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Itaca, maledetta

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Messaggio Da Claudio Bezzi Mer Feb 14, 2024 2:12 pm

E stava lì, a fissare il mare.
I principi lascivi e infedeli erano morti e ora attendevano l’estremo oltraggio di una furtiva sepoltura o la tardiva pietà della restituzione delle spoglie; il trono era stato riscattato e consegnato al figlio che lo preservasse in suo nome, ché lui, Odisseo, non aveva animo per le incombenze di Palazzo; la moglie aveva colmato la sua lunga attesa e l’aveva ripagato con un’ultima notte di intimità. Tutto era compiuto. Il ciclo era concluso, la storia aveva terminate le parole, i giorni non riservavano sorprese ma solo ricordi.
Che fare, ora? Cosa, dopo avere sconfitto gli dei? Ormai consumato dalle prove delle Moire beffarde, tutta la sua vita era racchiusa in un verbo declinato al passato. E allora stava lì, a fissare il mare.
Ilio che bruciava era un’immagine distorta dal tempo, nel tempo, avvolta nelle nebbie dei suoi ricordi confusi uno nell’altro. C’era stato un cavallo, che il politropo guerriero venuto da Itaca aveva congegnato… Se lo ricordava, anche se non più nei dettagli. Chi erano i valorosi con lui, nel ventre del dono ingannevole? Sicuramente Acamante il prode, Idomeneo dagli occhi azzurri e… Teucro, certamente c’era anche Teucro, e poi… 
Il Sole va calando, e Odisseo è sempre lì, guarda il mare verso l’orizzonte, verso la maga, verso il ciclope, verso gli anni più straordinari che l’uomo aveva potuto vivere.
Ma perché non morirne?
Poseidone, tu sia maledetto. Tu non mi hai punito tardando il mio ritorno, ma lasciandomi vivo dopo i lotofagi, i lestrigoni, le sirene… Mi hai fatto tornare, che Zeus ti maledica, mi hai lasciato vivere dopo tutto questo!
Al tramonto, Odisseo tornava stancamente a casa, dove tutto era quiete. Euriclea non riusciva a stare ferma, malgrado l’età, e cercava di prevenire ogni bisogno del suo amato figlioccio; Penelope così fedele, per gli dei, così fedele… adempiva con preciso rigore a ogni incombenza che poteva pensare fosse in capo alla moglie dell’eroe. Telemaco; cosa dire dell’amato figlio, mai veramente conosciuto, che tanto aveva atteso il padre e ora regnava in sua vece, con strenuante attenzione a fare quello che si pensava il padre avrebbe fatto? E i nobili fedeli che venivano a ricevere il loro giusto e meritato elogio. E i padri dei principi infedeli che reclamavano i corpi dei figli. E le vedove dei marinai meno fortunati di Odisseo - ma furono veramente tali? - che chiedevano prebende. E tutto questo sarebbe stata la ricompensa dell’eroe?
Ah, sì, i grandi onori tributati al suo ritorno. Il popolo di Itaca che applaudiva quel re scomparso così tanti anni prima e tornato ora, così vecchio, così vecchio dentro…
E una moglie, un tempo bella, un tempo amata, che sì, certo, aveva resistito, che è naturale le si chieda questo, a una progenie di Perseo non si poteva che chiedere questo, e tale era il suo destino, come altro fu il destino dello sposo.
Ma adesso, adesso, in questo momento, a gloria celebrata, a trionfo acclarato, a conquistato ritorno così amaramente guadagnato, cosa rimaneva?
Odisseo si guardava allo specchio e vedeva un viso segnato dal sole e dalla salsedine, dalle battaglie, dalle preoccupazioni, dalla visione dei troppi compagni morti. Ordinario, tutto sommato, banale… un vecchio. Pelle secca, pieghe sul viso, capelli diradati e bianchi. Solo un vecchio. Dov’era l’eroe, il conquistatore, l’intrepido marinaio, ma soprattutto, dov’era, semplicemente, l’uomo?
Per cos’era stato famoso? Per le astuzie, i raggiri… Anche per la spada ma meno, ma meno. Sempre odiato dai nemici, come il nome suggerisce, perché troppo scaltro e infido per loro. Perché Odisseo è sopravvissuto a tutti loro, è sopravvissuto, sì, e li ricorda tutti, uno per uno, guardando l’orizzonte.
Viene svegliato, Odisseo, sulla spiaggia. Un messo, con grande timore e riverenza, è stato mandato da Telemaco a cercarlo. Lui era lì, sulla spiaggia, che guardava il mare, e la stanchezza nell’anima l’aveva vinto, e s’era appisolato un momento, come succede ai vecchi, o a chi è invecchiato prima del dovuto per avere vissuto troppo intensamente gli anni concessi da Làchesi, che neppure gli dei possono interferire, che neppure gli dei possono, no… Cos’aveva sognato? Ah, sì, ricordava… il prode Achille, il pelide fanfarone, il mito in vita, il grande furioso, che senza di lui Agamennone non avrebbe mai intrapreso la guerra, Agamennone faccia di cane, cuore di cervo. Aveva certamente ringraziato Paride per quella freccia. Achille funesto, Achille eroe della soldataglia e ostacolo alla gloria dei principi. Achille glorioso, Achille e i suoi mirmidoni… rozzi, ignoranti, macellai…
Il messo di Telemaco stava in disparte, incerto… Vedeva il prode Odisseo perso in pensieri complessi, assorbito… dai ricordi? Probabile. Non sapeva cosa fare. Alla cena avrebbero partecipato nobili venuti da Kefalonia, e la sua presenza era richiesta. Telemaco reclamava la presenza del padre che avrebbe dovuto raccontare, ancora, la sua storia. La sua triste storia,
Il trionfo dopo la strage a Ilio, come il trionfo dopo la strage dei Proci, sono stati momenti di gloria? E quindi? La gloria resta nei ricordi e nei racconti? E si trasmette agli astanti che plaudono? Dopo i racconti, ripetuti e ripetuti, alla moglie, ai nobili rimasti fedeli, ai re vicini venuti a onorarlo, e tutti a chiedergli come? Come? Dove? Racconta… e si rinnovava la gloria?
E lui cercava le parole per descrivere il gigante monocolo, ma faticava a trovarle, ché non era uomo di racconti, e leggeva sui volti degli astanti incredulità. Così grande, davvero? Così feroce, possibile? Tratto in inganno in quel modo, credibile?
E le ninfe, le dee, le maghe, la ammaliatrici, le donne del destino al quale lui si era abbandonato, e appagato, ma la colpa, schiacciandolo, lo aveva sempre indotto a lasciarle, a tornare a sfidare Poseidone, cercare una rotta per Itaca, per Itaca, Itaca maledetta! Non poteva raccontare alla fedele e paziente e nobile Penelope della splendida Calipso o della focosa Circe, della timida e aggraziata Nausicaa. Lei intuiva, non chiedeva, e Odisseo sorvolava, accennava, ma non riusciva a tranquillizzare la sposa, e un velo calava fra loro. Eppure avrebbe voluto dirle, solo trovando le giuste parole, quanto l’aveva amata, nel ricordo, nella tensione del ritorno, nella speranza di tornare a scaldarsi fra le sue braccia, e quanto tale sentimento l’aveva soccorso per liberarsi dalle braccia di altre donne, altri desideri, altri destini. Ed eccolo, tornato, fra le braccia così spesso sognate, più tiepide che calde, più misurate, regali, adempienti, affezionate nel necessario limite imposto dal rango, disponibili per la necessità del dovere, del concedere all’eroe un po’ di ciò che reclamava suo ma che tale non era.
E allora lui andava in riva al mare, si sedeva su quella sporgenza dove aveva ammirate le sue dodici navi per poi salpare, giovane destinato dagli dei a grandi imprese, alla volta di Ilio. Dodici navi, con venti cefalleni alla voga e un’altra mezza dozzina di uomini alle vele e al timone; trecento giovani, suoi coetanei, suoi compagni, saliti a bordo sorridendo per seguire il loro capitano e re, e ora morti, straziati dai lestrigoni, divorati da Polifemo, trasformati in porci da Circe… Era tornato solo, e sentiva di dovere delle spiegazioni ai padri, alle madri, ai fratelli che ringraziavano Atena per averlo protetto, ma negli occhi si leggeva la loro disperazione per un ritorno orbato dei compagni. Perché loro no? Perché?
E Odisseo parlava loro della fedeltà di Anticlo, senza descriverne l’avventatezza o l’orribile morte; dell’eroismo di Elpenore, che in realtà, di tutti, era forse il meno prode; e Parimede, e Sinone, e tutti gli altri, e per tutti spendeva belle parole, e ometteva debolezze.
Ma i racconti non leniscono le ferite. Odisseo capiva che servivano altre parole, espresse in altri modi, e che lui non era in grado di parlare, di raccontare, facendo capire, sentire, vivere quei mille accadimenti che tutti loro avevano vissuto, in battaglia e poi nel tribolato ritorno.
E allora andava a guardare il mare, sempre più taciturno, sempre più solo. Ormai stanco e senza gloria, ché la gloria illumina solo l’istante in cui si palesa, e dopo tutto è ricordo, e il ricordo, ora Odisseo lo capiva ferocemente, il ricordo è sempre menzogna.
Dieci lunghi anni per tornare. E non vorrebbe mai essere tornato, Odisseo. Perché non consegnarsi alle sirene? Perché non restare a Ogigia, o all’invitante isola dei Feaci? Restare, incastonarsi nel mito, diventare ricordo eterno nella memoria dei vivi, e non realtà quotidiana genitrice di delusione.
Itaca, maledetta, perché sono tornato?
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Messaggio Da tommybe Mer Feb 14, 2024 3:53 pm

Ora conosco le Moire, ora conosco Acamante, ora conosco Ogigia. Ma non commento i turbamenti di Ulisse, non mi sento all'altezza per poterlo fare. Gli sono stato accanto in tre riletture, sono convinto che a lui basterà quella vicinanza.
Per farlo sentire più eroe.
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Messaggio Da Petunia Gio Feb 15, 2024 8:52 am

Un pezzo interessante  @Claudio Bezzi, il ritorno dell’eroe a casa la vita avventurosa e piena di esperienze che gli dei gli hanno concesso e il meritato riposo tra gli affetti. Non è un uomo felice, sente tutto il peso della vecchiaia, non riesce a godere delle piccole gioie quotidiane. 
Penso sia una condizione comune a molti uomini che hanno un passato denso e intenso. Il punto di vista resta ben piantato su Odisseo.
La storia è introspettiva e ha più le caratteristiche di un riassunto che di un racconto. La narrazione appare distante, molto carica (soprattuto di aggettivi) e meno emotiva di quanto potrebbe proprio per la estrema estrema ricchezza dei termini usati che la rendono quasi uno scritto di altri tempi.
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A tommybe e Claudio Bezzi garba questo messaggio

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