Le moderne sale d’attesa sono i call center. Non si fa più anticamera davanti alla porta di un ufficio, oggi si aspetta col telefono incastrato fra l’orecchio e la spalla, che un signore o una signora più o meno gentile, ma sempre sottopagato, ci aiuti a risolvere un piccolo o grande problema.
Figurati poi, Hope, quando la richiesta è inconsueta e un po’ borderline come la mia. Chissà cosa avrà pensato, Adelina, operatore 4216 che risponde dall’Albania, quando le ho sottoposto il mio quesito. Probabilmente mi avrà preso per un pazzo, per un perdigiorno che telefona alle compagnie aeree per proporre loro bizzarri quesiti.
Dopo avermi fatto ripetere diverse volte la richiesta, mi ha lasciato in attesa dicendomi di doverne parlare con il supervisore. Dopo un periodo interminabile, nel quale un orribile motivetto musicale mi trapana il cervello, Adelina riemerge.
“Gentile utente, in realtà per la nostra compagnia lei può trasportare come bagaglio in cabina qualsiasi cosa che non risulti pericolosa per la navigazione aerea. Tuttavia, il mio supervisore mi faceva presente che per lei la scelta migliore sarebbe imbarcare il suo speciale bagaglio nella stiva.”
Questo non accadrà mai, penso.
“Inoltre, lei dovrebbe interpellare gli uffici della dogana sia italiana che inglese e i servizi di sicurezza dell’aeroporto. Il suo bagaglio, infatti, potrebbe essere bloccato dalla sicurezza ben prima di giungere al gate.”
A questo avevo già pensato, sono pronto ad affrontare altre anticamere telefoniche.
Ieri, Hope, cercando il passaporto, ho trovato un vecchio numero del Kent Magazine. Probabilmente lo hai conservato perché c’era la notizia del nuovo centro multi religioso inaugurato nel campus. A tempi nostri non c’era.
Ai tempi nostri…. Come dimenticare la prima volta che ci siamo visti: in chiesa, durante la messa. Come nell’Ottocento, dicevamo celiando. Certo, era una chiesa piuttosto particolare: un centro polifunzionale nel campus dell’Università del Kent dove la domenica si teneva la messa degli studenti cattolici.
Fa tutto oramai parte delle legende di famiglia.
Non ti ho mai detto, invece, che quell’incontro casuale non fu. Io da padre Vincent andai apposta per te. Ti avevo visto qualche giorno prima nel bar della Student Union. Chiesi in giro di te, ma sembrava che nessuno ti avesse visto prima. Finché Riley, quello di Birmingham che si faceva una canna dopo l’altra, e frequentava Calculus con te, mi consigliò di cambiare obiettivo.
“È cattolica, tutte le domeniche a messa in prima fila. Quella non te la fa vedere nemmeno da lontano”.
E allora fui io che venni a vedere messa, io, comunista, figlio di comunisti, io nemmeno battezzato.
La cosa non mi dispiacque. Sarà che il cattolicesimo in Inghilterra è una religione di minoranza e quindi anticonvenzionale e progressista, sarà che quella non era una chiesa tradizionale, sarà che don Vincent era uno bravo veramente, sarà che mi sentivo solo in un paese straniero. Non so cosa fu, ma mi sembrò di entrare in una chiesa mai vista prima. Eravamo una comunità, seduti in circolo intorno al prete che sembrava, anzi era, uno di noi. La messa era partecipata, un vero rito collettivo. Pregammo insieme per Nelson Mandela e per la fine dell’apartheid. Per dare corpo a quelle preghiere, finita la messa, organizzammo il volantinaggio dell’indomani davanti alla filiale della Barclays in campus, per spingere gli studenti a boicottare le banche che mantenevano rapporti economici con il regime sudafricano.
La sera della domenica, don Vincent, che aveva vissuto alcuni anni a Roma, organizzava sempre una cena, a base di cibo italiano, a casa sua. Quando seppe da dove venivo, immediatamente mi coinvolse nella preparazione della cena.
Ci parlammo da soli lì per la prima volta, al party della Catholic Society.
“Gentile utente, ci scusiamo per l’attesa. A causa dell’ingente traffico telefonico, tutti gli operatori sono momentaneamente impegnati. La invitiamo a non riagganciare per non perdere la priorità acquisita”
Eccomi di nuovo a fare anticamera. Stavolta sono stato previdente, ho indossato gli auricolari wireless che mi comprò Elena qualche Natale fa. Quell’anno che a te regalò quel plaid con l’Union Jack da un lato e il tricolore dall’altro. Un po’ kitsch, forse, ma solo per chi non ti conosce. Quel plaid ti rappresenta perfettamente. Mezza inglese, mezza, per amore e per fortuna, italiana. Elena, non ci ha mai voluto dire dove l’avesse trovato. Probabilmente se l’era fatto fare apposta. Ricordi, cara, in quello stesso Natale ci informò che sarebbe andata a fare il dottorato in studi classici a Berkeley. Appena tre anni fa, se ci pensi.
Sembra passata un’eternità.
Ingente traffico… Ma quando mai, Hope. Chi vuoi che telefoni all’URP dell’Aeroporto di Fiumicino.
Tutti gli operatori…Ce ne sarà uno solo, magari in pausa caffè.
Infatti, quando risponde, pare sveglio e riposato, almeno lui. Anticamera finita.
“Gentile utente la sua non è una richiesta così inusuale. Se mi dà il suo indirizzo mail, le faccio avere la lista della documentazione necessaria e il tipo di imballaggio che le verrà richiesto. Si ricordi che, nel suo caso, insieme all’autorizzazione del Comune di residenza, dovrà anche contattare l’ambasciata inglese.”
La lista dei documenti è lunga, d’altra parte siamo in Italia, amor mio. Mi tocca chiamare anche il comune di Roma.
Come dicevi? “Peggio della burocrazia italiana, c’è solo la burocrazia romana”.
Come pensi che mi definiranno al centralino del Comune di Roma, utente o cittadino?
Nel frattempo, Hope, ho telefonato a Rose del nostro B&B di Whitsable. È stata, come al solito, molto cordiale. Era contenta di sapere che saremmo tornati quest’anno. Ci ha ovviamente riservato la solita stanza, la nostra. Dell’anno scorso non mi ha chiesto nulla, per fortuna. Ma non avevo dubbi. Questa è la differenza fra noi italiani curiosi e invadenti e voi inglesi, magari ugualmente curiosi, ma molto più rispettosi della privacy e degli affari degli altri.
L’anticamera al Comune di Roma sembra non finire mai. Ho aspettato una ventina di minuti buoni al centralino. Poi, non ci crederai, mi hanno rimbalzato da un ufficio all’altro, senza sapermi dare ancora una risposta. Che stupido, certo che ci credi!
E mica è finita. Siamo rimasti d’accordo che avrei richiamato domani. Mi hanno dato un numero diretto, almeno spero.
“Il collega che si occupa del suo problema è oggi in ferie”, mi ha spiegato un impiegato.
Ferie eterne, come la città, avresti chiosato tu.
Gli avrei dovuto rispondere che il mio non era un problema, la mia era una semplice richiesta. Il problema semmai era loro, che non riuscivano a darmi, in tempi ragionevoli, una risposta. Così gli avresti detto tu, che sei sempre stata molto più cazzuta di me.
“Tu sei allergico ai litigi. Se potessi, spalmeresti continuamente miele su tutte le relazioni umane”.
Quante volte me lo ripeti!
E se è un giorno fortunato, aggiungi: “È anche per questo che ti amo”.
Altrimenti, mi devo accontentare di immaginarlo sottinteso.
Il B&B di Whitsable. Li abbiamo fatto l’amore per la prima volta, tre mesi dopo il nostro incontro in chiesa. E, ringraziando quel tuo Dio, non abbiamo mai smesso.
Una domanda prepotente mi viene in mente, amore mio. Non ci posso far nulla.
“Mi sei mai stata infedele, Hope?”.
Immediatamente, mi pento e mi taglierei la lingua. Che cazzo di domanda inutile! E come dico sempre ai miei studenti del corso di Genetica, le domande inutili sono anche le più stupide.
Lo so che mi sei stata fedele, che hai sempre voluto il mio bene. Hai sempre desiderato che fossi felice, anche se questo costava un po’ della tua felicità. D'altronde hai accettato di venire in Italia perché sapevi che in Inghilterra, lontano dalla mia terra e dalla mia famiglia, felice non avrei potuto essere.
Che importanza può mai avere, se in qualcuno dei convegni di fisica cui partecipavi in giro per il mondo, una sera dopo aver bevuto un po’ di più…
Le proposte non saranno mancate, bella come sei.
Non me ne importa. Who cares, direste voi.
Una decina di anni fa, ho avuto più di un dubbio. Quel tuo collega spagnolo che ogni tanto chiamava. Ho avuto paura, probabilmente te ne sei accorta. E forse proprio per questo, lo stronzo non chiamò più.
“Gentile utente, sono Monica e telefono per conto di Tim. Lei usa l’ADSL? Vuole provare la straordinaria velocità della nostra fibra?”
In altri momenti, avrei velocemente liquidato Monica, cercando di rimanere cortese. Ma oggi sono in macchina e mi aspetta un lungo viaggio. Non ho più quarant’anni e nemmeno cinquanta. Così, mi faccio raccontare tutte le mirabilie della loro fibra. Chiedo notizie su tempi di installazione, sulle varie opzioni, sui costi. Insomma, passo il tempo. Dopo una quindicina di minuti, le confesso che sono già loro cliente o utente come si dice. Incazzata, Monica chiude senza salutare. Mi scuso idealmente con lei.
Mi sono scaricato tante cose interessanti che ci potremo ascoltare: quattro romanzi della serie Ad alta voce, una ventina di puntate di Wikiradio, e di Hollywood Party, il cinema alla radio. Tutto rigorosamente di marca Radio Tre, la mia, la nostra, radio di riferimento.
Il viaggio è lungo da Roma a Whitsable.
Hope, tesoro, mi sono stancato di riempire moduli e di fare anticamera al telefono, andiamo in macchina. E chi si è visto, si è visto. So bene che tu non avresti mollato. Ne avresti fatto una questione di principio.
“Basta essere trattati da anonimi utenti, noi siamo persone”, avresti urlato all’interlocutore di turno.
Ma tu sai anche che sono pigro, Hope. Quante volte me lo hai rinfacciato? Un pigro strano in verità, un pigro che si fa quasi duemila chilometri di auto per non fare più anticamera telefonica. In realtà mi sono stufato di chiedere il permesso per fare quello che voglio fare.
E poi mi piace l’idea di passare quasi due giorni in macchina con te. Di tante cose ancora dobbiamo parlare.
Non ho detto nulla a Elena. Sa che prendiamo l’aereo. Meglio così, non voglio si preoccupi immaginandoci ad attraversare l’Europa su una Golf, stagionata quasi quanto noi.
E adesso alzo il volume. Inizia la Barcaccia, il programma che a te, inglese melomane, piace tanto.
Amore, gustiamoci fino in fondo, io e te, questa straordinaria avventura. Mille e ottocento chilometri alla conquista dell’Europa. Non possono voltarmi, sto superando un TIR, ma sono sicuro che stai sorridendo.
Rose comprende quel che è successo, quando mi vede entrare nel B&B. Lei non avrebbe chiesto nulla, ma io le racconto tutto. In fondo, è come una cara amica. Siamo stati utenti del suo B&B per più di trent’anni. Siamo venuti tutti gli anni da quella prima volta, sempre negli stessi giorni, questi; merita di sapere che l’anno scorso eravamo in un'altra camera, in un albergo che non avevamo scelto e dove non avremmo voluto essere.
Nel firmare il registro delle presenze scrivo,
Hope Shaw and Arturo Patarnello, 01/04/2022, exactly thirty-four years since the first time.
Ho preso una barca, per allontanarmi giusto una ventina di metri dalla riva.
Scrivo un messaggio a Elena perché sia con me adesso, anche se in California è notte fonda:
“Lo sto facendo. È come se ci fossi anche tu”.
Risponde immediatamente.
“Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris”.
Dove abbiamo sbagliato, Hope, per aver fatto, noi, due scienziati, una figlia latinista fino al midollo?
Apro la scatola di legno che ho tenuto sul sedile del passeggero tutto il tempo del viaggio.
E ti confondi col mare.