Dalla scomparsa dei suoi due gemellini di quattro anni, Chris e Jodie, si era volontariamente rinchiusa nel suo castello di Rougemont. Nemmeno il marito Pierre, ricchissimo proprietario terriero con la passione per i cavalli da corsa, era riuscito a sottrarla alla tremenda depressione che aveva racchiuso la sua anima dilaniandola coi propri feroci artigli quando, quella maledetta vigilia di Natale, improvvisamente i bambini non erano più stati ritrovati.
Squadre di poliziotti e di dipendenti della coppia, avevano setacciato ogni stanza e anfratto del grande castello. Gli stessi boschi all’intorno erano stati tutti passati al pettine fino, anche con l’aiuto di cani molecolari fatti appositamente arrivare da Ginevra. Nulla! Le tracce si fermavano nel grande cortile antistante il massiccio portone d’uscita.
Tutte le luci e gli addobbi natalizi furono fatti sparire.
Helene si era rifugiata nella sua passione di pittrice, isolandosi in un’ala del castello dove aveva creato il suo atelier personale. Da lì non ne era più uscita. Consentiva solo l’entrata a Jeanette, una sua cameriera, per portarle il poco cibo e per le operazioni di pulizia. Nemmeno Pierre aveva diritto di visita. La cameriera riferiva giornalmente al padrone lo stato della signora. Il racconto era però sempre lo stesso. Quando otteneva il permesso d’entrare, la trovava intenta alla preparazione di uno dei suoi quadri. Delle composizioni astratte, create da vari materiali, sui quali Helene, che aveva sempre ricercato la “Forza Vitale”, sua criptica definizione, spalmava pennellate di colori, a volta vivaci a volta opachi, in funzione del suo stato d’animo. Jeanette aveva riferito d’aver notato moltissime tele appoggiate disordinatamente ai piedi delle pareti delle varie camere. I colori le erano sembrati abbastanza cupi ma ultimamente erano apparsi sprazzi di pittura più sgargiante e solare.
Forse Helene stava riprendendo a vivere.
A due anni esatti dalla scomparsa dei gemellini, la porta si era riaperta ed Helene, bellissima nel suo portamento algido da ex fotomodella, aveva nuovamente incontrato Pierre.
La sua prima richiesta era stata di permetterle di organizzare una presentazione delle sue recenti opere, nelle antiche scuderie del castello che, per l’occasione, avrebbero dovuto essere trasformate in galleria d’arte.
Nessuna parola sui figlioletti scomparsi né altra considerazione sul tempo passato, solo quella sua richiesta dettata quasi fosse un ordine.
Pierre promise che per il suo compleanno quel regalo sarebbe stato suo. Il ventinove di febbraio tutto era pronto. Le scuderie erano state rimesse a nuovo, le luci erano perfettamente posizionate e Roland, un famoso gallerista di Ginevra, si era occupato di far disporre alle pareti i grandi quadri della pittrice. Pierre, naturalmente non aveva badato a spese e tutto era perfetto. I meravigliosi cataloghi, dal titolo della mostra “Forza Vitale”, erano stati stampati in quadricromia e messi a disposizione del pubblico.
Il ventinove sera gli invitati, vestiti elegantemente con le signore impellicciate e ingioiellate, si presentarono puntualmente all’apertura del vernissage.
La splendida Helene, fasciata in un meraviglioso lungo abito nero dalla grande spaccatura che, ondeggiando, lasciava intravedere le sue lunghissime gambe, ricevette ogni ospite con un leggero sorriso sulle rosse labbra, in contrasto con l’insondabile profondità delle sue nere pupille.
Tra gli invitati, il sindaco del piccolo borgo, medico anatomopatologo in pensione e il comandante della Stazione di Gendarmeria che aveva coordinato le ricerche dei gemellini spariti, forte della sua precedente esperienza nei reparti investigativi della Polizia Federale. I due erano amici di lunga data ed era stato anche per quello che Raphaël, il capo gendarmi, aveva espressamente richiesto, quasi alla fine della sua carriera, di essere trasferito nel suo paesino originale di Chateau-d’Oex, dal quale Rougemont dipendeva.
La gente sciamava davanti alle pitture soffermandosi a volte su qualcuna per commentarla, cercando di comprenderne il significato dal titolo sotto l’esposizione.
Raphaël e Louis, l’amico sindaco, si trovarono subito d’accordo, malgrado la loro inesperienza pittorica, nel commentare alcune di esse come francamente impressionanti senza però riuscire a trasferire in parole l’emozione che si trovavano a subire.
Camerieri e cameriere, rigidamente abbigliati in nero e in guanti bianchi, facevano girare tra il pubblico, vassoi di gradevoli aperitivi e imperlati calici di champagne molto apprezzati dagli invitati.
Anche Raphaël e Louis si lasciarono tentare e ben presto s’accorsero di quanto fosse difficile procedere con entrambe le mani occupate da un crostino al caviale e un flute di bollicine.
Cercando un angolo più tranquillo, depositarono le loro coppe su di un tavolino ritrovandosi davanti al quadro denominato “Raggi”. Apparentemente costruito come gli altri, con vari tipi di cartone liscio e ondulato, titoli di giornale e scritte pubblicitarie, imprigionate da ampie pennellate di colore rosso, giallo e grigio, sembrava che dal suo centro scaturissero dei finissimi fili d’oro.
I due amici commentarono unanimemente sull’apparente somiglianza di quei raggi a dei biondi capelli.
Presi da una improvvisa curiosità ritornarono sui loro passi e sulla tela “Specchio dell’anima” scoprirono, ben incastonate al centro, quattro azzurre pupille, sommerse da un colore azzurro meno evidente.
Spostandosi verso “Pensieri”, non fu loro difficile constatare che, quelle che a prima vista erano sembrate pennellate grigie un po’ arzigogolate, erano senza alcun dubbio, soprattutto per Louis, delle volute, schiacciate sulla tela, di piccoli cervelli.
I due amici si lanciarono un rapido sguardo. L’orribile dubbio stava diventando certezza.
L’esame accurato di un quarto dipinto dal nome “Fortuna?” nascondeva il palmo di quattro piccole mani con la linea della vita ben evidenziata.
L’orrore ai loro occhi divenne manifesto.
Le tele contenevano i resti di Chris e Jodie!
La mamma aveva sacrificato i suoi piccoli, alla ricerca di quella “Forza Vitale”, con la quale, nella sua lucida follia, sperava di raggiungere la perfezione della sua arte.
Squadre di poliziotti e di dipendenti della coppia, avevano setacciato ogni stanza e anfratto del grande castello. Gli stessi boschi all’intorno erano stati tutti passati al pettine fino, anche con l’aiuto di cani molecolari fatti appositamente arrivare da Ginevra. Nulla! Le tracce si fermavano nel grande cortile antistante il massiccio portone d’uscita.
Tutte le luci e gli addobbi natalizi furono fatti sparire.
Helene si era rifugiata nella sua passione di pittrice, isolandosi in un’ala del castello dove aveva creato il suo atelier personale. Da lì non ne era più uscita. Consentiva solo l’entrata a Jeanette, una sua cameriera, per portarle il poco cibo e per le operazioni di pulizia. Nemmeno Pierre aveva diritto di visita. La cameriera riferiva giornalmente al padrone lo stato della signora. Il racconto era però sempre lo stesso. Quando otteneva il permesso d’entrare, la trovava intenta alla preparazione di uno dei suoi quadri. Delle composizioni astratte, create da vari materiali, sui quali Helene, che aveva sempre ricercato la “Forza Vitale”, sua criptica definizione, spalmava pennellate di colori, a volta vivaci a volta opachi, in funzione del suo stato d’animo. Jeanette aveva riferito d’aver notato moltissime tele appoggiate disordinatamente ai piedi delle pareti delle varie camere. I colori le erano sembrati abbastanza cupi ma ultimamente erano apparsi sprazzi di pittura più sgargiante e solare.
Forse Helene stava riprendendo a vivere.
A due anni esatti dalla scomparsa dei gemellini, la porta si era riaperta ed Helene, bellissima nel suo portamento algido da ex fotomodella, aveva nuovamente incontrato Pierre.
La sua prima richiesta era stata di permetterle di organizzare una presentazione delle sue recenti opere, nelle antiche scuderie del castello che, per l’occasione, avrebbero dovuto essere trasformate in galleria d’arte.
Nessuna parola sui figlioletti scomparsi né altra considerazione sul tempo passato, solo quella sua richiesta dettata quasi fosse un ordine.
Pierre promise che per il suo compleanno quel regalo sarebbe stato suo. Il ventinove di febbraio tutto era pronto. Le scuderie erano state rimesse a nuovo, le luci erano perfettamente posizionate e Roland, un famoso gallerista di Ginevra, si era occupato di far disporre alle pareti i grandi quadri della pittrice. Pierre, naturalmente non aveva badato a spese e tutto era perfetto. I meravigliosi cataloghi, dal titolo della mostra “Forza Vitale”, erano stati stampati in quadricromia e messi a disposizione del pubblico.
Il ventinove sera gli invitati, vestiti elegantemente con le signore impellicciate e ingioiellate, si presentarono puntualmente all’apertura del vernissage.
La splendida Helene, fasciata in un meraviglioso lungo abito nero dalla grande spaccatura che, ondeggiando, lasciava intravedere le sue lunghissime gambe, ricevette ogni ospite con un leggero sorriso sulle rosse labbra, in contrasto con l’insondabile profondità delle sue nere pupille.
Tra gli invitati, il sindaco del piccolo borgo, medico anatomopatologo in pensione e il comandante della Stazione di Gendarmeria che aveva coordinato le ricerche dei gemellini spariti, forte della sua precedente esperienza nei reparti investigativi della Polizia Federale. I due erano amici di lunga data ed era stato anche per quello che Raphaël, il capo gendarmi, aveva espressamente richiesto, quasi alla fine della sua carriera, di essere trasferito nel suo paesino originale di Chateau-d’Oex, dal quale Rougemont dipendeva.
La gente sciamava davanti alle pitture soffermandosi a volte su qualcuna per commentarla, cercando di comprenderne il significato dal titolo sotto l’esposizione.
Raphaël e Louis, l’amico sindaco, si trovarono subito d’accordo, malgrado la loro inesperienza pittorica, nel commentare alcune di esse come francamente impressionanti senza però riuscire a trasferire in parole l’emozione che si trovavano a subire.
Camerieri e cameriere, rigidamente abbigliati in nero e in guanti bianchi, facevano girare tra il pubblico, vassoi di gradevoli aperitivi e imperlati calici di champagne molto apprezzati dagli invitati.
Anche Raphaël e Louis si lasciarono tentare e ben presto s’accorsero di quanto fosse difficile procedere con entrambe le mani occupate da un crostino al caviale e un flute di bollicine.
Cercando un angolo più tranquillo, depositarono le loro coppe su di un tavolino ritrovandosi davanti al quadro denominato “Raggi”. Apparentemente costruito come gli altri, con vari tipi di cartone liscio e ondulato, titoli di giornale e scritte pubblicitarie, imprigionate da ampie pennellate di colore rosso, giallo e grigio, sembrava che dal suo centro scaturissero dei finissimi fili d’oro.
I due amici commentarono unanimemente sull’apparente somiglianza di quei raggi a dei biondi capelli.
Presi da una improvvisa curiosità ritornarono sui loro passi e sulla tela “Specchio dell’anima” scoprirono, ben incastonate al centro, quattro azzurre pupille, sommerse da un colore azzurro meno evidente.
Spostandosi verso “Pensieri”, non fu loro difficile constatare che, quelle che a prima vista erano sembrate pennellate grigie un po’ arzigogolate, erano senza alcun dubbio, soprattutto per Louis, delle volute, schiacciate sulla tela, di piccoli cervelli.
I due amici si lanciarono un rapido sguardo. L’orribile dubbio stava diventando certezza.
L’esame accurato di un quarto dipinto dal nome “Fortuna?” nascondeva il palmo di quattro piccole mani con la linea della vita ben evidenziata.
L’orrore ai loro occhi divenne manifesto.
Le tele contenevano i resti di Chris e Jodie!
La mamma aveva sacrificato i suoi piccoli, alla ricerca di quella “Forza Vitale”, con la quale, nella sua lucida follia, sperava di raggiungere la perfezione della sua arte.