Giobbe era sdraiato sulla sua nuvola preferita e rifletteva.
Non ricordava ogni aspetto della sua vita terrena, ma visto il luogo in cui si trovava di certo non poteva essere stato un cattivo elemento.
L'eternità prometteva bene: cibi prelibati, distese sconfinate di libri, film e musica in quantità industriali. E ragazze anche. Di ogni tipo. Tutto era a portata di mano per l'esercito dei meritevoli. Dio aveva mantenuto la sua parola e non si era preso gioco del genere umano come avevano ipotizzato i discepoli del terzo millennio. Finalmente dopo un'esistenza fatta di rinunce, qualche gioia e miliardi di compromessi, era possibile riscuotere il grande vitalizio.
Giobbe sprimacciò la sua nuvola e sorrise. Adorava il Paradiso.
In modo particolare adorava l'assenza del maledetto denaro.
Sulla Terra quasi ogni gioia e ogni soddisfazione avevano un prezzo, e chi lo pagava era destinato a diventare schiavo.
Mentre era immerso in così alte elucubrazioni sospirò, facendo staccare un ricciolo di morbidezza dalla nuvola su cui era
adagiato. Presto ci sarebbe stato l'incontro per decidere l'affiancamento all'anima di un abitante del mondo di sotto.
Il Paradiso non era solamente svago.
In quel suo primo scampolo di eternità Giobbe aveva studiato parecchio, memorizzando i profili comportamentali di decine di individui. Nel caotico mondo degli uomini, governato dal male, c'era sempre bisogno di un buon consiglio. E proprio quello Giobbe avrebbe fatto, gridando il proprio pensiero nel cuore della persona che avrebbe dovuto supervisionare. Altro non poteva fare, visto che non gli era permesso agire materialmente sugli eventi modificandone il corso. Era all'umano che spettava l'ultima decisione. Giobbe tuttavia era dubbioso: visto l'andazzo che imperava tra i vivi, lo avrebbero ascoltato? Di sicuro lui ce l'avrebbe messa tutta. Non a caso il giorno in cui San Pietro aveva accolto la sua anima, lo aveva ribattezzato Giobbe il giusto. A quel pensiero rise beato, poi volò via.
Passò del tempo e Giobbe venne convocato dall'Alta Commissione che gli assegnò il compito di vigilare su Bob Lagrange.
Quando ebbe finito di penetrarla Bob si attaccò alla bottiglia di bourbon che si era portato appresso, poi ruttò.
«Non c'è che dire Venus, rimani sempre la migliore scopata della Louisiana.»
«E tu sei sempre il solito signore, Monkey.»
«Come mi hai chiamato?», sbraitò Bob, sferrandole un pugno sul viso senza pensarci un istante.
Venus prima strillò, poi si mise a ridere. Era abituata ai pugni.
«Vacci piano Monkey, la faccia mi serve per lavorare.»
Bob strinse di nuovo la mano a pugno, ma questa volta esitò.
Giobbe gli si era avvicinato e aveva cominciato a sussurrare.
«Lasciala stare. Dimostrati superiore. Lasciala perdere.»
Bob rilassò la mano, sorridendo. «A essere sinceri non credo sia la faccia lo strumento del tuo lavoro, ma poco importa. Mi fermerei ancora un po' con te, ma ho una gioielleria che mi sta aspettando.»
«Hai in mente un colpo?», domandò Venus svogliatamente.
«Cazzo che entusiasmo! Di certo non voglio comprarti un anello di fidanzamento. Sono due mesi che io e Sharky stiamo studiando la cosa. Oggi è il gran giorno.»
«Buona fortuna allora», riprese la ragazza. «Con un coglione come quello tra i piedi ne avrai bisogno.»
Bob si rabbuiò a quella frase. Giobbe gli si avvicinò di nuovo e iniziò la sua cantilena.
«Venus ha ragione. Resta con lei. Lascia perdere la rapina.»
Bob reagì a quelle parole che cominciavano a girargli nella testa sventolando a casaccio le mani, come a voler scacciare una mosca insolente.
Nel frattempo Giobbe si era spostato dalle parti di Venus.
«Dai bello, resta qui con me. Manda al diavolo quell'idiota di Sharky.»
Fu allora che Bob cominciò a scrollare la testa come un pazzo,
poi raggiunse la donna e la colpì ripetutamente al volto. La lasciò in stato d'incoscienza sul letto dove poco prima avevano scopato, con un fiotto di sangue che le colava giù dal naso spaccato.
Infine si avvicinò alla porta, ma prima di andarsene si voltò. Sembrava stesse fissando Giobbe, anche se era impossibile.
«Ho un lavoro da fare, cazzo», disse con un filo di voce, uscendo dalla stanza.
Giobbe attraversò il muro e lo seguì. Anche lui aveva un lavoro da portare a termine.
Non ricordava ogni aspetto della sua vita terrena, ma visto il luogo in cui si trovava di certo non poteva essere stato un cattivo elemento.
L'eternità prometteva bene: cibi prelibati, distese sconfinate di libri, film e musica in quantità industriali. E ragazze anche. Di ogni tipo. Tutto era a portata di mano per l'esercito dei meritevoli. Dio aveva mantenuto la sua parola e non si era preso gioco del genere umano come avevano ipotizzato i discepoli del terzo millennio. Finalmente dopo un'esistenza fatta di rinunce, qualche gioia e miliardi di compromessi, era possibile riscuotere il grande vitalizio.
Giobbe sprimacciò la sua nuvola e sorrise. Adorava il Paradiso.
In modo particolare adorava l'assenza del maledetto denaro.
Sulla Terra quasi ogni gioia e ogni soddisfazione avevano un prezzo, e chi lo pagava era destinato a diventare schiavo.
Mentre era immerso in così alte elucubrazioni sospirò, facendo staccare un ricciolo di morbidezza dalla nuvola su cui era
adagiato. Presto ci sarebbe stato l'incontro per decidere l'affiancamento all'anima di un abitante del mondo di sotto.
Il Paradiso non era solamente svago.
In quel suo primo scampolo di eternità Giobbe aveva studiato parecchio, memorizzando i profili comportamentali di decine di individui. Nel caotico mondo degli uomini, governato dal male, c'era sempre bisogno di un buon consiglio. E proprio quello Giobbe avrebbe fatto, gridando il proprio pensiero nel cuore della persona che avrebbe dovuto supervisionare. Altro non poteva fare, visto che non gli era permesso agire materialmente sugli eventi modificandone il corso. Era all'umano che spettava l'ultima decisione. Giobbe tuttavia era dubbioso: visto l'andazzo che imperava tra i vivi, lo avrebbero ascoltato? Di sicuro lui ce l'avrebbe messa tutta. Non a caso il giorno in cui San Pietro aveva accolto la sua anima, lo aveva ribattezzato Giobbe il giusto. A quel pensiero rise beato, poi volò via.
Passò del tempo e Giobbe venne convocato dall'Alta Commissione che gli assegnò il compito di vigilare su Bob Lagrange.
Bob era l'ultima persona che Giobbe desiderava gli venisse assegnata. Aveva studiato la sua scheda e ciò che aveva letto non gli era piaciuto. Abbandonato dalla madre quando non aveva ancora tre anni era stato sballottato da un istituto all'altro e presto aveva imparato l'arte di arrangiarsi. Era un balordo come tanti: aggressivo, violento e scontroso. Aveva anche un soprannome, Monkey, nomignolo dovuto all'andatura goffa e alle braccia lunghe e sproporzionate rispetto al resto del corpo.
Giobbe scese dal suo mondo di pace e raggiunse New Orleans. Bob si trovava in un sordido motel del quartiere francese e se la stava spassando con una bella mulatta di nome Venus, la sua prostituta preferita.Quando ebbe finito di penetrarla Bob si attaccò alla bottiglia di bourbon che si era portato appresso, poi ruttò.
«Non c'è che dire Venus, rimani sempre la migliore scopata della Louisiana.»
«E tu sei sempre il solito signore, Monkey.»
«Come mi hai chiamato?», sbraitò Bob, sferrandole un pugno sul viso senza pensarci un istante.
Venus prima strillò, poi si mise a ridere. Era abituata ai pugni.
«Vacci piano Monkey, la faccia mi serve per lavorare.»
Bob strinse di nuovo la mano a pugno, ma questa volta esitò.
Giobbe gli si era avvicinato e aveva cominciato a sussurrare.
«Lasciala stare. Dimostrati superiore. Lasciala perdere.»
Bob rilassò la mano, sorridendo. «A essere sinceri non credo sia la faccia lo strumento del tuo lavoro, ma poco importa. Mi fermerei ancora un po' con te, ma ho una gioielleria che mi sta aspettando.»
«Hai in mente un colpo?», domandò Venus svogliatamente.
«Cazzo che entusiasmo! Di certo non voglio comprarti un anello di fidanzamento. Sono due mesi che io e Sharky stiamo studiando la cosa. Oggi è il gran giorno.»
«Buona fortuna allora», riprese la ragazza. «Con un coglione come quello tra i piedi ne avrai bisogno.»
Bob si rabbuiò a quella frase. Giobbe gli si avvicinò di nuovo e iniziò la sua cantilena.
«Venus ha ragione. Resta con lei. Lascia perdere la rapina.»
Bob reagì a quelle parole che cominciavano a girargli nella testa sventolando a casaccio le mani, come a voler scacciare una mosca insolente.
Nel frattempo Giobbe si era spostato dalle parti di Venus.
«Dai bello, resta qui con me. Manda al diavolo quell'idiota di Sharky.»
Fu allora che Bob cominciò a scrollare la testa come un pazzo,
poi raggiunse la donna e la colpì ripetutamente al volto. La lasciò in stato d'incoscienza sul letto dove poco prima avevano scopato, con un fiotto di sangue che le colava giù dal naso spaccato.
Infine si avvicinò alla porta, ma prima di andarsene si voltò. Sembrava stesse fissando Giobbe, anche se era impossibile.
«Ho un lavoro da fare, cazzo», disse con un filo di voce, uscendo dalla stanza.
Giobbe attraversò il muro e lo seguì. Anche lui aveva un lavoro da portare a termine.