“Ti amavo, o scemo…”
L’ho scritto col pennarello rosso indelebile su un muretto di un sentiero che porta in collina.
Lo so che ci passi, lo so che l’hai visto.
Lo so che non ci hai fatto caso.
Ma te l’ho scritto lo stesso, perché ho letto da qualche parte che in Etiopia, quando qualcuno muore, i familiari si ritrovano per mesi in casa sua, a date stabilite, per commemorare la decomposizione del cadavere; aspettano così che si dissolva, lo accompagnano col ricordo e lo lasciano andare.
Così ho deciso di scrivertelo, col pennarello indelebile rosso, e passare ogni tanto a vedere lo stato di decomposizione della scritta.
E questa mattina è successo: la scritta non c’è più, c’è solo una traccia rossa, un baffo come di rossetto.
L’ho anche fotografata la scritta, se non mi credi, prima e dopo, e sono passati due anni tra la prima e la seconda fotografia.
Non sono pochi due anni per una scritta su un muretto esposto all’acqua e al gelo, ma avevo usato un buon pennarello, garantito quanto a resistenza dell’inchiostro indelebile.
Adesso aspetto.
Aspetto che il tempo ti scardini anche da dove sei finito dentro di me, in qualche piega del cervello, o dell'anima, che non so trovare; in qualche spazio tra un neurone e l’altro non bene identificato.
Aspetto che il tempo faccia il suo dovere.
Io non so fare il mio.
L’ho scritto col pennarello rosso indelebile su un muretto di un sentiero che porta in collina.
Lo so che ci passi, lo so che l’hai visto.
Lo so che non ci hai fatto caso.
Ma te l’ho scritto lo stesso, perché ho letto da qualche parte che in Etiopia, quando qualcuno muore, i familiari si ritrovano per mesi in casa sua, a date stabilite, per commemorare la decomposizione del cadavere; aspettano così che si dissolva, lo accompagnano col ricordo e lo lasciano andare.
Così ho deciso di scrivertelo, col pennarello indelebile rosso, e passare ogni tanto a vedere lo stato di decomposizione della scritta.
E questa mattina è successo: la scritta non c’è più, c’è solo una traccia rossa, un baffo come di rossetto.
L’ho anche fotografata la scritta, se non mi credi, prima e dopo, e sono passati due anni tra la prima e la seconda fotografia.
Non sono pochi due anni per una scritta su un muretto esposto all’acqua e al gelo, ma avevo usato un buon pennarello, garantito quanto a resistenza dell’inchiostro indelebile.
Adesso aspetto.
Aspetto che il tempo ti scardini anche da dove sei finito dentro di me, in qualche piega del cervello, o dell'anima, che non so trovare; in qualche spazio tra un neurone e l’altro non bene identificato.
Aspetto che il tempo faccia il suo dovere.
Io non so fare il mio.