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Messaggio Da Petunia Ven Gen 08, 2021 9:37 am

All’improvviso, un vento improbabile aveva schiaffeggiato la vallata; poi un rombo assordante aveva acceso di terrore gli sguardi prima che il buio li spegnesse per sempre, prima che la montagna inghiottisse tutto quanto.
 
Nane non era rientrato a casa quella sera. Era rimasto con i suoi compagni al bar a vedere la televisione: quella sera, trasmettevano in Eurovisione la partita di calcio Real Madrid contro Glasgow, e non se la sarebbe certo persa.
Forse un giorno avrebbe avuto anche lui i soldi per comprarla, una televisione, forse quel lavoro che era stato obbligato ad accettare non era poi così male. I suoi abiti non sapevano più di fumo e le sue le mani non erano più annerite dal carbone. Forse suo figlio Mauro avrebbe avuto un futuro migliore del suo, forse aveva ragione Luigi, quelli della SADE sapevano davvero il fatto loro.
Giovanni, detto “Nane”, alla fine degli anni Cinquanta, era un giovane uomo figlio della guerra. Nato a Erto nel 1933, non aveva mai lasciato il suo paese; la grande montagna era per lui madre, padre, datore di lavoro e perfino il suo Dio. Dei suoi monti, amava ogni pietra e conosceva ogni sentiero, ogni albero, ogni animale. 
Suo padre era stato un carbonaio e gli aveva insegnato l’arte di trasformare il legname di faggio e carpino di cui la zona era molto ricca, in carbone. Era un lavoro molto duro che aveva imparato ad amare e che avrebbe tramandato a suo figlio Mauro una volta cresciuto, ma all’epoca dei fatti aveva solo tre anni e doveva lasciarlo ancora con la mamma. 
Nane sapeva di fumo, quell’odore acre e pungente impregnava i suoi vestiti e la sua pelle, aveva le mani ruvide e nere di chi lavora sodo e il cuore semplice e genuino di chi vive la vita senza pretese. Alto e grosso come la sua amata montagna, era molto rispettato nel paese: la sua forza e la sua generosità ne avevano fatto un leader naturale.
 
Da qualche tempo, giù al bar, le discussioni si erano fatte accese. Si discuteva della grande diga, del fatto che nel giro di pochi mesi, le case e i terreni sarebbero stati espropriati per permetterne la costruzione.
Endrio, poco più che ventenne, era il più giovane del gruppo e anche il più desideroso di cambiare il suo destino. Amava la montagna, ma non voleva finire la sua vita facendo il carbonaio come suo padre.
«Avete sentito cosa vanno dicendo giù a Longarone? La SADE vuole assumere per i lavori di costruzione della diga! Ci pensate? Dicono che qua si farà la diga più alta del mondo! Cercano operai forti, che conoscano bene come muoversi in montagna.  Io ci voglio andare, per me è una buona opportunità. Si dice che paghino bene...»
Nane trovava quell’entusiasmo giovanile del tutto fuori luogo. Quella storia della diga non lo convinceva affatto. I maledetti della SADE si sarebbero presi le loro case, le loro vite. Lui, il Toc, lo conosceva bene. Conosceva il suo terreno friabile e sabbioso e aveva paura. La montagna doveva essere rispettata, non violata. Costruire un lago artificiale tra le sue strette gole, era pura follia. Sentiva il sangue ribollire al solo pensiero e per tutta risposta sbottò:
«Ma cosa stai dicendo? Quelli vogliono portarci via la nostra vita! Energia elettrica, lavoro, progresso? Ma non vi siete accorti che la Montagna non vuole? La roccia è troppo friabile, ci sono spesso smottamenti e frane. C’è pericolo che venga giù tutto! Dobbiamo andare a parlare con quei signori là, che si scelgano un altro posto e ci lascino in pace!.»
Nane si fece promotore di un comitato contro la realizzazione della diga, ma il suo generoso e schietto tentativo di evitare che il progetto fosse realizzato fu vano. Quelli della SADE ci sapevano fare con le parole.
Quattrocento nuovi posti di lavoro, la necessità crescente di energia elettrica per sostenere le aziende in pieno boom economico, convinsero gli abitanti dei paesi della vallata Erto, Casso e Longarone dell’importanza del progetto. 
Così i montanari della valle, in nome del progresso e di un progetto che in qualche modo li rendeva fieri di esserne protagonisti, lasciarono le loro secolari attività per entrare in servizio come operai della SADE. Ben presto, le loro case e le loro terre furono espropriate in cambio di pochi soldi e duro lavoro.
Rasserenati dai risultati sbandierati dagli esperti circa la certificata idoneità e sicurezza del luogo, colsero quell’opportunità di lavoro ben sapendo che il “Toc”, la loro montagna, dava segni preoccupanti di instabilità.
Eppure nell’aria si avvertiva qualcosa di sinistro. Vecchie leggende popolari predicevano che il paese di Erto, dopo aver vissuto anni di prosperità, sarebbe sparito nelle profondità di un lago. 
Anche Nane, carbonaio da generazioni, alla fine dovette piegarsi per portare il pane a casa e, in breve tempo, divenne un efficiente e affidabile manovale. 
Luigi, il suo caposquadra, comprese al volo che la sua serietà e la sua conoscenza della montagna erano preziose. E poi “il Nane” era molto rispettato dai suoi compagni e, per questo, teneva in gran considerazione le sue opinioni e lo sorvegliava in modo speciale.
Nane, aveva notato quella “ferita” nella montagna ed era veramente preoccupato. Così si sentì in dovere di allertare il suo caposquadra:
«Luigi, la vedi quella spaccatura là?» disse indicando la fenditura. «Sembra che stia per staccarsi un pezzo di parete. Sarebbe un disastro se finisse dentro al lago... Dobbiamo fare subito qualcosa!»
«Stai tranquillo Nane, e non farti vedere così agitato dagli altri! Non c’è motivo di preoccuparsi, è tutto sotto controllo.»
«Non voglio mettere in dubbio che sappiate quello che c’è da fare. Io non ho studiato come voi, ma conosco il Toc e ho paura. Bisognerebbe almeno avvisare la gente giù in paese.»
«Nane, dammi ascolto, ti prego!  Queste preoccupazioni tienile per te se hai caro questo lavoro. Ai padroni non piacciono quelli che creano problemi. Se metti in allarme i tuoi compagni diffondendo notizie che possono generare il panico, rischi di essere licenziato e io ci tengo troppo a te. Sai come è andata a finire con Gino... Amico mio, fidati, quelli hanno pensato a tutto, nessuno correrà dei rischi.»
Gino era stato “sbattuto fuori” per molto meno. Il caposquadra lo aveva sorpreso mentre sobillava i suoi compagni a chiedere un aumento. Gli operai facevano un lavoro pericoloso, sottopagato e avrebbero potuto creare problemi in cantiere. Così fu deciso di stroncare sul nascere qualsiasi forma di ribellione, punendola in modo esemplare. 
Nane in quell’occasione non fu ascoltato, anzi gli fu intimato di tenere la bocca chiusa: erano troppi gli interessi in gioco. 
Era stata una bella giornata di sole quel 9 ottobre, una di quelle splendide giornate autunnali che a volte capitano in montagna. La serata prometteva bene: una buona grappa da condividere con gli amici e lo sport che li avrebbe visti scommettere e discutere per ore nei giorni successivi. 
La partita iniziò alle 21,30, ma alle 22,39 saltò la luce e, preceduto da un fragore assordante, il buio improvvisamente inghiottì la valle. 
Nane, nonostante la sua stazza, fu risucchiato in aria come una foglia al vento e sbattuto poi a terra diversi metri più avanti. Miracolosamente illeso, si trovò praticamente nudo, sommerso dal fango e dai detriti. Nelle orecchie risuonava ancora l’eco del tremendo boato; realizzò di non poter aprire la bocca tanto era impastata dalla melma. La mano destra sanguinava a causa delle ferite provocategli dal bicchiere che stringeva. Non riusciva a vedere e a sentire nulla: intorno a lui solo buio e silenzio, odore di marciume e di morte.
Nel rialzarsi percepì sotto i  piedi la presenza di un corpo. Il pensiero corse veloce verso la sua Enrica, verso suo figlio. Col terrore nel cuore capì: il Toc, si era ripreso tutto quanto.
Camminò stordito tra corpi nudi ai quali i vestiti erano stati strappati via dal vento generatosi con l’onda d’urto, calpestando pezzi di arti che emergevano qua e là dalla fanghiglia. Non riusciva a riconoscere nessuno. Deglutì il fango e appena riuscì ad articolare dei suoni, cercò di chiamare i suoi compagni, ma non ottenne risposte.
I pochi sopravvissuti, coperti di fango, camminavano barcollando, sperduti; con gli sguardi attoniti, increduli, asciutti di lacrime; i loro corpi emanavano un fetore di paura che ammorbava l’aria.
Nane perse tutto quella sera, tutto tranne la propria vita.
Sorretto dalla speranza di poter riabbracciare un giorno sua moglie e suo figlio, continuò instancabilmente per settimane a scavare nel fango, aiutando i soccorritori a liberare dalle macerie un numero indefinito di corpi. 
Provò una gioia incontenibile quando, dopo alcuni giorni, aiutò ad estrarre, ancora vivo dai detriti il piccolo Pietro, figlio di un compagno di lavoro che era insieme a lui a guardare la partita quella maledetta sera e che non era sopravvissuto. Fortunatamente, anche la madre si era salvata e quindi non sarebbe rimasto orfano. Ma questi, purtroppo, si rivelarono veri e propri miracoli. 
Nane, il gigante buono, non riuscì mai a ritrovare i corpi dei propri familiari. Furono dichiarati “dispersi” sotto la montagna di fango e detriti insieme ad altre centinaia di persone di cui non si avrebbero mai più avute notizie.
Per questo decise di rimanere per sempre lì, insieme a loro, nella sua montagna. 
Quella terra, che ora custodiva i resti della sua famiglia, era l’unico luogo in cui avrebbe potuto continuare a vivere e sperare e dunque non l’avrebbe mai abbandonata.
Accanto alla piccola baita che riuscì a costruire con caparbietà contro il parere di tutti, piantò due alberi: uno per Enrica, sua moglie e uno per Mauro, suo figlio. Nel suo cuore coltivava speranza di vederli tornare un giorno, vivi, da lui.  
Quegli alberi divennero la sua famiglia. Parlava con loro, a loro confidava i suoi dolori e le sue speranze. 
Quelli del paese lo soprannominarono, affettuosamente, “Nane del Toc”, per sottolineare la sua totale appartenenza alla montagna. 
Nane trascorse il resto dei suoi anni in quella vana attesa vivendo come un eremita, parlando più con suoi amati alberi che con gli uomini. Per guadagnarsi da vivere intagliava con maestria mestoli e ciotole di legno che, giù in paese, venivano venduti ai turisti della valle del Vajont.
Quando morì, fu deciso di piantare un albero in più accanto alla quella piccola baita.
Oggi i tre alberi Enrica, Mauro e Nane sono testimoni viventi di quella triste vicenda.


Ultima modifica di Petunia il Ven Gen 29, 2021 10:07 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio Da Vittorio Veneto Ven Gen 08, 2021 10:12 am

"Nane del Toc". Vi era qualcosa di familiare in questo titolo. Poi sono bastate le prime righe di questo eccellente racconto (o testimonianza?) per ritrovare il monte Toc, la diga del Vajont e tutto quello che la mia vista di ragazzino poteva catturare di quei posti e di quella terribile storia così "vicino" a Vittorio Veneto. Dove andavo in vacanza, ve lo raccontavo nella mia presentazione, per tante estati.
Grazie Petunia per la vividezza e delicatezza del tuo racconto. Ma anche tu sei di quelle parti?
Buona giornata
Claudio
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Messaggio Da Petunia Ven Gen 08, 2021 10:40 am

Grazie Vittorio. No, sono toscana. Avevo scritto questo racconto per Ink, un contest sps. Stroncato in larga parte e giustamente. Ho corretto il tiro e l’ho praticamente dimezzato. Questo racconto è arrivato secondo in due diversi concorsi e ci sono affezionata. È la migliore testimonianza che “lavorare insieme” e ottenere feedback costruttivi è un grande dono.
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Messaggio Da Solenebbia Ven Gen 08, 2021 7:22 pm

Pezzo splendido. Ho letto che ci hai lavorato molto, e ora ne raccoglie i frutti. Sembra quasi una testimonianza, ma poi ho visto che sei toscana. Vero, reale, ho vissuto la sofferenza con Nane, ho assaggiato la melma con lui, insomma un gran bel racconto. Lo farò leggere a  mio martio dove, purtroppo, ha perso dei suoi parenti. Alcune settimane fa alla tv hanno mandato in onda un documentario della vita  del paese e del perchè la diga si è, prima spostata, poi spaccata. Di nuovo complimenti.
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Messaggio Da GENOVEFFA FRAU Ven Gen 08, 2021 7:43 pm

Pezzo importante e veritiero, una tragedia senza precedenti che hai raccontato in modo eccellente, quei tre alberi una testimonianza di sacrificio e fedeltà alla terra d'appartenenza.
Complimenti Pet!
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Messaggio Da Petunia Ven Gen 08, 2021 8:09 pm

Grazie Sole e grazie Gen! Sì, ci ho lavorato parecchio e ho sempre avuto un po’ di “pudore” perché non essendo del luogo non volevo essere offensiva in alcun modo dei sentimenti di chi quella tragedia l’ha vissuta direttamente o a causa della perdita di familiari o persone care. 
È bene ricordare ed è bene fare tesoro delle esperienze. Purtroppo non ė mai abbastanza e si continua a immolare la sicurezza e la vita della gente sull’altare degli interessi economici.
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Messaggio Da Arianna 2016 Ven Gen 08, 2021 11:38 pm

Ciao Petunia.
Ricordavo il titolo del racconto, ma non ricordavo fosse tuo né per quale step di Ink tu lo abbia presentato. Non ricordo nemmeno come io lo abbia commentato a suo tempo, ma questa versione direi che funziona bene.
Intanto, la scrittura è fluida, piacevole, pulita, corretta (c'è solo qualche virgola che sistemerei).
C'è un buon equilibrio tra le parti della narrazione. Tutto si concatena bene.
Non è un racconto che cerchi "l'effetto", direi che invece punta a sentimenti più profondi e sotterranei: racconti eventi molto drammatici, ma senza cercare una forzata drammaticità espressiva.
Mi sembra che questo rispecchi in generale il tuo modo di scrivere, sempre quasi "luminoso".
Qui, certamente, c'è coinvolgimento emotivo, in modo particolare nella seconda parte del racconto e specialmente nella parte finale, nella storia degli alberi, davvero commovente.
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Messaggio Da Petunia Sab Gen 09, 2021 12:35 am

Grazie Arianna, mi fa piacere il tuo giudizio 🤗
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Messaggio Da mirella Sab Gen 09, 2021 7:54 am

Mi piacciono i racconti di qualsiasi genere, tuttavia prediligo quelli che si ispirano a eventi realmente accaduti, anche se drammatici e tristi come questo.
 
La tragedia del Vajont nel 1963 fa da scenario alla storia di Nane del Toc, vittima, tra le tante, di comportamenti umani sbagliati che sfidano la Natura, violentandola.  La costruzione della diga dà lavoro, ma – dice Nane “ La montagna non vuole.”
È l’eterno dilemma: lavoro/salute, tema difficile, purtroppo ancora attuale, perfino in piena epidemia Covid si cerca di conciliare le ragioni dell’economia con la prevenzione del contagio.
Ieri, nel parcheggio davanti all’ospedale del Mare di Napoli s’è aperta una voragine di 2000mq; sono cose che possono capitare, dovute alle infiltrazioni d’acqua nei vuoti del sottosuolo, in presenza di masse di cemento elevate sopra. Questa volta non ci sono state vittime, ma l’ospedale è stato evacuato; i disagi si possono immaginare.
 Il tuo racconto, Petunia, ha una marcia in più: fa riflettere. La scrittura è fluida e corretta, il protagonista ben caratterizzato e attraverso la sua tragedia personale si rievoca un dramma collettivo.

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Messaggio Da Ospite Sab Gen 09, 2021 10:01 am

Ciao Pet, hai avvolto la storia nella storia e la storia è tragica e commovente... Mi hai fatto rivivere il Vajont come l'ho vissuto tante volte. Mi rimase impressa la mia prima volata sul monte Toc, quando inconsapevole scavalcai la recinzione e cominciai a camminare sulla frana che è scivolata nel lago in quella sera d'ottobre del 1963 fino ad arrivare a toccare l'anello di sbarramento della diga. Durante la risalita trovai una piccola roccia grigia con sfumatura particolari, la raccolsi e la tenni fino a quando non arrivai alla sala manovre della diga dove c'è il piccolo museo con i nomi degli operai morti... mi accorsi che quella pietra aveva in sé l'anima della tragedia e che il suo cuore pulsava con quello dei morti... La depositai in terra con cura, essa apparteneva a i luoghi, alla tragedia. La diga ora è un santuario di dolore e di memoria e gli eventi tragici dovuti alla perfidia e al gusto del denaro e del potere non devono mai essere accettati e concepiti. Costruire quella diga fu un errore umano dovuto alla disumanità e alla stoltezza, il nome del monte parlava da solo e una serie di eventi concatenati scatenarono una immane tragedia. L'ingegner Semenza, progettista e costruttore, non ascoltò nemmeno la relazione del giovane figlio geologo che metteva in luce l'aspetto franoso del monte e la non sicurezza. La società SADE doveva portare a termine e vendere la diga alla neonata ENEL e nessuno poteva fermare il progetto, quella era tra le dighe più alte del mondo... un vanto. Nei mesi precedenti l'accaduto diverse frane nelle dighe vicine e sullo stesso Vajont avevano messo in allarme e seguendo indicazioni sbagliate il direttore della diga che era succeduto a Semenza aveva ordinato di svasare la diga e di portarla a un livello di sicurezza presunto secondo i parametri elaborati dall'università di Padova. Quello fu il meccanismo della tragedia: se prima l'acqua faceva da tappo alla fascia d'argilla che duecento metri sotto la superfice del Toc teneva ferma la frana preistorica che formava il Toc, una volta diminuito il livello del lago essa lentamente fece scivolare l'enorme fetta dentro. La frana preistorica poggiava su un piano argilloso e viscido. La sera del 9 ottobre tutto scivolò con una velocità non prevista all'interno del lago provocando un onda tricuspide alta più di duecento metri che salì sù colpendo dalla parte opposta i paesi di Erto e Casso, Erto in parte si salvò essendo protetto da uno spuntone roccioso, l'onda principale ricadde su se stessa e saltò la diga tuffandosi nella valle del Piave. L'onda d'urto causata dallo spostamento della grande massa d'acqua fu spaventosa e rase già al suolo molte case. Questa massa d'acqua causò alla base del canyon del Vajont un buco di trenta metri di profondità sul suolo per poi travolgere tutto il paese di Longarone risparmiando solo alcune case periferiche che erano più in alto. Duemila furono le vittime e forse anche più, molti corpi non furono più ritrovati. Tanti furono i risvolti di questa tragedia e non poche le ripercussioni sui superstiti che ancor oggi pagano dazio a quell'evento. Incredibile fu la storia dell'attuale presidente dei comitato sopravvissuti, Micaela Coletti, con cui ho avuto uno scambio di mail. L'allora ragazza Micaela, fu trascinata dall'onda racchiusa dentro il materasso su cui dormiva e trasportata a "cavallo" per centinaia di metri, fu salvata al mattino sepolta nel fango. Il suo dolore supera ogni confine, perse i genitori e si ritrovò senza aver nulla dalla Stato. I giornali dell'epoca la definirono la "ragazza che cavalcò l'onda". Andando sui luoghi si respira tutto l'evento e la sua tragicità e chi va a far gite per divertimento in quei luoghi non comprende la portata di ciò che accadde non avendo nessun rispetto per i tanti morti e per le "vittime" che ne seguirono. La magistratura fece il suo corso ma alla fine ben poche furono le colpe. Tra i dirigenti l'ingegner Pacini si suicidò e altri se la cavarono con "nulla". 
Grazie Pet per aver ricordato quell'evento che segna ancora oggi la società italiana.

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Messaggio Da Petunia Sab Gen 09, 2021 11:31 am

Mirella grazie del passaggio e il sensibile commento che riassume e amplia tutto quanto ho cercato trasmettere.🌺
Gian il tuo commento è un vero regalo per tutti. Grazie per aver condiviso e per il racconto della tua esperienza. Grazie anche per l’unico bel voto che raccolsi all’epoca di INK. In controtendenza con tutti, mi assegnasti i cinque punti. Un abbraccio 🤗
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Messaggio Da gemma vitali Sab Gen 09, 2021 2:02 pm

Letto con vero piacere questo tuo racconto. Non ho partecipato a INK quindi lo leggo per la prima volta e ne sono conquistata. C ' è tanta umanità, tanto dolore e tutto è raccontato cpn uno stile sobrio, senza eccessi.
La smania dell' uomo di fare grande cose ha sempre portato a errori e tragedie. Ho visto un film sul Vajont che racconta questa triste storie. Il tuo bel racconto è una testimonianza importante, non bisogna dimenticare e gli alberi ci ricordano che la natura può rinascere, ma bisogna rispettarla.
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Messaggio Da Petunia Sab Gen 09, 2021 2:51 pm

Grazie Gemma🌺
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Messaggio Da Arunachala Dom Gen 10, 2021 8:17 am

beh, devo dire che rispetto al pezzo presentato a suo tempo c'è di mezzo un abisso.
hai asciugato, modificato qualcosa, cambiato alcune frasi e il risultato lo definirei ottimale.
i personaggi mostrano alla perfezione il carattere, le descrizioni sono molto buone.
complimenti, petunia

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Messaggio Da Petunia Dom Gen 10, 2021 10:28 am

Grazie Arunachala. Questa è la dimostrazione che accogliere i suggerimenti e le “bacchettate” con il desiderio di migliorare, porta davvero a progredire. Si può sempre fare molto meglio, ma sono comunque soddisfatta. Soprattuto del fatto di aver reagito con positività a critiche molto dure che, al tempo, mi hanno fatto stare male.
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Messaggio Da Arunachala Dom Gen 10, 2021 10:39 am

Petunia ha scritto:Grazie Arunachala. Questa è la dimostrazione che accogliere i suggerimenti e le “bacchettate” con il desiderio di migliorare, porta davvero a progredire. Si può sempre fare molto meglio, ma sono comunque soddisfatta. Soprattuto del fatto di aver reagito con positività a critiche molto dure che, al tempo, mi hanno fatto stare male.
capiso benissimo cosa intendi, ci sono passato pure io
e ci passo ancora...
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Messaggio Da Achillu Dom Gen 10, 2021 11:58 am

Al tempo di INK paragonai impietosamente il tuo pezzo all'orazione civica di Paolini, perché la struttura che avevi usato la ricordava fin troppo. Aggiunsi che la parte di Nane mi piacque, bisognava tagliare la cronaca perché (purtroppo) ben conosciuta da chi legge e non ha voglia (mai) di rileggerla.

Hai fatto un ottimo lavoro. Paolini ora è un ricordo pallido ed è rimasta solo l'essenza vera del tuo lavoro. Brava.

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Messaggio Da Byron.RN Dom Gen 10, 2021 11:59 am

Ciao Pet,

ricordavo questa tua storia, perché è una vicenda che mi ha sempre colpito. Conservo su un file tutte le classifiche di Sps, le mie personali e quelle ufficiali: nell'occasione ti avevo messo in settima posizione, quasi a ridosso dei podio.
Ricordo che all'epoca il testo era molto più corposo, con lunghe parti raccontate e descrittive che talvolta rallentavano il lettore. Con questa revisione sei riuscita a rendere l'opera più snella e più omogenea. Anche se la parte raccontata continua a prevalere sui dialoghi, mi pare che il racconto abbia raggiunto un suo equilibrio.  
Per farti le pulci ti segnalo questa parte:Giovanni, detto “Nane”, alla fine degli anni cinquanta, era un giovane uomo figlio della guerra. Nato a Erto nel 1933, non aveva mai lasciato il suo paese; la grande montagna era per lui madre, padre, datore di lavoro e perfino il suo Dio. Dei suoi monti, amava ogni pietra e conosceva ogni sentiero, ogni albero, ogni animale. 
Suo padre era stato un carbonaio e gli aveva insegnato l’arte di trasformare il legname di faggio e carpino di cui la zona era molto ricca, in carbone. Era un lavoro molto duro che aveva imparato ad amare e che avrebbe tramandato a suo figlio Mauro una volta cresciuto, ma all’epoca dei fatti aveva solo tre anni e doveva lasciarlo ancora con la mamma. 
Questa è l'unica parte che non mi convince appieno, perché spezza troppo l'atmosfera. Sin dall'inizio siamo proiettati dentro la storia, col rombo e l'incubo della montagna. Quelle note per descriverci un pò meglio il personaggio secondo me avresti potuto benissimo non metterle, tanto non dicono molto di più alla narrazione. Quelle indicazioni sul fatto che Nane conoscesse bene la montagna avresti potuto inserirle poi anche più avanti, nelle parti successive. 
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Messaggio Da Petunia Dom Gen 10, 2021 12:37 pm

Grazie Achillu! Il tuo, in effetti, fu uno dei commenti che mi ferirono di più anche perché (e non ne vado fiera) non conoscevo affatto chi fosse Paolini. Dopo il tuo commento mi sono adeguatamente informata e ho capito cosa intendevi dire. Ma nell’immediato...  se oggi Nane è così è larg@mente per merito tuo. 
Sallo! 🤗

Sì Byron, concordo con quello che dici. Affinerò ancora. Pork in Worgress come dice il Boss
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Messaggio Da tontonlino Ven Gen 29, 2021 8:55 pm

Il racconto sembra ben documentato, cosa che non posso che apprezzare. Un secondo pregio è sicuramente il coinvolgimento emotivo. La narrazione di catastrofi di questa portata ci tocca tutti, da nord a sud dell'Italia, e ci porta a riflettere sui disastri provocati direttamente o indirettamente dall'incuria umana anche nelle nostre regioni.
E ora un po' di editing:


  • All’improvviso un vento improbabile aveva schiaffeggiato la vallata

Dopo “all'improvviso” si dovrebbe mettere la virgola in quanto il complemento è stato spostato a inizio frase.


  • nel secondo paragrafo usi due volte “quella sera” a distanza ravvicinata. Dopo la seconda volta dovresti mettere la virgola.
  • i soldi per comprarla una televisione; mettere la virgola dopo “comprarla”.
  • non era obbligato ad accettare, non era così male: togliere la virgola dopo “accettare”.
  • Alla fine degli anni cinquanta: anni Cinquanta con la maiuscola
  • la sua forza e la sua generosità, ne avevano fatto un leader naturale. Togliere la virgola dopo “ne”
  • ma il suo generoso e schietto tentativo di evitare che il progetto fosse realizzato, fu vano. Togliere la virgola
  • Ben presto le loro case e le loro terre furono espropriate. Anche qui si dovrebbe mettere la virgola dopo “ben presto”.
  • E poi “il Nane”  era molto rispettato. Togliere lo spazio dopo “il Nane”.
  • disse indicando la fenditura: mettere il punto dopo “fenditura”.
  • dobbiamo fare subito qualcosa!» Qui suggerisco di mettere la maiuscola a “dobbiamo”, vedi tu. Per quanto riguarda la punteggiatura usata con le virgolette credo che l'omissione del punto finale dopo le virgolette di chiusura abbia una sua logica perché abbiamo all'interno il punto esclamativo. Solo che si deve utilizzare lo stesso criterio in tutto l racconto. Più su leggiamo: “...che si scelgano un altro posto e ci lascino in pace!».
  • Bisognerebbe almeno avvisare la gente giù in paese» mettere il punto
  • La  mano destra sanguinava a causa delle ferite provocategli dal bicchiere che stringeva tra le mani . Togliere gli spazzi prima di “mano” e dopo “mani”. Toglierei la parte finale della frase: la mano destra sanguinava a causa delle ferite provocategli dal bicchiere che stringeva.
  • Quella terra che ora custodiva i resti della sua famiglia, era l’unico luogo in cui avrebbe potuto continuare a vivere e sperare e dunque non l’avrebbe mai abbandonata. Togliere la virgola prima di “era (oppure aggiungerla dopo "terra").
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Messaggio Da Petunia Ven Gen 29, 2021 9:56 pm

Grazie Ton! Provvedo a fare le correzioni. Davvero grazie 🙏 
Fatto!
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