglio. Il mio intervento non stava cambiando le sorti di quella battaglia. La furia e lo sconforto stavano vincendo nel mio cuore.
Non sapevo se quello in San Babila fosse un combattimento marginale, o se sarebbe stato il momento cruciale di tutta la rivolta. Non importava. Dovevo lottare, uccidere, sterminare gli austriaci. Per Milano, per mia madre, per mio padre. Per la libertà. Per me.
Mi sistemai l’oculo, estrassi la katana e incominciai ad arrampicarmi sull’ammasso di panche, letti, armadi, carrozze che formava la barricata, pronto a buttarmi dall’altra parte. L’immagine di mia madre immobile tra i fumi continuava a tormentarmi. Non ero stato in grado di salvarla, non ero riuscito ad aiutare quella gente. L’unico modo per dare un senso alla mia vita era sacrificarla in quell’istante.
Pochi passi mi separavano dalla linea del fuoco e dal mio martirio, quando un bagliore fugace attirò il mio sguardo al cielo.
Guardate! Cos’è?” urlarono i ragazzi dalla barricata.
Sembra un aquilone da combattimento.”
No, è troppo basso.”
È velocissimo, troppo per essere un piccione.”
Il lampo si muoveva rapido tra le case e i palazzi, passando in mezzo ai fumi della battaglia.
Riconobbi in quel bagliore la pietra preziosa incastonata tra gli occhi di Lucio. Messo a fuoco l’oculo, potei distinguere le ali bianche rinforzate del corvo muoversi agili tra le barricate e raggiungere il campo degli insorti. La mia anima ebbe un sussulto e parve staccarsi dal mio corpo. Mi chiesi quale portento avesse spinto quell’uccello a uscire dal luogo in cui era chiuso da anni e a volare fino a qui. Quale tragedia o miracolo lo aveva spinto?
Mi fermai, le mie smanie suicide in un attimo placate. Madre, cosa ti è successo? pensai.
Il corvo potenziato era riuscito a trasportare al campo una sporta con contenitori colmi di quel cibo scarlatto. Gli insorti si affollarono per mangiarne e tanti ne trassero giovamento. Le fila dei milanesi si stavano rinfrancando.
L’animale mi guardò con i suoi occhi profondi come pozzi dei desideri.
Tornai in sella e galoppai verso palazzo Citterio. Mamma... Arrivai in un baleno e abbandonai la giraffa nel vicolo. Aprii la porticina rossa e mi infilai nuovamente nelle viscere di quel mio personale inferno.
Corsi tra le stanze e i corridoi, corsi nell’aria stantia e nella luce fioca, questa volta incurante dei rumori e del riposo della contessa.
Arrivai di fronte alla cucina e mi fermai, pronto a qualsiasi cosa.
Aprii la porta.
Mia madre era lì. La finestra era aperta e un raggio di sole si rifletteva sul metallo che le ricopriva parte del viso.
Mamma,” dissi.
Lei si girò verso di me. Quel movimento fece entrare il sole anche nel mio cuore.
Mi avvicinai. Lentamente, con tutta la cautela di cui ero capace, come ci si avvicina a un gattino che non si vuole far fuggire. Lei continuava a guardarmi, la sua espressione ancora indecifrabile, gli occhi ancora da un’altra parte.
Nell’aria c’era un odore nuovo, non so se migliore.
L’abbracciai. Sentii il suo corpo irrigidirsi.
Io continuavo ad abbracciarla, non osavo smettere. Poi percepii i suoi muscoli rilassarsi. Alzò la testa verso di me e mi guardò. Finalmente, dopo tanti anni, vidi il vero colore dei suoi occhi.
Lucio,” disse sottovoce, quasi non si sentiva. “Ho mandato Lucio”.
Lo so,” provai a dire. Ma non venne fuori nulla, ogni parola bloccata dal groviglio di lacrime e spezzoni di frasi che mi si accumulavano in gola.
Per i martinitt”, disse.
La strinsi ancora più forte.
E per te”.
Avevamo vinto.
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Messaggio Da Arunachala Dom Dic 04, 2022 8:11 pm

non male davvero, di certo è originale.
ci sono non pochi refusi, ma la storia alternativa delle cinque giornate mi è piaciuta.
le descrizioni sono buone, anche se non mi arriva più di tanto l'emozione.
abbastanza ben scritto, scorrevole e di gradevle lettura.
positivo

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Messaggio Da tommybe Dom Dic 04, 2022 8:32 pm

Gli occhi del colore assente della pioggia.
Non ho mai letto una descrizione simile e mi è rimasta impressa. Come pure la descrizione della cucina, a dir poco meravigliosa. 
La vicenda non so se sia storia vera o inventata, ma i personaggi sono veri. Ed è talmente scritto bene questo racconto che sono spaventato. Ho timore di scrivere castronerie nel commentarlo. Rischio inevitabile ogni volta che si commenta per primi.
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Messaggio Da Danilo Nucci Lun Dic 05, 2022 11:37 am

Prima lettura dello step.
La cucina appare piuttosto marginale, nonostante le ripetute citazioni. Gli elementi scelti sono ben rappresentati: giraffa, corvo, akimizu, gemma.
La scrittura è veramente ottima ed esprime piuttosto bene l’atmosfera “epica”.
Purtroppo per gusti personali non amo molto la commistione fra fatti storici e elementi di fantasia che ti portano in altre situazioni e in altre epoche, pur riconoscendo l’originalità della scelta. I primi due periodi già mi avevano catturato e immerso nella vicenda storica, ma l’aeronave austriaca  e la giraffa eritrea con la testa corazzata sono state per me una doccia fredda. Eppure ho pensato che, depurando il racconto degli elementi anacronistici, c’è una storia di fondo che può essere approfondita e sviluppata.
Mi è piaciuta molto la parte finale.
Segnalo alcune piccolezze:

“… erano cinque giornate che non vi facevo ritorno” avrei detto “giorni”
C’è un “Alambicchi” con la A maiuscola
“… gli ussari imperiali le avevano ucciso il marito mio padre e…” avrei messo mio padre tra virgole.
Prima che le lacrime offuscassero completamente l’ultima immagine di lei, mi gira” Sarebbe mi girai, suppongo.
C’è un “Akimuzi” invece che Akimizu

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Messaggio Da Petunia Mar Dic 06, 2022 12:02 pm

Un’ombra oscurò il vicolo. La porzione di cielo che si intravedeva tra i tubi fumanti e i panni stesi fu oscurata da un’aeronave austriaca (potresti scegliere un verbo diverso da oscurare oppure asciugare il periodo per evitare la ridondanza.)


Dopo corridoi e cantine e dispense  (dopo corridoi, cantine e dispense)



Alambicchi (alambicchi)



Un altro splendido racconto. Questa volta, a mio avviso, perfettamente centrato nel genere sia per l’epoca descritta che per il linguaggio adottato. La cucina svolge un ruolo determinante e i paletti sono perfettamente integrati nella trama e funzionali al suo svolgimento. Mi sono piaciute  da morire la descrizione della madre e della cucina coi suoi elementi straordinari. La scelta di affidare al cibo la proprietà di fortificare la truppa fa un po’ Asterix, ma non si può pretendere di essere originali in tutto.
La scrittura è scorrevole e pulita ma, a mio parere, il testo necessita di una ulteriore revisione per splendere al massimo.
Complimenti.
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Messaggio Da Nellone Mer Dic 07, 2022 10:43 am

Un racconto da manuale, non aggiungo altro. Interessante, commuovente, curioso, non ti fa prendere un attimo di fiato, eppure nulla è affrettato: narrazione, descrizioni e sentimenti si mischiano alla perfezione, è pressoché impossibile scovare un difetto nel loro alternarsi. Trama originale, una ricostruzione storica ovviamente spaesante, con l’inserimento dei vari elementi obbligatori senza forzature. Tutto si riannoda perfettamente nella parte finale, con naturalezza, non lasciando per strada nulla di ciò che si era seminato. Ottima anche la scrittura, con periodo brevi e incisivi, oppure più articolari, secondo quanto richiesto dal ritmo del racconto: chi ha scritto questo racconto sa scrivere per davvero. Nonostante la presenza di molti elementi non si genera confusione, i personaggi sono pochi e delineati nel modo corretto, soprattutto la madre; pure gli avvenimenti storici sono richiamati con naturalezza e senza forzature. Complimenti davvero: non me ne vogliano gli altri autori ma, fra quelli che ho letto fino ad ora, questo racconto lo metto in prima posizione.

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Messaggio Da Susanna Gio Dic 08, 2022 11:46 am

Il cibo scarlatto: ricorda l’idea di un sangue che rigenera, che ridà nuove forze. Antiche credenze ma anche studi scientifici tutt’ora in corso in prestigiosi centri di ricerca.
Un racconto in cui il genere steampunk ben si armonizza temporalmente con l’epoca scelta: una Milano del 1848 in piena insurrezione. Un accostamento inconsueto: è un genere che ho sempre trovato ambientato soprattutto in Inghilterra. I paletti scelti sono stati gestiti bene, senza eccessive forzature - anche se mi aspettavo qualche descrizione in più della tecnologia immaginata - e la cucina la ritengo portante per l’elemento “cibo” che viene prodotto e che aiuterà i rivoltosi. Un pezzo che si legge bene, un lessico adeguato all’epoca in cui l’io narrante racconta, un tocco originale che mette assieme realtà storica e fantasia, un connubio che trovo sempre interessante.
C’è forse ridondanza nella descrizione degli stati d’animo del protagonista, ma sono anch’essi elementi importante.
L’unico punto debole l’ho trovato nel dialogo con la madre: troppo lungo, l’ho visto più come l’escamotage per illustrare il momento storico in cui è ambientato (anche se tutti abbiamo studiato più o meno volentieri Storia), avendo come “spalla” la reclusione della madre in cucina e il suo mutismo.
Escamotage che interrompe quasi di colpo il ritmo della narrazione, che poi riprende spedito.
Non ho note particolari: qualche piccolo refuso, ma niente che infici la piacevolezza della lettura.
Dopo corridoi e cantine e dispense--- qui ci vedo una e di troppo, anche se forse si intendeva dare maggior enfasi al lungo percorso
Il cibo piuttosto: non si capisce bene cosa sia e neanche che consistenza abbia. Prima dici che lo spilla (quindi liquido o vischioso), poi i ragazzi lo mangiano a bocconi (quindi solido o tipo i fruttini della Zuegg), e i contenitori diventano vasetti (quindi piccole quantità). Per un elemento che dà anche il titolo al racconto, da lettrice mi sarei aspettato meno mistero, alla fine.

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Messaggio Da Antonio Borghesi Lun Dic 12, 2022 3:50 pm

Una simpatica trasposizione delle cinque giornate di Milano con riferimenti se non veri molto plausibili. Alcune imperfezioni che ti hanno già segnalato am niente di che. Quella pozione magica che rinvigorisce dovrebbe essere brevettata. Mi ha fatto molto piacere leggerlo. Brav@
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Messaggio Da Arianna 2016 Gio Dic 15, 2022 12:05 am

Un racconto che ho trovato stranissimo – in senso buono – anche se non so dire esattamente perché. C’è un’atmosfera particolare, straniante, creata da un mix di ritmo, elementi ucronico/steampunk, descrizioni (la madre, la cucina), particolari inattesi (la giraffa da battaglia, il corvo albino).
C’è un’atmosfera onirica, sembra un racconto nato da un sogno; come se la discesa verso la cucina, la cucina, la figura della madre e lo strano nutrimento a lei collegato fossero il nucleo di una narrazione inconscia con radici molto profonde.
Le cinque giornate di Milano e i particolari steampunk sono come la periferia di questo sogno, un po’ aggiunti perché necessari per rispettare i requisiti richiesti per il racconto.
Anche lo stile della scrittura è particolare, alterna passaggi più fluidi ad inceppamenti e rallentamenti del ritmo, alla ricerca spesso di un lessico con qualcosa di “anticheggiante”.
Nel complesso la forma è corretta, ma ci sono alcuni refusi.


Aggiungo una cosa che mi è venuta in mente questa notte. Secondo me, il cibo scarlatto e la madre sono ricordi inconsci di eventi prenatali e neonatali. Il cibo scarlatto e la modalità con cui vi si attinge, il tipo di nutrimento "vitale" che è, mi fanno pensare al cordone ombelicale. La madre, che prima non guarda il figlio poi alla fine lo guarda (e questo sguardo per il figlio è vitale), mi fa pensare alla ricerca dello sguardo della madre da parte del neonato che viene allattato. Ok, lo so, stai pensando che la notte dovrei dormire, non farmi di questi viaggi, però mi è venuto da fare queste associazioni.


Ultima modifica di Arianna 2016 il Gio Dic 15, 2022 2:16 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio Da FedericoChiesa Gio Dic 15, 2022 2:06 pm

Epico o steampunk? Non mi è chiarissimo: forse una combinazione dei due.
L'ho trovato un po' arzigogolato, non facilissimo da leggere. La ridondanza nelle descrizioni me lo ha reso abbastanza pesante.
Il cibo, quello scarlatto, è centrale nel racconto, ma la cucina molto meno.
L'originalità del tema e l'ambientazione sono sicuramente il punto di forza, ma alla fine rimane abbastanza distante dai miei gusti.
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Messaggio Da paluca66 Dom Dic 18, 2022 9:54 pm

Errori / refusi
Brutto segno, quei bastardi imperiali avevano cominciato a muovere le forze aree.
aeree
Prima che le lacrime offuscassero completamente l’ultima immagine di lei, mi gira.
girai
Ti segnalo, poi, 
Muoveva lentamente le ali rafforzate da giunti metallici, densi di ingranaggi e pulegge,
qui l'aggettivo "densi" non mi convince.
Nel complesso la scrittura è buona e segue bene l'andamento del racconto nell'alternarsi delle fasi più "intime" a quelle più "d'azione".
Paletti:
comincio con il genere, perché, se ho capito bene di cosa si tratta, qui siamo in pieno steampunk e considerata, per me, la difficoltà non solo di scrivere, ma solo di capire come avrei potuto scrivere qualcosa in questo genere, non posso che farti i complimenti.
Per quanto concerne gli altri paletti, devo ammettere che rispetto ad altri racconti già letti, mi sono sembrati un po' forzati (ad esempio la spada) un po' "innaturali" se riesco a spiegarmi, con una cucina meno protagonista e con il solo corvo ad essere centrale e, mi viene da dire, entusiasmante.
L'idea di riscrivere le cinque giornate di Milano è molto buona e condotta correttamente eppure pur essendo milanese non sono riuscito a entrare nel racconto a farmene coinvolgere ed emozionare come sarebbe stato giusto.
la lettura ,mea culpa, mi ha alla fine annoiato, forse per rientrare nel paletto "genere" hai un po' troppo forzato la mano sugli aspetti tecnici e tecnologici che hanno finito con il prevalere su quelli della storia.
Sempre a mio parere, invece, ti sei riscattato nel finale, a me quel momento tra madre e figlio, seppure un po' prevedibile e sdolcinato, è piaciuto tantissimo.

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Messaggio Da Byron.RN Lun Dic 19, 2022 3:21 pm

Anche qui, come ho detto anche per un altro racconto, c'è una bella idea alla base, la rivisitazione delle cinque giornate di Milano.
La scrittura è buona, anche la forma, nonostante qualche refuso. La lettura comunque non ne risente troppo e fila via abbastanza liscia.
Il personaggio che mi è piaciuto di più è quella tua strana giraffa da combattimento, anzi, mi dispiace che faccia solo due fugaci apparizioni, perché è molto scenografica.
La storia però, devo essere sincero, non mi ha emozionato come avrebbe dovuto.
La narrazione non è riuscita a coinvolgermi appieno, soprattutto la descrizione della battaglia.
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Messaggio Da Akimizu Lun Dic 19, 2022 4:57 pm

Ciao autore, ho letto con molto piacere questo tuo racconto, pieno di guizzi fantastici e di sentimento. Ora, se proprio devo essere sincero, hai leggermente calcato la mano nelle parti in cui insisti sul desiderio del protagonista di lottare per la madre, col rischio, rimarcandolo in continuazione, di fargli perdere paradossalmente forza. Bastava una volta, forse neanche una addirittura, perché la scena della visita alla madre già ci dice tutto. Un plauso te lo voglio invece fare per la cura dell'ambientazione e del genere. Molto azzeccata e originale la scelta di Milano invece della solita Inghilterra, che di solito la fa da padrona nello steampunk. C'è dell'ucronia, accennata, ci sono diversi elementi tecnologici strampalati, c'è l' azione e lo spirito giusto (quello rivoluzionario) dello steampunk. E c'è pure l'elemento fantastico, che non guasta mai, visto che lo steampunk è una costola del fantasy, un suo sottogenere, diciamo così. Insomma, in uno step dove ho letto pochi racconti davvero centrati sul genere prescelto, il tuo lavoro merita di essere considerato per la classifica finale. A rileggerci!
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Messaggio Da caipiroska Lun Dic 19, 2022 10:46 pm

Ho trovato molto originale il tema di questo racconto: interessante la scelta dell'ambientazione milanese e altrettanto ben gestito il particolare legame tra madre e figlio. Quest'ultimo è supportato da descrizioni davvero ben fatte e la scena finale mi è davvero piaciuta.
In generale ho trovato il testo ben scritto, anche se a tratti una certa pesantezza e ridondanza nelle descrizioni non me lo ha fatto apprezzare del tutto (Il passaggio del dialogo dove lui spiega tutto alla madre l'ho trovato davvero troppo costruito e inverosimile: capisco l'esigenza di allineare il parlato all'epoca in cui è ambientato il testo, ma avrei snellito e avvicinato il linguaggio a qualcosa di meno convenzionale).
Rimane il mistero del cibo scarlatto: convengo che sia giusto non rivelarne la ricetta, ma avrei fatto più chiarezza sulla sua consistenza (viene prima spillato e poi mangiato a bocconi: solido o liquido?)

lisciai il corpetto di cuoio e oricalco anneriti dalla lotta, annerito, perchè si riferisce al corpetto.
seminò il panico tra gli imperiali presi di sorpresa da dietro. presi di sorpresa crea una brutta cacofonia: colti di sorpresa o ancora meglio sorpresi da dietro.
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Messaggio Da ImaGiraffe Mer Dic 21, 2022 3:32 pm

Un racconto pesante e lento. L'ho letto due volte e ogni volta mi sono fermato almeno tre volte. 
L'idea è ottima, purtroppo è scritto come se fosse un libro. In cui ci si può permettere di essere cosi minuziosi. In un racconto preferisco più azione.
La prima parte è così lenta che poi ne risente anche la seconda in cui si sta svolgendo la battaglia. Ecco in quel punto si è perso tutto il furore della battaglia, appiattendola. 
Sul fronte cucina purtroppo non mi ha convinto. Si in cucina la madre avrà cucinato il cibo scarlatto ma rimane sullo sfondo anche in quel caso. 
Il finale poi mi sembra troppo sentimentale.
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Messaggio Da Asbottino Ven Dic 23, 2022 12:48 pm

Il racconto è notevole. Originale, molto curato nella ricostruzione storica stravolta dalla lente steampunk attraverso cui vengono rilette le cinque giornate di Milano. La voce narrante è forse troppo carica. Parla troppo, ecco. E questo frena un po' la potenza visiva ed emozionale del racconto. Forse una voce più minimal o un tentativo di raccontare la storia dall'esterno avrebbero reso le cose più semplici per il lettore. Ma ci sono visioni che si fanno strada nella mente al di là delle parole: gli occhi della madre, la cucina, il colore del cibo, la giraffa (strepitosa), il corvo bianco. Forse la barricate e la lotta hanno meno impatto da questo punto di vista.
Genere centrato. Paletti funzionali all'intreccio. La cucina è indispensabile al cibo che è indispensabile alla battaglia: questo basta a piantarla nel cuore della storia.
Nel complesso il racconto è assolutamente da tenere in considerazione, soprattutto per la sua ambientazione così inaspettata e per la costruzione di un mondo che nella mia immaginazione non ha precedenti. Forse solo all'inizio quando parli delle areonavi ho avuta una personalissima sensazione alla Star Wars (l'impero, la resistenza...), ma per il resto è davvero tutto molto nuovo.

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Messaggio Da Fante Scelto Mer Dic 28, 2022 9:44 pm

Oh, dannazione, ecco un racconto che coglie appieno lo spirito dello steampunk!
Aeronavi, alambicchi, bestie meccaniche, tutto condito con una collocazione storica ben definita (e alternativa): diamine se ci siamo!
Apprezzata molto anche la scelta dell'episodio storico, perché le Cinque Giornate in chiave steampunk non credo di averle mai lette. Molto bene!
L'unica critica che ho da muovere riguardo all'ambientazione è che forse i rivoltosi sono troppo disarmati per poter davvero competere con aeronavi, giraffe meccaniche e quant'altro. Tegole e sassi vanno bene come contorno, vai di archibugi obsoleti, folgoratori fatti a mano e simili: così la lotta è più "realistica" e regge meglio la prova della credibilità.
Ottima invece la battaglia aerea, che si intravvede solo un paio di volte ma è lì, incombe sul lettore dall'alto, esalta anche se non ce la mostri, e va bene così.

Mi è piaciuto molto il tema del rapporto angosciante con la madre, anzi, questa madre cupa, spaventosa a suo modo, inquietante, con la faccia mezza metallica, è un'ulteriore tocco d'ambientazione per me riuscitissimo.
Ottima idea davvero.

Fin qui ho celebrato, ma ci sono anche dei difetti da segnalare.

La parte d'azione ha poco mordente: serve più immedesimazione, più "furia" per rendere bene i combattimenti e il caos. Quella parte la rivedrei in chiave più action.
Lo stile usato: c'è qualcosa che non mi convince. E' tanto narrato, poco visivo, come se il protagonista sentisse il bisogno di esternare proprio tutto senza lasciare il giusto peso al non detto, all'introspezione. Penso tu abbia cercato anche un po' di arcaizzare la scrittura, ma in alcuni passaggi la cosa non è ben riuscita e si sente una certa pesantezza.
Cito solo, a titolo d'esempio, questa frase:

La battaglia non è vero che anestetizza, anzi porta all’estremo ogni emozione e ogni sensazione. L’esaltazione per la lotta e l’antica disperazione per mia madre convivevano in me, due estremi che si toccavano e combattevano nel mio cuore.


Tanto pesante e con quattro -zione in sequenza ravvicnata.

Infine i paletti. Benissimo il corvo e la giraffa, meno bene la spada Akimuzu/Akimizu, che invece si sente, per noi che conosciamo i paletti, essere messa lì a bella posta.

Bilanciando pregi e difetti, comunque, il mio giudizio è molto positivo.
Il racconto ha una certa dose di adrenalina, trasuda steampunk ed è una rivisitazione storica originale, ben riuscita, per me.
Promosso.
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Messaggio Da Molli Redigano Lun Gen 02, 2023 7:50 am

Idea senz'altro originale: spaccato storico importante per l'Italia, impreziosito, a mio parere, da una venatura steampunk tutt'altro che scontata. Ho letto con piacere un testo scritto bene.

L'aspetto sul quale vorrei porre l'accento e che secondo me è l'essenza vera del racconto, riguarda il patriottismo del protagonista. Un po' innato, un po' necessità, un po' vendetta, ma comunque sano. Dunque un personaggio che quasi diventa il simbolo nel quale si possono identificare tutti i combattenti. 

Il rapporto madre/figlio è sempre particolare, nel bene e nel male. In questo caso c'è un passato, doloroso, che incombe. Alla fine ogni mamma sa cogliere, analizzare e anche realizzare i pensieri della sua creatura, senza bisogno di tante parole.

Il corvo Lucio mi ha lasciato una sensazione di simpatia e inquietudine allo stesso tempo.

Grazie

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Messaggio Da Achillu Lun Gen 02, 2023 11:31 pm

Ciao Aut-

Qualche svista da sistemare: "mi gira" al posto di "mi girai"; "Akimuzi" al posto di "Akimizu". Poi "abituata alle zone di guerra" deve concordare con "animale" che è maschile.
"alessitimia" è una parola del secolo scorso, capisco che siamo in una ucronia ma secondo me non è comunque adatta al 1848.
Questo è solo un dubbio: i moti del Risorgimento erano "per la Patria" o "per l'Italia"? Me lo chiedo perché in alcune zone della penisola credevano che "Italia" fosse una persona.
Secondo me non c'è bisogno di molti altri aggiustamenti. Non conosco molto le cinque giornate di Milano, ma trovo nel tuo racconto una ammirazione per quell'evento che traspare non solo dalla tua conoscenza ma anche dalle parole che usi per descriverlo. Insomma il famoso "show don't tell" che secondo il mio personale gusto hai tirato fuori in maniera molto ben riuscita.
Piaciuto tantissimo anche il "trucco" di alleare gli Austriaci con Giapponesi ed Eritrei per inserire la katana Akimizu e la giraffa, anche se devo ammettere che il nome dato alla katana risulta artificioso in quanto non spiegato né giustificato.
Anche la trama principale è a mio gusto ben congegnata e ben esposta; le cinque giornate di Milano sono co-protagoniste e non invadono eccessivamente l'amore del protagonista per la madre.
Steampunk ben congegnato, come pure ben congegnata l'ucronia per inserire i paletti, con l'unica nota a margine che ho scritto sopra. Con la presenza del corvo, della gemma e della giraffa, diventa anche superflua la katana. Piaciuta anche la cucina steampunk.

Grazie e alla prossima.

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Messaggio Da SuperGric Mer Gen 04, 2023 6:07 am

Un racconto steampunk particolare e piacevole, senza dubbio.
Singolare il contesto, con le cinque giornate di Milano rivisitate, con un molti dettagli anche storici e storture steampunk/ucroniche coerenti. La trama è ben congegnata e il finale si incastra con gli elementi presentati precedentemente. I personaggi sono delineati. Secondo me la scrittura è un po’ il suo punto debole, sorry aut*. Hai voluto calcare troppo sui sentimenti con il risultato opposto di perdere efficacia: meglio il non detto, più evocativo e toccante. Comprendo la paura di non far arrivare alcuni passaggi, ma il lettore, anche quello frettoloso, capisce, fidati. Peccato alcune sviste, ma nulla di che.
Comunque un bel pezzo, secondo me da sviluppare in qualcosa di più: un racconto lungo o un romanzo breve.
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Messaggio Da vivonic Dom Gen 08, 2023 11:29 am

Ciao, Autore. Ho riletto il tuo racconto senza che mi venisse in mente, come se lo leggessi per la prima volta. Questo, di solito, non è un buon segno: vuol dire che non mi è arrivato allora, e non lo ricorderò nel tempo.
In effetti, non è stata una lettura piacevole, un po' per il ritmo (davvero troppo lento) e un po', probabilmente, per l'argomento.
Se dal punto di vista dello step è tutto al posto giusto, da quello della piacevolezza di lettura (personalissima) non posso dire che il tuo racconto mi sia piaciuto. 
Il titolo non mi piace: rimanda a ben altra storia di Edgar Allan Poe e, in più, lo trovo inadatto al tuo racconto (tanto che non ho capito quale fosse il racconto).
Buon lavoro per lo step in sé, un po' meno in generale, dal mio soggettivissimo punto di vista.
Mi spiace.

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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
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Messaggio Da Menico Lun Gen 09, 2023 4:56 pm

Rielaborazione delle cinque giornate di Milano in chiave steampunk perfettamente riuscita.
Lettura gradevole e trama interessante. Personaggi storici perfettamente integrati nella storia. Non azzeccatissimi, a mio parere, l'aeronave austriaca, gli aquiloni corrazzati milanesi e la giraffa eritrea con la testa corrazzata.

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