Eterni e immensi, gli universi e il tempo si aprivano attorno a Juan.
Gli spiriti e gli antenati scintillavano nell’oscurità.
Là, in basso, Juan contemplò il mondo e nel mondo la foresta, circondati dal male che sembrava inarrestabile.
Stese le mani. La cortina del tempo si dissolse nel punto in cui veniva toccata. Juan gettò lo sguardo oltre, lungo gli infiniti fili di luce che si stendevano e si incrociavano, ai nodi che si creavano e disfacevano.
Guardò lontano, senza spostare nulla. Era vietato. Vietato e pericoloso.
Vide la luce e le tenebre, e il crinale tra la luce e le tenebre.
Gli spiriti e gli antenati danzavano.
Era andato per chiedere il loro aiuto e il loro consiglio.
Quello che vide fu un’attesa e una scelta. Una scelta che sarebbe stata solo sua.
Juan riemerse dal sogno, dal viaggio nella dimensione degli spiriti.
Non aveva una risposta. Aveva una decisione da prendere. E un peso da portare per tutta la vita, qualunque la sua scelta fosse stata.
Lucas era sempre sorvegliato, protetto come nemmeno un capo di stato lo era.
Così aveva creduto Mathias. Invece no.
Qualche falla c’era stata. Doveva esserci stata, perché si erano portati via suo figlio. Chi aveva sbagliato aveva già pagato, ma alla fine, lo sapeva, la colpa era sua.
Sua la colpa, sua la superficialità di crederlo al sicuro, quando al sicuro non avrebbe mai dovuto pensarlo.
Amministratore delegato di una delle maggiori multinazionali mondiali, pagava per Lucas il più costoso corpo di sicurezza, ma nemmeno quello era stato sufficiente.
Da settimane dormiva solo qualche ora al giorno, si uccideva di sigarette e viveva di caffè, attaccato al cellulare e alle notizie che arrivavano.
Il rapimento, le trattative. L’alternarsi di terrore e speranza.
E la rabbia.
L’odio. Freddo, questo, controllato. Tutto, avrebbe fatto bruciare tutto. Anche dove non era necessario. Un motivo si trovava senza problemi. E nemmeno era necessario, in realtà. La foresta amazzonica non aveva ancora visto niente, in confronto a quello che sarebbe venuto.
Appena Lucas fosse stato in salvo, avrebbe fatto distruggere tutto.
Quella foresta maledetta che aveva inghiottito il suo bambino.
La poltrona della camera dell’ospedale era comoda. La stanza era ampia, arredata in modo da sembrare quasi una cameretta da bambino, se non si teneva conto dei macchinari a cui Lucas era attaccato.
Mathias aveva ottenuto di poterselo tenere in braccio, seduto in poltrona.
Da tre giorni, da quando l’aveva riavuto, tutto il tempo che poteva lo abbracciava e lo cullava. Lucas aveva otto anni. Se ne avesse avuto le forze si sarebbe forse ribellato, a quell’essere trattato un po’ da piccolo, ma le forze non le aveva.
Sembrava stare abbastanza bene, appena recuperato. Stanco, spaventato, un po’ affamato e disidratato, ma niente di grave.
Poi era crollato.
Ora, solo dei tubi infilati ovunque lo trattenevano nel suo scivolare via dalla vita.
Un bussare lieve precedette l’ingresso del medico.
Mathias sollevò rapido gli occhi.
‒ Sono arrivati gli ultimi risultati delle analisi…
Mathias sapeva leggere gli uomini. Ascoltava, ma non ne avrebbe avuto bisogno.
‒ Abbiamo capito qual è il problema…
‒ Allora potete cercare una soluzione.
Il medico rimase immobile, rigido: ‒ Lo hanno avvelenato. Un veleno con una formulazione complessa, di cui capiamo molto poco.
‒ Un veleno ha un antidoto.
‒ Non questo.
I due uomini si fissarono in silenzio.
Il medico ripeté: ‒ Non c’è antidoto.
Juan si incamminò lungo il sentiero. L’uomo lo fermò afferrandolo per il braccio: ‒ Suo figlio morirà, come muoiono i nostri. Come lui uccide i nostri.
Juan si liberò dalla stretta: ‒ Non uccideremo il bambino, lo faremo vivere.
‒ Qualunque cosa faremo, lui ci distruggerà comunque.
Juan richiamò in sé la visione della dimensione del sogno: ‒ I nostri figli avranno lo stesso destino.
Mathias afferrò per i capelli Juan e ne sollevò il volto tumefatto: ‒ Perché sta di nuovo male?
Non lo aveva fatto picchiare abbastanza da provocargli danni gravi. Doveva restare vivo, almeno per tutto il tempo che sarebbe servito. Il suo potere gli aveva reso facile avere una stanza nello scantinato dell’ospedale per fare quello che gli serviva.
Quando lo sciamano era arrivato offrendo la cura per Lucas, Mathias l’aveva presa e aveva rimandato la richiesta di spiegazioni alla fase nello scantinato.
Per ora non erano arrivate risposte. Non che a Mathias importassero più di tanto. L’importante era che Lucas guarisse.
Ma ora sì. Ora erano necessarie. Perché Lucas stava di nuovo morendo.
‒ I popoli della foresta conoscono da millenni quel veleno. Non c’è una cura…
‒ Non è vero. Lucas era guarito.
‒ Non c’è una cura… c’è il modo di tenere lontana la morte ogni giorno. Un po’ ogni giorno. Per tutta la vita.
‒ Tutta la vita?
‒ Una lunga vita. Lucas dovrà rimanere con noi. Finché resterà con noi, vivrà. La nostra è una sapienza tramandata di padre in figlio. Se noi moriremo, morirà questa conoscenza. Morirà un mondo di cui prima non ti importava nulla. Ma tuo figlio è tutto il tuo mondo quindi ora il nostro è anche il tuo mondo. E la cura è nella foresta. La foresta deve rimanere viva e intatta. Tuo figlio sarà abbastanza importante? Il tuo amore per lui sarà sufficiente per proteggere anche noi?
‒ Io vi odierò fino al mio ultimo respiro. Avete ucciso mio figlio.
‒ Lo stiamo salvando. Stiamo salvando i figli di tutti. Anche il tuo. Come fai a non capire? Da quanto esiste la nostra terra? Cambia, si trasforma, ma sopravvive. Siamo noi a morire. Siamo noi a soffrire. Sono i nostri figli a soffrire. Oggi tu puoi diventare una speranza. Per noi, per tutti.
‒ E dopo?
‒ Non lo so. Non lo posso sapere, ma abbiamo sempre speranza. Che qualcuno arrivi, che capiate.
‒ E Lucas?
‒ Lucas vivrà. Lucas viaggerà per tutta la vita con la morte accanto. Potrà anche lui diventare uno sciamano, se vorrà. E forse un giorno sarà una nuova speranza.