Scusate, mi ero dimenticata di inserire il link al racconto commentato
"Cieli blu" è nato lo scorso anno per il concorso a tempo "La venticinquesima ora". Naturalmente non ha vinto niente, però sentivo che avevo altro da dire su Harlan e il bambino, altro che è diventato "La fuga del re magio" in Natale Bifronte.
L'ho presentato al concorso "Città di Ravenna". Non ha vinto niente, però almeno è arrivato finalista.
A me piace molto.

Eccolo qua.
Cieli blu
Harlan raggiunse a passi veloci l’uomo che si era avvicinato al bambino: ‒ Mi scusi. Adesso pulisco tutto.
‒ No, no, perché? Lasci pure. ‒ Il padrone della stazione di servizio inclinò un po’ la testa, per osservare meglio il bambino che continuava imperturbabile a dipingere il muricciolo scrostato di fianco al parcheggio. ‒ Mi piace, sa? Dà allegria. Poi è proprio fatto bene: non si capisce dove finisce il blu del dipinto e dove inizia il cielo vero.
L’uomo si allontanò dopo un ultimo cenno di approvazione.
‒ Sì, è vero, molto bravo. ‒ La voce alle spalle colse Harlan di sorpresa. Si era distratto a guardare il bambino e aveva abbassato la guardia.
Si girò con calma. Conosceva la voce.
Niente di buono, per lui e per il bambino, ma Russell era da solo. Vide l’auto di servizio parcheggiata ad alcune centinaia di metri.
Russell fece un mezzo sorriso: ‒ Hai un’aria distrutta. Devi essere davvero stanco, per farti sorprendere così alle spalle.
‒ Come mi hai trovato?
‒ Ci conosciamo da una vita, e facciamo lo stesso mestiere.
‒ Immagino che tu non possa lasciarci andare.
Russell scosse la testa: ‒ Non tutti e due. Però possiamo risolverla tra noi. Mi dai il bambino e scompari per sempre. Posso dire che te ne sei disfatto e che io l’ho trovato qui.
Harlan rimase in silenzio.
‒ Che ti è passato per la testa? ‒ sbuffò Russell. ‒ Che cosa ti importa? Nemmeno fosse tuo figlio.
Harlan spostò lo sguardo sul bambino: ‒ Gli ho dovuto comprare i colori. Non riusciva a stare senza. Ha voluto un mucchio di blu. Credo gli piaccia il cielo.
‒ E se non sapesse dipingere? Lo avresti fatto lo stesso?
Harlan ci pensò qualche istante: ‒ Me lo sono chiesto anch’io. Credo che abbia solo anticipato i tempi. Prima o poi sarebbe successo.
‒ Hai soltanto rimandato l’inevitabile. Sarà comunque ucciso, appena verrà preso. Lo sai qual è la sua diagnosi.
‒ Otto anni… a otto anni, una diagnosi che è una sentenza. Una condanna a morte.
‒ E l’alternativa, sai anche tu qual è. Con un quoziente di intelligenza così basso, lo attende solo una vita inutile. Un peso per tutti.
‒ E se la diagnosi fosse sbagliata?
‒ Non lo è, lo sai.
‒ No, non lo so. E se comunque non importasse? Cosa è utile? Cosa è inutile? Quando una persona è inutile? Quando abbiamo iniziato a classificare gli esseri umani in utili e inutili? C’è qualcosa di sbagliato… È giusto, quello che facciamo? Che ci ordinano di fare?
‒ Non sta a noi decidere se la legge è giusta. Noi la facciamo solo applicare.
‒ Se non a noi, allora a chi tocca?
Russell chiuse gli occhi per un istante, scosse la testa: ‒ Non ce la puoi fare.
‒ Posso provarci. Magari un giorno ci proverà anche qualcun altro.
Sorrise al bambino, che si era girato a mostrargli le mani impiastricciate di colore, poi guardò Russell: ‒ Quanti anni ha, tua figlia?
Russell si irrigidì: ‒ Lo sai, sette.
‒ È una bambina unica. Originale e unica. E tu le vuoi bene.
Russell voltò la testa verso il muretto dipinto, verso il bambino che correva loro incontro e saltava in braccio ad Harlan ridendo.
‒ Non arriverete al confine.
‒ Lasciaci tentare.
‒ Poi, cosa farete?
Harlan diede un buffetto sul naso al bambino: ‒ Cercheremo tanti cieli blu.
Ultima modifica di Arianna 2016 il Mar Apr 12, 2022 7:15 pm - modificato 2 volte.