Pezzi di ricambio
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Pezzi di ricambio
Sono Renato Terenzi, ho sessantasette anni e vivo in un’autorimessa condominiale.
Mi direte ci lavori, no no, io ci abito proprio. Sono due anni cinque mesi e ventitré giorni che vivo nel garage del condominio in via Sofocle 351. Ci sono entrato per caso, dopo aver salutato un ex collega, dicendogli vado a prendere la macchina.
Subito dopo lui mi ha mandato un sms dove scriveva mister riporto, tu non hai una macchina.
Così mi chiama, mister riporto, solo perché, quando il vento mi spettina, il ciuffo più lungo mi copre mezza fronte. Vedete voi se è un nome possibile?!
Ho buttato il cellulare e sono rimasto.
Voi mi dite che sarà mai? C’è gente che ha vissuto sopra un albero, chi in un’isola deserta, chi sopra una colonna.
D’accordo, niente d’eccezionale, avete ragione voi! La gente non riesce più ad ascoltare ed è anche per questo che mi sono allontanato dal genere umano. Mi basta osservarlo di nascosto, tra una macchina e l’altra, attraverso lo specchietto retrovisore, i finestrini o dietro una colonna e la visuale cambia, vi assicuro.
Nessuno sa che nel garage del condominio in via Sofocle 351 vive un intruso, non lo sospettano nemmeno.
E poi nessuno ha reclamato la mia presenza. Da quando è morta mia madre, buonanima, sono passati cinque anni tre mesi e otto giorni e ho vissuto sempre da solo. Parenti stretti non ne ho e amici solo quando mi incontrano. Ho lasciato sul tavolo della cucina due piante carnivore che per ovvie ragioni non possono denunciare la mia scomparsa. Credo che riescano a sopravvivere anche senza di me. Zanzare mosche e altri insetti in casa mia non mancano mai.
L’autorimessa del condominio dove alloggio è uguale a tante altre, segue per lunghezza tutto il palazzo ed è situata al di sotto del piano stradale. Si accede attraverso due rampe e due piani di scale consentono il passaggio pedonale dal giardino.
L’edificio è di sei piani, cinque scale, due appartamenti per piano, per un totale di sessanta appartamenti e altrettanti posto auto. Grandi quadrati appesi al soffitto lo illuminano di luce al neon ogni volta che si apre uno dei due cancelli.
Di notte, dopo le ventitré e trenta, due robuste porte scorrevoli bloccano gli ingressi con un suono di rotaie e ingranaggi. È come chiudere la porta di casa e lasciare tutto il mondo fuori.
Direte potevi andare a stare nel tuo garage e ogni tanto salire nel tuo appartamento, se proprio volevi fare quello strano.
Ad avercelo, in effetti, il vostro ragionamento non fa una piega.
Il palazzo dove abitavo prima è stato costruito negli anni Settanta e allora i garage sotto casa non li pensavano proprio. Ma poi, scusate, ma che fastidio vi do? Sono bravo a mimetizzarmi tra le carrozzerie, con il nero degli pneumatici, a nascondermi tra uno sportello o un fanale posteriore.
L’autorimessa non è poi un posto così brutto e desolato, come molti credono, almeno questo in via Sofocle 351. Io mi sono organizzato proprio bene, non mi lamento. Le pareti sono spesse e di un colore grigio chiaro, trattengono il calore d’inverno e isolano dal caldo in estate.
Voi dite ma se c’è sempre un odore di olio, di pneumatici e di tubo di scarico.
Ma anche fuori lo smog non scherza.
Le strisce a terra sono gialle, alcune sono molto sbiadite, i paracolpi alle colonne ancora reggono, anche se presentano i segni di tutti i graffi e le ammaccature che hanno salvato le carrozzerie. Non tutti sono bravi a parcheggiare e alcuni posti sono molto stretti e le macchine troppo grandi.
Ogni posto auto parla del suo proprietario.
Non so se il regolamento condominiale lo permetta, ma alcuni condomini sono proprio bizzarri.
C’è chi ha appeso un quadro sulla parete di fondo, chi uno scaffale con dei libri e ogni tanto li sostituisce.
Poi c’è quello fissato che tiene l’auto lucida a specchio e che ogni settimana o quasi la porta a lavare. Qualche volta mi impegno perché il viaggio e i soldi non vengano spesi invano.
Vi sento dire ecco chi era che insudiciava il parabrezza.
In fondo a una colonna giace una catena senza scooter, una scopa con il secchio e la paletta, due sedie in ferro battuto e il palo di un ombrellone senza ombrello.
C’è chi ogni sera tira su il telo e, dopo aver dato una pacca affettuosa sul tetto, ricopre la vettura, che sia inverno o estate.
Ma è proprio nella stagione più calda che un’arietta deliziosa si incanala lungo tutto il corridoio.
Direte peccato che sia un viavai di macchine che entrano ed escono, soprattutto dopo cena.
È vero, c’è chi va a prendere il gelato, chi a cena fuori e i nottambuli che vanno in discoteca. Quelli rientrano che è giorno ma io sono sveglio da un pezzo.
Mi farete osservare praticamente non hai dormito proprio.
Recupero nelle ore più calde del pomeriggio.
A Ferragosto quasi tutti partono in vacanza, tranne quei tre o quattro poveretti costretti a lavorare.
Una fontanella con una pompa, adibita rigorosamente all’irrigazione delle piante condominiali, è la mia doccia personale.
Vi risparmio i dettagli sull’espletazione delle mie necessità corporee. Vi basti pensare che l’ortensia, da due anni a questa parte, non necessita di concime e cresce forte e vigorosa.
Mi direte ma tu sei pazzo, ti devono rinchiudere da qualche parte.
E così ho fatto, solo che ho scelto io dove stare, non come voi che vi obbligano dove non volete.
Di lavoro facevo il secondino in un carcere minorile, quarantatré anni di servizio chiuso tra doppie sbarre. Ne ho vista passare di umanità tra quelle mura. Genitori che si disperavano per i figli, i figli per i genitori. Ora sono in pensione e non immagino il resto della mia vita al di fuori di uno spazio circoscritto, chiuso da cancellate. Nessuno mi obbliga, sia chiaro, ma mi sento protetto, anche per le sbarre, come per tutto il resto delle cose, dipende dall’ottica da cui le guardiamo. Come quando andavo allo zoo, qual è il dentro e quale il fuori?
E io ci vivo bene in questo spazio circoscritto e guardo le persone che si agitano avanti e indietro nei loro spiazzi aperti, un po' più grandi, ma sempre in gabbia stanno.
La distrazione e la fretta degli altri è il mio sostentamento. Non rubo, intendiamoci, cerco di non mandare in malora tutto ciò che è deperibile e che viene dimenticato.
Mi nutro della spesa che qualche inquilino più distratto lascia sul cofano della macchina o nel bagagliaio aperto, con l’intenzione di scendere a prenderla in un secondo momento.
Mi basta poco, un pacco di biscotti, il latte, qualche affettato, giusto quello che mi serve per sopravvivere. A volte dalle finestre aperte che danno sul cortile sento litigare marito e moglie ti avevo detto di comprare anche il formaggio e te ne sei dimenticato. Oppure siamo rimasti senza pane, chi scende a prenderlo?
Sorrido di questi piccoli malintesi familiari, lungi da me pensare che possa esserne io la causa.
Con il tempo ho imparato a conoscere i miei coinquilini, chiamiamoli così.
In questo stabile ci abitano imprenditori, professionisti, gente che lavora e che vive agiatamente, ma anche persone semplici e che a fatica sbarcano il lunario.
Ma come tutti, ho anch’io le mie preferenze.
Adoro la Panda arancione di Giulia, la figlia dei Tomassetti, scala E, primo piano. Studia medicina, sta al terzo anno, ma lo fa solo per far piacere ai genitori, direttori sanitari di una clinica privata.
Ma tu che ne sai? mi chiederete.
Posso anche sbagliarmi, ma per me vuole fare la cantante.
Scendendo le scale del garage fa vocalizzi, agitando da sinistra a destra la coda da cavallo. Poi entra in macchina e, mentre accende il motore, riscalda anche la voce con certi acuti da far tremare i finestrini. E si allontana con voce impostata, su e giù per il pentagramma, ripassando tutto il repertorio. Possibile che nessuno se ne accorga? Che nessuno abbia orecchi per ascoltarla?
Mi chiederete pensi strano e queste cose solo perché stai tutto il giorno da solo. Ma non ti annoi? No, non mi annoio e poi non sono solo. Da qualche tempo ho un’amica, una gatta, regalo dell’Audi A4 della famiglia Bertozzi, scala B, terzo piano.
Mamma, papà e la piccola Beatrice erano andati in gita in un agriturismo, dopo tanto insistere della bambina. La bestiola si era nascosta nel vano motore e dopo un viaggio di diverse ore, a sua insaputa, era approdata nell’autorimessa.
Nel silenzio totale, dietro una ruota della macchina ho visto due occhietti rotondi, verdi e spaventati, con intorno tanto pelo rosso. Un esserino magro e lungo stava nella mia mano aperta senza emettere alcun suono, un miagolio o un semplice soffio. Completamente muta, non so se per lo spavento di essere sopravvissuta all’interno del motore o se dalla nascita, fatto sta che è in perfetta sintonia con il mio anonimato. L’ho chiamata Sordina, un po' come le nostre vite, ci siamo ma non facciamo rumore. È un esserino intelligente, molto socievole, almeno con me, visto che sono l’unico umano a cui si è legata e non sarebbe mai capace di tradirmi.
I Bertozzi sono una famiglia come tante, mamma, papà e una bimbetta molto carina, Beatrice. È figlia unica, arrivata quando i genitori erano un po' avanti negli anni. Cercano di viziarla in tutti i modi, ma lei non cede. Non si accontenta delle cose materiali, anzi dei tanti regali che le fanno non sa che farsene, li guarda, ci gioca quei dieci minuti e poi li abbandona sul sedile posteriore dell’Audi del papà. Possibile che non si accorgano che la bambina ha bisogno di più attenzioni, di giocare con loro e non di surrogati materiali?
Un’altra macchina che mi fa tenerezza è la Dacia Duster del commercialista Attilio Ferretti, scala A, secondo piano. Ha una compagna molto bella, ma triste e giuro di averla sentita chiamare Dacia. Non so se l’uomo si riferisse alla sua donna o all’auto. Appena salgono sulla vettura lui accende la radio, sempre sul notiziario o su trasmissioni che trattano esclusivamente di economia e di finanza. La ragazza, di fianco, allaccia la cintura con fare troppo rassegnato, perché sa che l’aspetta un viaggio in cui parleranno di un unico argomento.
Ma quante ne sai? Viaggi con loro, seduto sul sedile posteriore? Vi sento dire e vi rispondo che io ci sono quando rientrano e la radio è sempre accesa e sintonizzata sulla stessa frequenza.
Tutta la mia simpatia va alla Toyota Verso, il taxi di Giampiero Benni, scala C, quinto piano, tassista per necessità. Frequentava lo IALS, la scuola di danza rinomata per i suoi corsi di balletto classico, danza contemporanea, jazz e hip-hop.
Da quando il padre ha avuto un ictus e non è più in grado di guidare, ha preso il suo posto. È rimasto ballerino dentro, perché certe passioni, per quanto ci si sforzi, non si riesce proprio a nasconderle. Si vede da come cammina, il mento alzato, le braccia distanti dal corpo, da come si avvicina allo sportello, da come lo apre ed entra nell’abitacolo. Anche da fermo sembra che piroetti, che si sollevi dal cemento, che non abbia peso. Infila le gambe muscolose e atletiche sotto il volante, i piedi tra il freno e l’acceleratore e parte. La strada diventa il suo palcoscenico.
Invece c’è una macchina che non sopporto, mi sta proprio antipatica ma, per il fatto accaduto l’altra sera, ha cambiato la mia vita e il mio modo di vedere le cose.
È quasi l’alba quando il cancello inizia a cigolare, le luci si accendono e fa giorno prima dell’ora giusta. Entra il BMW X1 dell’avvocato Benni, scala D, quarto piano che, sgommando e a scatti, parcheggia alla meno peggio.
Ne scende un ragazzo, il figlio diciannovenne, Tommaso, primo anno di giurisprudenza, troppo giovane per guidare un macchinone di questa cilindrata.
Ha il fisico atletico, con la passione per il calcio e, barcollando, si dirige verso la scaletta che porta fuori. A giudicare da come cammina ha passato la notte con amici, in giro per locali, poi in qualche discoteca, a bere e magari a farsi di roba.
Vi chiederete ma tu stanotte eri con lui?
Non ero con lui ma ne ho visti di ragazzi arrivare strafatti ai nostri cancelli, sballati di alcol e droga. Lo seguo con lo sguardo finché lo vedo perdere consistenza, diventare liquido e alla fine accasciarsi con un tonfo, anche lui in sordina. Non si muove, forse ha perso conoscenza, e io non ci penso due volte a uscire dall’ombra. Mi avvicino per sentire se respira e sento quel rantolo che fanno alcuni animali feriti a morte. Il respiro è irregolare, ma c’è ancora, cerco nelle tasche il cellulare e faccio tutti i numeri dell’emergenza. Ho la voce concitata ma ferma quando dico l’indirizzo esatto del mio nascondiglio. Il polso e debole, troppo, fino a non sentirlo, il massaggio cardiaco l’ho fatto altre volte, una senza successo, ma non è il caso di pensarci proprio adesso.
Mentre sto accanto a lui e gli parlo penso alla sua famiglia, la madre insegnante di lettere, il padre penalista affermato, tre figli normali e lui, Tommaso, il più giovane, con la passione per il calcio.
Penso che se anche per gli uomini esistessero pezzi di ricambio come per le macchine, si potrebbero sostituire quegli organi che anche se ancora funzionanti, hanno smarrito il ruolo principale.
Orecchie nuove per sentire il canto di Giulia, una bocca di riserva da cui escano fiabe per Beatrice, o un sorriso silenzioso per Dacia, due mani per applaudire Giampiero che balla dentro a un taxi e due occhi, uno a testa, per i genitori di Tommaso, che non vuole fare l’avvocato ma giocare a pallone.
Vi sento dire la fai facile tu che non hai figli e vivi dentro un’autorimessa.
E io vi rispondo, per l’ultima volta, siete voi che vi complicate la vita.
L’ambulanza arriva e carica Tommaso insieme ai genitori, mentre la polizia si ferma per conoscere i dettagli.
Se la caverà, ne sono certo.
Io invece racconto i fatti e poi balbetto, non so come giustificare la mia presenza all’alba nell’autorimessa del condominio di via Sofocle 351, visto che non ci abito.
Poi è Sordina che mi ricorda di quanto bene è piena la mia vita, si struscia alla gamba e mi salta al petto.
«Sono un mattiniero incorreggibile, capitato per caso nel garage di questo condominio, solo per riprendere la mia gattina che era rimasta intrappolata. È una peste, si intrufola dappertutto».
«Una presenza provvidenziale per quel ragazzo!», sento dire a un poliziotto.
Ci allontaniamo, io e Sordina, la sua piccola testa poggiata al mio orecchio e per la prima volta la sento miagolare.
Mi direte ci lavori, no no, io ci abito proprio. Sono due anni cinque mesi e ventitré giorni che vivo nel garage del condominio in via Sofocle 351. Ci sono entrato per caso, dopo aver salutato un ex collega, dicendogli vado a prendere la macchina.
Subito dopo lui mi ha mandato un sms dove scriveva mister riporto, tu non hai una macchina.
Così mi chiama, mister riporto, solo perché, quando il vento mi spettina, il ciuffo più lungo mi copre mezza fronte. Vedete voi se è un nome possibile?!
Ho buttato il cellulare e sono rimasto.
Voi mi dite che sarà mai? C’è gente che ha vissuto sopra un albero, chi in un’isola deserta, chi sopra una colonna.
D’accordo, niente d’eccezionale, avete ragione voi! La gente non riesce più ad ascoltare ed è anche per questo che mi sono allontanato dal genere umano. Mi basta osservarlo di nascosto, tra una macchina e l’altra, attraverso lo specchietto retrovisore, i finestrini o dietro una colonna e la visuale cambia, vi assicuro.
Nessuno sa che nel garage del condominio in via Sofocle 351 vive un intruso, non lo sospettano nemmeno.
E poi nessuno ha reclamato la mia presenza. Da quando è morta mia madre, buonanima, sono passati cinque anni tre mesi e otto giorni e ho vissuto sempre da solo. Parenti stretti non ne ho e amici solo quando mi incontrano. Ho lasciato sul tavolo della cucina due piante carnivore che per ovvie ragioni non possono denunciare la mia scomparsa. Credo che riescano a sopravvivere anche senza di me. Zanzare mosche e altri insetti in casa mia non mancano mai.
L’autorimessa del condominio dove alloggio è uguale a tante altre, segue per lunghezza tutto il palazzo ed è situata al di sotto del piano stradale. Si accede attraverso due rampe e due piani di scale consentono il passaggio pedonale dal giardino.
L’edificio è di sei piani, cinque scale, due appartamenti per piano, per un totale di sessanta appartamenti e altrettanti posto auto. Grandi quadrati appesi al soffitto lo illuminano di luce al neon ogni volta che si apre uno dei due cancelli.
Di notte, dopo le ventitré e trenta, due robuste porte scorrevoli bloccano gli ingressi con un suono di rotaie e ingranaggi. È come chiudere la porta di casa e lasciare tutto il mondo fuori.
Direte potevi andare a stare nel tuo garage e ogni tanto salire nel tuo appartamento, se proprio volevi fare quello strano.
Ad avercelo, in effetti, il vostro ragionamento non fa una piega.
Il palazzo dove abitavo prima è stato costruito negli anni Settanta e allora i garage sotto casa non li pensavano proprio. Ma poi, scusate, ma che fastidio vi do? Sono bravo a mimetizzarmi tra le carrozzerie, con il nero degli pneumatici, a nascondermi tra uno sportello o un fanale posteriore.
L’autorimessa non è poi un posto così brutto e desolato, come molti credono, almeno questo in via Sofocle 351. Io mi sono organizzato proprio bene, non mi lamento. Le pareti sono spesse e di un colore grigio chiaro, trattengono il calore d’inverno e isolano dal caldo in estate.
Voi dite ma se c’è sempre un odore di olio, di pneumatici e di tubo di scarico.
Ma anche fuori lo smog non scherza.
Le strisce a terra sono gialle, alcune sono molto sbiadite, i paracolpi alle colonne ancora reggono, anche se presentano i segni di tutti i graffi e le ammaccature che hanno salvato le carrozzerie. Non tutti sono bravi a parcheggiare e alcuni posti sono molto stretti e le macchine troppo grandi.
Ogni posto auto parla del suo proprietario.
Non so se il regolamento condominiale lo permetta, ma alcuni condomini sono proprio bizzarri.
C’è chi ha appeso un quadro sulla parete di fondo, chi uno scaffale con dei libri e ogni tanto li sostituisce.
Poi c’è quello fissato che tiene l’auto lucida a specchio e che ogni settimana o quasi la porta a lavare. Qualche volta mi impegno perché il viaggio e i soldi non vengano spesi invano.
Vi sento dire ecco chi era che insudiciava il parabrezza.
In fondo a una colonna giace una catena senza scooter, una scopa con il secchio e la paletta, due sedie in ferro battuto e il palo di un ombrellone senza ombrello.
C’è chi ogni sera tira su il telo e, dopo aver dato una pacca affettuosa sul tetto, ricopre la vettura, che sia inverno o estate.
Ma è proprio nella stagione più calda che un’arietta deliziosa si incanala lungo tutto il corridoio.
Direte peccato che sia un viavai di macchine che entrano ed escono, soprattutto dopo cena.
È vero, c’è chi va a prendere il gelato, chi a cena fuori e i nottambuli che vanno in discoteca. Quelli rientrano che è giorno ma io sono sveglio da un pezzo.
Mi farete osservare praticamente non hai dormito proprio.
Recupero nelle ore più calde del pomeriggio.
A Ferragosto quasi tutti partono in vacanza, tranne quei tre o quattro poveretti costretti a lavorare.
Una fontanella con una pompa, adibita rigorosamente all’irrigazione delle piante condominiali, è la mia doccia personale.
Vi risparmio i dettagli sull’espletazione delle mie necessità corporee. Vi basti pensare che l’ortensia, da due anni a questa parte, non necessita di concime e cresce forte e vigorosa.
Mi direte ma tu sei pazzo, ti devono rinchiudere da qualche parte.
E così ho fatto, solo che ho scelto io dove stare, non come voi che vi obbligano dove non volete.
Di lavoro facevo il secondino in un carcere minorile, quarantatré anni di servizio chiuso tra doppie sbarre. Ne ho vista passare di umanità tra quelle mura. Genitori che si disperavano per i figli, i figli per i genitori. Ora sono in pensione e non immagino il resto della mia vita al di fuori di uno spazio circoscritto, chiuso da cancellate. Nessuno mi obbliga, sia chiaro, ma mi sento protetto, anche per le sbarre, come per tutto il resto delle cose, dipende dall’ottica da cui le guardiamo. Come quando andavo allo zoo, qual è il dentro e quale il fuori?
E io ci vivo bene in questo spazio circoscritto e guardo le persone che si agitano avanti e indietro nei loro spiazzi aperti, un po' più grandi, ma sempre in gabbia stanno.
La distrazione e la fretta degli altri è il mio sostentamento. Non rubo, intendiamoci, cerco di non mandare in malora tutto ciò che è deperibile e che viene dimenticato.
Mi nutro della spesa che qualche inquilino più distratto lascia sul cofano della macchina o nel bagagliaio aperto, con l’intenzione di scendere a prenderla in un secondo momento.
Mi basta poco, un pacco di biscotti, il latte, qualche affettato, giusto quello che mi serve per sopravvivere. A volte dalle finestre aperte che danno sul cortile sento litigare marito e moglie ti avevo detto di comprare anche il formaggio e te ne sei dimenticato. Oppure siamo rimasti senza pane, chi scende a prenderlo?
Sorrido di questi piccoli malintesi familiari, lungi da me pensare che possa esserne io la causa.
Con il tempo ho imparato a conoscere i miei coinquilini, chiamiamoli così.
In questo stabile ci abitano imprenditori, professionisti, gente che lavora e che vive agiatamente, ma anche persone semplici e che a fatica sbarcano il lunario.
Ma come tutti, ho anch’io le mie preferenze.
Adoro la Panda arancione di Giulia, la figlia dei Tomassetti, scala E, primo piano. Studia medicina, sta al terzo anno, ma lo fa solo per far piacere ai genitori, direttori sanitari di una clinica privata.
Ma tu che ne sai? mi chiederete.
Posso anche sbagliarmi, ma per me vuole fare la cantante.
Scendendo le scale del garage fa vocalizzi, agitando da sinistra a destra la coda da cavallo. Poi entra in macchina e, mentre accende il motore, riscalda anche la voce con certi acuti da far tremare i finestrini. E si allontana con voce impostata, su e giù per il pentagramma, ripassando tutto il repertorio. Possibile che nessuno se ne accorga? Che nessuno abbia orecchi per ascoltarla?
Mi chiederete pensi strano e queste cose solo perché stai tutto il giorno da solo. Ma non ti annoi? No, non mi annoio e poi non sono solo. Da qualche tempo ho un’amica, una gatta, regalo dell’Audi A4 della famiglia Bertozzi, scala B, terzo piano.
Mamma, papà e la piccola Beatrice erano andati in gita in un agriturismo, dopo tanto insistere della bambina. La bestiola si era nascosta nel vano motore e dopo un viaggio di diverse ore, a sua insaputa, era approdata nell’autorimessa.
Nel silenzio totale, dietro una ruota della macchina ho visto due occhietti rotondi, verdi e spaventati, con intorno tanto pelo rosso. Un esserino magro e lungo stava nella mia mano aperta senza emettere alcun suono, un miagolio o un semplice soffio. Completamente muta, non so se per lo spavento di essere sopravvissuta all’interno del motore o se dalla nascita, fatto sta che è in perfetta sintonia con il mio anonimato. L’ho chiamata Sordina, un po' come le nostre vite, ci siamo ma non facciamo rumore. È un esserino intelligente, molto socievole, almeno con me, visto che sono l’unico umano a cui si è legata e non sarebbe mai capace di tradirmi.
I Bertozzi sono una famiglia come tante, mamma, papà e una bimbetta molto carina, Beatrice. È figlia unica, arrivata quando i genitori erano un po' avanti negli anni. Cercano di viziarla in tutti i modi, ma lei non cede. Non si accontenta delle cose materiali, anzi dei tanti regali che le fanno non sa che farsene, li guarda, ci gioca quei dieci minuti e poi li abbandona sul sedile posteriore dell’Audi del papà. Possibile che non si accorgano che la bambina ha bisogno di più attenzioni, di giocare con loro e non di surrogati materiali?
Un’altra macchina che mi fa tenerezza è la Dacia Duster del commercialista Attilio Ferretti, scala A, secondo piano. Ha una compagna molto bella, ma triste e giuro di averla sentita chiamare Dacia. Non so se l’uomo si riferisse alla sua donna o all’auto. Appena salgono sulla vettura lui accende la radio, sempre sul notiziario o su trasmissioni che trattano esclusivamente di economia e di finanza. La ragazza, di fianco, allaccia la cintura con fare troppo rassegnato, perché sa che l’aspetta un viaggio in cui parleranno di un unico argomento.
Ma quante ne sai? Viaggi con loro, seduto sul sedile posteriore? Vi sento dire e vi rispondo che io ci sono quando rientrano e la radio è sempre accesa e sintonizzata sulla stessa frequenza.
Tutta la mia simpatia va alla Toyota Verso, il taxi di Giampiero Benni, scala C, quinto piano, tassista per necessità. Frequentava lo IALS, la scuola di danza rinomata per i suoi corsi di balletto classico, danza contemporanea, jazz e hip-hop.
Da quando il padre ha avuto un ictus e non è più in grado di guidare, ha preso il suo posto. È rimasto ballerino dentro, perché certe passioni, per quanto ci si sforzi, non si riesce proprio a nasconderle. Si vede da come cammina, il mento alzato, le braccia distanti dal corpo, da come si avvicina allo sportello, da come lo apre ed entra nell’abitacolo. Anche da fermo sembra che piroetti, che si sollevi dal cemento, che non abbia peso. Infila le gambe muscolose e atletiche sotto il volante, i piedi tra il freno e l’acceleratore e parte. La strada diventa il suo palcoscenico.
Invece c’è una macchina che non sopporto, mi sta proprio antipatica ma, per il fatto accaduto l’altra sera, ha cambiato la mia vita e il mio modo di vedere le cose.
È quasi l’alba quando il cancello inizia a cigolare, le luci si accendono e fa giorno prima dell’ora giusta. Entra il BMW X1 dell’avvocato Benni, scala D, quarto piano che, sgommando e a scatti, parcheggia alla meno peggio.
Ne scende un ragazzo, il figlio diciannovenne, Tommaso, primo anno di giurisprudenza, troppo giovane per guidare un macchinone di questa cilindrata.
Ha il fisico atletico, con la passione per il calcio e, barcollando, si dirige verso la scaletta che porta fuori. A giudicare da come cammina ha passato la notte con amici, in giro per locali, poi in qualche discoteca, a bere e magari a farsi di roba.
Vi chiederete ma tu stanotte eri con lui?
Non ero con lui ma ne ho visti di ragazzi arrivare strafatti ai nostri cancelli, sballati di alcol e droga. Lo seguo con lo sguardo finché lo vedo perdere consistenza, diventare liquido e alla fine accasciarsi con un tonfo, anche lui in sordina. Non si muove, forse ha perso conoscenza, e io non ci penso due volte a uscire dall’ombra. Mi avvicino per sentire se respira e sento quel rantolo che fanno alcuni animali feriti a morte. Il respiro è irregolare, ma c’è ancora, cerco nelle tasche il cellulare e faccio tutti i numeri dell’emergenza. Ho la voce concitata ma ferma quando dico l’indirizzo esatto del mio nascondiglio. Il polso e debole, troppo, fino a non sentirlo, il massaggio cardiaco l’ho fatto altre volte, una senza successo, ma non è il caso di pensarci proprio adesso.
Mentre sto accanto a lui e gli parlo penso alla sua famiglia, la madre insegnante di lettere, il padre penalista affermato, tre figli normali e lui, Tommaso, il più giovane, con la passione per il calcio.
Penso che se anche per gli uomini esistessero pezzi di ricambio come per le macchine, si potrebbero sostituire quegli organi che anche se ancora funzionanti, hanno smarrito il ruolo principale.
Orecchie nuove per sentire il canto di Giulia, una bocca di riserva da cui escano fiabe per Beatrice, o un sorriso silenzioso per Dacia, due mani per applaudire Giampiero che balla dentro a un taxi e due occhi, uno a testa, per i genitori di Tommaso, che non vuole fare l’avvocato ma giocare a pallone.
Vi sento dire la fai facile tu che non hai figli e vivi dentro un’autorimessa.
E io vi rispondo, per l’ultima volta, siete voi che vi complicate la vita.
L’ambulanza arriva e carica Tommaso insieme ai genitori, mentre la polizia si ferma per conoscere i dettagli.
Se la caverà, ne sono certo.
Io invece racconto i fatti e poi balbetto, non so come giustificare la mia presenza all’alba nell’autorimessa del condominio di via Sofocle 351, visto che non ci abito.
Poi è Sordina che mi ricorda di quanto bene è piena la mia vita, si struscia alla gamba e mi salta al petto.
«Sono un mattiniero incorreggibile, capitato per caso nel garage di questo condominio, solo per riprendere la mia gattina che era rimasta intrappolata. È una peste, si intrufola dappertutto».
«Una presenza provvidenziale per quel ragazzo!», sento dire a un poliziotto.
Ci allontaniamo, io e Sordina, la sua piccola testa poggiata al mio orecchio e per la prima volta la sento miagolare.
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Re: Pezzi di ricambio
STUPENDO!
Io non altro da dire. Non ci sono critiche, non c'è niente che mi abbia fatto storcere il naso. Niente!
Dico, solo per aggiungere qualcosa al mio commento, che per tutto il racconto ho avuto il timore che qualcosa si rovinasse, che arrivasse la parte critica, il difetto che mi avrebbe rovinato il racconto.
E invece no. Tutto è rimasto bello sin dalla prima parola.
Poi l'ho riletto più rilassato e quindi posso dire che è bellissimo.
Chiedo scusa agli Admin se sto allungando il brodo ma veramente non ho nulla da dire se non che questo racconto merita di essere letto dal maggior numero di persone possibile.
Complimenti e grazie.
Io non altro da dire. Non ci sono critiche, non c'è niente che mi abbia fatto storcere il naso. Niente!
Dico, solo per aggiungere qualcosa al mio commento, che per tutto il racconto ho avuto il timore che qualcosa si rovinasse, che arrivasse la parte critica, il difetto che mi avrebbe rovinato il racconto.
E invece no. Tutto è rimasto bello sin dalla prima parola.
Poi l'ho riletto più rilassato e quindi posso dire che è bellissimo.
Chiedo scusa agli Admin se sto allungando il brodo ma veramente non ho nulla da dire se non che questo racconto merita di essere letto dal maggior numero di persone possibile.
Complimenti e grazie.
ImaGiraffe- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Meno male che un refuso c'è: Il polso e debole, altrimenti saresti veramente disumani. Il tuo è il miglior racconto che io abbia letto fino a ora e mene mancano solo ttree quindi senza troppo dilungarmi per me il podio più alto te lo sei meritato. Bravissimo. E se non ho nient'altro da dire non lo dico e mi fermo qui.
Antonio Borghesi- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
In genere non mi piace quando il narratore si rivolge al lettore ma in questo caso non posso dire che la cosa abbia penalizzato il racconto.
La storia, grazie a un bel ritmo narrativo, scorre veloce e cresce d’intensità fino all’appagante finale.
All’inizio ero perplessa, chiedi davvero tanto alla credulità del tuo lettore.
Hai costruito ad hoc una situazione fornendo via via le risposte alle possibili domande che nascono spontanee durante la lettura.
Questa “incredulità” , te lo dico, mie la sono portata dietro per un bel pezzo come un piccolo fastidio.
Altra cosa che mi ha lasciato un po’ fredda è la sequela di ordinarie scene di vita, ben descritte sicuro ma un po’ troppo ammiccanti verso la ricerca di emotività del lettore.
Il finale mi è piaciuto molto e dato un senso a tutta la costruzione.
Una storia costruita ad arte. Un bel raccconto piacevole. Brav.
La storia, grazie a un bel ritmo narrativo, scorre veloce e cresce d’intensità fino all’appagante finale.
All’inizio ero perplessa, chiedi davvero tanto alla credulità del tuo lettore.
Hai costruito ad hoc una situazione fornendo via via le risposte alle possibili domande che nascono spontanee durante la lettura.
Questa “incredulità” , te lo dico, mie la sono portata dietro per un bel pezzo come un piccolo fastidio.
Altra cosa che mi ha lasciato un po’ fredda è la sequela di ordinarie scene di vita, ben descritte sicuro ma un po’ troppo ammiccanti verso la ricerca di emotività del lettore.
Il finale mi è piaciuto molto e dato un senso a tutta la costruzione.
Una storia costruita ad arte. Un bel raccconto piacevole. Brav.
Petunia- Moderatore
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Re: Pezzi di ricambio
Ciao Penna. Ho letto molto volentieri questo racconto. Il tuo personaggio, un novello Diogene che vive nella sua "botte", cinico come il noto filosofo e, come lui, capace di indagare l'uomo, è perfettamente riuscito. Hai rappresentato, descrivendo gli inquilini, uno spaccato di contemporanea umanità veramente ampio. Non tutto mi ha convinto nella forma. Piccole ripetizioni (...gli - lui), quel passare tra "dire" e "direte", "mi incontrano" non apostrofato, il troppo descritto condominio all'inizio, l'uso del corsivo anche nella risposta del personaggio che hai ideato. Ma tutto ciò, per quanto mi riguarda, non inficia le geniali uscite di Renato e il messaggio che mi giunge dal tuo gustoso lavoro. Penso che le sviste siano dovute alla scadenza imminente. Al momento, con me sei piazzato bene, cara Penna.
digitoergosum- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Il racconto è scritto bene, su questo non ci piove, come non piove nell'autorimessa. Sarebbe un po' più credibile se fosse la storia di un portiere. Il tizio che decide di vivere in un garage, mi sembra troppo una forzatura da paletti.
Lo stratagemma narrativo è abbastanza banale: osservare la vita degli altri e chissà perché, chissà per come, conoscerla meglio di come gli altri stessi la conoscono.
E siccome il tizio del garage è anche il narratore è facile vincere sempre e indovinare.
È un espediente narrativo che a me non affascina e non dice nulla di nuovo. È come scommettere sulle partite di calcio della settimana precedente.
Insomma perdonami scrittrice mia, il tuo racconto non mi ha entusiasmato, ma non temere piacerà assai.
Lo stratagemma narrativo è abbastanza banale: osservare la vita degli altri e chissà perché, chissà per come, conoscerla meglio di come gli altri stessi la conoscono.
E siccome il tizio del garage è anche il narratore è facile vincere sempre e indovinare.
È un espediente narrativo che a me non affascina e non dice nulla di nuovo. È come scommettere sulle partite di calcio della settimana precedente.
Insomma perdonami scrittrice mia, il tuo racconto non mi ha entusiasmato, ma non temere piacerà assai.
gipoviani- Padawan
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Re: Pezzi di ricambio
Arriva sempre il momento durante gli step in cui si legge un racconto e ci si dice che è il pezzo perfetto e che difficlmente potrà essere superato dagli altri in gara.
Questa volta è toccato a questo splendido racconto sebbene sia solo a un terzo dei racconti letti.
E la forza di questo racconto sta nel suo continuo crescendo che cancella via via le (poche) perplessità che soprattutto all'inizio nascono in merito alla trama (si tratta di fare spesso un atto di fede nei confronti dell'aut*).
In questo racconto c'è una capacità di "osservare" il prossimo e di tradurlo nella pagina scritta assai invidiabile e la forza di chi scrive spesso è proprio in questo aspetto che forse non è considerato abbastanza quanto dovrebbe esserlo.
Banalizzazioni? Può darsi, ma la vita è molto più banale e meno complicata di quanto pensiamo e se appare complicata è (per dirla come il buon Renato) perchè ce la ciomplichiamo inutilmente noi.
Complimenti anche per il finale, il rischio di scivolare sulla classica buccia di banana incombeva ma l'hai superato nel modo migliore.
Giusto perché la perfezione non è di questo mondo ti segnalo:
- Ma anche fuori lo smog non scherza ti è rimasto il corsivo nella tastiera
- Il polso e debole, troppo,
Questa volta è toccato a questo splendido racconto sebbene sia solo a un terzo dei racconti letti.
E la forza di questo racconto sta nel suo continuo crescendo che cancella via via le (poche) perplessità che soprattutto all'inizio nascono in merito alla trama (si tratta di fare spesso un atto di fede nei confronti dell'aut*).
In questo racconto c'è una capacità di "osservare" il prossimo e di tradurlo nella pagina scritta assai invidiabile e la forza di chi scrive spesso è proprio in questo aspetto che forse non è considerato abbastanza quanto dovrebbe esserlo.
Banalizzazioni? Può darsi, ma la vita è molto più banale e meno complicata di quanto pensiamo e se appare complicata è (per dirla come il buon Renato) perchè ce la ciomplichiamo inutilmente noi.
Complimenti anche per il finale, il rischio di scivolare sulla classica buccia di banana incombeva ma l'hai superato nel modo migliore.
Giusto perché la perfezione non è di questo mondo ti segnalo:
- Ma anche fuori lo smog non scherza ti è rimasto il corsivo nella tastiera
- Il polso e debole, troppo,
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paluca66- Maestro Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Mi scuserai, ma non mi è piaciuto: penso sia un problema mio, visti i commenti chr mi hanno preceduto.
I continui rimandi a scale, piani, pianerottoli, appartamenti mi hanno infastidito.
Che Renato viva così, è poco credibile.
La casa più bella? Che rubasse la spesa dalle auto: mi immagino che litigate avrei fatto con mia moglie!
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FedericoChiesa- Padawan
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Re: Pezzi di ricambio
Arrivata alla fine di questo racconto davvero molto bello, mi si è palesata questa immagine:
io e la Penna seduti su quelle poltroncine pieghevoli da spiaggia, in un angolo del garage, gambe allungate, una cassetta della frutta con sopra un paio di bicchieri di the fresco e la Penna che mi racconta… mi racconta, mi racconta e da voce alle mie domande. E io sto zitta (strano per una donna, direte voi - scusa Penna questo furtarello), assaporando un momento di serenità, niente fretta e aspettando con pazienza tante piccole storie di umanissima umanità - perdonate il bisticcio di parole - che tutti possiamo trovare guardandoci attorno appena appena più attentamente.
I racconti scritti in prima persona - sempre complessi da portare fino all’ultima frase senza cadere nel “troppo raccontato” - a me piacciono molto, e ancora di più quando l’autore mi prende per mano e mi accompagna tra le righe, raccontandomi le sue sensazioni che magari non sono le mie, ma ci stanno bene: è lui che racconta, quindi sue sono le regole…
Un racconto davvero molto ben riuscito, equilibrato, con una giusta dose di ironia e di autoironia per una storia che parte come un po’ improbabile per poi catapultarci nella realtà.
…e amici solo quando mi incontrano: non è mica raro!
Le mie note:
proprio volendo, ma più per abitudine: cinque anni tre mesi e otto giorni e Zanzare mosche e altri insetti essendo elenchi ci vorrebbero le virgole.
io e la Penna seduti su quelle poltroncine pieghevoli da spiaggia, in un angolo del garage, gambe allungate, una cassetta della frutta con sopra un paio di bicchieri di the fresco e la Penna che mi racconta… mi racconta, mi racconta e da voce alle mie domande. E io sto zitta (strano per una donna, direte voi - scusa Penna questo furtarello), assaporando un momento di serenità, niente fretta e aspettando con pazienza tante piccole storie di umanissima umanità - perdonate il bisticcio di parole - che tutti possiamo trovare guardandoci attorno appena appena più attentamente.
I racconti scritti in prima persona - sempre complessi da portare fino all’ultima frase senza cadere nel “troppo raccontato” - a me piacciono molto, e ancora di più quando l’autore mi prende per mano e mi accompagna tra le righe, raccontandomi le sue sensazioni che magari non sono le mie, ma ci stanno bene: è lui che racconta, quindi sue sono le regole…
Un racconto davvero molto ben riuscito, equilibrato, con una giusta dose di ironia e di autoironia per una storia che parte come un po’ improbabile per poi catapultarci nella realtà.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
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Re: Pezzi di ricambio
Un racconto scritto molto bene, è vero, ma nel complesso lo trovo un po' sbilanciato. La descrizione di tutti i personaggi la trovo ottima, molto introspettiva e con particolari "sfiziosi" che catturano sicuramente l'attenzione del lettore e stuzzicano la sua curiosità. Forse sono un po' troppo e, a parte un piccolo accenno nel finale, si perdono nel nulla. Avrebbe potuto essere ottima come introduzione a un breve romanza, capace, con la sua lunghezza, di riannodare quanto si era sparso. La sequenza narrativa riveste invece uno spazio molto risicato, a mio parere, e non sorprende più di tanto. L'autorimessa è molto ben presente, questa volta "collettiva": una novità davvero piacevole.
Nel complesso un ottima scrittura per qualcosa che, tuttavia, avrei condotto in modo differente. Comunque complimenti all'autore!
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Nellone- Younglings
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Re: Pezzi di ricambio
La prima cosa che ho notato è la fissazione per i numeri. Anni, mesi, giorni. Piani, scale, appartamenti. Contribuisce a dare spessore al personaggio. C'è spesso anche un riportare gli elementi a tre per volta, a scandire le frasi in tre. Da molto ritmo alla narrazione. Mi piace.
"Come quando andavo allo zoo, qual è il dentro e quale il fuori?" Ecco tutto il racconto gioca su questo, su un confronto continuo con il lettore, un botta e risposta guidato dalla voce narrante, a insinuare il dubbio che quello libero e sano di mente sia lui e non noi.
"Possibile che nessuno se ne accorga? Che nessuno abbia orecchi per ascoltarla?". Il passaggio su Giulia mi è piaciuto tantissimo, così come i successivi. Poche righe che dipingono personaggi che sì, sono secondari, ma è di nuovo un modo per ribadire quella linea di separazione tra il protagonista e il resto del mondo, la sua capacità di vedere. La cosa davvero bella è che non se la tiene per sé. Dopo un po' capisci che non è il lettore "l'altro". Riesce a portarti dalla sua parte, a farti vedere quello che vede lui, a vivere con lui nella stessa autorimessa.
Non so se sia il racconto perfetto, ma ci va vicino. Chiaro che se ci rifletti sopra il personaggio vive un po' ai confini della realtà, nel senso che qualcuno potrebbe storcere il naso e trovarlo poco credibile, poco reale. Ma ovviamente bisogna scendere a patti con chi lo ha scritto e sospendere l'incredulità. Un altro piccolo difetto se posso permettermi è che qui più che una stanza, una singola autorimessa, abbiamo un'intero garage di quelli condominiali, con decine di posti macchina e box, quindi forse manca un po' l'intimità della singola stanza, del piccolo garage annesso alla casa, con la serranda che si alza e si abbassa. Possiamo definirla una forzatura, ma la forzatura ha dato origine a una storia preziosa, profonda, scritta in modo ineccepibile, quindi ben venga.
Mi è piaciuto davvero tanto, complimenti.
"Come quando andavo allo zoo, qual è il dentro e quale il fuori?" Ecco tutto il racconto gioca su questo, su un confronto continuo con il lettore, un botta e risposta guidato dalla voce narrante, a insinuare il dubbio che quello libero e sano di mente sia lui e non noi.
"Possibile che nessuno se ne accorga? Che nessuno abbia orecchi per ascoltarla?". Il passaggio su Giulia mi è piaciuto tantissimo, così come i successivi. Poche righe che dipingono personaggi che sì, sono secondari, ma è di nuovo un modo per ribadire quella linea di separazione tra il protagonista e il resto del mondo, la sua capacità di vedere. La cosa davvero bella è che non se la tiene per sé. Dopo un po' capisci che non è il lettore "l'altro". Riesce a portarti dalla sua parte, a farti vedere quello che vede lui, a vivere con lui nella stessa autorimessa.
Non so se sia il racconto perfetto, ma ci va vicino. Chiaro che se ci rifletti sopra il personaggio vive un po' ai confini della realtà, nel senso che qualcuno potrebbe storcere il naso e trovarlo poco credibile, poco reale. Ma ovviamente bisogna scendere a patti con chi lo ha scritto e sospendere l'incredulità. Un altro piccolo difetto se posso permettermi è che qui più che una stanza, una singola autorimessa, abbiamo un'intero garage di quelli condominiali, con decine di posti macchina e box, quindi forse manca un po' l'intimità della singola stanza, del piccolo garage annesso alla casa, con la serranda che si alza e si abbassa. Possiamo definirla una forzatura, ma la forzatura ha dato origine a una storia preziosa, profonda, scritta in modo ineccepibile, quindi ben venga.
Mi è piaciuto davvero tanto, complimenti.
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Asbottino- Padawan
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Re: Pezzi di ricambio
Il racconto mi è piaciuto, condivido anche il messaggio di fondo, che viviamo in una società alienante, un mondo dove senza accorgercene ci è stato rubato il tempo, tempo che non possiamo dedicare a noi e a chi ci sta vicino, offuscati da una corsa mascherata verso il nulla. Perché non dovrebbe essere difficile capire chi ci sta vicino, quantomeno conoscerne i desideri e assecondarli nel limite del possibile, eppure ciò non avviene.
Però una cosa non mi è andata giù e te la devo dire.
Io sono uno di quelli che quando legge una storia "credo" a ciò che mi dice l'autore. Per me non esiste il poco credibile in una storia, vale solo il principio della coerenza, il personaggio deve essere coerente con se stesso in quello che fa.
Non so neanche più in quanti miliardi siamo su questo pianeta... se solo uno su otto miliardi facesse qualcosa di strano automaticamente quella cosa diventerebbe possibile, quindi replicabile e non più poco credibile.
Quindi, per uno come me che crede, è risultato un pò indigesto quel tuo voler mettere le mani avanti, perché io così l'ho inteso. Quel voi direte, vi chiederete, vi domanderete, sono tutte espressioni che hanno il compito di tacitare sul nascere i dubbi del lettore rompiballe, di ammansirlo, di lisciargli il pelo e confortarlo nelle sue insicurezze e nei suoi dubbi. Capisco che in quest'ottica prevenire è meglio che curare e la tua impostazione ha un senso, ma io, da credente, avrei preferito uno sviluppo meno spiegato e meno rivolto alla platea.
Però una cosa non mi è andata giù e te la devo dire.
Io sono uno di quelli che quando legge una storia "credo" a ciò che mi dice l'autore. Per me non esiste il poco credibile in una storia, vale solo il principio della coerenza, il personaggio deve essere coerente con se stesso in quello che fa.
Non so neanche più in quanti miliardi siamo su questo pianeta... se solo uno su otto miliardi facesse qualcosa di strano automaticamente quella cosa diventerebbe possibile, quindi replicabile e non più poco credibile.
Quindi, per uno come me che crede, è risultato un pò indigesto quel tuo voler mettere le mani avanti, perché io così l'ho inteso. Quel voi direte, vi chiederete, vi domanderete, sono tutte espressioni che hanno il compito di tacitare sul nascere i dubbi del lettore rompiballe, di ammansirlo, di lisciargli il pelo e confortarlo nelle sue insicurezze e nei suoi dubbi. Capisco che in quest'ottica prevenire è meglio che curare e la tua impostazione ha un senso, ma io, da credente, avrei preferito uno sviluppo meno spiegato e meno rivolto alla platea.
Byron.RN- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Caro e pazzo autore, mi hai ricordato il Tom Hanks che si ferma a vivere in areoporto e trasforma quel luogo ostile in un posto piacevole. Il tuo racconto è pure più bello e profondo.
La catena senza motorino, il palo dell' ombrellone senza ombrellone sono descrizioni in apparenza banali, ma che mostrano il vuoto che lo avvolge.
È piaciuto a tutti il tuo racconto e non aggiungo complimenti.
A te non servono le aggiunte.
Una personale riflessione: Different possiede i migliori scrittori amatoriali del panorama nazionale.
La catena senza motorino, il palo dell' ombrellone senza ombrellone sono descrizioni in apparenza banali, ma che mostrano il vuoto che lo avvolge.
È piaciuto a tutti il tuo racconto e non aggiungo complimenti.
A te non servono le aggiunte.
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tommybe- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Autore, devo andare un po' (solo un po') controcorrente.
A me del tuo racconto è piaciuto molto lo stile, che anche se ammiccante al lettore, cosa che in genere non amo, ha il suo perché e tutto sommato funziona.
Mi è piaciuta la naturalezza delle descrizioni dei tuoi personaggi, anche se secondari: sei riuscito a tratteggiarli tutti con semplicità ed efficacia.
Mi ha divertito molto l'elenco delle auto: dopo ognuna, scommettevo su quale sarebbe stata la prossima.
(Non ci ho mai azzeccato, beninteso).
I punti sui quali non mi trovo sul racconto sono due.
Il primo è il messaggio di fondo.
Non so, sarò io, ma trovo che il mondo non sia affatto semplice. Nè l'umanità sia semplice. Nè che ascoltare qualcuno sia (o sia mai stato) semplice. Anche perché, come disse "una", se inizi a interessarti dei problemi di qualcuno, poi quei problemi diventano anche tuoi. Lei lo ha detto in maniera più scurrile, comunque.
Nella realtà là fuori è' tutto così drammaticamente complicato, complesso, fatto di pro e contro, di scelte, di vantaggi e svantaggi. Noi siamo dannatamente complicati, come esseri umani: questa maledizione che abbiamo, di una mente razionale e creativa, rende tutto di una complessità terrificante.
E, per riflesso, rendiamo tale anche il mondo in cui viviamo.
Quindi, no, purtroppo, la grande semplificazione che sta dietro al punto di vista di Renato non mi convince, non mi trova orientato sulla stessa lunghezza d'onda.
Intendiamoci, so che è una semplificazione letteraria, anzi forse pure poetica, ma l'ho sentita troppo come tale.
E se non c'è feeling con il contesto, il gradimento ne esce segnato, in qualche modo.
Il secondo punto è la causa per la quale Renato fa questa scelta estrema.
Ho riletto tot volte l'incipit e continuo a non capirlo.
Un ex collega lo deride vis SMS poiché lui non ha un'auto, e Renato, per stizza (?) decide di andare a vivere in un'autorimessa.
La stessa risposta di Renato all'ex collega, Vado a prendere l'auto, non ha senso se lui non ne possiede una.
Continuo a credere che ci sia un senso dietro questo veloce passaggio, ma non riesco a trovarlo.
In definitiva, il racconto è molto (molto) piacevole da leggere, ma lascia addosso, almeno a me, un certo senso di insoddisfazione, di mancata sintonia, non so come definirlo.
Dimenticavo: ti segnalo due piccolezze. Il ragazzo figlio dell'avvocato fa Benni di cognome come l'ex ballerino. Voluto? Strano, più che altro.
In secondo luogo, ma questa è più una curiosità, ho letto di recente che la quasi totalità dei gatti arancioni è di sesso maschile. Magari è una cagata, non so, però l'ho letta da qualche parte e non lo sapevo.
A me del tuo racconto è piaciuto molto lo stile, che anche se ammiccante al lettore, cosa che in genere non amo, ha il suo perché e tutto sommato funziona.
Mi è piaciuta la naturalezza delle descrizioni dei tuoi personaggi, anche se secondari: sei riuscito a tratteggiarli tutti con semplicità ed efficacia.
Mi ha divertito molto l'elenco delle auto: dopo ognuna, scommettevo su quale sarebbe stata la prossima.
(Non ci ho mai azzeccato, beninteso).
I punti sui quali non mi trovo sul racconto sono due.
Il primo è il messaggio di fondo.
Non so, sarò io, ma trovo che il mondo non sia affatto semplice. Nè l'umanità sia semplice. Nè che ascoltare qualcuno sia (o sia mai stato) semplice. Anche perché, come disse "una", se inizi a interessarti dei problemi di qualcuno, poi quei problemi diventano anche tuoi. Lei lo ha detto in maniera più scurrile, comunque.
Nella realtà là fuori è' tutto così drammaticamente complicato, complesso, fatto di pro e contro, di scelte, di vantaggi e svantaggi. Noi siamo dannatamente complicati, come esseri umani: questa maledizione che abbiamo, di una mente razionale e creativa, rende tutto di una complessità terrificante.
E, per riflesso, rendiamo tale anche il mondo in cui viviamo.
Quindi, no, purtroppo, la grande semplificazione che sta dietro al punto di vista di Renato non mi convince, non mi trova orientato sulla stessa lunghezza d'onda.
Intendiamoci, so che è una semplificazione letteraria, anzi forse pure poetica, ma l'ho sentita troppo come tale.
E se non c'è feeling con il contesto, il gradimento ne esce segnato, in qualche modo.
Il secondo punto è la causa per la quale Renato fa questa scelta estrema.
Ho riletto tot volte l'incipit e continuo a non capirlo.
Un ex collega lo deride vis SMS poiché lui non ha un'auto, e Renato, per stizza (?) decide di andare a vivere in un'autorimessa.
La stessa risposta di Renato all'ex collega, Vado a prendere l'auto, non ha senso se lui non ne possiede una.
Continuo a credere che ci sia un senso dietro questo veloce passaggio, ma non riesco a trovarlo.
In definitiva, il racconto è molto (molto) piacevole da leggere, ma lascia addosso, almeno a me, un certo senso di insoddisfazione, di mancata sintonia, non so come definirlo.
Dimenticavo: ti segnalo due piccolezze. Il ragazzo figlio dell'avvocato fa Benni di cognome come l'ex ballerino. Voluto? Strano, più che altro.
In secondo luogo, ma questa è più una curiosità, ho letto di recente che la quasi totalità dei gatti arancioni è di sesso maschile. Magari è una cagata, non so, però l'ho letta da qualche parte e non lo sapevo.
Fante Scelto- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Mi ripeterò ma va detto che il racconto è scritto bene. Parte dell'ottima scrittura è lo stile utilizzato nonché il fatto che Renato continui a rivolgersi al lettore. Come già notato praticamente da tutti, questo aspetto non infastidisce. Anzi è pertinente: una persona sempre sola (anche se per scelta) che ha l'occasione di parlare con qualcuno attraverso il racconto è un fiume in piena. Coinvolge il suo interlocutore anche se sa di non ricevere risposta, un dialogo a senso unico che però lo fa uscire dal suo silenzio. Anch'io non ho ben capito come è scaturita la scelta di Renato di rinchiudersi nel garage condominiale, però penso che se faceva lo sbirro del carcere prima di andare in pensione, abbia voluto trovare pace in un luogo simile, dal quale osservare (e giudicare) le persone senza essere influenzato dal loro curriculum di vita. Non so se mi sono spiegato.
Detto questo, l'unica incongruenza poco verosimile a mio avviso riguarda la spesa dimenticata, con la quale Renato si nutre. Tutti sistematicamente smemorati 'sti condomini? Può capitare una volte, due, ma non è possibile che a cadenza quasi regolare qualcuno dimentichi pane, latte e formaggio sul cofano dell'auto. Parimenti, e mi scuso con l'Autore per l'eccessiva pignoleria, mi chiedo come mai Renato dovesse raccattare qua e là la spesa dimenticata, quando con la sua pensione dello Stato, avrebbe potuto comprarsi praticamente tutto ciò che voleva pur vivendo come un topo dentro ai garage?
Questo nulla toglie alla validità del racconto.
Grazie
Detto questo, l'unica incongruenza poco verosimile a mio avviso riguarda la spesa dimenticata, con la quale Renato si nutre. Tutti sistematicamente smemorati 'sti condomini? Può capitare una volte, due, ma non è possibile che a cadenza quasi regolare qualcuno dimentichi pane, latte e formaggio sul cofano dell'auto. Parimenti, e mi scuso con l'Autore per l'eccessiva pignoleria, mi chiedo come mai Renato dovesse raccattare qua e là la spesa dimenticata, quando con la sua pensione dello Stato, avrebbe potuto comprarsi praticamente tutto ciò che voleva pur vivendo come un topo dentro ai garage?
Questo nulla toglie alla validità del racconto.
Grazie
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"Già credo che in qualunque punto dell'universo ci si stabilisca si finisce coll'inquinarsi. Bisogna moversi. La vita ha dei veleni, ma anche degli altri veleni che servono di contravveleni. Solo correndo si può sottrarsi ai primi e giovarsi degli altri."
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Re: Pezzi di ricambio
non mi è piaciuto, mi spiace.
certo, il finale salva tutta quanta la storia, altrimenti per me irricevibile, però non basta a farti riprendere quota.
non ho notato errori o refusi, la storia è ben scritta e abbastanza scorrevole, anche se un po' troppo lunga per i miei gusti.
ma è tutto l'insieme che non mi ha convinto, mi spiace.
troppe assurdità, dal mio punto di vista
certo, il finale salva tutta quanta la storia, altrimenti per me irricevibile, però non basta a farti riprendere quota.
non ho notato errori o refusi, la storia è ben scritta e abbastanza scorrevole, anche se un po' troppo lunga per i miei gusti.
ma è tutto l'insieme che non mi ha convinto, mi spiace.
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Re: Pezzi di ricambio
Racconto particolare, che riesco a leggere solo in chiave allegorica.
Renato non è una persona tanto normale, se esistesse veramente, sarebbe considerato un folle. Invidio questo suo modo di guardare gli altri, i suoi occhi, la sua attenzione.
Lui non lo sa e come è arrivato se ne va e mi lascia dentro un senso di inconcludenza, di superficialità per come vanno alcuni rapporti umani.
Il fatto che viva con la spesa dimenticata dai condomini, credo che anche questo abbia un significato metaforico.
Molte persone sopravvivono grazie alla “distrazione” di altri.
Almeno questa è l’interpretazione che ho dato io.
Renato non è una persona tanto normale, se esistesse veramente, sarebbe considerato un folle. Invidio questo suo modo di guardare gli altri, i suoi occhi, la sua attenzione.
Lui non lo sa e come è arrivato se ne va e mi lascia dentro un senso di inconcludenza, di superficialità per come vanno alcuni rapporti umani.
Il fatto che viva con la spesa dimenticata dai condomini, credo che anche questo abbia un significato metaforico.
Molte persone sopravvivono grazie alla “distrazione” di altri.
Almeno questa è l’interpretazione che ho dato io.
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Re: Pezzi di ricambio
Questa storia un po’ stramba sembra quasi l’elogio della solitudine.
Renato Terenzi, guardia carceraria in pensione, sceglie di vivere nell’autorimessa di un palazzo, tra automobili, box e posti auto. Non è pazzo, solo che preferisce scegliere dove stare “non come voi che vi obbligano dove non volete.” Il voi è rivolto a un’umanità da cui prende le distanze perché non la pensa come lui.
L’ambiente è descritto in modo dettagliato perché è il mondo di Renato: da lì spia la vita degli altri. Gente qualunque, molto diversa da quella che ha conosciuto in carcere, chissà che la scelta non sia stata motivata dal bisogno di normalità.
Gli piace osservare, senza essere visto e senza parlare ad alcuno perché non cerca amici né compagnia, ma finisce per conoscere benissimo tutti gli inquilini del palazzo.
Guardare gli altri, studiarne i gesti, le movenze, i comportamenti, immaginarne le storie è per lui come assistere a più film, o come leggere romanzi. Non si tratta di un modo per far passare il tempo, è passione e gusto. Come uno scrittore si compiace dei suoi personaggi, così lui si diverte a fantasticare sui condomini, come Giampiero Benni, tassista per caso e per necessità ma “ rimasto ballerino dentro, perché certe passioni, per quanto ci si sforzi, non si riesce proprio a nasconderle. Si vede da come cammina, il mento alzato, le braccia distanti dal corpo, da come si avvicina allo sportello, da come lo apre ed entra nell’abitacolo. Anche da fermo…”
Il Terenzi non si limita a guardare. La vita che gli scivola accanto non lo lascia indifferente, gli suscita pensieri e riflessioni. Pensa che sarebbe bello se - come per le macchine – esistessero pezzi di ricambio anche per gli uomini: “Orecchie nuove per sentire il canto di Giulia, una bocca di riserva da cui escano fiabe per Beatrice, o un sorriso silenzioso per Dacia, due mani per applaudire Giampiero che balla dentro a un taxi e due occhi, uno a testa, per i genitori di Tommaso, che non vuole fare l’avvocato ma giocare a pallone.”
Quindi una ricca solitudine, quella di Renato, popolata da tante persone ma non complicata dai rapporti con loro, perché lui preferisce stare in compagnia di se stesso, perciò non si annoia e si diverte un sacco con le sue scorribande notturne come i piccoli furtarelli a danno di qualche inquilino.
Devo dire che anch’io mi sono divertita molto. Il ritmo incalzante del racconto rende piacevole la lettura e la psicologia del protagonista/narratore è resa in modo efficace. Renato non è socievole, ma nemmeno cinico, come dimostra il salvataggio del Benni. E poi c’è Sordina: “Completamente muta, non so se per lo spavento di essere sopravvissuta all’interno del motore o se dalla nascita, fatto sta che è in perfetta sintonia con il mio anonimato. L’ho chiamata Sordina, un po' come le nostre vite, ci siamo ma non facciamo rumore.”
Caro Autore, mi ha conquistato la tua storia stramba.
Renato Terenzi, guardia carceraria in pensione, sceglie di vivere nell’autorimessa di un palazzo, tra automobili, box e posti auto. Non è pazzo, solo che preferisce scegliere dove stare “non come voi che vi obbligano dove non volete.” Il voi è rivolto a un’umanità da cui prende le distanze perché non la pensa come lui.
L’ambiente è descritto in modo dettagliato perché è il mondo di Renato: da lì spia la vita degli altri. Gente qualunque, molto diversa da quella che ha conosciuto in carcere, chissà che la scelta non sia stata motivata dal bisogno di normalità.
Gli piace osservare, senza essere visto e senza parlare ad alcuno perché non cerca amici né compagnia, ma finisce per conoscere benissimo tutti gli inquilini del palazzo.
Guardare gli altri, studiarne i gesti, le movenze, i comportamenti, immaginarne le storie è per lui come assistere a più film, o come leggere romanzi. Non si tratta di un modo per far passare il tempo, è passione e gusto. Come uno scrittore si compiace dei suoi personaggi, così lui si diverte a fantasticare sui condomini, come Giampiero Benni, tassista per caso e per necessità ma “ rimasto ballerino dentro, perché certe passioni, per quanto ci si sforzi, non si riesce proprio a nasconderle. Si vede da come cammina, il mento alzato, le braccia distanti dal corpo, da come si avvicina allo sportello, da come lo apre ed entra nell’abitacolo. Anche da fermo…”
Il Terenzi non si limita a guardare. La vita che gli scivola accanto non lo lascia indifferente, gli suscita pensieri e riflessioni. Pensa che sarebbe bello se - come per le macchine – esistessero pezzi di ricambio anche per gli uomini: “Orecchie nuove per sentire il canto di Giulia, una bocca di riserva da cui escano fiabe per Beatrice, o un sorriso silenzioso per Dacia, due mani per applaudire Giampiero che balla dentro a un taxi e due occhi, uno a testa, per i genitori di Tommaso, che non vuole fare l’avvocato ma giocare a pallone.”
Quindi una ricca solitudine, quella di Renato, popolata da tante persone ma non complicata dai rapporti con loro, perché lui preferisce stare in compagnia di se stesso, perciò non si annoia e si diverte un sacco con le sue scorribande notturne come i piccoli furtarelli a danno di qualche inquilino.
Devo dire che anch’io mi sono divertita molto. Il ritmo incalzante del racconto rende piacevole la lettura e la psicologia del protagonista/narratore è resa in modo efficace. Renato non è socievole, ma nemmeno cinico, come dimostra il salvataggio del Benni. E poi c’è Sordina: “Completamente muta, non so se per lo spavento di essere sopravvissuta all’interno del motore o se dalla nascita, fatto sta che è in perfetta sintonia con il mio anonimato. L’ho chiamata Sordina, un po' come le nostre vite, ci siamo ma non facciamo rumore.”
Caro Autore, mi ha conquistato la tua storia stramba.
mirella- Padawan
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Re: Pezzi di ricambio
Una volta qualcuno mi chiese quanto tempo impiegavo a scrivere una storia. Senza troppa convinzione risposi: mesi, forse giorni, forse ore, non seguo regole fisse.
Dopo aver riletto il tuo racconto ti pongo lo stesso interrogativo, pur sapendo che non potrai rispondere per ovvie ragioni.
Il tuo garage sembra uno di quei posti primordiali dove ti sorridono e ti incartano ll pane con il giornale, un posto che ho visto in TV. Ha lo stesso amarcord e la stessa piacevolezza.
Dopo aver riletto il tuo racconto ti pongo lo stesso interrogativo, pur sapendo che non potrai rispondere per ovvie ragioni.
Il tuo garage sembra uno di quei posti primordiali dove ti sorridono e ti incartano ll pane con il giornale, un posto che ho visto in TV. Ha lo stesso amarcord e la stessa piacevolezza.
tommybe- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Un racconto surreale ma non troppo. Surreale la situazione in cui vive il protagonista, reali, realissime le vite che ogni giorno incrocia. Molto bello davvero. Delicato ed estremamente curato. In alcuni passaggi mi ha ricordato il Marcovaldo di Calvino.
Tantissimi complimenti.
Grazie.
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I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.
CharAznable- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Simpatico, questo filo rosso dei numeri. Mi ha fatto subito venire un po’ in mente Sheldon Cooper e quella che credo sia una forma di autismo ad alto funzionamento, tra l’altro coerente anche con la particolarità nel vivere le relazioni sociali, con l’attenzione ai dettagli e con il sentirsi al sicuro in uno spazio chiuso.
Il tuo racconto mi è piaciuto molto. L’ho trovato davvero ben scritto, equilibrato, coerente, coeso, ben strutturato, organico. Ma soprattutto bello questo punto d’osservazione particolare da cui ricostruire il quadro della personalità e della vita della gente. Originale e ben fatto.
Poi, va be’, ci hai messo una gattina, e qui mi hai preso il cuore. E la gattina diventa il chiodo letterario piantato a un certo punto a cui poi alla fine appendi il cappello della risoluzione di un dilemma, chiudendo il cerchio dei significati.
Insomma, davvero un gran bel lavoro. Complimenti!
Arianna 2016- Cavaliere Jedi
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Re: Pezzi di ricambio
Oh ma che bel pezzo hai scritto, autor.
Complimenti.
Diciamo che non è propriamente nelle mie corde come genere, ma riesce davvero a farsi apprezzare per la verve che ci hai messo, per come hai caratterizzato il tuo protagonista, che si presenta bene e mi sembra quasi di vederlo, raccontare la sua storia su un palcoscenico con il teatro gremito di gente e lui che che si muove tra le macchine di cartone e ci racconta.la.sua vita.
Questo pezzo è molto teatrale, un monologo meraviglioso e l'impressione teatrale è accentuata dal rivolgersi ai lettori/pubblico e risulta davvero molto efficace.
Mi ha ricordato un po', come stile e come fluidezza nel raccontare, Novecento di Baricco, che è un monologo teatrale che adoro.
Quindi mi sei piaciuto, brav, qui c'è il tuo registro narrativo e si sente, non lo abbandonare.
Ele
Complimenti.
Diciamo che non è propriamente nelle mie corde come genere, ma riesce davvero a farsi apprezzare per la verve che ci hai messo, per come hai caratterizzato il tuo protagonista, che si presenta bene e mi sembra quasi di vederlo, raccontare la sua storia su un palcoscenico con il teatro gremito di gente e lui che che si muove tra le macchine di cartone e ci racconta.la.sua vita.
Questo pezzo è molto teatrale, un monologo meraviglioso e l'impressione teatrale è accentuata dal rivolgersi ai lettori/pubblico e risulta davvero molto efficace.
Mi ha ricordato un po', come stile e come fluidezza nel raccontare, Novecento di Baricco, che è un monologo teatrale che adoro.
Quindi mi sei piaciuto, brav, qui c'è il tuo registro narrativo e si sente, non lo abbandonare.
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Hellionor- Admin
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Re: Pezzi di ricambio
Una persona eccentrica che, dal suo punto di osservazione, ci offre uno spaccato di vita di diversi nuclei familiari e ci fa capire quali rimedi potrebbero migliorarli. Grazie a questo, riesce a salvare la vita di un ragazzo. Interessante, di facile lettura e molto gradevole.
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Come l'acqua che scorre, sono un viandante in cerca del mare. Z. M.
Menico- Younglings
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Re: Pezzi di ricambio
Quando pensavo di aver deciso la mia cinquina, ecco che è arrivato il tuo racconto a spodestare tutti.
Spero che tu vinca questo step. Non ho veramente nient'altro da aggiungere: tifo per te.
Spero che tu vinca questo step. Non ho veramente nient'altro da aggiungere: tifo per te.
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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
vivonic- Admin
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Re: Pezzi di ricambio
Peccato per l'incipit, dove una serie di eventi e scambi di battute non chiarissimi, non mi hanno fatto capire in maniera lucida cosa accade e la conseguente scelta di vivere come un'ombra nell'autorimessa di quel particolare condominio (in realtà almeno questo lo spieghi più avanti).
Verrebbe da chiedersi: dove la spende tutta la pensione il signor Renato? Da come lo descrivi (la necessità di rubare il cibo...) sembra indigente, ma a conti fatti non è così.
Il racconto è ben scritto, anche se mancano molte virgole, soprattutto negli elenchi. Sinceramente mi sfugge un pò la funzione di questo pensionato. vive nascosto, studia la gente... e poi? Con il ragazzo interviene in maniera fondamentale, ma con gli altri? Oltre a individuare i loro lati incompresi (nessuno felice nel luogo, eh...), interverrà anche con loro?
E perchè?
Luci e ombre su un testo che si presenta davvero interessante, ma che avrebbe bisogno di più spazio per espandersi meglio e sopperire ai perchè che lascia irrisolti l'autore.
Rivolgersi direttamente al lettore, chetarlo e non dargli spazio per giungere a conclusioni è una forma letteraria difficile da gestire e da rendere ben giustificata: si rischia quel velo di saccenza che durante la lettura può diventare fastidioso.
Geniale e tenera la chiusura con la gattina.
Verrebbe da chiedersi: dove la spende tutta la pensione il signor Renato? Da come lo descrivi (la necessità di rubare il cibo...) sembra indigente, ma a conti fatti non è così.
Il racconto è ben scritto, anche se mancano molte virgole, soprattutto negli elenchi. Sinceramente mi sfugge un pò la funzione di questo pensionato. vive nascosto, studia la gente... e poi? Con il ragazzo interviene in maniera fondamentale, ma con gli altri? Oltre a individuare i loro lati incompresi (nessuno felice nel luogo, eh...), interverrà anche con loro?
E perchè?
Luci e ombre su un testo che si presenta davvero interessante, ma che avrebbe bisogno di più spazio per espandersi meglio e sopperire ai perchè che lascia irrisolti l'autore.
Rivolgersi direttamente al lettore, chetarlo e non dargli spazio per giungere a conclusioni è una forma letteraria difficile da gestire e da rendere ben giustificata: si rischia quel velo di saccenza che durante la lettura può diventare fastidioso.
Geniale e tenera la chiusura con la gattina.
caipiroska- Cavaliere Jedi
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