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Il collezionista di obiettivi

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Messaggio Da mirella Dom Gen 10, 2021 9:27 am

IL COLLEZIONISTA DI OBIETTIVI
«Parole della vergine Lachesi, figlia di Ananke: anime, che vivete solo un giorno, comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte. Non vi otterrà in sorte un dàimon, ma sarete voi a scegliere il dàimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù è senza padrone e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio non è responsabile.» (Platone, Mito di Er. In Repubblica,X)
 
Il mio nome è Fermin; sono a piazza san Felipe Neri dove –  si dice in giro – è consigliabile recarsi di sera, solo se non si temono i personaggi che la popolano nelle ore notturne. Mi trovo qui e non so come ci sono capitato: forse cerco qualcuno oppure qualcuno mi cerca.  
Sulla piazza silenziosa grava un’aria pesante. Vedo un uomo che suscita la mia curiosità; un tipo singolare, di quelli senza età. Ha un bel volto dai lineamenti regolari, fronte alta e capelli ondulati di media lunghezza. Indossa un vestito un po’ logoro che non riesce a sminuire la nobiltà dell’aspetto. Lo seguo per l’intrico di vicoli, ma a un certo punto lo perdo di vista. Mi ostino a ripetere più volte lo stesso percorso, senza riuscire a proseguire oltre né a individuare il punto in cui inverto il cammino. Al terzo tentativo vedo l’uomo che mi attende, fermo, all’imbocco del vicolo.
-          Ebbene? Perché mi sta seguendo?
-          Mi crede se le dico che non lo so?
-          Ah, ah – dice lui, porgendomi un pezzo di legno e un temperino – faccia un segno qui ogni volta che cambia direzione, così ricorderà la strada: nel barrio è facile perdersi.
Da vicino vedo le sue rughe, deve avere una sessantina d’anni, forse meno; la fronte contratta rivela un tormento interiore.
-          Ebbene – dico io  – mi permette di accompagnarlo?
-          Se vuole, mi accompagni pure. Solitudine o paura?
-          Entrambe.
Ci avviamo in silenzio, ma non mi sento a disagio: quell’uomo, mi sembra di conoscerlo da sempre. Glielo dico.
-          Possibile – risponde quello – anche a me sembra di conoscerla.
-          Qual è il tuo nome? –  gli domando, passando dal lei al tu.
-          Chiamami Raphael.
-          Non vuoi sapere come mi chiamo?
-          Conosco il tuo nome, Fermin.
Mi metto una mano in tasca per controllare se ho ancora il portafogli con il documento. Forse l’uomo mi ha attirato in una trappola per derubarmi.
-          Non è sbagliato diffidare degli sconosciuti – dice quello – ma i pensieri cattivi si leggono sul tuo viso: non sono un ladro, non ho la coda, la domenica il mio ombelico non sanguina e vedi – dice, sputando a terra – non ci sono vermi nella mia saliva. Infine il portafoglio è nella tua tasca.
-          Raphael, chi sei veramente?
-          Pochi sanno rispondere con sincerità a questa domanda difficile, nemmeno tu sapresti farlo, ma per soddisfare la tua curiosità senza mentire posso dire di essere un collezionista.
-          Collezionista di che?
-          Diciamo che colleziono obiettivi. Sono un collezionista di intenti.
-          Bene. Allora sei la persona giusta per me.
-          Davvero e perché?
-          Perché sono a corto di progetti. Sto vivendo senza propormi una meta, senza immaginarmi un futuro, vado vagabondando senza scopo; mi limito a spiare la vita. Quella degli altri. Mi regali un obiettivo della tua collezione?
-          Mi dispiace, posso mostrarli, non regalarli. Perseguire un fine richiede costanza,  determinazione, non è cosa facile. In altre parole si tratta di dare un senso all’esistenza, perciò non puoi seguire la meta di un altro; è in te stesso che devi cercare la forza di superare gli ostacoli che incontrerai fino a raggiungere il tuo scopo.
-          Mi pare che tu abbia ragione, ma vedi non è che non ci abbia provato, mi sono dato spesso un fine da raggiungere, mai però sono stato capace di andare fino in fondo.
-          Già, succede a molti, ma capita quando quello che si crede importante lo è in effetti in un momento preciso, quello della scelta, ma perde mordente quando t’accorgi che non ti prende più, perché il tempo è cambiato e tu sei diverso, così rinunci.
-          Bisognerebbe darsi un obiettivo sicuri che sarà valido sempre? E come si fa a saperlo, se noi stessi cambiamo? Tanto vale aspettare il momento in cui possiamo ragionevolmente pensare di non essere più esposti a grossi cambiamenti.
-          No, Fermin, il futuro non si aspetta. Bisogna guadagnarselo. Dici che ti piace andare in giro, vuoi venire con me? Ti mostrerò la città.
-          Ma la conosco: è la mia città. Ci sono nato.
-          Credi di conoscerla, ma le cose cambiano se si guardano da una prospettiva diversa. Dammi la mano. Ti fidi di me?
-          Sì. Non so perché, ma mi fido.
-          Allora vieni, stai per volare.
Mi spinge in alto, sempre più su. Il mio corpo diventa leggero man mano che si solleva e sento il tempo tornare indietro; mi  guardo il polso e vedo che le lancette dell’orologio ruotano vorticosamente in senso antiorario. Ci stiamo dirigendo verso il mare e guardando in basso vedo sparire le recenti costruzioni in cemento del Raval, mentre al loro posto si  intravedono i campi di canapa dove, nei secoli passati, hanno vissuto gruppi di emarginati: ebrei, gitani e  fabbricatori di corde.
-          Perché, Raphael, mi stai mostrando quei campi che ormai non ci sono più da secoli?
-          Perché lì sono le tue origini. I tuoi antenati erano cordeleros, dormivano vicino alle coltivazioni di cannabis, intossicati dai fumi emessi dalle piante. Spesso erano immersi in una sorta di sonno ipnotico nel quale forse sperimentavano fenomeni di chiaroveggenza. Ecco come si guadagnarono la fama di stregoni.
-          Mi vengono in sogno. C’è una scena ricorrente che agita le mie notti.
-          Abbassiamoci un po’: ti mostro quella scena mentre accade.
Guardo in basso e vedo una donna vestita di stracci – Raphael dice che si chiama Raquela –  si aggira nella piazza dove alcuni operai stanno montando il palco per l’esecuzione dello stregone. È una notte senza luna: all’alba tutto deve essere pronto, manca solo la corda. Un operaio si rivolge a lei.
-          Vattene, donna, è l’ora delle streghe. Non hai paura?
-          Ho sentito dire che se durante l’esecuzione la corda si spezza, il colpevole viene liberato. È vero?
-          Sì. Circolano voci che lo affermano. Si dice che se i parenti dei condannati hanno denaro, assoldano i cordeleros perché facciano una corda facile a spezzarsi.
-          Sai dirmi chi porterà la corda per l’esecuzione che avverrà all’alba? E dove posso trovare il cordelero?
-          Lo troverai al campo di canapa, fuori dalle mura. Si chiama Aguilar.
Vedo Raquela allontanarsi in cerca di Aguilar. Lo trova davanti a una tenda, mentre intreccia una corda robusta canticchiando una canzone:
 “A morte, a morte lo stregone.
I saggi han decretato: io morirò impiccato.
Se mai ho fatto il male, non è questo che vale.
Raquela, amor mio, solo tu mi puoi salvare.”
-    Aguilar – dice Raquela, comparendo davanti al cordelero –  vedo che sai già tutto, infatti son qui per salvare il mio uomo. Facciamo un patto: io ti darò tutto il denaro che ho e tu intreccerai una corda che si spezzi al primo strappo. Bada bene però che se ciò non dovesse avvenire, la mia maledizione ti perseguiterebbe in eterno.
Aguilar rimane imperturbabile e continua a cantare.
“Sgancia la borsa, Raquela,
 è la vita che conta e non l’oro.
 I soldi vanno e vengono; se io vado, non torno.
 Da’ tutto al cordelero.
 Se morirò impiccato
 a che ti gioverà aver risparmiato?”
Raquela consegna la borsa ad Aguilar: – Ci vediamo all’alba. Ricordati il nostro patto.
Vedo giungere l’alba e la folla che si raduna intorno al patibolo; tutto è pronto. Tutti stanno gridando: ”A morte, a morte, lo stregone!”. Giunge Aguilar con il capestro, giunge Raquela: la vedo tremare come scossa da brividi, quando il boia mette il cappuccio sulla testa del condannato. Raquela trattiene il respiro; la folla tace di colpo, ma l’urlo è raccapricciante quando il corpo del reo pende scalciando dal patibolo. La corda non si rompe.
“Che tu sia maledetto, Fermin Aguilar, possa tu non aver mai pace!” La donna singhiozza, abbracciando le gambe dell’amato, poi il corpo viene tirato giù; un fiotto di sangue scende dalla bocca senza arrestarsi. Raquela raccoglie il sangue in un recipiente. Il cadavere rimane sul palco in attesa d’essere caricato sul carro che lo porterà all’ultima destinazione: la terra dei Senzacroce.
      Oh, Raphael, che scena orribile mi mostri! Che fa quella donna col sangue?
        Vediamo, seguiamola.
Assisto a una scena che mi sembra d’avere già visto: Raquela si rifugia nel suo antro pieno di stracci, continua a piangere mentre li trasforma in fogli e li lega insieme con fili di canapa, poi intinge il pennello nel sangue raccolto e inizia a scrivere. Quando il libro è pronto inizia l’incantesimo. Dall’antro la voce di Raquela si diffonde nella notte giungendo ai campi di canapa: quella voce  cerca Aguilar, lo raggiunge, gli ruba l’anima e la imprigiona nel libro scritto col sangue dello stregone. ”Maledetto, da qui non fuggirai: io ti condanno a vivere mille vite disperate e a morire ogni volta tra tormenti sempre più atroci, per non morire mai!”
-          Oh, pover’uomo, che pena mi fa! Che cose orribili mi mostri, Raphael.
-          Basta così; andiamo Fermin. Torniamo a volare verso il centro della città. Sorvoliamo il quartiere di Gracia, guarda il tuo orologio.
-          Perché, Raphael, ora le lancette vorticano senza sosta in senso orario?
-          Mentre voliamo attraversiamo lo spazio, ma anche il tempo.
-          In che epoca andiamo?
-          Nel novecento. Per la precisione: è domenica 10 febbrio1935. Vedi quell’uomo che  esce per recarsi al lavoro mentre è ancora notte?
-          Lo vedo.
-          Nella casa di calle Francisco Giner i familiari continuano a dormire. Vedi quel ragazzo che si agita nel sonno?
-          Lo vedo.
-        È il figlio maggiore dell’uomo appena uscito di casa. Si chiama come te: Fermin.
Vedo Il ragazzo sobbalzare nel sonno: è svegliato da colpi sordi alle pareti che si fanno sempre più insistenti. Accende la luce pensando a dei ladri e un rumore ancora più forte si sente nella stanza, come se una cassa riposta su un armadio cadesse su un tavolo e da lì si lanciasse sul pavimento con la forza di un proiettile. Il ragazzo si rifugia spaventato nella stanza della madre.  Allarmata, la donna chiama  il vigilante che giunge con due guardie per ispezionare l’appartamento.
Dai piani superiori vedo accorrere gli inquilini, accortisi del trambusto. Scendono nell’appartamento, ma al loro arrivo i rumori cessano di colpo e  così i vigilanti se ne vanno.  Appena escono, però, i rumori continuano per tutta la notte fino al ritorno del capofamiglia. L’uomo, ascoltato il racconto della moglie e del figlio, si rivolge al distretto di  guardia urbana e da lì  la denuncia viene notificata alla polizia. Ma anche questa volta l’ispezione ha esito negativo: è solo il ragazzo a sentire i colpi assordanti e a raccontare fatti strani.  Parla di una sedia caduta a terra da sola, di un orologio che si muove per la stanza senza essere toccato da alcuno, di cristalli che tintinnano da soli, di pietre che cadono nel patio durante la notte, ma scompaiono al mattino.
Il ragazzo viene preso per squilibrato e viene ricoverato in ospedale psichiatrico, ma anche lì accadono fenomeni strani che solo lui vede e non cessano i rumori che sente solo lui. Ora davvero sembra pazzo, anzi lo diviene e non sopportando più il tormento  si impicca morendo tra atroci dolori.
-          Povero ragazzo! – sussurro.
-          Quel ragazzo sei tu – dice Raphael.
-       Comincio a sospettarlo e mi rendo conto che i miei incubi, sono scene di vite che ho vissuto. Sono io quel Fermin Aguilar imprigionato nel libro di Raquela; non è vero?
-      Sì. È così. La maledizione continua. Ora dimmi: sei sicuro di non avere un obiettivo da perseguire?
-   Sono sicuro di avere uno scopo valido, che non potrà mutare, dovessi vivere mille altre vite e subire cambiamenti innumerevoli. Sarà il mio unico pensiero.
-      Dunque, qual è la meta che ti prefiggi di raggiungere?
-      Raphael, devo porre fine a questa maledizione. Ora che l’ ho trovato, il mio obiettivo è certo; ma non so come fare per raggiungerlo.
-   Ebbene un modo c’è; mi hai scelto come compagno segreto. Io ti guiderò.
-       Sei un angelo, Raphael?
-       Per i greci daimon, per i latini genius, angelo custode per i cristiani. Chiamami come vuoi e seguimi.
-        Dove andiamo?
-       Siamo già lontani. Vedi, stiamo attraversando il mare e di fronte a noi  puoi vedere la collina di Montjuïc.
-        E lì cosa vuoi mostrarmi?
-       Scenderemo sulla collina, dove c’è il cimitero. Voglio farti vedere una tomba.
     
Arriviamo al Montjuïc: dall’alto il cimitero mi sembra un labirinto. Sulle tombe sono raffigurate statue di angeli, molti sono senz’ali e con fattezze femminili. Quando ci fermiamo sulle pendici del colle in cima a una lunga scalinata assisto a uno spettacolo inconsueto. Gli angeli escono dalle statue e acquistando sembianze umane si mettono a danzare intorno a noi.
-          Chi sono costoro, Raphael?
-          Sono angeli ombra.
-          E che significa angeli ombra?
-     Che hanno concepito sentimenti umani e a causa di questi si sono macchiati di colpe, perciò per punizione sono imprigionati nella pietra. Ne possono uscire solo in circostanze particolari.
-          E perché?
-          Per poter assistere a fatti edificanti ed essere formati al sacrificio e alla virtù, in modo da mettere in pratica quel che hanno imparato quando scadrà il tempo del castigo e riavranno le loro ali.
-          Ma ti conoscono, vedo. Sei anche tu un angelo ombra?
-          No. Io sono un angelo caduto.
-          Qual è la differenza?
-      Ho commesso un errore. Mi sono innamorato di una donna e per una volta ho desiderato essere un uomo. Avrei voluto essere uno di voi, vedere con i vostri occhi, ascoltare con le vostre orecchie, come un uomo avrei voluto vivere il tempo, sentire l’amore e percepire il mondo. Per poter amare quella donna bellissima come ama un uomo di carne e sangue, anche solo per un momento, per provare il calore di un suo bacio, per accarezzare la sua pelle avrei voluto rinunciare a una inutile immortalità e subire la morte. Troppo tardi compresi che lei era un demone; mi tentava per farmi perdere e anche se mi fermai in tempo, senza commettere la colpa, rimasi un angelo caduto per l’assurdo desiderio che avevo concepito. Ma ora seguimi, ti mostro la tomba; siamo qui per questo.
La tomba è semichiusa da una lastra di marmo messa di traverso. Non c’è croce né angeli né lapide. Mi chino sullo squarcio aperto per guardare in basso e vedo dei gradini che scendono verso il buio.
-          Devi scendere, dice Raphael.
-          Ma ho paura, dove portano quei gradini?
-          Quando bussa la paura, il coraggio risponde. Vuoi liberarti della maledizione?
-          Certo che voglio.
-        Allora devi scendere. Lì sotto c’è la bara di Raquela. È aperta; devi solo sollevare il coperchio, trafiggerne il cuore e mangiarlo. Così sarai libero. Ma devi stare attento a non svegliarla, perché Raquela è un demone e se dovesse svegliarsi, prima che tu ne abbia trafitto il cuore, sarebbe lei a divorarti. Ma se conseguirai il fine, anch’io sarò libero, perché Raquela è il demone che ho desiderato amare.
-          Perché non lo fai tu?
-          Non posso. Poiché ho desiderato essere un uomo, devo aspettare che sia un uomo a liberarmi.
-       Raphael, non sono sicuro di riuscire; ho paura e poi come trafiggerò il cuore?
-      Con questo – dice Raphael, porgendomi un pugnale affilato – ma fa’ attenzione a non svegliarla prima.
-          Come farò a mangiare il cuore? Mi ripugna.
-          Pensa che dopo sarai libero; sarà l’ultima sofferenza.
-          Dovrò scendere al buio e anche lì sotto c’è buio.
-       Io ti farò luce da qui; quanto basta per arrivare alla bara. Dopo spegnerò la candela e dovrai agire al buio per non svegliare Raquela, ma i tuoi occhi si abitueranno ben presto. Tra pochi istanti la luna sarà perpendicolare alla fossa; quella luce ti basterà. Piuttosto colpisci senza indugi. Non puoi permetterti un secondo colpo.
Gli angeli ombra si sono radunati attorno al sepolcro, mentre scendo su gambe malferme gradino dopo gradino. Non è solo la mano a tremare stringendo il pugnale, sento tutto il corpo  agitato da un tremore interno; più grande è la paura, più forte il coraggio.
Quel che mi accade là sotto ancora gli angeli ombra se lo raccontano. Non dorme il demone, finge soltanto e quando alzo il braccio per trafiggerne il cuore quello l’afferra e ride; risuona la satanica risata tra le pareti della tomba.
-   Ti sei proposto un obiettivo ambizioso, giovane sprovveduto, non sai che solo un angelo può competere con un demone? Tu morirai e tornerai ai tuoi destini, alla maledizione che ti ho inflitta, al vuoto di inutili vite senza scopo, al dolore di morti strazianti, ma stavolta ti sbranerò pezzo per pezzo e quando divorerò il tuo cuore, diventerai un demone.
-      Se di me farai un demone, con te potrò competere. Potrei vincere, ci hai pensato, Raquela? Sei sicura di voler divorare il mio cuore?
Raquela è interdetta, esplode la sua rabbia: orribilmente ringhia, vomita feci, gli occhi roteano grondando sangue, ma quell’esitazione mi basta per conficcarle il pugnale nel cuore. Poi lo estraggo dal corpo, squassato da sussulti spaventosi. Atterrito, ma eccitato dall’odore acre del sangue, sono preso da un furore cieco: comincio a fare a pezzi il cuore di Raquela e a ingurgitarlo. Il corpo del demone smette di scuotersi, quando finisco il pasto orrendo. Il tempo trascorre con lentezza per chi, fuori, è in attesa. S’odono urli infernali e fragore di lotta.  Poi è silenzio. Risalgo gradino dopo gradino. Le mie gambe, ora, sono salde. Gli angeli mi si fanno intorno cantando:
 “Impari impresa qualche volta il più debole vince
 Come Davide il gigante ha sconfitto
 Il cuore puro sul demone immondo trio
 Così  talvolta nasce un angelo
 E virtù dal male fiorisce
 Se – non il cielo – ma spirito libero
 nel suo destino lo ha scritto.”
Sollevo le braccia e m’accorgo di avere grandi ali che s’aprono  e mi spingono in volo. Non voglio essere un collezionista di obiettivi: di volo in volo il mio obiettivo è uno solo. Di avventura in avventura vado a caccia di demoni. Li scovo, li combatto, li anniento.
Ogni tanto mi fermo in un luogo che mi è caro, dove spero di incontrare un amico, il mio antico compagno segreto. Forse per questo sono diventato una leggenda: a piazza San Felipe Neri ci sono notti senza luna che in cielo compare una scia luminosa a far luce sui personaggi sinistri tra i vicoli bui del barrio gotico. Un luogo magico per i catalani. La fantasia popolare racconta di aliene, inquietanti presenze.  
Qualcuno sostiene di aver visto un angelo.

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Messaggio Da Petunia Dom Gen 10, 2021 10:54 am

È un racconto splendido, ha il gusto di una storia del realismo magico. Ho apprezzato l’atmosfera che hai saputo creare e l’intreccio che si dipana come un sogno a occhi aperti. L’immagine del tempo che scorre, la maledizione, i dettagli che denotano, pur trattandosi di una storia “fantasy” una approfondita documentazione storica e una vasta cultura. Storie di questo genere non si possono improvvisare.
Reale e fantastico si compenetrano al punto che, leggendo, ho creduto questi fatti possibili. 
Le descrizioni di luoghi reali impreziosiscono e danno quel gusto di verità che rende i fatti narrati così vividi.  Certo il nome Raphael mi ha fatto subito capire chi fosse il personaggio, ma trovo che sia comunque perfetto per la storia.
Una bellissima e appagante lettura. Complimenti Milrella.
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Messaggio Da mirella Dom Gen 10, 2021 11:28 am

Grazie Pet, il tuo commento  mi gratifica e mi colma di gioia.

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