Staffetta 2 - Episodio 1
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Staffetta 2 - Episodio 1
L’uomo camminava a passo spedito, regolare, su strade secondarie e sentieri battuti che attraversavano il bosco sulla dorsale del Monte Busso, a nord di Fascina, paesone pedemontano di scarse attrattive che si era costruita una nicchia industriale nel campo della minuteria meccanica di precisione. La Fascina storica era un buchetto, in realtà, con una brutta periferia di capannoni, centri logistici e direzionali, sorta in fretta e furia negli anni ’60 e ’70. Ben oltre l’oltraggio paesaggistico, invece, generalmente sulle colline a nord, i nuovi ricchi si erano costruite ville e villette, ben protette da mura, cancelli e, specialmente, dai fitti boschi di larici, abeti, pini. E perfino alcuni industriali cinesi, coi quali gli imprenditori fascinesi commerciavano da diversi anni, non avevano disdegnato di comperarsi una villa fra quei boschi profumati, e ogni tanto capitavano e spendevano generosamente, sempre sorridenti.
Il viandante non era di Fascina; anzi, veniva da molto lontano. Ma nelle settimane precedenti aveva fatto diversi sopralluoghi, alloggiando in strutture diverse di paesini della zona, qualche volta anche in sacco a pelo direttamente nel bosco, in modo di dare poco nell’occhio, di passare il più possibile inosservato, mai due volte nello stesso posto. Da vero professionista sapeva bene che non c’era modo di evitare completamente di lasciare tracce che, prima o dopo, potevano diventare compromettenti, pericolose. Ma con un’adeguata preparazione, disciplina e concentrazione, i rischi potevano essere ridotti al minimo. A un livello talmente infimo da potersi considerare trascurabile.
Così era venuto, e ritornato, più volte. Aveva percorso il bosco, individuato le alture che circondavano la villa dove risiedeva il suo obiettivo, valutato le vie di fuga in relazione a differenti scenari, sistemato elementi di equipaggiamento essenziali in punti ben nascosti che aveva impresso nella mente: una coperta termica nel cavo di un pino; alcune razioni energetiche sotto una piccola piramide di pietre al di là del ruscello. Ma, specialmente, le componenti fondamentali del suo lavoro, portate una alla volta per non compromettersi in un eventuale controllo della forestale in cerca di bracconieri.
Ora, nel suo ultimo viaggio attraverso il bosco, procedendo sicuro verso la sua destinazione, raccoglieva quelle componenti e le riponeva nello zaino: la canna, il calcio, il mirino ottico, il bipode.
Camminava. Camminava senza un reale pensiero. Anche per questo era così bravo. Il tiratore non è bravo solo perché ha mira; ha mira perché ha la mente sgombra. Il resto è questione di tecnica e di pratica, chiunque può acquisirle. Ma la mente sgombra no. La mente sgombra è in parte una questione naturale, personale, caratteriale. In parte è - come si può dire? - una questione filosofica: concepire la vita come assenza di valori e idealità, tendenzialmente superomistica e nichilista; essenziale per portare a conclusione un lavoro come quello. Infine, certo, occorreva una grande disciplina: niente alcol, niente fumo, almeno 5 ore di attività fisica ogni giorno, meditazione, niente sesso almeno nella settimana precedente a una missione; questione trascurabile per lui, visto che raramente si concedeva uno sfogo sessuale a pagamento, e tanto gli bastava. L’uomo pensava che il suo destino fosse assai simile a quello dei monaci medievali, degli asceti orientali… Una vita sostanzialmente di privazione, almeno giudicando col metro della gente comune, a favore della perfezione racchiusa in un solo gesto. E quel gesto, per lui, era premere il grilletto e fare centro.
Aveva quasi sempre fatto centro. Tranne quella volta, quattro anni prima, alla periferia di Parigi. Un errore inaccettabile. L’organizzazione per la quale lavorava l’aveva perdonato, un fatto eccezionale che sottolineava il valore che comunque gli veniva riconosciuto; ma lui non aveva perdonato se stesso e si era inflitto punizioni corporali terribili che, casualmente filtrate nel suo ambiente, avevano suscitato raccapriccio e un definitivo timore reverenziale nei suoi riguardi.
Ma questo era il passato, e all’uomo interessava solo il qui e ora. Quelli erano pensieri e ricordi, e l’uomo non aveva mai permesso ai ricordi, ai rimpianti, men che meno ai rimorsi, di occupare la sua mente sottraendo spazio ed energie all’unica cosa che importava: camminare; raggiungere la destinazione; montare l’arma; attendere il momento giusto; trattenere il respiro; premere il grilletto.
L’uomo, per ora, camminava.
Una brezza leggera soffiava fra gli alberi. L’uomo l’avrebbe detta piacevole, se solo se ne fosse accorto. Ma lui semplicemente camminava in maniera ritmica, meccanica, e la sua mente era sgombra, e i suoi sensi erano tutti indirizzati verso l’unico obiettivo.
Un passo, un altro passo, il guado di un ruscello, il recupero del calcio del fucile, poi altri passi, sempre regolari, sicuri, cadenzati.
Non mancava molto, ormai, alla sua destinazione.
Il viandante non era di Fascina; anzi, veniva da molto lontano. Ma nelle settimane precedenti aveva fatto diversi sopralluoghi, alloggiando in strutture diverse di paesini della zona, qualche volta anche in sacco a pelo direttamente nel bosco, in modo di dare poco nell’occhio, di passare il più possibile inosservato, mai due volte nello stesso posto. Da vero professionista sapeva bene che non c’era modo di evitare completamente di lasciare tracce che, prima o dopo, potevano diventare compromettenti, pericolose. Ma con un’adeguata preparazione, disciplina e concentrazione, i rischi potevano essere ridotti al minimo. A un livello talmente infimo da potersi considerare trascurabile.
Così era venuto, e ritornato, più volte. Aveva percorso il bosco, individuato le alture che circondavano la villa dove risiedeva il suo obiettivo, valutato le vie di fuga in relazione a differenti scenari, sistemato elementi di equipaggiamento essenziali in punti ben nascosti che aveva impresso nella mente: una coperta termica nel cavo di un pino; alcune razioni energetiche sotto una piccola piramide di pietre al di là del ruscello. Ma, specialmente, le componenti fondamentali del suo lavoro, portate una alla volta per non compromettersi in un eventuale controllo della forestale in cerca di bracconieri.
Ora, nel suo ultimo viaggio attraverso il bosco, procedendo sicuro verso la sua destinazione, raccoglieva quelle componenti e le riponeva nello zaino: la canna, il calcio, il mirino ottico, il bipode.
Camminava. Camminava senza un reale pensiero. Anche per questo era così bravo. Il tiratore non è bravo solo perché ha mira; ha mira perché ha la mente sgombra. Il resto è questione di tecnica e di pratica, chiunque può acquisirle. Ma la mente sgombra no. La mente sgombra è in parte una questione naturale, personale, caratteriale. In parte è - come si può dire? - una questione filosofica: concepire la vita come assenza di valori e idealità, tendenzialmente superomistica e nichilista; essenziale per portare a conclusione un lavoro come quello. Infine, certo, occorreva una grande disciplina: niente alcol, niente fumo, almeno 5 ore di attività fisica ogni giorno, meditazione, niente sesso almeno nella settimana precedente a una missione; questione trascurabile per lui, visto che raramente si concedeva uno sfogo sessuale a pagamento, e tanto gli bastava. L’uomo pensava che il suo destino fosse assai simile a quello dei monaci medievali, degli asceti orientali… Una vita sostanzialmente di privazione, almeno giudicando col metro della gente comune, a favore della perfezione racchiusa in un solo gesto. E quel gesto, per lui, era premere il grilletto e fare centro.
Aveva quasi sempre fatto centro. Tranne quella volta, quattro anni prima, alla periferia di Parigi. Un errore inaccettabile. L’organizzazione per la quale lavorava l’aveva perdonato, un fatto eccezionale che sottolineava il valore che comunque gli veniva riconosciuto; ma lui non aveva perdonato se stesso e si era inflitto punizioni corporali terribili che, casualmente filtrate nel suo ambiente, avevano suscitato raccapriccio e un definitivo timore reverenziale nei suoi riguardi.
Ma questo era il passato, e all’uomo interessava solo il qui e ora. Quelli erano pensieri e ricordi, e l’uomo non aveva mai permesso ai ricordi, ai rimpianti, men che meno ai rimorsi, di occupare la sua mente sottraendo spazio ed energie all’unica cosa che importava: camminare; raggiungere la destinazione; montare l’arma; attendere il momento giusto; trattenere il respiro; premere il grilletto.
L’uomo, per ora, camminava.
Una brezza leggera soffiava fra gli alberi. L’uomo l’avrebbe detta piacevole, se solo se ne fosse accorto. Ma lui semplicemente camminava in maniera ritmica, meccanica, e la sua mente era sgombra, e i suoi sensi erano tutti indirizzati verso l’unico obiettivo.
Un passo, un altro passo, il guado di un ruscello, il recupero del calcio del fucile, poi altri passi, sempre regolari, sicuri, cadenzati.
Non mancava molto, ormai, alla sua destinazione.
Ultima modifica di Claudio Bezzi il Mer Mag 15, 2024 11:24 am - modificato 2 volte.
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L'uomo fa il male come l'ape il miele (William Golding).
Re: Staffetta 2 - Episodio 1
Bel pezzo, Claudio. Si legge benissimo. E poi, quando c'è di mezzo un killer, mi tuffo a pesce nella storia. I risvolti possono essere quasi infiniti...
Avrei solo un piccolo appunto da fare. La frase "Una brezza leggera filtrava fra il bosco" mi suona stonata. Trovo un po' forzata l'assonanza "filtrava-fra" e non molto appropriata la sequenza "fra il bosco". Se mi permetti, suggerirei un semplice "Una brezza leggera soffiava tra gli alberi" (o "tra i rami").
Per il resto, complimenti.
M.
Avrei solo un piccolo appunto da fare. La frase "Una brezza leggera filtrava fra il bosco" mi suona stonata. Trovo un po' forzata l'assonanza "filtrava-fra" e non molto appropriata la sequenza "fra il bosco". Se mi permetti, suggerirei un semplice "Una brezza leggera soffiava tra gli alberi" (o "tra i rami").
Per il resto, complimenti.
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Re: Staffetta 2 - Episodio 1
Corretto! (Se ho capito le regole potevo farlo, giusto?)M. Mark o'Knee ha scritto:Bel pezzo, Claudio. Si legge benissimo. E poi, quando c'è di mezzo un killer, mi tuffo a pesce nella storia. I risvolti possono essere quasi infiniti...
Avrei solo un piccolo appunto da fare. La frase "Una brezza leggera filtrava fra il bosco" mi suona stonata. Trovo un po' forzata l'assonanza "filtrava-fra" e non molto appropriata la sequenza "fra il bosco". Se mi permetti, suggerirei un semplice "Una brezza leggera soffiava tra gli alberi" (o "tra i rami").
Per il resto, complimenti.
M.
Ho lasciato apposta diversi spunti che possono essere colti o no, a seconda delle idee personali di chi seguirà.
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Re: Staffetta 2 - Episodio 1
Sì, l'importante è che @CharAznable si sia accorto della correzione prima di proseguire
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Re: Staffetta 2 - Episodio 1
Non sono ancora riuscito a prendere in mano il testo quindi terrò sicuramente conto della correzione prima di proseguire. Grazie.
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Re: Staffetta 2 - Episodio 1
E qui l'atmosfera si fa "killeriana": i gialli/i thiller occupano molto spazio sugli scaffali delle mie librerie, per quindi...
Un buon testo, che inquadrà luoghi e personalità del protagonista.
Un buon testo, che inquadrà luoghi e personalità del protagonista.
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Re: Staffetta 2 - Episodio 1
Brano molto ricco di dettagli, di particolari. Riesce a costruire passo passo l'attesa. Il momento in cui il tutto esploderà. Ben scritto e ben costruito. Ora la domanda è una sola: riuscirò a rovinare tutto il tuo lavoro?
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Re: Staffetta 2 - Episodio 1
Perché dovresti? Tu scrivi bene. Certo, il tono un po’ ironico che mi pare ti sia congeniale, qui forse non ha un corretto impiego ma, credo, il testo si presta a molteplici sviluppi, anche inattesi. Buona scrittura.
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L'uomo fa il male come l'ape il miele (William Golding).
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