Halim scorreva le immagini sul desk di lavoro, dietro il pannello che proteggeva la sua postazione dalla vista degli altri impiegati. North, il collaboratore che da tempo gli era stato affiancato dall’ufficio risorse umane, lo rimproverava.
“Smettila, sai che le ricerche sono monitorate.”
“Non è ancora finita la pausa”
“Non ho capito cosa stai cercando, è da ieri che sei strano. Mi preoccupo quando fai così.”
Due caratteri opposti, Halim e North. Ma questa era la politica della TIP e Assimilati: combinare personalità diverse e complementari, almeno secondo l’InART, per sfruttare al massimo le potenzialità di ognuno. Con loro aveva funzionato.
Alle parole di North, Halim si staccò dal tavolo, prese il suo personal e si avvicinò al compagno. Poi sfiorò lo schermo con un dito.
“Mettilo via, non si può in orario di lavoro, lo sai.”
“Voglio solo farti vedere un’immagine, dimmi cosa ne pensi.”
North diede un’occhiata rapida poi si guardò intorno, preoccupato di violare in maniera così palese il regolamento.
“Una pecorella, mi pare, e allora? Non credo nemmeno che sia un’immagine reale, così libera, lo sfondo sarà ritoccato.”
Halim richiuse il personal e lo fece aderire di nuovo alla tuta.
“È reale, viene dai nostri sistemi.”
North scosse la testa.
“Una pecora? Senti, Halim, è un’altra delle tue?”
“No. È una cosa seria, North, stammi a sentire!”
Ma un breve suono lo interruppe, due note, e la cornice del desk passò dal blu al verde: pausa terminata. Un istante dopo, arrivò la prima chiamata, North toccò l’icona della risposta automatica e il messaggio di benvenuto comparve nel box della chat.
“Grazie per aver contattato la Trasporti Inter-Planetari e Assimilati. Operatori DE409.”
Se anche voi, come North, vi siete chiesti come, la foto di una pecora, possa essere considerata una cosa seria, abbiate un po’ di pazienza, persino Halim sapeva che, durante l’orario di lavoro, non era permesso parlare di altro.
Tre ore più tardi, i due camminavano lungo il tunnel che portava alla stazione 9. Sulle pareti sfilavano le pubblicità dell’ultima tuta hi tech a propulsione, mentre il tappeto mobile era bloccato, per l’ennesima volta, proprio nella loro direzione. Intorno a loro un via vai di impiegati a fine turno, studenti vocianti e addetti alla manutenzione.
“Insomma, cos’è questa storia della pecora? Vuoi spiegarmi?” Esordì North.
“Allora sei curioso!” disse Halim, sorridendo.
“Più che altro preoccupato per come te la puoi essere procurata, dici che viene dai nostri sistemi.”
“Da un nostro cargo, è di ieri.”
“Spiegati meglio.”
“Seguivo una chiamata da un quadrante che di solito non copriamo. Talmente lontano che, secondo me, nemmeno ci conviene fare spedizioni del genere.”
“Sai qual è il motto della TIP: ti raggiungiamo ovunque!”
“Beh, il sistema di navigazione del cargo era impazzito, è stata una fatica rintracciarlo. Era un 30-40, uno dei piccoli, quando sono riuscito a riprenderne la guida era fuori controllo. Non ho potuto fare nulla.”
“Ed io dov’ero in tutto questo?”
“Ti avevo messo a compilare i report della giornata, sai che odio quel lavoro” disse Halim candidamente.
“Come al solito!”
“E poi, mi sono reso conto di dove stesse precipitando. Non ho dubbi, ho controllato le coordinate e tutto il resto. Quell’affarino si è andato a schiantare dritto sulla Terra.”
North si fermò, una donna, che procedeva spedita, non riuscì a scansarlo e lo urtò da dietro. Proprio in quell’istante il tappeto mobile si rimise in funzione e per poco il giovane non cadde a terra. Halim rise.
North si ricompose poi riprese:
“Ma solo a te capitano queste cose assurde? E va bene, mettiamo che sia vero, ma non capisco ancora cosa c’entri la pecora.”
“Il cargo ha continuato a trasmettere, anche dopo che è arrivato al suolo. Ed è lì che è comparsa.”
“E va bene Halim, se ti diverte tanto dire stupidaggini fai pure. Non capisco che gusto ci provi!”
“North, ho scaricato l’intero filmato sul mio personal.”
“Cosa hai fatto?” North aveva sbarrato gli occhi. “Credevo avessi scattato solo una foto. Sai che rischiamo il licenziamento?”
“Non è finita. Sai cosa succede quando perdiamo un cargo?”
“Certo. Montagne di report, ispezioni…”
“Nulla! Nessuna segnalazione, come se non fosse accaduto. E questa mattina, quando ho cercato di recuperare la sessione di lavoro, per capire qualcosa in più, mi ha negato l’accesso”
Il colorito pallido, più del solito, ma soprattutto il fatto che North aveva smesso di preoccuparsi per l’irregolarità, erano chiari segnali che l’informazione aveva colto nel segno!
“Andiamo a sederci da qualche parte e ti mostro l’intero filmato”
Pensateci bene. Tutti sapete che la Terra è il nostro pianeta di origine, è roba che si studia da piccoli: l’inquinamento, l’inspiegabile tendenza autodistruttiva dei nostri antenati, l’esodo, sono cose da primo anno di scuola.
E sapete anche che il pianeta è tutt’ora classificato come “Esausto” e “Inaccessibile”, quindi la comunità scientifica, le agenzie spaziali, insomma, tutti gli organi ufficiali, non se ne interessano più di tanto.
Ma, se non siete poveri eremiti, magari uno di quei pazzi dediti a coltivare piante nelle serre di qualche asteroide sperduto, saprete anche che non mancano teorie fantasiose.
Fanatici del ritorno alle radici, pazzi visionari, teorici del complotto, credono che le cose stiano diversamente, nonostante le ricognizioni delle sonde trasmettano sempre e solo dati desolanti. Non mi dilungo su questo, saprete che esistono persino sette religiose che profetizzano il cosiddetto “ritorno alla Madre”.
Quindi capirete che l’immagine di una pecorella, per di più immersa in un prato verde, su un pianeta classificato come “esausto” e “inaccessibile”, faccia sorgere qualche domanda.
La stazione 9, nell’ora di punta, somigliava a una di quelle sfere trasparenti che, se le agiti, si riempiono di puntini bianchi. Alcuni dicono che quei puntini rappresentino la neve, ma se, come Halim e North, siete nati su un pianeta industriale come Yuso, dubito possiate apprezzarne la somiglianza.
Otto livelli di monorotaie si intrecciavano fino a metà altezza; oltre le rotaie, di fronte alle bocche che portavano nelle zone di lancio, sostavano decine di aeromobili, e per tutto lo spazio disponibile in aria si muovevano, apparentemente governati dal caos, migliaia di persone. Alcuni provvisti di mezzi di locomozione, per lo più monoposto, altri, i più giovani e facoltosi, fluttuando con le loro tute hi-tech con propulsori, altri ancora comodamente adagiati su mezzi biposto a guida automatizzata.
A livello del suolo, i nastri di trasporto si intersecavano in un disegno complicato. Era il livello di chi non poteva permettersi un mezzo o una tuta a propulsione, il più affollato e caotico, ma anche quello con i punti di ristoro più economici.
Halim e North si fermarono al loro locale preferito e ordinarono da bere.
Ma ora devo chiedervi di seguirmi al decimo piano di un edificio posto nella zona residenziale di Shihon, la maggiore delle città di Yuso. In un ufficio pieno zeppo di oggetti dall’aria antica, posti sui ripiani di una scaffalatura obsoleta e traballante, un uomo parlava con il suo desk, e, più precisamente, con il soldato posto nel riquadro delle videochiamate, nell’angolo in basso a destra. Nell’angolo in alto a sinistra, invece, ruotava lentamente l’immagine identificativa in 3D di un giovane. A fianco, sotto lo stemma governativo, compariva il suo nome: Halim Bishara. A seguire tutti i dati personali.
L’uomo sfiorò con un polpastrello un’icona, e la scheda contenente i dati sensibili, ad accesso limitato, si aprì.
“Non c’è nulla su di lui.” Disse al riquadro. Meglio così, pensò, poi aggiunse: “Fate requisire il filmato e portatemi qui il ragazzo. È un codice 4, nessun pericolo apparente, quindi andateci piano. Ah, e prendete anche l’altro, ovviamente.”
Il riquadro in basso si richiuse e l’uomo tornò a guardare l’immagine identificativa. Capelli lunghi sulle spalle, espressione intelligente, un cerchietto di metallo sul sopracciglio sinistro, tuta pulita ma usurata. Aveva l’aria di un bravo ragazzo.
Perché diamine ti è venuto in mente di scaricare quel filmato, maledizione, pensò. Quindi richiuse tutto, si alzò dalla sedia e tornò a concentrarsi su uno di quegli strani oggetti. Prese il personal, scattò una foto, e la nominò come “pipa per tabacco”. Ma, a questo punto, possiamo tornare a seguire i due ragazzi, ancora ignari di tutto.
Halim, appena mandata l’ordinazione, recuperò il breve filmato e lo avviò.
Erano immagini chiaramente riprese da un corpo che precipitava. Nuvole bianche sfrecciavano su uno sfondo azzurro, macchie di verde e di marrone, comparivano per pochi istanti sullo schermo, intervallate da secondi di nero. Poi la caduta rallentò e infine tutto fu immobile.
In primo piano ondeggiavano i fili d’erba di una distesa verde, immensa, e all’orizzonte un cielo chiaro striato di nuvole quasi trasparenti.
Per qualche istante non accadde nulla poi sul lato sinistro apparve, in lontananza, una sagoma. La camera la inquadrò e l’ingrandì. Eccola lì, la pecora. L’animale, per un secondo parve guardare nella loro direzione, un filo d’erba le spuntava dalla bocca. Poi si allontanò e le immagini si interruppero.
North rimase in silenzio. Non riusciva a credere ai propri occhi.
Halim allora digitò le parole: “pianeta Terra oggi”. Scelse uno dei tanti filmati.
La didascalia diceva che si trattava delle immagini di una sonda di ricognizione e che risalivano a pochi giorni prima. Una voce le commentava riassumendo i dati rilevati su aria irrespirabile e livelli di radiazioni altissimi. Distese di sabbia, terre sgretolate dalla siccità, scheletri mutilati di edifici in città deserte, e un cielo sempre irrimediabilmente violaceo. Halim non guardava filmati sull’argomento da tempo, si sorprese a pensare di come corrispondessero perfettamente all’idea di un pianeta ormai distrutto. Anche troppo, si disse.
Neko conosceva Halim e North. I due si fermavano spesso al suo locale, erano tra i pochi clienti a cui non avrebbe rifilato volentieri una scarica del suo immobilizzatore. Precauzione necessaria per una ragazza, titolare di un Ristoro, nei piani bassi di una stazione. Portò la loro ordinazione al tavolo nell’esatto momento in cui il secondo filmato finì.
“Salve, ragazzi. Ehi, perché queste facce?” Poggiò i due bicchieri sul tavolo senza attendere risposta, poi aggiunse: “sono sette e cinquanta, ma per voi ne bastano cinque” e strizzò l’occhio ad Halim.
Halim sembrò notarla solo in quel momento, guardò North, poi di nuovo lei.
“Neko, devi vedere una cosa e dirci che ne pensi.”
Riguardarono il filmato ignorando le proteste di North, ma la reazione della ragazza non fu quella che i due si aspettavano. Si fece seria, sembrava quasi non fosse sorpresa.
“Devo farvi parlare con una persona, assolutamente!”
“No, aspetta”, disse North, “già questa storia non mi convince per niente, io non credo che dovremmo mostrare questo filmato in giro. Abbiamo già commesso un’infrazione a scaricarlo e non vorrei peggiorare le cose.”
“Non dirmi che non vorresti capirci qualcosa anche tu, se Neko conosce qualcuno che può aiutarci, non vedo cosa ci sia di male. Vedrai che alla fine stiamo ingigantendo la questione.”
“No, Halim, North ha ragione,” intervenne la ragazza. “La persona è mio nonno, e se quello che dice è vero, io credo che la cosa vi darà qualche problema.”
“Ma dai Neko, non ti ci mettere anche tu. Ho solo scaricato un filmato, cosa potrebbe accadere?”
Ma Neko non rispose, era stata la prima a notarli. Non che fosse difficile: non era usuale vedere quattro uomini che indossavano tute blu hi-tech, iper-accessoriate, al loro livello. E venivano proprio verso il suo locale.
“Halim, vieni dentro per pagare, per favore. Ho un problema con il notes. In fretta.”
Halim rimase per un attimo sorpreso, ma poi notò anche lui i quattro uomini in tuta blu e, come obbedendo ad un istinto, la seguì.
Appena furono dentro Neko disse:
“Passami il filmato, presto! Poi cancellalo. E andate via subito.”
Halim obbedì. C’era qualcosa, negli atteggiamenti della ragazza, che non lasciava spazio a discussioni. Riuscì dal locale quasi subito e si avvicinò a North con un finto sorriso stampato sulla faccia.
“Tutto fatto, pagato. Possiamo andare.”
North si alzò in piedi ma non fece in tempo a dire nulla. Le tute blu erano arrivate. Uno di loro mostrò discreto il suo personal per farsi identificare.
“Signor Halim Bishara, signor North Bailey. Sicurezza Confederale. Dovete seguirci, cortesemente.”
Allora seguiamoli anche noi. Fino ad un ufficio che già conoscete.
Il colonnello Patel, alzandosi, congedò l’agente che li aveva condotti lì. Non indossava una tuta ma un paio di pantaloni di tessuto e una specie di casacca, chiusa sul davanti da bottoni. Ad impressionare Halim, però, erano le decine di oggetti, a molti dei quali non avrebbe nemmeno saputo dare un nome, che occupavano ogni angolo della stanza. Le uniche cose che non sembravano venire da qualche altro pianeta, o da qualche altro secolo, erano il desk e gli sgabelli sui quali sedevano.
“Qui ho il suo personal, signor Bishara. Ora, io potrei darlo ai miei uomini, che lo esaminerebbero a fondo, oppure lei può mostrarmi il filmato che ha scaricato ieri dal cargo della TIP. Commettendo, ovviamente, un reato.”
North era paralizzato al suo fianco. Il tipo però non sembrava troppo cattivo. Halim valutò velocemente che negare non sarebbe servito a nulla.
“Mi dispiace. So che non avrei dovuto. Infatti, me ne sono pentito e l’ho subito cancellato. Potete controllare se volete. Non ne ho parlato neanche al mio collega, qui. Lui non c’entra nulla. Il responsabile sono io.”
“È nobile da parte sua, signor Bishara, ma l’espressione del suo amico rende l’affermazione molto poco probabile.”
North deglutì continuando a rimanere in silenzio.
“E le credo quando dice di aver cancellato il filmato. Per sua sfortuna però, la segnalazione è arrivata in colpevole ritardo e lei potrebbe avere avuto il tempo di farci qualsiasi cosa.”
I pensieri di Halim andarono subito a Neko. Non la conosceva da molto ma tra loro c’era stata da subito intesa, metterla nei guai non era certo nei suoi piani.
“Vedete, abbiamo ragione di pensare che il filmato in cui vi siete casualmente imbattuti, sia un falso. Ancora non comprendiamo il motivo per cui sia stato fatto e in che modo siano riusciti a penetrare nel sistema di trasmissione del vostro piccolo cargo. Certo è che, se finisse nelle mani di qualche esaltato, avremmo dei problemi. L’InArt ha classificato l’evento con un grado di dannosità arancione.”
“Dal settantacinque all’ottantacinque percento della scala.” Disse North, la cui specialità erano proprio i numeri e le statistiche, e il cui sogno era sempre stato quello di lavorare come tecnico addetto al funzionamento dell’Intelligenza Artificiale.
“Esatto signor Bailey. Ad ogni modo, ora i vostri personal saranno comunque controllati rapidamente con protocollo privacy, quindi senza violazione dei vostri dati sensibili, e sarete rilasciati con la semplice raccomandazione di non diffondere false informazioni. Spero comprendiate e dimentichiate velocemente questo spiacevole contrattempo.”
North ricominciò a prendere colore, Halim si sforzo di annuire ma si mise a giocherellare con il suo piercing, come gli accadeva quando si concentrava particolarmente su qualcosa.
Probabilmente, penserete, non era poi così convinto da quella versione dei fatti. Ma le cose andarono come promesso. Dopo un paio d’ore i personal vennero restituiti e i due furono riaccompagnati direttamente nelle rispettive abitazioni. I genitori di North non avevano avuto nemmeno il tempo di preoccuparsi, mentre Halim non aveva nessuno ad aspettarlo. In ogni caso nessuno dei due notò gli agenti che li seguivano.
A noi, invece, non resta che andare, insieme a Neko, da suo nonno, tre livelli sotto al suolo, sempre nei pressi della Stazione 9.
Il vecchio aveva riguardato il filmato almeno una decina di volte.
“Allora nonno, cosa ne pensi?”
“Se, come dici, questo filmato non è un falso, vuole dire tante cose. Che il pianeta non è esausto, innanzi tutto. Ci sono piante, c’è vita! Ma tu sai Neko, che la pecora è l’unico animale il cui mantello cresce all’infinito?”
Neko scosse la testa, non lo sapeva.
“Questa pecora è stata tosata. E questo può voler dire una cosa soltanto: sulla terra vivono degli uomini.”
“Ma cosa...! Perché dovrebbero nasconderlo?”
“Quando si parla di Esodo non si racconta mai quello che accadde davvero. La Terra era al limite con le risorse, ma si sarebbe anche potuto restare se non fosse stato per le esplosioni nucleari. Iniziarono con una guerra, e non si fermarono più. La colonizzazione dello spazio era già iniziata e della Terra pareva non importare più a nessuno. Ben presto la situazione fu compromessa, e non bastò più il tempo di prelevare tutti. C’erano intere zone del pianeta che non avevano i mezzi per partire e alla fine si calcola che quasi la metà della popolazione mondiale di allora fu lasciata lì, a morire.”
Il nonno non era mai stato così chiaro con lei, Neko si sentì crescere dentro un senso di rabbia e di angoscia.
“Sono passati centinaia di anni ma i dati delle sonde sono chiari, gli effetti delle radiazioni ancora persistono. Qualcuno, però, ritiene che già da allora fossero rimaste piccole zone non contaminate dove la vita sarebbe stata possibile. La ragione per cui venga tenuta nascosta un’eventuale presenza umana sulla Terra dovremmo chiederla all’InART, e non siamo in grado di farlo.”
E con questo il nonno chiuse la conversazione restituendo il personal a Neko. Le raccomandò di fare attenzione, e le consigliò di non parlare più del filmato. Ma il vecchio conosceva sua nipote e sapeva che avrebbe fatto di testa sua. Lo sapeva il vecchio, e lo sapeva Neko, che pensava già ad Halim e North, e al momento in cui avrebbe raccontato loro tutto quello che aveva appreso. Sempre che li avesse visti di nuovo.