L'arrosto
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L'arrosto
L’arrosto
L’arrosto finiva tristemente di rosolare nella teglia sotto lo sguardo assente della signora.
Il piano cottura era il miglior connubio di tecnologia e design. Tutta la cucina, di marca, firmata, che l’arredatore strapagato aveva convinto a scegliere grigio scuro, era il massimo dell’estetica e della funzionalità al servizio della famiglia.
L’arrosto stesso era un’eccellenza: la carne migliore, tenera e gustosa, grassa al punto giusto, scelta e guarnita con perizia dal più rinomato macellaio del paese per il più rispettato cliente del paese.
E la signora distrattamente si domandava perché l’arrosto fosse triste.
Anche lei si sentiva triste, anzi no! Non era tristezza, era apatia? Abulia? Non sapeva dire. Riconosceva il suo stare ma non sapeva nominarlo; questa era anomia!
Una improvvisa reminiscenza dei suoi studi di ragazza di buona famiglia. Una piccola grande vittoria! Una vittoria sì, ma ancora una volta non sapeva dire su chi, o su che cosa. Quale guerra o quale battaglia stesse combattendo. Anomia.
Ma tutto ciò non rispondeva alla domanda del perché quell’arrosto fosse così triste.
Lui sarebbe rientrato, come ogni sera, tardi, come ogni sera. Lui sarebbe rientrato, come ogni sera, in parte, come ogni sera.
Il suo corpo sarebbe stato a casa, la sua mente (e se ci fosse stata ancora una briciola di romanticismo in lei, avrebbe detto anche il suo cuore) sarebbe rimasta fuori. Al lavoro? Dal commercialista? Non aveva neppure la soddisfazione di poter pensare ad altre stanze, altre passioni, altri avversari o altre avversarie; non era quella la sua guerra.
Qualche anno prima i bambini sarebbero stati già a letto; adesso se ne stavano fuori, lontani il più possibile, il più a lungo possibile dalla tristezza di quella casa e di quell’arrosto.
Quell’arrosto che sarebbe stato accolto con un “Buono”, come qualsiasi altra cosa si fosse trovato nel piatto mentre lei raccontava dei bambini, poi dei ragazzi, della scuola e delle tante loro attività.
E lui avrebbe detto “Bene”.
A meno che un voto a scuola meno che eccellente (raramente ma qualche volta succedeva) avesse turbato quel rassicurante cammino di famiglia esemplare. Allora lui avrebbe detto “Ah!”. Che era l’unica espressione per la quale lui sprecasse un punto esclamativo.
Forse per questo l’arrosto era triste: sapeva che sarebbe finito senza nessun punto esclamativo.
Lei non sapeva perché ma questo pensiero la fece sorridere. Tra sé e sé, naturalmente. Sorridere da sola in mezza a quella cucina solenne come una cattedrale le sarebbe sembrato inappropriato.
Comunque, mentre lui mangiava, lei doveva parlare, raccontare, riempire il silenzio. No, non doveva. Forse le conveniva? Se lo aspettava? Era la cosa giusta da fare? Anche qui non sapeva dire, maledetta anomia!
Ma era certa che dall’eventuale silenzio sarebbe emersa la voce di lui “Tutto bene” o “Qualcosa non va”. E non sarebbe stata l’assenza dei punti interrogativi a farla sentire in colpa, inefficace, inappropriata. Sarebbe stata l’assenza di empatia o meglio l’apatia: “incapacità prolungata o abituale di partecipazione o di interesse, sul piano affettivo o anche intellettivo”. Un’altra lontana reminiscenza, un’altra piccola grande vittoria nella sua guerra senza nome.
Non ci sarebbe stata televisione “Inutile spreco di tempo”. Si sarebbero preparati per la notte, prima lui, poi lei. Uscendo dal bagno l’avrebbe trovato con gli occhiali sulla punta del naso e il suo solito libro. Di solito un giallo italiano: Lucarelli, Carrisi, Manzini. Camilleri no, troppo meridionale. Anche Carofiglio, meridionale sì, ma meno.
Appena qualche pagina, “Buona notte”, luce spenta.
Forse per questo l’arrosto era triste, sapeva come sarebbe andata a finire. Ma questo, adesso, non la faceva sorridere.
Era ora di girarlo, quell’arrosto! Anzi era ora di spegnere il fuoco (in realtà era una piastra a induzione).
La mano mollemente protesa verso i comandi sembrava esitare tra una carezza complice e una pressione definitiva e alla fine non seppe scegliere; la signora fece lentamente due passi indietro, mentre un fumo che si colorava di acre cominciava a turbare l’armonia della cucina altrimenti algida come un museo poco frequentato.
Infilò il soprabito e uscì dove tutto era imperfetto e vivo.
Le dispiaceva per l’arrosto, ma in fondo se l’era cercata.
https://www.differentales.org/t478-fragole-cioccolata-e-pasta-dentifricia#5443
L’arrosto finiva tristemente di rosolare nella teglia sotto lo sguardo assente della signora.
Il piano cottura era il miglior connubio di tecnologia e design. Tutta la cucina, di marca, firmata, che l’arredatore strapagato aveva convinto a scegliere grigio scuro, era il massimo dell’estetica e della funzionalità al servizio della famiglia.
L’arrosto stesso era un’eccellenza: la carne migliore, tenera e gustosa, grassa al punto giusto, scelta e guarnita con perizia dal più rinomato macellaio del paese per il più rispettato cliente del paese.
E la signora distrattamente si domandava perché l’arrosto fosse triste.
Anche lei si sentiva triste, anzi no! Non era tristezza, era apatia? Abulia? Non sapeva dire. Riconosceva il suo stare ma non sapeva nominarlo; questa era anomia!
Una improvvisa reminiscenza dei suoi studi di ragazza di buona famiglia. Una piccola grande vittoria! Una vittoria sì, ma ancora una volta non sapeva dire su chi, o su che cosa. Quale guerra o quale battaglia stesse combattendo. Anomia.
Ma tutto ciò non rispondeva alla domanda del perché quell’arrosto fosse così triste.
Lui sarebbe rientrato, come ogni sera, tardi, come ogni sera. Lui sarebbe rientrato, come ogni sera, in parte, come ogni sera.
Il suo corpo sarebbe stato a casa, la sua mente (e se ci fosse stata ancora una briciola di romanticismo in lei, avrebbe detto anche il suo cuore) sarebbe rimasta fuori. Al lavoro? Dal commercialista? Non aveva neppure la soddisfazione di poter pensare ad altre stanze, altre passioni, altri avversari o altre avversarie; non era quella la sua guerra.
Qualche anno prima i bambini sarebbero stati già a letto; adesso se ne stavano fuori, lontani il più possibile, il più a lungo possibile dalla tristezza di quella casa e di quell’arrosto.
Quell’arrosto che sarebbe stato accolto con un “Buono”, come qualsiasi altra cosa si fosse trovato nel piatto mentre lei raccontava dei bambini, poi dei ragazzi, della scuola e delle tante loro attività.
E lui avrebbe detto “Bene”.
A meno che un voto a scuola meno che eccellente (raramente ma qualche volta succedeva) avesse turbato quel rassicurante cammino di famiglia esemplare. Allora lui avrebbe detto “Ah!”. Che era l’unica espressione per la quale lui sprecasse un punto esclamativo.
Forse per questo l’arrosto era triste: sapeva che sarebbe finito senza nessun punto esclamativo.
Lei non sapeva perché ma questo pensiero la fece sorridere. Tra sé e sé, naturalmente. Sorridere da sola in mezza a quella cucina solenne come una cattedrale le sarebbe sembrato inappropriato.
Comunque, mentre lui mangiava, lei doveva parlare, raccontare, riempire il silenzio. No, non doveva. Forse le conveniva? Se lo aspettava? Era la cosa giusta da fare? Anche qui non sapeva dire, maledetta anomia!
Ma era certa che dall’eventuale silenzio sarebbe emersa la voce di lui “Tutto bene” o “Qualcosa non va”. E non sarebbe stata l’assenza dei punti interrogativi a farla sentire in colpa, inefficace, inappropriata. Sarebbe stata l’assenza di empatia o meglio l’apatia: “incapacità prolungata o abituale di partecipazione o di interesse, sul piano affettivo o anche intellettivo”. Un’altra lontana reminiscenza, un’altra piccola grande vittoria nella sua guerra senza nome.
Non ci sarebbe stata televisione “Inutile spreco di tempo”. Si sarebbero preparati per la notte, prima lui, poi lei. Uscendo dal bagno l’avrebbe trovato con gli occhiali sulla punta del naso e il suo solito libro. Di solito un giallo italiano: Lucarelli, Carrisi, Manzini. Camilleri no, troppo meridionale. Anche Carofiglio, meridionale sì, ma meno.
Appena qualche pagina, “Buona notte”, luce spenta.
Forse per questo l’arrosto era triste, sapeva come sarebbe andata a finire. Ma questo, adesso, non la faceva sorridere.
Era ora di girarlo, quell’arrosto! Anzi era ora di spegnere il fuoco (in realtà era una piastra a induzione).
La mano mollemente protesa verso i comandi sembrava esitare tra una carezza complice e una pressione definitiva e alla fine non seppe scegliere; la signora fece lentamente due passi indietro, mentre un fumo che si colorava di acre cominciava a turbare l’armonia della cucina altrimenti algida come un museo poco frequentato.
Infilò il soprabito e uscì dove tutto era imperfetto e vivo.
Le dispiaceva per l’arrosto, ma in fondo se l’era cercata.
https://www.differentales.org/t478-fragole-cioccolata-e-pasta-dentifricia#5443
Re: L'arrosto
Ho rivisto di recente il film Revolutionary Road. Questo tuo racconto to me lo ha ricordato, in qualche modo.
Questa frase è davvero una perla!
Forse per questo l’arrosto era triste: sapeva che sarebbe finito senza nessun punto esclamativo.
Questa frase è davvero una perla!
Forse per questo l’arrosto era triste: sapeva che sarebbe finito senza nessun punto esclamativo.
Petunia- Moderatore
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Re: L'arrosto
Invidio te e gli altri come te per la vostra capacità di creare atmosfera. In questa storia c'è buona atmosfera ma non bella, nel senso che si respira una tristezza che probabilmente prova più di una famiglia. Mi sento fortunato a non essere in quella situazione. Ma certe sensazioni comunque appartengono all'uomo, quindi anche senza averle vissute sono comprensibilissime. Soprattutto se raccontate così bene come hai fatto te. A malincuore, sebbene la protagonista comunque sceglie di vivere una sana imperfezione, bravo. Mi è piaciuto.
digitoergosum- Cavaliere Jedi
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Re: L'arrosto
Grazie Petunia, grazie digitoergosum. Ho lavorato per molti anni con gli imprenditori proprio nella provincia di Bresca occupandomi di comunicazione in azienda e in famiglia. Questa storia non è "vera" ma è sicuramente verosimile.
Re: L'arrosto
Un vero (o come dici tu, verosimile) spaccato di vita reale. Fredda. Triste.
Di mille famiglie perfette. Uguali. Fredde. Tristi.
Ben scritto. Ben dipinto.
Povero arrosto. Ma in fondo se l'era cercata.
Di mille famiglie perfette. Uguali. Fredde. Tristi.
Ben scritto. Ben dipinto.
Povero arrosto. Ma in fondo se l'era cercata.
CharAznable- Cavaliere Jedi
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Età : 47
Località : Magenta
Re: L'arrosto
Mi piace di questo racconto che tutto sia concentrato sull'oggetto protagonista e vittima, nonché occasione delle infinite riflessioni della protagonista, ovvero il povero arrosto. Mi piace anche il ritmo della narrazione, sciolto e accattivante. Anche la chiusa mi piace, una battuta incisiva e abbastanza ironica. Per quanto riguarda la verosimiglianza della situazione: una famiglia borghese con moglie casalinga frustrata, figli grandi e fuori casa, marito distratto che trova per cena l'arrosto amorevolmente cucinato dalla moglie, che in alternativa ad avvelenarlo, decide di piantarlo finalmente... La trovo un po' datata, mi ricorda qualche famiglia borghese anni 70-80 e qualche madre delle mie amiche, angelo del focolare e bastantemente frustrate da marito e arrosto. Le mie coetanee con problemi familiari analoghi, le rappresenterei diversamente.
Bel racconto comunque. Bye.
Bel racconto comunque. Bye.

Ospite- Ospite
Re: L'arrosto
Partirei da considerazioni di carattere generale: bella scrittura, anche ottime immagini. La resa funziona. La storia è attuale, non c'è che dire.
Entrando nello spazio "gusti personali", devo dire che mi manca qualcosa in questo piccolo racconto. Non saprei definirlo… (forse un caso di anomia?). Sono refrattario, me ne assumo la responsabilità, a tuffarmi in quello che già vedo e sento ogni giorno. Però al di là di questo la storia in sé non ci concede uno spiraglio di "nuovo". La soluzione mi sconcerta, troppo moderna. Se dicessi "troppo facile" farei un torto all'autore che con sapienza e pazienza ha saputo pitturare un quadro ben definito, in cui di colori se ne vedono e tanti. Il percorso che ha portato a un fallimento è ben indicato, e sicuramente rappresenta il valore del testo.
Ma ripeto, la soluzione è quella che conosciamo.
Entrando nello spazio "gusti personali", devo dire che mi manca qualcosa in questo piccolo racconto. Non saprei definirlo… (forse un caso di anomia?). Sono refrattario, me ne assumo la responsabilità, a tuffarmi in quello che già vedo e sento ogni giorno. Però al di là di questo la storia in sé non ci concede uno spiraglio di "nuovo". La soluzione mi sconcerta, troppo moderna. Se dicessi "troppo facile" farei un torto all'autore che con sapienza e pazienza ha saputo pitturare un quadro ben definito, in cui di colori se ne vedono e tanti. Il percorso che ha portato a un fallimento è ben indicato, e sicuramente rappresenta il valore del testo.
Ma ripeto, la soluzione è quella che conosciamo.
Ospite- Ospite
Re: L'arrosto
Bellissimo racconto, complimenti.
Ho apprezzato il ruolo centrale dell'arrosto, motore di una serie di riflessioni da parte della protagonista che riescono a dipingere una vita in poche righe.
Il ritmo poi è sublime, i salti tra un immagine e un pensiero (un ricordo, un rimpianto) gestiti meravigliosamente.
Piaciuto davvero molto.
Ele
Ho apprezzato il ruolo centrale dell'arrosto, motore di una serie di riflessioni da parte della protagonista che riescono a dipingere una vita in poche righe.
Il ritmo poi è sublime, i salti tra un immagine e un pensiero (un ricordo, un rimpianto) gestiti meravigliosamente.
Piaciuto davvero molto.
Ele
Hellionor- Admin
- Messaggi : 574
Punti : 610
Infamia o lode : 6
Data di iscrizione : 17.10.20
Età : 43
Località : torino
Re: L'arrosto
Grazie a tutti per i bei commenti. @Dafne purtroppo conosco molte famiglie, soprattutto tra gli imprenditori di provincia o di paese, dove la situazione è ancora questa. Contiamo sulle prossime generazioni di donne e di uomini per una più equilibrata educazione dei giovani. Ma noi non ci saremo.
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