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Storie di pane e salame

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Messaggio Da Susanna Mer Mar 31, 2021 10:23 am

https://www.differentales.org/t458-senilita-ovvero-quando-s-ncazzano-i-vecchi:



STORIE DI PANE E SALAME
 
Lea lasciò l’auto all’inizio della salitella che, costeggiando un robusto terrapieno, portava all’ingresso della tenuta dei Borghi. Dalla provinciale il complesso si notava appena: le fronde dei platani e dei tigli secolari posti ai lati del viale formavano una galleria fresca e riposante che lasciava solo intravedere, a sprazzi, il muro di mattoni rossi dell’ingresso e i tetti della casa padronale, con la torretta dell’orologio.
Il viaggio era stato molto faticoso e Lea, per affrontare quello che aveva deciso di fare, aveva bisogno di ritrovare nei colori, nei profumi e nei suoni, nella luce della bella mattinata di fine maggio, le sensazioni che dell’insieme aveva da bambina, quando tutto le sembrava enorme e senza confini.
Così aveva deciso di fare a piedi l’ultimo tratto di strada, con la speranza che questa ricerca l’aiutasse a dissipare l’ansia degli ultimi giorni o almeno a raccogliere le idee sul da farsi.
Meglio, sul “da dirsi”: doveva ripassare per bene il discorso che aveva preparato per i genitori. Discorso è una parola grossa: aveva imbastito più che altro una serie di incipit per dire senza dire, ammettere senza confessare, confessare senza chiedere.
La solita Lea, che da sempre cercava di portare acqua al proprio mulino, anche quando vedeva la ragione ben appollaiata sulle spalle di qualcun altro. Per fortuna aveva dimostrato di valere qualcosa, di non essere solo una ragazza testarda e insofferente ai consigli, quindi qualche punto a suo favore lo avrebbe trovato, assieme alle parole: la parlantina non le era mai mancata.
Non ci volle molto per arrivare davanti al cancello: pensò di aver camminato troppo veloce, oppure che la strada fosse più lunga solo nei suoi ricordi.
Alla fine del viale si apriva un ampio slargo, delimitato verso la campagna da grandi gelsi, i cui robusti rami parevano voler racchiudere la piazzetta in un abbraccio protettivo, e verso la casa da un alto muro di mattoni, su cui si arrampicavano, tenaci e rigogliosi, i cespugli ormai antichi di rose rampicanti. Il rosso cupo dei fiori ricordava il velluto, morbido e setoso; il profumo intenso si mescolava a quello dei cespugli di lavanda e di rosmarino.
Lea cercò i suoni che appartenevano a quell’insieme di colori e profumi: il ronzio incessante di api e vespe al lavoro, il concerto delle cicale, lo stormire delle fronde, i rumori dei mezzi agricoli nei campi, le campane della chiesa poco lontana, un treno che passava appena oltre la provinciale… Eppure mancava qualcosa, ma non riusciva a capire cosa.
Trovò invece facilmente il suo gelso preferito: c’era ancora una targhetta che diceva: “Questo albero è di Lea, si chiama Olmo ma è un gelso”. Aveva impiegato una settimana a scriverlo in bella calligrafia e ogni anno, a primavera, ritoccava con la vernice rossa quella scritta. Qualcuno lo aveva fatto per lei anche quest’anno.
Abbracciò Olmo come faceva da bambina, quando affidava alla corteccia rugosa e paziente i suoi piccoli dispiaceri e le sue grandi domande.
Quante volte erano dovuti venire a recuperarla dopo le prime faticose arrampicate per raggiungere i rami, robusti e accoglienti, ma ancora troppo alti per saltare giù! Alla fine le avevano costruito una scala di corda, ma non era la stessa cosa che essere convinta a scendere da una zia paziente o da un nonno sornione: era proprio l’attesa – qualche volta voluta – a farle bene, a darle il tempo di rimuginare su un divieto o un castigo e a capire che era giusto così.
Nonni, zii, cugini…
Nella tenuta dei Borghi tutti nascevano figli di qualcuno, ovviamente, ma poi crescevano fratelli e sorelle di tutti nel tempo dei giochi e delle marachelle, con l’età si diventava cugini per i segreti da condividere. Poi si faceva carriera: zii per le confidenze importanti e le paure del crescere, mamme e papà per biberon e pannolini, madri e padri per le responsabilità, nonni e nonne per la pazienza. Bisnonni e trisavoli per la saggezza, o forse solo per l’accettazione di quello che la vita aveva voluto succedesse.
Certo, non era mai stato un mondo perfetto, i dissapori non erano mancati, così come qualcuno aveva preso strade oscure ma non per questo era stato messo in croce o abbandonato. Le anime perse per sempre erano un monito per gli altri, ma mai, semplicisticamente, un brutto esempio: “Nessuno nasce perfetto e nessuno lo diventa.” diceva nonna Angiolina, quando qualcuno osava giudicare.
Con malinconia si accorse, come a ogni breve visita, che la casa dove era nata e crescita era sì ampia e sempre molto bella, ma sembrava essersi rimpicciolita e scolorita: o forse erano i suoi ricordi che si erano fatti diversi, un po’ sbiaditi. Peccato! Adesso che era cresciuta…
Adesso che era cresciuta - e finalmente - poteva ammetterlo senza provare dispetto con se stessa: quella grande famiglia, che in passato aveva considerato oppressiva e invadente, ora le mancava ed era arrivata l’occasione per confessarlo. Forse. E se… più avanti, magari… No, non poteva rimandare oltre. Per non darsi il tempo di cambiare idea, suonò il campanello.
All’entrata il cancello era ancora chiuso, ma la porticina ricavata in uno dei battenti si aprì quasi subito con uno scatto secco, facendola sobbalzare. Fu solo in quel momento che Lea comprese cosa mancasse all’insieme, anzi cosa c’era di troppo: c’era troppo silenzio.
Deserto il porticato che correva sui tre lati del cortile, con le sue colonne tozze e bordate di edera e, a fianco dei diversi passaggi, le tinozze di legno in cui crescevano cespugli di ogni tipo e le piantine di limone; nessuno che affacciato alle logge al primo piano, tra i rami dei glicini, la salutasse con l’allegria di una bella sorpresa; le persiane erano ancora tutte accostate e questo succedeva di rado, di solito solo se era successo qualcosa di grave.
Nel cortile tutto sembrava essere stato abbandonato in fretta e furia: i giochi dei bimbi di turno sparsi in disordine, i tricicli e le biciclette, le piccole e vecchie sdraio di tela a righe gialle e rosse, dove i più piccoli schiacciavano un pisolino nei pomeriggi d’estate, abbracciati al cagnetto o al gattino di turno.
Lei, che da sempre rifiutava gli stereotipi, per anni aveva avuto un’oca, Martina, che la seguiva dappertutto, con un bel fiocco rosso al collo. Martina aveva sostituito la Ciccia, una gallina che – al contrario delle altre che cercavano di scappare dal pollaio – provava ogni giorno ad entrarci: malauguratamente per lei, il giorno in cui c’era riuscita zia Carolina era a caccia di “gallina da brodo” e siccome la Ciccia non era poi tanto diverse dalle altre… amen con sedano, carote e alloro.
I pianti e gli strepiti, compreso il rifiuto per il risotto cucinato con quel brodo, erano stati subito stoppati da suo padre: «Se l’avessi sorvegliata non sarebbe finita in pentola. Ora ti prendi questa – una piccola oca – e stai attenta che non finisca in padella per Natale!»
Lea chiese consiglio a Olmo e imparò la lezione, Martina si abituò a portare al collo un nastro rosso con un campanellino e assieme festeggiarono assieme ben 15 Natali fuori dalla padella.
 
Un fischio leggero giunse dal lato del cortile dove si trovava la biblioteca, sottraendola da quei ricordi improvvisi e inopportuni: Diego, uno dei tanti cugini, senza volere aveva scelto il posto giusto per i primi saluti. La biblioteca era un luogo speciale un po’ per tutti: sugli scaffali di legno che generazioni di ragazzi aveva costruito, verniciato, ripulito alla fine di ogni anno scolastico, erano allineati libri di ogni tipo, alcuni erano datati inizio ‘800, quando la tenuta aveva preso avvio. Qui studiavano tutti assieme: i più piccoli avevano uno spazio con tavolini bassi, scatole di matite, gessetti; i più grandi tavoli e lampade che ricordavano le biblioteche di città, e adesso anche i computer, gli scanner, le stampanti.
I piccoli Borghi andavano in prima elementare che già sapevano leggere e scrivere, se la cavavano con i conticini e alcuni anche con le tabelline. D'altronde, se si gioca alla maestra, qualcuno deve pur fare l’allievo!
Diego la fissò attentamente mentre lei gironzolava in cerca di qualche novità o forse solo per ritrovare l’odore dei libri, del legno, il profumo del glicine che si affacciava curioso da un paio di finestre.
Diego era un cugino passato a grado di zio assieme al titolo di dottore. Un agronomo, con lunghi capelli rasta, occhiali da intellettuale e vestito come se dovesse partire per un safari: quando recuperò l’attenzione di Lea, le indicò un angolo, facendole cenno di parlare sottovoce. Su una poltrona dormiva placidamente Valentina, la più piccola della combriccola: era sudata, i capelli biondi e finissimi le incorniciavano il visetto arrossato. Stringeva un beagle di peluche, di cui cercava di tanto in tanto, sia pur nel sonno, un orecchio.
«Ciao zio Diego!» Si abbracciarono come da bambini: forte e stretto, giocando a chi resisteva di più.
«Ciao zia Lea.» Diego accenna a Valentina «E’ da ieri sera che non mi abbandona un attimo. Ha dormito con me, è rimasta fuori dal bagno mentre mi facevo la doccia e stamattina ho dovuto imboccarla. Un’ombra.»
«Mmmm  è innamorata. Cos’ha combinato stavolta?»
«Lei? Il nonno. Il nonno è scomparso da ieri. Non sei qui per questo?»
«Il nonno? E’ morto?»
«Shhhh! Ma che morto: scomparso, non si trova. Non sei qui per questo?»
«Nessuno mi ha chiamato: sono in viaggio ieri, vabbè poi ti spiego.»
«Accidenti: la chiamo io, no no ci penso io e alla fine… Comunque, zia, il nonno è sparito e io penso che Vale sappia dov’è, ma ieri sera era troppo spaventata dalla confusione e non sono riuscito a farle dire nulla.»
«Quindi non avete chiamato i carabinieri, visto che non ce n’è neanche l’ombra. Ma che razza di famiglia! Un vecchio di 87 anni sparisce in campagna, tra fossi e canali e loro… dormono!» sbottò accennando alle finestre chiuse e al silenzio della casa.
«Datti una calmata, ispettrice di polizia Lea Borghi so tutto io, faccio tutto io. Il nonno fuori da questa casa non è andato: ormai non va oltre i cortili e se tu fossi qui un po’ più spesso lo sapresti. Quindi è qui, nascosto da qualche parte e magari si sta divertendo un mondo. E per tua informazione, abbiamo passato la notte a controllare dappertutto: armadi, ripostigli, le soffitte, le cantine, l’orto, le serre. Ogni cespuglio. Persino le cabine dei trattori abbiamo controllato. Giusto per la cronaca, e scusa se non abbiamo il tuo fisico.»
«Scusa, scusa, scusa. Raccontami tutto, poi sentiamo Valentina, ma se anche da lei non riusciamo a sapere qualcosa, bisogna chiamare i carabinieri.»
Diego raccontò che nonno Plinio era stato visto per l’ultima volta il giorno prima, alla fine del pranzo per il suo compleanno, verso le 15, mentre se andava verso il suo laboratorio, con quell’andatura “adesso cado, adesso cado e invece no”, cappello, panciotto e bastone e la busta con i regali: al suo seguito una saltellante Valentina abbracciata al peluche che aveva regalato al nonno.
Valentina lo aveva accompagnato: fin da quando aveva cominciato a gattonare, era una seconda ombra per il vecchio, se non era impegnata a scovar pericoli anche dove non ce n’erano; lei non camminava mai: saltellava, trotterellava, correva, inciampava, cadeva, pedalava e sempre chiacchierando o canticchiando. Assieme erano uno spettacolo e si capivano al volo.
La bimbetta era tornata poco dopo, sempre salticchiando, informando la nonna Clotilde che: “Nonno Pi ha detto che la Lola – il peluche - deve stare con me, perché corre troppo!” Regalo andato e tornato, un classico. Sempre saltellando era andata a cercare i cuginetti da tormentare: energia pura.
Le torte o almeno quel che rimaneva delle torte del compleanno, e i panini con il salame erano spariti dalla cucina: al loro posto, la pipa del nonno. Il nonno non fumava la pipa, la portava in giro a prendere aria perché un nonno che si rispetti deve avere la pipa. Non se ne separava mai.
Quando il nonno non si era presentato a cena, accortisi della sparizione del cibo, avevano dato inizio alla “caccia del nonno scomparso”: dapprima scherzandoci su un po’ ma alla fine parecchio preoccupati, avevano passato l’intera casa al setaccio, senza chiamare i Carabinieri o la Polizia, convinti di trovarlo presto. Un vecchio di 87 anni, zoppicante e convalescente non poteva essere andato troppo lontano.
Forse…
«Zia, il nonno si comporta in modo strano, da quando è tornato dall’ospedale.»
«Beh, non è stata un’avventura, ci può stare: la malattia, le cure… »
«La fifa!»
«Paura? Il nonno? Ma se c’è una persona che farebbe paura alla paura è proprio Plinio.»
«Proprio per questo i medici hanno dovuto calcare un po’ la mano, altrimenti sarebbe tornato a fare tutto quello che faceva prima, e magari di più.»
Eh sì! Plinio era sempre stato un uomo forte, determinato, ne aveva passate tante ma niente e nessuno lo aveva scoraggiato. Gli anni di raccolti andati a male, la guerra, i debiti per non perdere un solo ettaro di vigna o di frutteto. Era riuscito a continuare la storia di una delle più longeve aziende agricole della zona, dove figli e figli dei figli potessero trovare di che vivere onestamente: una decina di anni prima aveva deciso di ritirarsi, e da allora passava le giornate nella serra oppure aggiustando vecchi attrezzi agricoli per il museo del paese. Finché la malattia non aveva avuto ragione di lui, lasciandolo magro, rimpicciolito e pieno di paure.
«Aveva paura della guerra: spesso dormiva vestito, così se c’è da scappare… e poi la paura di patire la fame, visto che doveva stare a dieta: nascondeva del cibo in camera sua, nel laboratorio.»
«Povero nonnino!» Lea era rimasta molto colpita dalle parole di Diego, maledicendosi per essere stata più presente.
«È per questo che abbiamo cercato un nascondiglio, un...»
«Un posto segreto, che non conos… Noo! Non ci posso credere! La Gigia l’avete controllata? La Gigia, Diego, la Gigia perdio! Andiamo. Muoviti! »
Lea e Diego si avviarono di corsa verso l’ingresso delle grandi cantine, sotto gli sguardi sorpresi di alcuni dipendenti che stavano ricominciando le ricerche del signor Plinio.
La Gigia era lì, all’ingresso: una grande botte che il nonno aveva recuperato nella cantina del suo amico. Per mesi aveva lavorato per ripulirla da anni di incuria, l’aveva riparata, era arrivato a parlarle, consolandola per la vecchiaia.
Lea si avvicinò senza far rumore alla Gigia e trovò quello che cercava, indicando a Diego le cerniere di una porticina ricavata sul retro della botte, praticamente invisibile se non si sapeva cosa cercare. Individuarono anche la serratura, ben mimetizzata.
Si capirono al volo e cominciarono quella che sperarono essere una sceneggiata.
«Toc toc? C’è nessuno in casa? Nonno? Lea, ma cosa ti viene in mente? Il nonno dentro la Gigia? Senti? Non risponde, quindi non c’è. Dai, andiamo a chiamare i Carabinieri, ci penseranno loro.»
«Ti dico che è lì, testone. Adesso ti faccio vedere: vai a prendermi una scure, quella bella grossa. Due colpi e vedrai…»
«Ehi, ehi, non facciamo scherzi: la Gigia la lasciate stare. Non è mica roba vostra.» Una vocina preoccupata filtrò dalla botte, con un gran tramestio di borse di plastica.
«Hai sentito anche tu, Diego? Oddio, è il fantasma del nonno! Il nonno è morto di fame e il suo fantasma è chiuso nella botte!»
«Ma che morire di fame: ho un po’ di scorta, anche di acqua! Poi basta, finirà per arrivare la mia ora, no? Fantasma, bah!»
«Ah sì? E dove vai a fare la pipì? Mica vorrai rovinare una così bella botte. Per non parlare del resto, nonno.» Diego tentò la provocazione.
Intanto era arrivato il resto della famiglia e il caos fu: tutti a tentare di convincere il nonno a uscire con le buone, le semibuone e i metodi forti, mentre si cercava di capire come aprire la porticina. Quasi una comica anni ’30: e quelle erano persone con la testa sulle spalle?
Un tira e molla che di senso ne aveva proprio poco, ma a volte succede. Alla fine, visto lo stallo, Lea lanciò un urlo che zittì tutti in un amen.
«E allora, la finiamo? E basta, adesso la chiudiamo qui. Lei, venga un po’ qui con la motosega.»
«Se toccate la Gigia… ho una bomba a mano: ha 70 anni ma funziona ancora.»
«Stai scherzando? »
«Non ho più voglia di scherzare, finito quel tempo. »
Lea fece uscire tutti, chiuse il portone e tornò dalla Gigia: non aveva proprio intenzione di scoprire se il nonno stava bleffando o meno. In guerra c’era andato e tanti si erano tenuti dei ricordini di quel genere.
«Senti nonno, vieni fuori e parliamone, come facevi con me quando ero piccola. Ti ricordi no? Io, te e Olmo.» Lea tentò la carta dei ricordi.
«Non posso, ormai sono un vecchio bacucco, peggio di Olmo e nessuno ha bisogno di me. Lasciatemi morire in pace.»
«Bel modo di morire, proprio un bel modo».
«Eh, cosa vuoi mai, si fa quel che si può! Adesso via, toglietevi dalle scatole.» Il male che il vecchio si portava dentro stringeva il cuore: con tutto il bene che gli volevano non se n’erano accorti.
«Ma io ho bisogno di te! – adesso la voce di Lea aveva un altro tono, più delicato, quasi umile – Ho bisogno del tuo aiuto, nonno Pi! Per favore.»
«Tu, e per cosa? Hai cambiato idea? Non avevi bisogno di me quando sei andata a Roma per entrare in Polizia. Non ti vogliono più, si sono stufati del tuo caratteraccio?»
«Ecco di cosa devo parlarti ma, cribbio nonno, non posso parlare con in mezzo una botte: voglio guardarti in faccia.»
«Bella roba.»
«Sì, roba bellissima. E poi devi fare una cosa per me. E la puoi fare solo tu, anzi la devi fare tu.»
«Ma contala a un altro: è solo un trucco. Tanto non esco.» - e dopo un po’ - «E cosa dovrei fare io che nessuno è capace di fare? Non c’è pieno di esperti a Roma? »
«Te lo dico solo se esci di lì.»
«Non mi interessa.»
«Invece ti interessa, sei sempre stato curioso. Quindi mi siedo qui e vediamo chi resiste di più. Tempo ne ho.»
«Io poco, ma fa lo stesso. Magari fatti portare qualcosa da mangiare. »
L’idea del mangiare scatenò la nausea e Lea si ritrovò sudata, dolorante e arrabbiata.
«Cristo nonno, vieni fuori di lì. Ho bisogno di te: aspetto un bambino, lui mi ha mollato, sono stufa di delinquenti, voglio tornare qui… come faccio a dirlo ai miei, la culla, mi devi aggiustare la culla. Nonno, vieni fuori e aiutami: ho paura. Non so cosa fare. Vuoi che mi metta in ginocchio e ti preghi? Ecco, l’ho fatto.»
Lea scoppiò in un pianto liberatorio, che le faceva male, le toglieva il fiato e sembrava stringerla in una morsa: si accorse che il nonno era accanto a lei solo quando lo sentì accarezzarle il viso. Sentì le sue dita raccogliere le lacrime e… assaggiarle.
«Buone, sono vere. Su, alzati e andiamo che abbiamo da fare.» e le diede una bastonata alla nocchetta di una caviglia.
«Nonno Pi! E la bomba? »
«Mah, sarà lì, da qualche parte!»
«Senti bello – Lea era sollevata ora, ma anche arrabbiata – vuoi dire che era tutta una sceneggiata? Volevi che qualcuno ti dicesse che abbiamo bisogno di te e pipimpimpera? Che abbiamo paura di non farcela… Ma per favore, alla tua età! »
«Sì, proprio alla mia età! Te – e le puntò un dito magro e rovinato dall’artrite sul petto – te, cosa ne sai di come si sente uno a essere inutile, ad aver bisogno come un bambino piccolo? E già, voi giovani non avete bisogno di nessuno, sapete tutto voi, noi vecchi non capiamo niente…»
Lea lo interruppe con un abbraccio:
«Hai ragione, non capiamo. Ma lo sai anche tu che è sempre stato così. Tu però ci sei se abbiamo bisogno, ma non è facile chiedere.»
«Già! Ma tanto, cosa potrei insegnare ormai. Meglio che torno lì dentro.» e si girò verso la Gigia.
«Eh no! Adesso che sei fuori, sei fuori, bello mio! Prima sistemiamo le cose, poi vediamo, magari ci chiudiamo assieme nella Gigia, se le cose si mettono male. Va bene così? »
Lea recuperò le chiavi della botte, facendo segno al nonno di precederla verso l’uscita: non c’era scampo.
«Staremo stretti, con la pancia che ti verrà: se sei come tua mamma, diventerai una botte hi, hi, hi… una botte. Andiamo va’, che ne abbiamo di cose da fare.»
 
Ci volle qualche ora per smaltire lo spavento di quella notte e un po’ di tempo per accettare le ragioni di quello che era successo: i primi giorni Plinio e Lea preferirono starsene un po’ defilati, inventandosi impegni quando non avevano nulla da fare per ridurre al minimo le occasioni di reprimende, critiche, consigli e quant’altro. Tempo qualche giorno e tutto tornò tranquillo: Lea diede le dimissioni e si sistemò in un appartamentino accanto alla biblioteca, la culla venne sistemata e zie, nonne e cugine rinfrescarono un corredino che sarebbe bastato per dieci bambini.
Plinio, rassicurato e coccolato, festeggiò serenamente il compleanno numero 88: il primo regalo glielo allungò, ancora inconsapevolmente, la nuova arrivata, Martina, tenuta in braccio da una Valentina orgogliosa della sorellina: dentro ad un pacchettino colorato e un po’ umidiccio, visto che Martina stava cominciando a mettere i dentini, le chiavi della Gigia, con un bel portachiavi a forma di bomba.

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Messaggio Da Petunia Mer Mar 31, 2021 10:58 am

Ciao Susanna.

Ti prometto che ci tornerò sopra.

La scrittura è bella, ordinata e delicata. Le immagini che offri sono dolci e poetiche, ma, a mio avviso, manca la tensione narrativa. Il testo sarebbe da sfoltire. 
Tutte quelle descrizioni che metti tolgono quella curiosità, quella spinta a proseguire la lettura.
Il racconto lo farei partire da qui.

Il cancello si aprì quasi subito con uno scatto secco, facendola sobbalzare. Fu solo in quel momento che Lea comprese cosa mancasse all’insieme, anzi cosa c’era di troppo: c’era troppo silenzio.
Deserto il porticato che correva sui tre lati del cortile, con le sue colonne tozze e bordate di edera e, a fianco dei diversi passaggi, le tinozze di legno in cui crescevano cespugli di ogni tipo e le piantine di limone; nessuno che affacciato alle logge al primo piano, tra i rami dei glicini, la salutasse con l’allegria di una bella sorpresa; le persiane erano ancora tutte accostate e questo succedeva di rado, di solito solo se era successo qualcosa di grave.

se tu partissi con incipit di questo tenore, agganceresti il lettore. Ovviamente toglierei l’ultima parte della frase (spiegare non solo è inutile, ma dannoso pure). 
Ho altre considerazioni da fare, ci tornerò, se vuoi

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Messaggio Da digitoergosum Mer Mar 31, 2021 11:09 am

Sto sorridendo, ma già sorridevo a tre quarti di racconto. Hai un dono: scrivi come se fotografassi gli ambienti. Il quadro famigliare invece è un dipinto curato. È una bella storia di valori, di formazione, ben scritta e con pochi refusi che cominciano a metà percorso, la prima parte assolutamente corretta. Mi hai messo di buon umore, grazie. Una sola domanda (da appartenente alle FF.OO. baby pensionato): perché, se lei era un funzionario o agente della P.S. insisteva a chiamare i Carabinieri? 🤭😁
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Messaggio Da Susanna Mer Mar 31, 2021 11:27 am

digitoergosum ha scritto:Sto sorridendo, ma già sorridevo a tre quarti di racconto. Hai un dono: scrivi come se fotografassi gli ambienti. Il quadro famigliare invece è un dipinto curato. È una bella storia di valori, di formazione, ben scritta e con pochi refusi che cominciano a metà percorso, la prima parte assolutamente corretta. Mi hai messo di buon umore, grazie. Una sola domanda (da appartenente alle FF.OO. baby pensionato): perché, se lei era un funzionario o agente della P.S. insisteva a chiamare i Carabinieri? 🤭😁
Grazie per la pazienza della lettura. I refusi li cercherò, quando si legge a volte veramente passano inosservati. Lei insisteva a chiamare i Carabinieri perchè di solito nei piccoli paesi è molto più facile ci sia una caserma che una stazione di polizia. L'ambientazione si rifà a posti che ho visitato nell'infanzia e li ho sempre visto i Carabinieri.

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Messaggio Da Susanna Mer Mar 31, 2021 11:35 am

Petunia ha scritto:Ciao Susanna.

Ti prometto che ci tornerò sopra.

La scrittura è bella, ordinata e delicata. Le immagini che offri sono dolci e poetiche, ma, a mio avviso, manca la tensione narrativa. Il testo sarebbe da sfoltire. 
Tutte quelle descrizioni che metti tolgono quella curiosità, quella spinta a proseguire la lettura.
Il racconto lo farei partire da qui.

Il cancello si aprì quasi subito con uno scatto secco, facendola sobbalzare. Fu solo in quel momento che Lea comprese cosa mancasse all’insieme, anzi cosa c’era di troppo: c’era troppo silenzio.
Deserto il porticato che correva sui tre lati del cortile, con le sue colonne tozze e bordate di edera e, a fianco dei diversi passaggi, le tinozze di legno in cui crescevano cespugli di ogni tipo e le piantine di limone; nessuno che affacciato alle logge al primo piano, tra i rami dei glicini, la salutasse con l’allegria di una bella sorpresa; le persiane erano ancora tutte accostate e questo succedeva di rado, di solito solo se era successo qualcosa di grave.
se tu partissi con incipit di questo tenore, agganceresti il lettore. Ovviamente toglierei l’ultima parte della frase (spiegare non solo è inutile, ma dannoso pure). 
Ho altre considerazioni da fare, ci tornerò, se vuoi
:blossom::hugging:
Anche a te grazie per la lettura. Il mio intento non era tanto quello di creare tensione per la vicenda in sè stessa, quanto di portare chi legge in "quel posto": Lea ancora non sa cosa è successo, quindi si gode il momento del ritorno a casa, con i ricordi che, necessariamente, si confrontano con il suo stato d'animo. Anche il nonno che si nasconde non doveva essere qualcosa che finisse in tragedia, ma in un'occasione di confronto tra generazioni (ma soft come accade coi nonni). L'idea era nata da un fatto vero: mio nonno era scappato dalla casa di riposo, per andare (a suo dire ovviamente) ad accudire ai suoi cavalli: lo hanno trovato in centro città, in un bar di lusso. I poliziotti che l'avevano portato in questura gli avevano fatto fare un bel giro, a sirene spiegate. E in attesa che mia madre lo andasse a prendere, raccontava ai ragazzi dei suoi maiali, dei campi da arare...
Ecco il perchè delle descrizioni, del tono anche leggero. Sono ricordi che a volte bisogna fissare, perchè sbiadiscono inesorabilmente.

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Messaggio Da gdiluna Mer Mar 31, 2021 3:04 pm

Molto piacevole anche se sembrano due racconti giustapposti che potrebbero benissimo essere autonomi con magari qualche ritocco. Trovo in po' meno efficace le spiegazione delle relazioni e della loro evoluzione del tempo; in generale un po' troppo "spiegata" la seconda parte e forse chiuderei a
Andiamo va’, che ne abbiamo di cose da fare.»
  lasciando al lettore di immaginarsi il resto.
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Messaggio Da Susanna Mer Mar 31, 2021 5:36 pm

gdiluna ha scritto:Molto piacevole anche se sembrano due racconti giustapposti che potrebbero benissimo essere autonomi con magari qualche ritocco. Trovo in po' meno efficace le spiegazione delle relazioni e della loro evoluzione del tempo; in generale un po' troppo "spiegata" la seconda parte e forse chiuderei a
Andiamo va’, che ne abbiamo di cose da fare.»
  lasciando al lettore di immaginarsi il resto.
Sai Dgiluna, non mi pace lasciare le cose in sospeso: cosa i miei cari pargoli dovevano fare dopo lo avevo ben chiaro in testa e... non ho resistivo.
Concordo con te che si poteva lasciare all'immaginazione del lettore, ma mi sembrava monco.
Però prendo nota per racconti futuri.
A dire il vero avevo scritto un sacco di altre cose sempre collegate a questo racconto, una sorta di preparazione, mettendo nero su bianco tanti ricordi di quando abitavo in campagna e le ho roganizzate poi come racconto a parte. Non ho foto di quei posti e - viva Google street view - li ho potuti rivedere, ma ora non mi dicono più niente.

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