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Messaggio Da M. Mark o'Knee Gio Feb 17, 2022 11:31 pm

https://www.differentales.org/t377-essere-intera#16886

Capanne

No, Tom. Non voglio essere ricco
e non voglio vivere in quelle maledette
case soffocanti. Mi piacciono i boschi,
e il fiume, e i barili, e nei barili resterò.
Mark Twain – Le avventure di Tom Sawyer
 
Ricordo che in quell’anno – credo fosse il 1967 – i miei nonni avevano ritardato la partenza per il mare e a giugno ormai inoltrato ero ancora a casa a sopportare il caldo e le lunghe giornate estive che si succedevano fra ozio e letture di fumetti e libri d’avventura e fantascienza.
Ma furono sufficienti pochi giorni di quella routine per farmi prendere dalla noia. Finché, per puro caso, incontrai un ex compagno di scuola che mi invitò a giocare nei campi intorno a casa sua. Accettai volentieri. E da quel giorno, praticamente ogni mattina, jeans, maglietta e un paio di superga blu ai piedi, prendevo la via che conduceva a casa sua: una breve strada a forma di “S” seguita da un viottolo accidentato che si perdeva nei campi assolati.
Ma dopo un centinaio di metri il panorama cambiava completamente. L’erba, i radi ulivi e le piccole costruzioni un po’ sbilenche che sparavano nell’aria il frastuono dei telai sempre in funzione lasciavano il posto a una specie di boschetto ombroso di grossi alberi, fra i quali spuntavano come enormi funghi delle capanne costruite alla bell’e meglio, con assi di legno sconnesse, pezzi di ondulato o altri materiali di recupero e i tronchi stessi a fare da colonne. Le capanne ospitavano un po’ di animali, per lo più pollame, e soprattutto davano il nome a quella piccola porzione di territorio ancora selvatico e il soprannome al ragazzo che ci viveva.
In mezzo a tutto questo, nascosto fra le fronde basse, sorgeva un vecchio edificio dalle pareti scalcinate e quasi completamente ricoperte di edera; gli infissi – quelli che rimanevano – erano di quel verde pallido e scrostato che da anni non vede una mano di vernice. Per quanto possa sembrare strano, quel rudere era abitato da una coppia di contadini e dal loro figlio, il mio amico Capanne, un ragazzino più piccolo di me di un anno e tanto smilzo quanto io, in quegli anni, ero rotondetto.
Lo avevo conosciuto alle elementari: un tipo un po' schivo, che durante la ricreazione se ne stava quasi sempre seduto in disparte, sprofondato nelle pagine grinzose di un fumetto oppure intento a sfogliare un mazzetto di figurine Panini. Le nostre affinità, mi resi conto, erano parecchie e fu piuttosto naturale cominciare a scambiarsi qualche parola e qualcuna di quelle figurine. Tutti lo chiamavano in quel modo: Capanne, e anch'io l'ho sempre associato solo a quel nome, tanto che proprio non ricordo quale fosse quello vero (se mai l'ho saputo).
Appena arrivavo, Capanne mi accoglieva con un gran sorriso e occhi già ben svegli e luminosi sotto la tesa smangiucchiata di un cappellone di paglia. Addosso, una vecchia canottiera lisa e bucherellata cacciata in un paio di calzoni corti dal colore ormai indefinito e stretti in vita da una cintura di cuoio la cui lunga estremità penzolava fin quasi a terra; le gambe magre finivano in un paio di scarponcini slacciati dalle suole consumate e infangate. Era il suo tipico abbigliamento da lavoro. Ben diverso dai miei capi, tutti ordinati e pulitini…
Ma nessuno di noi dava peso a certe differenze. E qualunque cosa dovesse fare, gli davo volentieri una mano, così che le varie incombenze fossero sbrigate velocemente e ci fosse tempo per dedicarsi alle cose davvero importanti: fabbricare un fucile a elastici usando un manico di scopa, qualche molletta per i panni e ritagli di camera d’aria; tirar fuori micidiali archi e frecce dalle stecche di ombrelli rotti per poi sfidarsi in gare senza fine contro bersagli di cartone appesi agli alberi. Oppure, proprio non far niente se non sedersi con la schiena appoggiata a un tronco, all’ombra, a leggere i fumetti che non mancavo mai di portarmi dietro.
Proprio come quel giorno.
Dopo aver trotterellato qua e là con un paio di grossi secchi ciascuno, a spargere mangimi vari, ci mettemmo seduti all’ombra. Capanne buttò da una parte il suo cappellaccio di paglia e mi tese la mano in attesa del suo fumetto preferito, nel quale si tuffò a pesce. Io, ogni tanto, alzavo gli occhi dalle pagine del mio e intravedevo la figura di suo padre nel suo andare avanti e indietro con un fascio di canne o qualche pesante attrezzo in spalla. Era impossibile non notare la somiglianza fra lui e il figlio: stesso cappello sfrangiato, stessi lineamenti scolpiti, stessa immancabile canottiera lisa. E i pantaloni (lunghi) strizzati in vita, gli scarponi color del fango secco ai piedi e lo stesso sorriso, che gli saliva fino agli occhi quando si soffermava a darci un’occhiata da sotto la tesa del cappello.
Sapevo che, purtroppo, tutto questo non sarebbe durato ancora per molto. Sapevo che presto tutti e tre se ne sarebbero tornati al loro paese di origine, perché buona parte di quella zona sarebbe stata spazzata via, spianata per far posto a nuove abitazioni e nuove strade in modo che La Castellina si ricongiungesse a La Pietà. Da lì, quell’aria di provvisorio, di trasandato che pesava su tutto quanto.
Stavamo là tutti concentrati, dunque, quando sentimmo la voce di sua madre che chiamava per il pranzo e alla quale rispose il brontolio sordo della mia pancia. Ci guardammo e scoppiammo in una risata che riuscì a contagiare anche i suoi genitori. E ancora ridevo fra me e me mentre correvo fra l’erba diretto a casa.
Ma il riso mi si spense improvvisamente in gola: una fitta acuta sotto il piede mi costrinse a buttarmi a terra sul fianco. Alzai la gamba destra, stringendola fra le mani nel tentativo di contenere il dolore. Attaccato alla suola di gomma della superga c’era un pezzo di legno sul quale luccicava la grossa testa di un chiodo. E mi resi conto con orrore dov’era andata a finire la punta… Non so come, ma riuscii a non farmi prendere dal panico e a tirar via il chiodo. Ricordo però che, oltre al piede, la bocca continuò a farmi male fino a sera, tanto devo aver stretto i denti nello sforzo.
Mi alzai a fatica e zoppicai fino a casa. Dove finalmente arrivai grondando sudore e lasciandomi dietro una scia di vistose gocce di sangue che traboccavano dalla tela della scarpa ormai completamente inzuppata.
Sorvolo sulla reazione di mamma nel vedermi in quello stato. Diciamo che alla fine ce la fece a calmarsi e a chiamare il medico, che mi costrinse a stare una settimana intera disteso a letto con un chilo di garza imbevuta di alcol avvolta intorno al piede (fra l’altro non potevo neppure fare l’antitetanica perché in una precedente occasione mi ero scoperto allergico).
Naturalmente tutto andò per il meglio e alla fine della settimana camminavo come prima. Questo per quanto riguarda il fisico. Nell’animo invece mi rimasero un paio di profonde cicatrici.
Già dalla prima mattina che potevo rimettere il naso fuori di casa mi incamminai – con molta attenzione – verso Capanne, per raccontare al mio amico cosa mi era successo e spiegargli il motivo per cui non ero più andato da lui. Ma tutto ciò che mi trovai di fronte fu un gran polverone, sollevato da un paio di ruspe che correvano avanti e indietro a buttar giù muri, capanne e fragili bersagli di cartone…
Se n’erano andati, un paio di giorni dopo il mio incidente (seppi dopo), e io non avevo potuto dir niente a Capanne. Così, non solo perdevo un altro pezzetto di quel mondo, tanto importante ai miei giovani occhi, in nome dell'arrivo del progresso; ma soprattutto perdevo un amico. E il senso di perdita era ancora più forte perché appesantito dal dubbio.
Chissà se sarà partito a occhi bassi portando con sé rancore verso chi lo aveva abbandonato senza una parola di saluto; oppure, voltandosi un'ultima volta verso il punto in cui ero solito arrivare, seppure deluso, avrà sorriso, sicuro che se non mi ero fatto rivedere era stato solo per fatalità e non per colpa?
Mi piace pensare che, fra veri amici, è quest’ultima l'unica risposta.
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Messaggio Da Petunia Ven Feb 18, 2022 12:14 pm

Ma che bello questo ricordo  @M. Mark o'Knee. Pensare che poi, per chi non lo sa, i quartieri della Castellina e de La Pietà sono le zone residenziali della Prato “bene”.
Tutto descritto con estrema precisione, ordinato e pulitino come i tuoi capi. Ma non solo. Il testo è attraversato da una vena nostalgica e da una tenerezza che arriva al cuore.
Bella questa amicizia d’infanzia, peccato averla persa come forse è un peccato aver perso quella realtà di Prato (il rumore dei telai in sottofondo mi ha fatto davvero commuovere). Mi sono commossa anche qualche settimana fa vedendo un camioncino che trasportava dei subbi. Sono tornata bambina… e che dire del Bisenzio che cambiava colore a seconda della moda di stagione? Ora per fortuna l’acqua sembra molto più pulita anche se è diventata il regno delle nutrie Very Happy
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Messaggio Da SisypheMalheureux Ven Feb 18, 2022 2:50 pm

Due ceti sociali differenti quello del protagonista e di Capanne, due mondi che si incontrano senza il peso della disparità com'è possibile solo durante l'infanzia.
Davvero ben scritto, complimenti. Non vedo l'ora di leggerti nei prossimi step. E poi diciamoci la verità...chi di noi non ha mai avuto un paio di Superga blu da bambino/a?

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Messaggio Da M. Mark o'Knee Ven Feb 18, 2022 3:36 pm

Petunia ha scritto:Ma che bello questo ricordo  @M. Mark o'Knee. Pensare che poi, per chi non lo sa, i quartieri della Castellina e de La Pietà sono le zone residenziali della Prato “bene”.
Tutto descritto con estrema precisione, ordinato e pulitino come i tuoi capi. Ma non solo. Il testo è attraversato da una vena nostalgica e da una tenerezza che arriva al cuore.
Bella questa amicizia d’infanzia, peccato averla persa come forse è un peccato aver perso quella realtà di Prato (il rumore dei telai in sottofondo mi ha fatto davvero commuovere). Mi sono commossa anche qualche settimana fa vedendo un camioncino che trasportava dei subbi. Sono tornata bambina… e che dire del Bisenzio che cambiava colore a seconda della moda di stagione? Ora per fortuna l’acqua sembra molto più pulita anche se è diventata il regno delle nutrie Very Happy
Mi fa molto piacere che ti sia fermata a leggere e commentare questo frammento della mia infanzia e della vecchia Prato. E, a proposito dei quartieri "bene", forse non sai che quando sono arrivato alla Castellina la maggior parte delle strade non era neppure asfaltata. La via dove abitavo, in particolare, era una distesa di terra e "pilloli di Bisenzio": vedessi che spettacolo quando pioveva... Altro che zona residenziale!
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Messaggio Da M. Mark o'Knee Ven Feb 18, 2022 3:44 pm

SisypheMalheureux ha scritto:Due ceti sociali differenti quello del protagonista e di Capanne, due mondi che si incontrano senza il peso della disparità com'è possibile solo durante l'infanzia.
Davvero ben scritto, complimenti. Non vedo l'ora di leggerti nei prossimi step. E poi diciamoci la verità...chi di noi non ha mai avuto un paio di Superga blu da bambino/a?
Grazie Sys
È proprio vero, le superga blu erano un must. Insieme ai jeans Roy Roger's (che indossavo nelle mie escursioni a Capanne).
A proposito dei prossimi step: ho letto che gli Admin hanno avuto un po' di difficoltà e dovuto lavorare d'accetta. Spero di non rientrare fra gli esclusi...
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Messaggio Da Petunia Ven Feb 18, 2022 3:49 pm

M. Mark o'Knee ha scritto:
SisypheMalheureux ha scritto:Due ceti sociali differenti quello del protagonista e di Capanne, due mondi che si incontrano senza il peso della disparità com'è possibile solo durante l'infanzia.
Davvero ben scritto, complimenti. Non vedo l'ora di leggerti nei prossimi step. E poi diciamoci la verità...chi di noi non ha mai avuto un paio di Superga blu da bambino/a?
Grazie Sys
È proprio vero, le superga blu erano un must. Insieme ai jeans Roy Roger's (che indossavo nelle mie escursioni a Capanne).
A proposito dei prossimi step: ho letto che gli Admin hanno avuto un po' di difficoltà e dovuto lavorare d'accetta. Spero di non rientrare fra gli esclusi...
Se ci fosse qualche problema ti avrebbero senz’altro mandato una mail o un mp. Controlla  @M. Mark o'Knee
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