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Buona notte Pianta

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Messaggio Da Susanna Gio Mag 20, 2021 11:49 am

https://www.differentales.org/t621-miracolo-tra-le-stelle - miracolo tra le stelle:



BUONA NOTTE, PIANTA.
 
Di quella pianta non aveva mai saputo il nome.
L'aveva trovata lì, su quel terrazzo assolato incastrato tra i tetti tegolosi del centro storico, quando era venuta a vivere in quella casa al terzo piano senza ascensore.
Dopo oltre vent’anni passati a cercare in giro per il mondo avventure per lettori pigri, la nostalgia per il piccolo mondo da cui era partita, improvvisa, inaspettata e insistente come una mosca settembrina, aveva convinto Agata che forse era giunto il momento di fermarsi, magari solo per un po’.
Quel vecchio appartamento fine anni ‘30, completamente ammobiliato, ingombrante eredità di un amico che voleva disfarsene, l’aveva stregata fin dal primo momento in cui vi aveva messo piede: profumo di cera per mobili, di cuoio, un vago sentore di lavanda, i pavimenti lucidi, libri, suppellettili, tappeti…
In una stanza da cui usciva un intenso odore di naftalina, trovarono armadi e bauli stipati di abiti, giocattoli, vecchie riviste e scatole, una miriade di scatole, ben impilate che parevano promettere sorprese di ogni tipo. Fu proprio in quella stanza che Agata sentì di essere finalmente a casa, una sensazione tanto intensa da darle le vertigini.
Beh, più che vertigini si sarebbe potuto parlare di un’eccitazione similorgasmica, che riuscì a mascherare con sorrisi di circostanza che, immaginò, dovevano darle un’espressione da ebete davvero consolatoria.
Si ritrovò in gola un gran urlo di gioia quando il suo amico, senza rendersene conto, le risolse il problema di informarsi, delicatamente, sul destino di suppellettili e affini:
«Come vedi c’è una montagna di carabattole, cianfrusaglie di ogni specie, abiti, libri, centrini. Tutto compreso nel prezzo. Tieni quello che ti serve e del resto fanne quello che meglio credi. La mia prozia Ebe non buttava niente e se pensi che aveva 95 anni… buon lavoro!»
 
La casa sembrava chiamarla a gran voce, promettendole cassetti pieni di ricordi, qualche piccolo segreto e tanta vita.
La vita di altri.
La vita di altri per lei, che alla propria vita aveva rinunciato tanti anni fa, quando lo scrivere quasi furioso sembrava essere l’unico modo di sentirsi partecipe di un qualcosa, per fuggire da una realtà che le stava stretta, sbiadita e piatta. Aveva condiviso impressioni di viaggio, la bellezza di culture lontane, la paura della guerra e la serenità di gente che godeva del poco che possedeva come fosse una ricchezza immensa, ma senza lasciare in lei ricordi davvero preziosi, solo momenti slegati, vissuti e archiviati.
Eppure, riusciva a trasmettere ai suoi lettori emozioni, sensazioni e il successo ottenuto stupiva lei per prima.
 
Una casa lasciata incustodita che diventava sua era da qualche tempo un sogno sempre più ricorrente, che s’interrompeva inesorabilmente quando lei era sul punto di chiudersi la porta alle spalle.
Finalmente, nel severo studio di un notaio, una serie interminabile di firme e un pesante mazzo di chiavi trasformarono il sogno in realtà.
Agata trascorse i primi giorni a cercare i propri spazi, quasi fosse un ospite, in attesa del momento giusto per aprire armadi e cassetti, dare aria ai tanti libri sparsi in ogni angolo e conoscere finalmente chi aveva abitato quelle stanze accoglienti: sarebbero diventate amiche, se lo sentiva sulla pelle.
Il sano lavoro di braccia la lasciava impolverata e indolenzita ma leggera e senza pensieri: niente orologi, telefono, computer che le ricordassero lo scorrere delle ore. Agata si accorse con sorpresa che, nonostante le mille cose da fare, le rimaneva sempre un po’ di tempo a disposizione: per una passeggiata, per leggere il giornale da cima a fondo, per cucinare, anche per non far niente.
Una sera scoprì quella pianta, in un angolo ben riparato del terrazzo: qualcuno l’aveva messa a dimora in una vecchia latta di conserva di pomodoro, lasciando che crescesse libera da tutori o graticci cui appoggiarsi. Si chiese chi se ne fosse occupato dopo la morte della padrona di casa, ma fu un pensiero veloce: era una pianta e sopravviveva, come tutte le piante.
Un pensiero fuggevole.
Magari! Verso mezzanotte scoppiò un temporale e Agata si scoprì preoccupata per la piantina: dopo qualche tentennamento, visto che di rimettersi a dormire proprio non se ne parlava, affrontò la pioggia torrenziale per controllare e la trovò tranquilla – strano aggettivo per una pianta, ma tant’è – e ben riparata dal vento.
Agata ebbe la netta impressione che la pianta si godesse il temporale, solleticata dagli spruzzi leggeri delle gocce che rimbalzavano sul parapetto del terrazzo.
«Su, vieni in casa, prima di affogare! Il temporale piace anche a me, ma non esageriamo eh cocca!»
Agata non aveva mai parlato con una pianta, ma la cosa non la sorprese più di tanto. Nella vita si cambia e quello era proprio il tempo dei cambiamenti, quelli di cui si è consapevoli, non quelli che passano inosservati.
Il giorno dopo portò la pianta in cucina, la travasò in un bel vaso di coccio:
«Ecco qua, Pianta! Del buon terriccio nuovo, o almeno spero sia buono: non l’ho assaggiato, ma l’aspetto è appetitoso! Ti piace la battuta? No? Pazienza! E adesso un bel sottovaso e voilà, in salotto. Perfetto: poltrona, libri, Pianta. Adesso scusa, ma ho da fare.»
Passò la giornata a sistemare documenti, fotografie, vecchie lettere: molte cose le ricordavano la famiglia, da cui si era allontanata senza un perché preciso, lasciando che la lontananza e il lavoro facessero sbiadire sentimenti e ricordi.
Mentre riponeva quasi con rabbia alcune fotografie, Pianta perse una foglia, che andò a posarsi sul tavolino, molliccia e pallida.
«Non preoccuparti, è il cambio del vaso: due o tre giorni e tutto torna a posto.»
Tempo qualche giorno e Pianta perse altre foglie mentre i piccoli fiorellini gialli sembrarono rimpicciolire.
«Ho capito: meno acqua e più luce. Senti, Pianta, che ne dici del soggiorno, accanto alla finestra? E di qualche goccia di vitamine, beh di concime! Eh ho sbagliato, come sei permalosa!»
Nel frattempo, altri scatoloni, rimasti per anni in deposito, riversarono sul tappeto del soggiorno le risate delle sorelle, i brontolamenti del nonno, le aspettative infrante di suo padre.
Come in tante altre occasioni, preferì accantonare l’idea di capire cosa l’avesse allontanata dalla famiglia e reso aridi e scialbi i loro brevi incontri: finì per riporre in un cassetto di un vecchio tavolino tutto quello che la infastidiva. La pianta continuava a deperire.
«Senti, Pianta, io ti parlo, ti nutro e disseto, ti ho trovato un sacco di posti riparati, soleggiati, freschi, ma tu proprio non collabori! Guardati, guardati un po’: foglie pallide, rametti secchi…»
L’idea di parlare con una pianta non l’aveva mai nemmeno sfiorato, ma Agata si ritrovò, nel silenzio avvolgente e morbido della vecchia casa, a chiacchierare con la piantina, spostandola da una stanza all’altra: finì per raccontarle i suoi pensieri più intimi, i ricordi più struggenti, i dubbi e le certezze di una vita. Arrivò a raccontarle barzellette, a mostrarle le foto di un’Agata travestita da indiano: cercò persino di farle capire il capogiro del primo bacio e il dispiacere di un addio.
Il sistema parve funzionare: Pianta sembrò riprendersi. Amava i ricordi, sembrava assorbire dalle parole di Agata e dalle sue emozioni, finalmente libere, il nutrimento per rafforzare le radici.
Un mattino Agata aprì l’ultima scatola: conteneva le lettere che i suoi genitori e le sue sorelle le avevano scritto in tanti anni e a cui raramente aveva risposto. Seduta per terra le lesse a Pianta, lasciandosi solleticare dalle foglie mosse da una leggera corrente d’aria che profumava di tiglio, di pane appena sfornato, di bucato steso al sole.
Solo quando ripose nella scatola l’ultima lettera si accorse di quante nuove foglioline avesse messo Pianta negli ultimi giorni e dei bocciolini ormai prossimi ad aprirsi.
«Visto che è andato tutto bene? Scommetto che non avevi fiducia nel mio pollice verde? Detto tra me e te, neanch’io. Magari potrei trovarti della compagnia: niente di impegnativo, piante robuste e semplici, come te. Sai cosa facciamo? Una capatina dal fioraio, mi faccio dire che pianta sei e con quali altre piante vai d’accordo, poi decidiamo: un colpo di foglia per un sì e due per un no.»
Pianta, come suo solito, se ne restò silenziosa e con una certa aria di sufficienza.
Agata fissò Pianta a lungo, quasi cercandone gli occhi in cui leggere la risposta a una domanda che da qualche ora lo stava punzecchiando.
«Adesso ho capito, la tua era tutta una tattica eh! Vecchia imbrogliona! Qui non va bene, là nemmeno. I libri no, le riviste men che meno. Ti interessavano solo le vecchie foto, i miei ricordi, queste lettere.»
Pianta non rispose neanche stavolta: non era nelle sue abitudini chiacchierare con gli umani, così noiosi e prevedibili. Aveva sempre preferito giocarseli con gli indovinelli, con le cacce al tesoro, con i rebus. Erano il divertimento preferito dalla vecchia Ebe, che per una decina d’anni l’aveva accudita, aiutandola ogni primavera a rinnovarsi e coinvolgendola in quelle che definiva “tresche indispensabili”. L’amica si sarebbe divertita con Agata, l’avrebbe accompagnata passo dopo passo a quel momento, senza che se accorgesse, con caparbietà.
Agata fissò ancora per qualche istante Pianta, poi la riportò in terrazza, la rimise nella latta di conserva, accanto al vecchio muro:
«Goditi il sole, vecchia mia, senti com’è caldo il muro. Io esco, tornerò verso sera e ti prometto che avrò molte cose da raccontarti.»
Prese dal mucchietto delle lettere l’ultima, scritta da sua madre con una grafia un po’ tremolante: l’indirizzo non era molto lontano e decise di arrivarci a piedi, passando per le piccole vie del centro, assaporando il piacere di scoprire qualche scorcio di città che non era ancora cambiato.
«Scusa, Pianta, ma devo proprio chiederti un favore. Ho trovato un piccolo libro di poesie, che spero piacciano ancora a mia madre. Non ti dispiace, vero, se prendo una foglia delle tue come segnalibro, così anche tu la potrai conoscere.»
Forse fu solo colpa di una folata di vento o forse era destino che Pianta perdesse proprio in quel momento una foglia, ma Agata volle credere che fosse il dono di una vecchia amica.
«Grazie, Pianta, sapevo che avresti capito. Vedrai come staremo bene assieme: avrò tante storie nuove da scrivere e tu sarai la prima ad ascoltarle.»
 
Quando la sera Agata tornò, era un’altra persona: niente rimproveri per i lunghi silenzi, niente recriminazioni per essere stata assente in momenti difficili, ma un interminabile abbraccio dei suoi genitori l’avevano aiutata a scrollarsi di dosso gli ultimi dubbi.
Non era una donna insensibile agli affetti, egoista, come spesso si era trovata a giudicarsi, ma una donna che aveva voluto mettere alla prova la sua libertà, che aveva fatte sue le parole dei genitori: la vita è la tua, abbine cura ma fai quello che credi sia meglio per te.
Erano orgogliosi di lei, l’avevano amata profondamente e compreso le ragioni del suo vagabondare, ma Agata non aveva mai dato loro l’occasione per esternare quello che provavano per questa figlia un po’ ribelle e tanto caparbia.
Si sedette accanto a Pianta, le raccontò per filo e per segno ogni momento di quella giornata così unica e irripetibile, poi si addormentò sulla vecchia sdraio, stanca ma serena come non le capitava da un’eternità.
Forse fu solo la brezza della sera o magari un sogno particolarmente intenso, ma Agata ebbe nettissima l’impressione di una carezza sulla mano, una carezza che ricordava l’aprirsi di una foglia, o la leggerezza di un piccolo ricciolo di edera che cerca un nuovo appiglio.
«Buona notte, Pianta e… grazie.»

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Messaggio Da FedericoChiesa Ven Mag 21, 2021 12:11 am

Delicato, sensibile, garbato.
Detto questo segnalo due o tre cose che non mi fanno impazzire: i tetti tegolosi, i lettori pigri, l'eccitazione similorgasmica, i brontolamenti del nonno (forse stavano meglio i brontolii).
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Messaggio Da Susanna Ven Mag 21, 2021 8:41 am

FedericoChiesa ha scritto:Delicato, sensibile, garbato.
Detto questo segnalo due o tre cose che non mi fanno impazzire: i tetti tegolosi, i lettori pigri, l'eccitazione similorgasmica, i brontolamenti del nonno (forse stavano meglio i brontolii).
Federico
Grazie per la pazienza della lettura.
I tetti tegolosi: era un'immagine che avevo ripreso dall'incipit di un romanzo di non ricordo quale autore, e mi era piaciuta perchè a me rendeva l'idea dei tetti visti dalla prospettiva di chi è su un altro tetto o alla finestra di una soffitta.
Lettori prigri: quelli che leggono articoli su articoli o libri che parlano di vacanze avventurose, esperienze ai limiti, ma cui manca il coraggio di buttarcivisi
eccitazione similorgasmica, hai ragione, correggerò
Brontolamenti a me da più l'idea di quelle frasi dette e mezza voce, dire ma senza farsi sentire troppo, tipo pentola di fagioli, a volte tipico delle persone anziane: brontolii mi ricorda di più il brontolare dello stomaco vuoto.
Bene, i commenti sono sempre utili, a volte anche per far capire meglio cosa si intende.

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