25: è trascorso solamente un mese, oppure è trascorso già un mese da quella sera! Da quella maledetta sera! Lo sapevate che il 25 di novembre è il giorno del ringraziamento (festività che negli Stati Uniti), risulta più importante dello stesso Natale?
Ma io da ringraziare quel giorno avevo ben poco; a distanza di un mese mi sembra di sentire ancora il suono della sua voce: una voce calda, bella, differente da quella dei ragazzini della nostra età, la voce che mi ha fatto innamorare e che per tre anni, ha accompagnato il mio periodo scolastico portando il mio morale a terra oppure alle stelle a seconda del comportamento del proprietario.
“La smetti di rompermi i coglioni?” furono le parole che quella voce mi disse: il tono era irritato, scocciato, violento stufo dell’ennesima telefonata ricevuta in cui io elemosinavo una serata, un momento, qualche minuto del suo prezioso tempo.
“Coglioni!” L’ultima parola che ho sentito prima che riattaccasse intimandomi di non cercarlo più.
Su questo rifletto da un mese mentre ogni mattina mi alzo per svolgere le attività quotidiane a cui, con le festività natalizie se ne aggiungono altre: la cena dai nonni la sera della vigilia,i preparativi per il campo invernale, il pranzo di Natale!
Al piano di sotto, mi aspetta un pranzo da sogno: la tavola è imbandita, i posti sono segnati o meglio contrassegnati da piccoli angioletti utilizzati per la decorazione degli addobbi.
“Finalmente!” esclama mia madre in tono un poco scocciato.
Mi siedo, tento di mangiare: l’odore dei tortellini è buonissimo; un odore che mi ha accompagnato dall’infanzia sino ad oggi; un brodo caldo, il rumore di tale brodo che la mamma mi versa nel piatto riempiendo lo stomaco e il cuore.
“Mi sento vuota!” le dicevo ogni volta che tornavo da scuola con il morale a terra.
“Allora lo riempiamo con dei tortellini” ribatteva lei sorridendo.
E anche questa volta i tortellini in brodo tentano di fare il loro sporco lavoro seguiti da una incredibile serie di pietanze, contorni e dolci in quantità industriale.
Ma questo vuoto non si riempie: fingo di interessarmi ai discorsi dei nonni e degli altri parenti rispondendo alle domande in maniera meccanica:“Come va la scuola?” “Ti piace?” “Cosa fai?”
Avrei voluto possedere un registratore premere un bottone registrare domande e risposte riavvolgendo il nastro: questa sequela di domande mi irrita.
Un paio d’ore e 15 portate dopo, arriva il momento dei regali: “Dove vai? Ci sono i regali da aprire” mi apostrofa la nonna in dialetto.
“oh avevo dimenticato ma grazie!” ribatto malcelando una rabbia mascherandola di gioia che in certe circostanze è obbligatorio provare .
Conclusa la fase regali, torno in camera mia adducendo come scusa un mal di testa fortissimo (mio compagno di vita ormai da agosto).
Mi metto a letto: questa sera andrà in onda la mia serie preferita (unico momento gradevole di questo Natale).
Intanto il cancello si apre e si richiude: nonni e prozii si congedano lasciando il posto agli amici dei miei genitori ; non ho nessuna voglia di vederli (non ho voglia di vederli in circostanze normali figuriamoci oggi che ho le scatole talmente girate da riempire un albero natalizio).
Eppure intimamente li ringrazio: con i miei impegnati, non fanno caso a me (almeno così spero).
“Perché non chiami quella tua amica o quell’altra?” mi domanda mia madre.
Non comprendo se si rende conto dell’immenso dolore che mi accompagna dal mattino quando mi sveglio sino alla sera in cui mi addormento: lo sottovaluta, lo minimizza dal momento che il mio rapporto con lui, era diventato qualcosa a senso unico.
In realtà io non avevo il minimo dubbio, che una sorta di rapporto ci fosse stato: sì, certo, sapevo di non essere corrisposta, ma non avevo mai messo in discussione il suo affetto per me.
“A che pro?” ribatto all’invito di mia madre.
“Per fare gli auguri di Natale” ribatte lei con naturalezza.
Non ho alcuna voglia di fare telefonate di circostanza, di chiamare amiche che non considero amiche: preparo uno zainetto per un campo invernale a cui non ho nessuna voglia di partecipare.
Il pensiero di condividere la camera con una decina di ragazze fingendo una allegria che non provo, non mi sorride per nulla.
Intanto sento salire le scale: la mia cugina di tre anni minore di me, viene a salutarmi o meglio a staccarsi dei discorsi dei genitori.
Fingo di prestarle attenzione, mi infilo una cuffia ed una maschera immaginaria con cui tento di proteggermi dal mondo.
La cuginetta mi offre un bicchiere di spumante: lo accetto, lo sorseggio; è caldo e dolce.
Scendo le scale con il pretesto di salutare gli altri parenti: frego un altro bicchiere.
Al terzo round, il mal di testa, è abbastanza forte da costringermi a mettermi a letto.
L’atmosfera giù è simpatica: i miei e i loro amici discutono di politica, di sport e spettegolano.
Si da il via ad una partita a carte: io me la svigno, buttandomi a pesce sul letto, ma siccome non riesco a dormire, accendo la radio.
“Buon Natale! Come festeggiate il Natale?”
NA-TA-LE: questa parola mi rimbomba come una martellata in testa.
Cerco la musica che mi piace: la trovo e finalmente chiudo gli occhi cadendo in un sonno profondo.
Stringo forte al cuore una lettera: la lettera che gli ho scritto qualche giorno fa.
Non potevo permettere che la sua ultima parola potesse essere “Coglioni” senza lasciarmi parlare, senza permettermi di spiegare.
Così mercoledì scorso, gli ho scritto una lettera facendola ricopiare in bella dalla mia amica del cuore.
Ne ho tenuto con me una copia: un foglio in braille che ho deciso di custodire come un tesoro.
La stringo, la leggo e la rileggo: è l’unico legame che ho ancora con lui, il mio ultimo tentativo fingendo che d’ora in poi avrei rimesso insieme i pezzi, ma non c’è stato squillo di telefono che non mi abbia fatto sussultare, sperando che si trattasse di lui.
Parenti! Parenti! Sempre soltanto parenti!
Arrivano le otto: inizia il mio telefilm e per due ore rimango incollata davanti al televisore; nonostante il tema sia sempre quello, provo allegria davanti a tutti quegli adolescenti che organizzano il loro Natale insieme.
Alla lista si aggiunge una nuova amara riflessione: non ho amiche con cui uscire!
Sì, ho le mie amiche storiche, ma frequentano giri differenti: sono sicura che la compagnia di una di loro, avrebbe giovato al mio spirito.
Giorno nuovo rottura nuova: il mal di testa mi invade con la sua insopportabile presenza, ma decido di sottopormi a questa nuova incombenza.
Qualche settimana or sono, ci hanno comunicato che l’ultimo giorno del campo invernale, avremmo svolto una gara di cucina: così eccoci a fare la spesa!
Non sono in grado di fare bollire l’acqua per la pasta; il fuoco mi terrorizza e tra meno di 48 ore, dovrò essere in grado di cucinare primo secondo e dessert.
Confido nella bravura dei miei compagni di squadra e mi chiedo “Ma perché dobbiamo sprecare una vacanza cimentandoci in cucina? Cosa dobbiamo dimostrare?”.
Arriva il momento di partire:il Natale gioca un ruolo da protagonista in tutto il posto; un magnifico presepe accompagnato da profumi e il calore tipico solamente dei posti di montagna è pronto ad accoglierci!
L’aria fresca, le passeggiate le canzoni natalizie alleggeriscono il mio umore.
Due giorni e una infinità di passeggiate dopo, arriva la mitica gara di cucina: mi immergo completamente nella farina perdendomi nell’odore e nel profumo che emana, nella fragranza dei biscotti al cioccolato che ci vengono offerti, nello sfrigolio delle cotolette impanate da me e nel sapore del tè caldo preparato per noi ogni sera.
La vittoria della nostra squadra conclude la permanenza al campo riaprendo le porte del quotidiano: l’ambiente universitario ha sostituito quello scolastico così posso prendermela comoda non dovendo più alzarmi all’alba tutti i giorni.
Da qualche tempo ho preso possesso di un alloggio presso l’università: l’ambiente è austero e non mi piace.
Continuo a svolgere gesti meccanici quali alzarmi la mattina, studiare, qualche uscita, ma lui rimane lì imperterrito ed immobile.
Il martedì che segue la Pasqua decido di comporre il numero: quel maledetto numero che da mesi mi impongo di non comporre infliggendomelo come una tortura.
Lui risponde:finalmente odo la sua voce; quella stessa voce che mi ha respinto così tante volte, ora è dall’altro capo di un telefono.
Ho quasi voglia di riattaccare e invece butto giù come fosse latte:“Ciao! Volevo augurarti buona Pasqua e sapere come stavi”.
“Pasqua è già passata” ribatte lui un poco imbarazzato mentre io ridendo tra le lagrime che ora non voglio più nascondere dico “Lo so Lo so!”
E riprendo a respirare.
Venticinque anni dopo
Cammino per le strade da sola
Accompagnata dal mio bastone bianco: devo stare attenta a non incappare nella gente frettolosa, negli escrementi canini non raccolti quando gruppi di persone si accalcano dall’altra parte della strada: chiedo spiegazioni e mi dicono che a qualche metro di distanza c’è il mercato di Santa Lucia.
Mi avvicino, mi informo sui prodotti.
“Che cazzo di bisogno c’è di mettere il mercato di Santa Lucia un mese prima di Natale?” mi chiedo mentre mi viene offerto un biscotto al cioccolato. Arrivo davanti all’angioletto: la mia mente Torna al Natale di tanti anni prima.
Immediatamente la fretta che mi ha invaso sino a qualche minuto or sono scompare lasciando il posto ad una dolce sensazione di malinconia: osservo la gente in perenne lotta contro il tempo e decido di trascorrere la giornata o meglio un’ora ammirando il mercato e quanto di magnifico caratterizza la mia città.
Cerco la magia di Natale della mia infanzia: lo cerco tra le voci dei bambini, tra i volti scocciati degli adolescenti, tra le mamme affaccendate e l’indolenza dei padri attaccati al telefonino tra gli argomenti dei consumatori.
Noia, nervosismo, impazienza: questi sono gli elementi che caratterizzano il Natale.
Torno a casa e accendo il televisore: essa mi ricorda che oggi è la giornata contro la violenza (cosa che per una frazione di secondo ho tentato di dimenticare).
Violenza fisica!
Violenza economica!
Violenza psicologica!
Una grande tristezza si impossessa di me pensando ai bambini vittime di un’erba maligna che durante le festività cresce a dismisura:mi domando per quale motivo essi non meritano il loro Natale.
Così mi mordo le mani pensando a tutti quei Natali in cui ho permesso ad un ragazzo di impedirmi di festeggiare: poi mi domando cosa sarebbe accaduto 25 anni prima se fosse esistito il reato di stalking e mi godo questo momento di perfetto relax.