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Il Carillon di Absindaele

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Il Carillon di Absindaele Empty Il Carillon di Absindaele

Messaggio Da NovelleVesperiane Gio Gen 21, 2021 1:00 pm

Il Carillon di Absindaele
 
Poco più di una settimana era trascorsa dal giorno di Samhain, ma già sembrava lontano. Il soffio freddo dell’autunno spazzava lo Shamrockshire. Dan, seduto alla veranda della sala da tè di Absindaele, sorseggiava il suo infuso controllando impaziente il quadernetto pieno, per lo più, di scarabocchi. Vi era giunto quella mattina, ma il paesello, dimenticato alle spalle della foresta di Wormwood, lo aveva già terribilmente annoiato.
Dove la città finiva e prima che il bosco cominciasse si stendevano grandi prati di trifogli, ma Dan non era interessato al panorama. Teneva gli occhi fissi sulla grande torre in cima alla collina. Il Carillon suonò. Una melodia armoniosa, leggiadra, ma solenne, si riversò per le strade. Delicatamente dall’allegretto passava all’adagio e poi al grave, per poi, mutevole, risalire. Subito lo colpì la varietà di suoni che tra quelle note si mescolavano. Si diceva del Carillon, che più di cento campane lo componessero, ciascuna con un suono unico ed impossibile da imitare. Non si sapeva né chi le avesse forgiate, né come e nemmeno quali mani le orchestrassero.
Del resto, quella meravigliosa musica veniva dal Cenobio di Absindaele e nessuno dal paese mai vi si recava. Era la dimora delle Dame del Cordoglio, un ordine occulto di damigelle dedite alla caccia alle streghe, ai Maligni ed alla distruzione dei Patti Infernali. Altri cenobi erano a Vesperia e spesso nei loro pressi sorgevano cittadine che, collaborando con le Dame, prosperavano. Ma il Cenobio di Absindaele non era come gli altri: era una prigione. In gran segreto le nere carrozze vi giungevano dalle contee più lontane per dimenticare tra quelle mura gli empi condannati.
Dan, invece, non vedeva l’ora di recarvisi. Gli era toccato scrivere una lunga lettera alla Mater in persona con tanto di firma dell’editore per organizzare tutto e quando, appena due giorni prima, ricevette risposta, quasi stentò a crederci. Ottenne il privilegio raro di visitare il Cenobio, potendone poi uscire. 
 
Cominciava a sospettare che si fossero dimenticate di lui, quando una carrozza scura e baroccamente decorata lo raggiunse. Ne discese una graziosa ragazza in vesti monacali. Dalla cintola le pendeva un gagliardetto con su ricamata una rosa irta di spine. Dan rimase stupito. Girava voce che le Dame di Absindaele fossero di aspetto disturbante; questa, invece, non gli sembrava diversa dalle altre che gli era capitato di incontrare. Si trattene dal chiedere in merito per metà del viaggio. Quando cedette la dama, arrossendo, spiegò di essere soltanto una novizia in visita e che, proprio a causa dell’aspetto peculiare delle sue protette, la Mater aveva preferito che una dama “normale” lo accogliesse. Dan, scosso, preferì non approfondire. Passò il resto del viaggio ammirando le distese di trifogli perdersi nelle grandi pianure ad est.
Voltato l’ultimo tornante, la possente mole del Cenobio apparve. Seppure dittici di finestre appuntite vi si aprivano, le strutture, più che dormitori, sembravano bastioni di una fortezza. A coppie gli edifici erano uniti da un baluardo a formare, tutti assieme, un pentagono. Da dietro le mura, s’innalzava la torre del Carillon. Imponente, eppure leggero, non vi erano pavimenti a dividerlo. Lo si poteva costruire innalzando ai vertici di un pentagono colonne, ponendo tra ciascuna coppia un arco acuto ed impilando cinque strutture identiche alla prima. Dal tetto appuntito di quell’immensa cassa armonica, pendevano le campane.
Dan ne fu rapito. Quasi rimase deluso quando, varcato il cancello, il soffitto glielo nascose. Udendo il clangore con cui la grata si richiuse dietro la carrozza, Dan raggelò. Il suono dell’ineluttabilità. Inorridendo, si chiese quanti, prima di lui, avessero provato il medesimo senso di sopraffazione.
Aveva stimato che il chiostro interno dovesse essere ampio, ma mai si sarebbe aspettato che contenesse addirittura un piccolo lago. Ancor più stupito fu nel vedere che il Carillon non poggiava sulla terra. Cinque possenti archi rampanti, emergendo dalle profondità del lago, ne reggevano la base a circa tre metri dal pelo dell’acqua. Dan aprì il quadernetto, ma non vi scrisse nulla: la meraviglia lo aveva incantato.
 
«Toglie il fiato, vero?». Avvolta in un manto nero, una donna gli porgeva la mano affusolata, ma Dan esitò. Quella testa era decisamente strana. I primi capelli, candidi e lunghissimi, ricadevano dalle tempie sulle spalle disegnando una mantellina ed a ciascuna ciocca era legato un anello da cui chiavi luccicanti pendevano. In alto, sulla pelle glabra, era stata tatuata la graticola di un portone le cui punte, percorrendo la fronte, terminavano sulle sottilissime sopracciglia. Luminosi occhi dalle iridi verdi sporgevano dal viso magro ed un sorriso tagliente le completava il volto.
«Voi, immagino, siete la Mater.» Dan, finalmente, le strinse la mano. «Madama Artymesia, Dama del Cordoglio, Gran Sacerdotessa delle Coercetrix e Mater di Absindaele. Spero per voi, che siate Daniel Velz, altrimenti, non dovrei lasciarvi uscire mai più.»«Per fortuna che lo sono, allora!». La Mater, sorridendo, fece strada attraverso il porticato del chiostro.
Dan continuava ad osservare le consorelle impegnate nella cura degli orticelli che lambivano le rive del lago. Tutte le coercetrix erano glabre ed indossavano a mo’ di pendente una chiave d’ottone. Sulla tonaca scura vestivano un’inquietante bavero nero che aderiva al collo ed arrivava sino alle orecchie. «Le discepole vi mettono a disagio? Sappiate che è voluto: aiuta a tenere docili i nostri ospiti.». Dan annuì annotando qualcosa sul libricino.
Era convinto che i loro sguardi indagatori avessero dissipato ogni languore, ma si sbagliava. Artymesia lo fece accomodare in un salotto riscaldato da un ampio camino. Il balcone affacciava sul lago. Durante il pranzo, per ciascuno dei severi dipinti appesi alle pareti la Mater raccontò un aneddoto. Ammirando la sala, Dan sussultò, scoprendo come quelli che aveva creduto manichini, fossero invece vere Dame a guardia degli ingressi. Le grosse alabarde che impugnavano lo intimorivano.
 
«Daniel, scrivete dunque quei molli librucoli stampati per il diletto del popolo?» «Non disprezzerete mica la carta stampata?» «…affatto! Ho voluto per il Cenobio una pressa a caratteri mobili. Ma non gradisco che quel dono del progresso sia usato per spettacolarizzare episodi truculenti.» «Disprezzate, dunque, questa novità che è la cronaca ed indirettamente il suo autore.» «Cronaca… Signor Velz, scrivete racconti dell’orrore esagerando le gesta di noi Dame. Ci fate un po’ più crudeli, inzuppate le pagine di sangue e mostruosità, poi lo vendete per un misero giuncato di rame.» «In vero, l’editore fissa il prezzo.» «Non di meno, i vostri scritti costano come una pinta di birra ed hanno più o meno la medesima funzione sociale.»«Eppure, mi avete accolto con la promessa di incontrare un detenuto.» «…e la manterrò. Ma mi piace conoscere i miei ospiti, prima di portarli nelle prigioni.». Artymesia lo stava mettendo alla prova o, semplicemente, si burlava di lui? Rimaneva seria e distaccata, ma le sue verdi iridi suggerivano un’eccitazione simile al divertimento. Dan sentì il bisogno di alzarsi.
 Vista dal balcone la torre era incantevole. Dan notò che sul tetto si aprivano alcune ampie finestre. Che nascondesse un ambiente vivibile, per quanto inaccessibile? «Per gli Dei, dai vertici del tetto pendono gabbie!» «Hanno una funzione decorativa. Non possono che dirsi obsolete per contenere prigionieri che, come i nostri, son capaci di compiere diabolici prodigi.» «Mi chiedo perché non uccidiate semplicemente le vostre prede.» «Magnanimità. Inoltre, quale spreco sarebbe! Come meglio conoscere i nostri nemici, se non studiandoli e conservandoli?». Dan preferì non indagare oltre. 
 
«Veniamo a ciò che vi interessa davvero. Ditemi ciò che già sapete di Hostville.». Dan, sfogliato il suo libricino, lesse «“Hostville, nel Krakenshire, nella notte di Samhain è stata teatro di attività diaboliche legate alla stregoneria. Nei giorni precedenti, un gruppo di satanassi ha occupato un casolare diroccato praticandovi i rituali necessari affinché il grande Sabba potesse corrompere i Sacri Spettri che ci visitano in quella santa notte. Cinque capre sono state sacrificate e con il loro sangue bollito sono stati nutriti i prigionieri umani in vista della loro futura immolazione.”» «…siete molto documentato, vedo.» «Appena ho saputo della vicenda vi ho scritto la lettera che sapete e sono corso a Hostivlle.» «Sembra vi interessi più il sangue delle capre che le gesta delle mie consorelle.» «Assolutamente no! “Cinque Dame del Cordoglio giunsero alla vigilia del rituale guidate da Madama Renya di Pytidam, dama temeraria di cui ho sentito parlare, ma per la prima volta al comando. Impugnando armi consacrate, si sono eroicamente introdotte nel covo interrompendo il rituale. Nel cruento scontro, dicono i superstiti, più di un prodigio è stato compiuto. Pare che Renya, brandendo uno scudo santificato, protesse le sue da un’impotente colonna di fuoco congiurata dalla Signora del Sangue Ardente…» «Sara Canesworth.» «Come dite?» «Potreste chiamare la strega semplicemente col suo nome, no? Vede, lei spettacolarizza!» «Ma si faceva chiamare...» «Non vedo perché mai dovreste accontentarla!».
«D’accordo. “S.C. è stata presa viva, a differenza di molti suoi seguaci. Tra questi, dai gioielli che indossava, è stato riconosciuto Lester Folt, suo amante e compagno di nefandezze. Pare che S.C. lo abbia accidentalmente carbonizzato! Il mattino seguente S.C. fu scortata ad Absindaele da cui, si spera, mai più uscirà.” Sapete altro che potrei aggiungere?» «Soltanto, che Sara si era già macchiata di molti crimini, purtroppo. Peccato, sarebbe diventata un’abile ematomante, se soltanto non si fosse lasciata tentare da Folt. Che sia per quello che l’ha bruciato?» «Ad Hostville tutti li descrivono come una coppia affiatata.» «Avete perso tempo chiedendo queste frivolezze?» «Non ho potuto fare a meno di udirlo: sapete come sono i paeselli…».
La Mater ritornò a guardare fuori e Dan la imitò. «Ma… cosa diavolo è quella cosa?». Una corpulenta figura coperta di stracci bruni, con fare scimmiesco, era sbucata sul tetto della torre ed aveva cominciato a scendere arrampicandosi tra le colonne. «Gramnel è uscito, dev’essere già ora del tè!» rispose la Dama con naturalezza. La musica del Carillon cominciò a permeare l’aria richiamando le novizie alle loro mansioni.
 Nella torre, la creatura balzava tra le colonne, si tuffava, s’aggrappava alle grandi corde, batteva coi piedi su una campana per saltare su un'altra e così via. Quel corpo bizzarro danzava tra le campane con balzi degni di un acrobata circense. Dan era incredulo. Qualunque cosa Gramnel fosse, era lui a suonare il Carillon.
 
Tic. Poi un altro tic. Dan si girò verso l’interno della stanza. Due glabre dame avevano servito il tè e silenziose attendevano che la mater le congedasse. «Mater, lasciate che ve lo dica. È davvero un peccato costringere delle fanciulle così dolci a deturparsi la testa.» «Non sono costrette, lo scelgono. Da novizie sono Dame come le altre, soltanto una volta intrapreso il cammino della Coercitrix viene loro chiesto quel sacrificio. È necessario: il sacro inchiostro non può spargersi se non su una pelle pura come solo l’esposizione quotidiana alle acque del Lago Absyn può garantire.» «Non mi paiono tutte tatuate.» «O la loro preparazione è incompleta, oppure ve li celano.» «Volete dire che, anche voi, avete altri tatuaggi? Ma, tagliate via solo il crine, oppure…» «Dan, se volete che mantenga la mia parola di farvi incontrare la signorina Caneworth, bevete il vostro tè e smettetela di sfidare la mia pazienza.»
Dan assaporò la bevanda che gli veniva porta. Percepiva un retrogusto fresco e piacevole, pervaso da una nota di sambuco. «Mater, devo dirvelo, questo infuso è sopraffino. Non credo di averne mai bevuti di migliori. Questa musica e questi sapori… Quasi mi sento stordito!» «Me ne compiaccio.» «Cosa c’è?» «Foglie di tè, un po’ di menta ed alcune foglioline dei nostri orticelli. Vedete? Le coltivano laggiù. Noi la chiamiamo Nebbia Argentea».
Dan avrebbe voluto approfondire l’argomento, ma una delle Dame si avvicinò alla Mater e sottovoce le sussurrò “Giungerà per sera”. La Mater congedò la ragazza e la visita cominciò.
 
Artymesia guidò Dan al pian terreno: i quartieri alti ospitavano i dormitori e visitarli sarebbe stato sconveniente. Gli mostrò invece la sala d’arme e le numerose cappelle dedicate agli Dei. Ad ogni porta, la Mater afferrava una delle chiavi che le pendevano dai capelli. Nelle catacombe gli mostrò le tombe delle più venerande eroine del suo ordine, narrandone le gesta. A lungo visitarono la fonderia dove venivano forgiati sia i caratteri per le presse, che le armi delle consorelle. Dan chiese se anche le campane del Carillon fossero state forgiate là e cosa le rendesse tanto uniche. Artymesia sorrise. «Alcune sì, altre ci furono donate. Certo, sono state tutte benedette, ma non vi è nulla di speciale nella loro fattura. Il segreto è tutto nelle mani di Gramnel: soltanto lui sa far vibrare gli animi in quel modo.». Dan annuì, ma la sensazione che qualcosa gli venisse taciuto rimase.
La camera delle torture lo provò. Tutti i macchinari gli parvero terrificanti, ma il volto della Vergine di Ferro fu ciò che lo mise più a disagio. Non gli era stato mostrato che metà dell’arsenale, quando fu costretto, barcollando, ad uscire. Se non gli avessero offerto un’altra tazza di tè per rifocillarlo, di sicuro sarebbe svenuto. Dan avrebbe voluto vedere le armi e gli scritti sottratti ai prigionieri, ma, dato che nemmeno alle novizie veniva permesso, non gli fu concesso.
La sala delle presse a caratteri mobili gli ridiede il buon umore. Tre novizie ed un’iniziata avevano il compito di convertire in stampa i documenti scritti a mano che accompagnavano i prigionieri. Da lì procedettero alla biblioteca. Con grande sorpresa di Dan, su di uno scaffale in bella vista vi erano i “librucoli molli” di un certo Velz. Non tutte le consorelle li disprezzavano, dunque.
 
Ritornarono al chiostro che era ormai il tramonto. Dan, nonostante si sentisse frastornato ed assonnato, voleva incontrare la strega. Troppo si era impegnato per arrivare fin là ed aveva già così tanto rischiato, che per nessuna ragione al mondo avrebbe rinunciato. Nella mente ripassava cauto tutto ciò che avrebbe dovuto chiedere e fare. Il primo passo sarebbe stato raggiungere la cella e, finalmente, vederla.
Il suo entusiasmo si spense quando Artymesia lo condusse al moletto del lago. Là erano ormeggiate alcune barche a remi la cui polena raffigurava una Dama con la mano protesa in avanti a reggere una campanella. In una di queste, una Dama, sistemata al posto del rematore, li attendeva con una lanterna. «Mater, non voglio offendere la vostra ospitalità, ma credo che non vi sia tempo per un giro del lago.» «Dan, non preoccupatevi, ci sarà tempo per ogni cosa. Mantengo sempre la mia parola. Non vorrete mica andarvene senza aver visitato il Carillon?» così dicendo, la donna distese un braccio verso la costruzione che troneggiava sul lago. Adesso, con il rosso del tramonto che filtrava tra i suoi vuoti, il Carillon assumeva un che di minaccioso. Anche l’idea di vedere Gramnel da vicino non allettava Dan particolarmente. Ma Artymesia aveva già deciso.
 
Nonostante la barca scivolasse placida sulla quieta superficie del lago, Dan cominciava ad avvertire un certo mal di mare, ma, non volendo perdere altro tempo, preferì non lamentarsi. Dalla riva non se ne era accorto, ma per qualche motivo delle grate chiudevano gli archi alla base della torre. Inoltre, per quanto le cercasse, non vedeva né una scala, né una corda, né nessun altro modo per salire dalla barca alla piattaforma sorretta dagli archi rampanti.
Quando vi furono sotto, la rematrice suonò la campanella di prua. Dan alzò il capo. Sullo sfondo di un cielo violaceo, svettava il Carillon. Da dove era adesso riusciva vedere, in alto, il complicato sistema di corde e pulegge da cui le campane, oscillando appena, penzolavano. Lassù, arrampicandosi tra l’architettura e le corde, un’ombra scendeva divenendo sempre più grande. Alla fine, afferrando con l’enorme mano una delle colonne e poggiando i piedi sul bordo degli architravi, Gramnel il gigante si mostrò. Nel buio cappuccio della cappa che lo avvolgeva, i suoi piccoli occhi luccicavano come stelle.
Dan sapeva che nelle vaste piane ad est dello Shamrockshire vivevano i giganti, ma mai gli era capitato di incontrarne uno. Era alto più di tre metri e largo alle spalle più di due. Dal cappuccio sgusciava un viso dai lineamenti ciottolosi, con un gran naso aquilino e la larga mascella coperta di barba nera. Con voce cavernosa diede il benvenuto ai visitatori, poi gli rivolse un sorriso maligno. Ad un cenno di Artymesia, sfruttando la sua forza per tirare una grossa catena, fece sollevare la grata che riempiva l’arco di accesso al Carillon. Una piccola scaletta fu calata. Dan salì per primo, la Mater lo seguì. Gramnel, balzando sulla piattaforma, lasciò che la grata calasse dietro di loro. Uno strano senso di déjà vu pervase Dan. Essere rinchiuso in un recinto al centro del lago non era esattamente quello che si sarebbe aspettato.
 
«Daniel, mi sembrate confuso. Dovreste essere contento! Siete tra i pochissimi che hanno avuto il piacere di conoscere il mastro campanaro di Absindaele.» disse Artymesia. Gramnel, piegandosi sulle ginocchia, porse la gigantesca mano a Dan che, stordito dalla mole del suo interlocutore, riuscì a malapena a poggiarvi la sua. «Sta bene ‘sto qua?» tentò di sussurrare il gigante. «Temo non fosse abituato alle barche… né ai giganti… né all’assenzio.» «Assenzio?» chiese Dan sedendosi a terra. «Si, Dan, assenzio. Qui al Cenobio ne produciamo una varietà unica, capace sia di stordire che, in parte, di inibire certe soprannaturali capacità. Guardate la riva: come brillano le loro foglie! Non sembra proprio una Nebbia d’Argento?»
La testa di Dan girava come un carosello. Cosa stava succedendo? Non era andato, fino a quel momento, tutto come aveva pianificato? Aveva visto il Cenobio… e il Carillon… avrebbe parlato con Sara. Ma quando? «Mater, avevamo un patto… Ricordate? Non dovremmo…» «Non siate impaziente. Non volete vedere da vicino una delle meraviglie del Carillon? È un privilegio unico. Che ospite indegna sarei, a negarvelo? Gramnel, procedete.» Il testone incappucciato annuì.
Agile, il gigante s’arrampicò sulle colonne, salì su una grossa campana d’ottone e lasciando scorrere la corda tra le mani, scivolarono assieme verso il basso. A mezzo metro dalla piattaforma si fermò. Gramnel vi si infilò sotto e sganciò un meccanismo. La catena che usci dalla campana terminava nell’insolito batacchio adagiato al suolo. Al posto dell’asta, un morbido fagotto di stracci, tenuti stretti da otto spesse cinghie di cuoio, s’infilava in quella che, più che la testa di un battente, sembrava una pesante maschera sepolcrale. A Dan ricordò l’orribile volto della Vergine di Ferro. Sulla fronte c’era il buco di una serratura.
Dan, immobile, si sentì sopraffare da un tremendo presentimento. Fortunatamente, non era uno sciocco: aveva nascosto addosso, da qualche parte, un pugnale. Ma per quanto cercasse di afferrarlo, era troppo frastornato per riuscirci. Si udì un campanello. Gramnel sollevò la grata. Era il momento per fuggire, gettarsi nel lago e sparire. Ma quell’idea vorticava assieme ai suoi ricordi nel vuoto dell’assenzio. Dan, in ginocchio, fissava la testa d’ottone.
La Mater vi si accovacciò accanto, reggendo una ciocca di capelli. Tra le dita luccicava una chiave. La serratura scattò. Un gemito soffocato divenne un respiro ansimante, poi, quando Artymesia sfilò il casco, fumi verdi si diffusero ed il volto smunto di una donna dagli occhi spalancati ne scivolò fuori. Dan urlò portandosi le mani al volto. Sara Canesworth, boccheggiante, si dimenava nella camicia di forza. Avvolgendosi attorno ai piedi, la catena la vincolava alla campana. La strega strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Riconoscendolo gli sorrise.
In preda al terrore Dan guardò in alto. Ogni battente un casco, ogni campana una prigione. Balzò indietro, cercando di fuggire, ma qualcosa di freddo e duro lo arrestò. Un volto lo fissava dal pesante scudo che una Dama dal crine bruno brandiva, impedendogli la fuga. Al suo fianco, c’era la Dama che lo aveva accompagnato in carrozza.
 
«Non provateci, vi ho disarmato da molto…» sussurrò Artymesia «…e distrutto il Patto Infernale di Sara, anche i vostri poteri sono andati. Ormai è una pura formalità, ma… Renya, lo riconoscete?». La Dama, senza abbassare lo scudo, lo fissò. «Si, Mater. S’è vestito diversamente e ha tagliato la barba, ma è quel satanasso di Folt. Mi aveva fregato, con quel giochetto dei gioielli.». Gramnel piombò su Dan avvolgendolo in un robusto manto. L’uomo tentò di dimenarsi, ma era ormai troppo avvelenato per opporsi. Il cuore pompava impazzito. «Come?!» fu l’unica cosa che riuscì a strillare.
 
«Ebbene, vi spetta…» disse la Mater «…la vostra lettera: è arrivata troppo presto. Che Velz fosse corso là era plausibile, ma come avrebbe fatto ad informare il suo editore in tempo? Renya era già partita, ma non appena ho ricevuto la lettera, ho provveduto a riconvocarla. Ma, ci sarebbe voluto del tempo: come smascherarvi? Fortunatamente, la sua allieva…» così facendo indicò la novizia «…aveva deciso di rimanere. Valutava se divenire mia discepola… Così, ho pensato di mandarla da voi» «Piccola sgualdrina! Sei stata tu a smascherarmi!» urlò Dan ansimando. «No, purtroppo non era sicura. Vi ha visto a Samhain per la prima volta, non come Renya che vi ha braccato a lungo. Siete stato voi a tradirvi, Folt.» «Come? Non capisco…». Artymesia sorrise. «Dopo pranzo, Folt. Non potevate saperlo…» disse la donna mentre Gramnel armeggiava con un casco simile a quello che avevano tolto da Sara. «…ma anche se non ho mai incontrato Velz, gli ho scritto molto e lui mi ha sempre risposto. Il fatto è, signor Folt, che io adoro i suoi libri!»
Folt spalancò gli occhi urlando e cercando di liberarsi, ma le cinghie gli stringevano ormai il corpo. Un forte odore d’assenzio scendeva dal casco che Gramnel gli stava chiudendo attorno alla testa. In preda allo stordimento, l’ultima cosa che vide fu il cancello tatuato della Mater scorrerle sul viso e coprirle lo sguardo. I suoi occhi verdi brillarono nella notte. Una serratura scattò, poi più nulla.
 
La barca attraccò al moletto e le Dame ammirarono il Carillon luccicare in un cielo di stelle. La sagoma di Gramnel vi si arrampicava. Una melodia romantica, ricca di toni sublimemente decadenti, vibrò nel plenilunio arricchita da un nuovo, irriproducibile suono.

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Messaggio Da Petunia Ven Gen 22, 2021 7:18 am

Ciao Novelle, ben ritrovato
Ho riletto con piacere questo racconto. Complimenti per l’atmosfera che hai saputo creare e la grande fantasia nel caratterizzare i personaggi.
La storia ė avvincente e ti trasporta in un mondo inquietante e sconosciuto dove immagini, suoni e colori affascinano e attraggono il lettore in una ragnatela fino al finale in atteso.
In realtà qualche indizio lo avevi seminato. 
Mi spiace che non ho imparato ancora a quotare altrimenti sarei più efficace nell’analisi.
Quando la mater lo accoglie e gli dice:
Spero per voi, che siate Daniel Velz, altrimenti, non dovrei lasciarvi uscire mai più.»«Per fortuna che lo sono, allora!»
Io questa frase non la metterei. Mi hai messo una pulce nell’orecchio e ho sospettato che Daniel non fosse chi diceva di essere. 
A mio avviso il testo guadagnerebbe da una bella revisione. Dovresti rivedere bene la punteggiatura. 
Ad esempio: 

Quando cedette la dama, arrossendo, spiegò di essere soltanto una novizia in visita e che, proprio a causa dell’aspetto peculiare delle sue protette, la Mater aveva preferito che una dama “normale” lo accogliesse.


Se rileggi il testo ad alta voce ti accorgi che la virgola non è al posto giusto. È solo un esempio, ma nel testo ci si o diversi di questi errori.


Anche i tempi verbali a volte non concordano. Ad esempio qui parti col trapassato e prosegui col p. remoto. 


Gli era toccato scrivere una lunga lettera alla Mater in persona con tanto di firma dell’editore per organizzare tutto e quando, appena due giorni prima, ricevette risposta, quasi stentò a crederci. Ottenne il privilegio raro di visitare il Cenobio, potendone poi uscire. 


Comunque il testo è davvero bello e si sente tutta la passione che hai per questo genere letterario.
A rileggerti!
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Messaggio Da bucaneve88 Sab Gen 30, 2021 9:35 pm

- Prati di trifogli/ di trifoglio

- Il gigante che sale e scende lungo la facciata e dentro il carillon somiglia molto a Quasimodo, il gobbo di Notre Dame


- Errori veniali, punteggiatura, alcuni termini troppo moderni per un racconto come questo

- Alcune descrizioni sono splendide, buona l’atmosfera da Necromicon

- Le iniziali puntate sono un po'fuori luogo, troppo moderne

- D eufonica, da togliere davanti a una vocale

- Leggendo la fine, si capisce che la storia, (faticosamente letta in carattere microscopico) è la seconda parte di un racconto del quale manca l’antefatto. Il lettore si fida di te, pensa che gli spiegherai tutto, legge, legge, legge, poi si ritrova con tante notizie affastellate e perde il filo.

- Hai vinto il terzo posto in un concorso letterario, bravo. Mi complimento con te.
A rileggerti, Novelle. Ciao.

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Messaggio Da bucaneve88 Sab Gen 30, 2021 9:37 pm

PS: il disegno è stupendo. Se è tuo, tanto di cappello...

Anche il titolo è degno di nota, invoglia a leggere

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Messaggio Da NovelleVesperiane Sab Gen 30, 2021 10:27 pm

Ciao bucaneve88, grazie per avermi letto.
Si il disegno é mio, ti ringrazio per i complimenti e per i commenti, credo che mi saranno molto utili.
In verità gradirei, se hai tempo, che ne approfondisci alcuni per aiutarmi a migliorare il testo (se hai tempo ovviamente).
"alcuni termini troppo moderni per un racconto come questo"
-questo commento non me lo aspettavo e mi preoccupa. Cerco di fare attenzione alla scelta dei termini e al setting. Potresti dirmi quali sono?
(Il mondo fantastico in cui è ambientata la storia dovrebbe somigliare storicamente al nostro '700-'800)

"Leggendo la fine, si capisce che la storia, (faticosamente letta in carattere microscopico) è la seconda parte di un racconto del quale manca l’antefatto. Il lettore si fida di te, pensa che gli spiegherai tutto, legge, legge, legge, poi si ritrova con tante notizie affastellate e perde il filo."
-mi dispiace che ti sia sentita tradita, ma non ho pensato questo racconto come seguito di un altro. Si, avrei potuto spiegare tutto e scrivere l'atpntefatto per esteso come suggerisci, ma sarebbe stata un'altra storia. Non sempre in un racconto viene spiegato tutto e personalmente se leggendo una storia intravedo il resto di una realtà più grande, non mi aspetto sempre che verrà completamente mostrata. Ma, ci tengo a ribadire che accetto la tua critica e penserò seriamente a come si possa scrivere/ implementare un antefatto più dettagliato nell'ottica di un racconto più esteso.

Spero davvero di leggere ancora tuoi racconti e tuoi commenti in futuro.
A presto. Wink

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Messaggio Da bucaneve88 Sab Gen 30, 2021 11:22 pm

Grazie, Novelle; sono contenta che il mio commento abbia suscitato il tuo interesse. Con calma, cercherò di fare quello che chiedi. Naturalmente l'Autore sei tu, quindi avrai sempre il coltello dalla parte del manico e la possibilità di accettare o di soprassedere ai miei suggerimenti.
PS:Un avvertimento sincero e fuori dai denti, come sono io. Io commento chi mi commenta, do ut des.

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Messaggio Da NovelleVesperiane Sab Gen 30, 2021 11:31 pm

Oddio, scusami, ma proprio non mi sento "col coltello dalla parte del manico"!
Sono davvero contento di poter ricevere il tuo aiuto e il tuo parere.
(se ti sono sembrato polemico mi scuso).

Certo, commentare è importante e sono felice di farlo. Purtroppo in questo momento non sono un utente particolarmente attivo ma spero tanto di avere il tempo di leggere di più i racconti del forum.
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