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GEREMIA E LA REGINA DEGLI AMENURI

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Messaggio Da Byron.RN Dom Feb 14, 2021 4:20 pm

https://www.differentales.org/t272-la-famiglia:

Tanto tempo fa, in una terra lontana e selvaggia, viveva un contadino di nome Geremia.
Geremia abitava in una povera casetta di legno assieme alla bella moglie e alle due figlie. I quattro conducevano una vita grama e modesta, accontentandosi di quel poco che la terra offriva loro.
Il terreno su cui Geremia si spaccava ogni santo giorno la schiena infatti non era per nulla generoso, gelato dal freddo nella brutta stagione e seccato dal sole in quella più calda. Ma tant'è, così erano sempre state le cose, che Geremia oramai ci aveva fatto il callo.
Una bella mattina di primavera però Geremia incontrò al mercato Barnaba, un suo vecchio amico.
Tale fu la sorpresa di Geremia nel vedere l'amico che rimase a bocca aperta per un tempo che a lui parve infinito. Lo stupore era dovuto al fatto che Barnaba era vestito in modo molto elegante e trasportava su un carretto un numero infinito di frutti e ortaggi.
Barnaba si avvicinò all'amico e lo salutò con calore.
«Geremia, amico mio, quanto tempo! Come ti vanno gli affari?»
Geremia confrontò il carretto di Barnaba traboccante di patate, carciofi, fave, zucchine, carote, albicocche, ciliegie, fragole ed ogni altro ben di Dio, col suo, semivuoto, in cui facevano bella mostra lattughe e rape dall'aspetto malaticcio e poco invitante.
«Non bene amico mio, non bene. Ogni anno che passa la terra sembra diventare sempre più arida e i raccolti sempre più miseri. Ma questo non sembra valere per te. La tua mercanzia pare di ottima qualità, ed anche il tuo abbigliamento è notevolmente migliorato.»
«In effetti le cose mi stanno andando proprio bene nell'ultimo periodo. Non mi posso lamentare.»
«Sono davvero contento per te Barnaba. Vorrei tanto poter dire la stessa cosa anche io.»
Geremia tese la mano all'amico, con un gran sorriso stampato sul viso. I suoi
occhi non tradivano invidia o gelosia, tutt'altro. Geremia era veramente felice per la fortuna che aveva toccato così inaspettatamente Barnaba.
Si era oramai incamminato lungo la via principale del mercato, col suo triste carico al seguito, quando udì la voce dell'amico che lo richiamava a sé.
Erano amici da tanto tempo e Barnaba pensò che poteva condividere il suo segreto con Geremia.
«Geremia, se ti va, dopo il mercato, ci possiamo vedere all'osteria del paese e scolarci una bottiglia di vino come facevamo ai vecchi tempi.»
«Mi piacerebbe Barnaba, ma non ho soldi e dubito di riuscire a vendere qualcosa oggi.»
«Non preoccuparti del denaro, offro io. Vediamoci là finito il mercato. Ho una cosa importante da dirti.»
E così, dopo il mercato, i due amici si incontrarono alla bettola del paese, dove passarono qualche ora spensierata a bere e a ricordare il passato.
A un certo punto Barnaba si fece improvvisamente serio e si avvicinò all'amico.
«Geremia, amico mio, vista l'amicizia che ci lega da tanti anni, ho deciso di dividere il mio segreto con te. Promettimi solo di non rivelarlo a nessuno.»
«Te lo prometto Barnaba, ma di cosa si tratta?»
«Voglio raccontarti come ha avuto inizio la mia fortuna.»
Così Barnaba cominciò a raccontare per filo e per segno ciò che gli era successo. Disse che anche lui sino a pochi giorni fa se la passava davvero male e che una mattina, preso dalla disperazione, si era recato alle Paludi Della Sofferenza per porre fine alla propria infelicità. Proprio mentre aveva preso coraggio ed era pronto ad abbandonarsi nelle sabbie mobili, la sua attenzione era stata attirata da uno strano suono. All'inizio sembrava un sommesso gracidare, poi si era trasformato in un canto melodioso. Barnaba aveva seguito come ipnotizzato la melodia e senza sapere come si era ritrovato al cospetto di strane e bizzarre creature che avevano migliorato la sua vita in cambio di una piccola concessione.
Il mattino seguente Geremia salutò moglie e figlie e s'incamminò in direzione delle paludi.
Ogni passo era uno sbadiglio, perché il racconto di Barnaba non gli aveva fatto chiudere occhio. Tutta notte aveva pensato a quelle strane creature canterine capaci di esaudire i desideri della gente.
Cammina cammina alla fine Geremia si ritrovò alle Paludi Della Sofferenza che era già mezzogiorno inoltrato.
Camminò nel fango sino al punto delle sabbie mobili che gli aveva indicato Barnaba, poi restò in ascolto. Tutto era silenzio. Nessun suono e nessuna voce solcavano l'aria. Geremia urlò, fischiò, pestò i piedi nel fango cercando di attirare l'attenzione di qualcuno, ma niente.
Preso dalla rabbia e dalla disperazione, si sedette sul tronco spezzato di un albero che giaceva nella melma e cominciò a piangere.
«Povero me, tante ore di viaggio e tutto è stato inutile. Nulla cambierà nella mia vita e tutto continuerà ad andare per il peggio. Tanto vale abbandonarmi nel fango e lasciarmi morire.»
Appena pronunciò quelle parole Geremia cominciò a sentire un suono.
Come gli aveva raccontato Barnaba, all'inizio sentì uno sgradevole gracidio, che via via andò trasformandosi in un vero e proprio canto. Geremia si alzò dal tronco e seguì la musica.
Camminò qualche minuto, poi si accorse che il terreno su cui procedeva si era fatto meno melmoso. Fece pochi passi ancora e si ritrovò in prossimità di un acquitrino tappezzato da foglie di loto.
Ed eccoli là, sopra le foglie degli strani esseri dal corpo di rana e la testa di pesce gatto stavano dando vita ad un vero e proprio concerto.
C'erano creature dalla pelle verde, gialla, rossa, marrone, blu, arancione, a strisce, a pallini, di tutti i colori insomma.
E ognuno era impegnato a suonare il proprio strumento, chi l'arpa, chi il liuto, chi il flauto e via dicendo.
Ma lo spettacolo principale era rappresentato dalla regina di quelle creature. Al centro dell'acquitrino, sulla foglia più grande di tutte, seduta sul trono e con tanto di corona, era intenta a cantare con una voce a dir poco angelica. A rendere ancora più suggestivo il tutto poi era la livrea di quell'essere regale, contenente tutti i colori dell'arcobaleno.
Quando la regina smise di cantare e i componenti del complesso si misero in posizione di attesa, Geremia non riuscì a trattenere l'entusiasmo e cominciò a battere le mani.
La regina quindi si alzò dal trono e si rivolse all'uomo che stava ancora applaudendo con calore.
«Benvenuto nelle Paludi Della Sofferenza straniero. Qual è il tuo nome?»
«Il mio nome è Geremia maestà.»
«Bene Geremia, io sono Fibel, regina degli Amenuri. Cosa ti porta nel nostro regno?»
«Ho bisogno del vostro aiuto maestà. Il mio campo è sempre più arido e oramai non riesce a produrre quasi niente. Sono disperato, da qui a qualche tempo io e la mia famiglia non riusciremo ad avere neppure il minimo indispensabile per vivere.»
«Se è questo il tuo problema io posso aiutarti. Tu vuoi che la tua terra produca frutti in abbondanza, per te e per la tua discendenza giusto?»
«Si maestà, proprio così.»
«Bene, esaudire il tuo desiderio per me è facile, ma in cambio ho bisogno di qualcosa che ti appartiene.»
«Che cosa maestà?»
«Devi lasciarmi in dono uno dei piccoli piaceri che danno senso alla tua esistenza. Solo uno.»
«Tutto qua?»
«Certo Geremia, tutto qua. Ma ricorda che se accetterai lo scambio, oltre alla tua disperazione dovrai dire addio per sempre ad un pezzo della tua vita.
«Maestà, un sacrificio del genere per una vita serena senza più preoccupazioni è ben poca cosa, ma in tutta sincerità non saprei proprio cosa donarle. Di piaceri, in un'esistenza umile come la mia, faccio fatica a trovarne.»
«Non ti preoccupare Geremia, lascia fare a me. Nel cuore di ogni persona, anche la più derelitta, albergano piccoli frammenti di gioia.»
E così dicendo la regina Fibel saltò fuori dall'acquitrino ed andò a posarsi sulla spalla di Geremia.
Ad un suo cenno l'orchestra ricominciò a suonare e lei iniziò ad espandere nuovamente il suo canto melodioso.
Geremia era in pace con sé stesso, cullato da quella dolce armonia.
Nel frattempo mentre cantava Fibel riusciva a leggere dentro al cuore e alla mente dell'uomo. Osservava quei piccoli coriandoli di felicità che ogni essere dà per scontati: i riti quotidiani con la propria moglie, le tenerezze con i figli, il piacere di un bel sonno ristoratore dopo una dura giornata di lavoro, oppure la meravigliosa semplicità di una passeggiata nei boschi.
Quando la musica cessò e Geremia si riprese da quel dolce torpore, Fibel saltò nuovamente sulla sua foglia di loto e riprendendo posto sul trono in miniatura si rivolse nuovamente all'uomo che era al suo cospetto.
«Geremia, se potessi vedere coi tuoi occhi ciò che ho visto io, rimarresti sorpreso di quanto ricca sia la tua vita. Troppe cose vengono date per scontate da voi umani, ma così sempre è stato e sempre sarà.»
Il contadino a quelle parole si limitò ad annuire con la testa, chiedendosi se la regina Fibel non lo stesse canzonando.
«Tra tutte le piccole meraviglie che avevi nascoste nel cuore una mi ha colpito più di tutte e vorrei che fosse mia.»
«Di cosa si tratta maestà?»
«Di quel bacio che tu e tua moglie vi scambiate ogni mattina, quando tu esci per andare a lavorare la terra.»
Geremia ci pensò un poco su, poi superficialmente si disse che quello era un piccolo sacrificio che poteva tranquillamente sopportare. E poi i baci non servivano a riempirti la pancia quando si aveva fame.
«D'accordo maestà. Per me lo scambio si può fare.»
Così Fibel si impossessò di quella piccola parte della vita di Geremia, e in cambio gli consegnò un'ampolla contenente l'acqua di quello stagno.
Geremia avrebbe dovuto soltanto rompere quella boccetta sul suo campo, e come d'incantò la terra avrebbe cominciato ad essere la più fertile del paese.
Salutata Fibel, Geremia s'incamminò verso casa. Giunse a destinazione che il sole era già tramontato, e prima di riabbracciare la moglie frantumò sul terreno secco l'ampollina che gli aveva dato la regina degli Amenuri.
Il mattino seguente(tanta era l'eccitazione di verificare se la magia di Fibel avesse funzionato)Geremia uscì di casa senza degnare di uno sguardo la moglie e si mise subito al lavoro.
Cominciò a zappare e vangare senza sosta, affondando senza fatica le lame in un terreno tenero e friabile, a seminare ed innaffiare. In tutta la sua vita mai aveva dovuto affrontare una terra così arrendevole!
I giorni successivi continuò a sgobbare con lo stesso entusiasmo e già il quinto giorno di lavoro la terra, magicamente, cominciò a generare i primi frutti.
Passata la prima settimana però, l'entusiasmo iniziale dovuto alla novità, cominciò a scemare in Geremia. Era sì contento, ma la nuova situazione oramai sperimentata era data come qualcosa di acquisito.
Più che altro cominciò a sentire la mancanza di qualcosa, quella semplice abitudine quotidiana con la moglie che gli aveva sempre fornito la giusta dose di energia per cominciare bene la giornata.
Incurante della concessione fatta a Fibel i giorni seguenti cercò di baciare l'adorata moglie prima di uscire nel campo, ma inevitabilmente c'era sempre qualcosa ad impedirlo.
Una volta la bocca si staccava dal viso della moglie per andare a nascondersi sotto il letto. Un'altra ancora quelle labbra si trasformavano in un ghigno mostruoso, formato da labbra purulente e da denti storti.
Altre volte invece accadeva semplicemente che la bocca che aveva baciato tutte le mattine per tanti anni scompariva, in modo che Geremia si trovasse a desiderare di baciare ciò che non c'era.
I mesi passarono e il campo di Geremia continuò a sfornare frutti ed ortaggi senza posa. Grazie a questo Geremia poté costruirsi una casa più grande e comprare dei mobili nuovi. E dei vestiti eleganti, per lui, la moglie e le figlie.
Un giorno al mercato Geremia incontrò nuovamente Barnaba.
I due si salutarono calorosamente come la volta precedente, ma i loro occhi erano meno gioiosi e vivaci. Nonostante i loro carretti di verdure fossero i più belli e i più colmi del mercato qualcosa sembrava non andare e non
parevano più gli stessi. Era come se avessero smarrito la loro identità.
Si diedero appuntamento alla solita osteria dopo il mercato e cominciarono a brindare ai vecchi tempi quando erano poveri ma felici.
Geremia confidò il problema che aveva con sua moglie la mattina, mentre Barnaba rivelò che da quando aveva incontrato la regina Fibel non gli era stato più possibile fumare la pipa prima di andare a dormire. Quello era il suo piccolo grande piacere. Dopo cena si sedeva sulla sua poltrona preferita, quella davanti alla finestra, e si rilassava fumando il suo tabacco favorito e pensando alla giornata appena trascorsa. Ma dopo quell'infausto baratto o era preda di attacchi di tosse, oppure i suoi occhi cominciavano a diventare tutti rossi fino a lacrimare copiosamente o si sentiva mancare il respiro. Insomma, se al mattino o il pomeriggio poteva fumare anche cinque sacchette di tabacco senza che nulla gli accadesse, la sera il solo odore del fumo lo faceva stare male.
Stavano per abbandonare il locale e tornare alle proprie case quando si accorsero che Eraldo, il fabbro del villaggio, dalla disperazione stava sbattendo i pugni sul tavolo dietro al loro.
Senza sapere veramente il perché si scambiarono un sorriso crudele e si sedettero al tavolo di Eraldo per consolarlo.
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Messaggio Da Ospite Dom Feb 14, 2021 5:29 pm

Sai, temo che questa volta il mio giudizio possa essere molto meno imparziale di altre volte perché non sopporto i racconti con questo genere di morale, secondo cui povero e frugale è sinonimo di felice e che il gioco non vale la candela. Davvero Geremia mi va in crisi esistenziale per un bacio, quando con poco sforzo ha salvato se stesso e tutte le generazioni future? Trovo che la morale di questo racconto fiabesco sia terribile: la felicità è nello status quo e non nel miglioramento delle proprie condizioni. Però è anche vero che, essendo la mia mentalità molto materialista, possa non aver colto altre sfumature di significato. In ogni caso, questa tua novella dai toni fiabeschi non mi dispiace: scorre piuttosto bene (magari evita di ripetere troppo volte il verbo "cammina"), ha un suo senso e le creature leggendarie che descrivi mi paiono originali. Una bella lettura.

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Messaggio Da Petunia Lun Feb 15, 2021 7:29 am

Anche a me è successo come Tom. È sparito il commento che avevo fatto a questo racconto... boh.
Comunque ti dico che questa bella fiaba mi ė proprio piaciuta. La parte che ho apprezzato un po’ meno è il finale perché ho immaginato che i due amici rivelassero al fabbro il loro segreto e che anche lui diventasse più ricco, ma infelice.
Ti suggerirei di modificare “ a pochi giorni fa se la“ in  “pochi giorni prima.”


A leggerci!
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Messaggio Da NovelleVesperiane Lun Feb 15, 2021 11:40 am

Ho apprezzato molto il linguaggio e gli elementi fantastici di questo racconto. La corete della regina si vede e si ascolta come se fossimo là, in mezzo al fango. 
Un po'meno mi è piaciuta la "pozione magica", ma ci sta bene con il contesto. 

Quanto alla morale, non la condivido pienamente, ma devo ammettere che arriva chiara e questa è la cosa, secondo me, importante. Sicuramente è una favola ben pensata e con un finale che soddisfa a pieno (forse più i grandi dei piccini, ma forse sottovalutiamo troppo i pargoletti lettori).

Che dire, non so se stiamo partecipando allo stesso concorso di Favole e Fiabe, ma in quel caso posso solo dirti che reputo questo elaborato un più che valido contendente.

A rileggerti!
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