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Capgras - racconto ottomano scritto da The Raven, Vivonic, Phoenix e Hellionor

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Messaggio Da Hellionor Lun Nov 13, 2023 12:39 pm

Il pesante orologio a pendolo rintocca sei volte, più un rintocco piccolino.

Oggi no, oggi non me la sento.
Oggi non mi muovo da questo letto e resto immobile. Resto immobile fino a quando la casa non si è svuotata da tutti… da loro.
Non apro gli occhi, oh no, certo che no.
Non voglio salutare nessuno. Non posso salutare nessuno.
Non voglio non posso salutare Dario, perché poi capisco che non è davvero Dario e comincio a entrare in crisi; e la piccola Emma, oddio ma come faccio ad affrontare la giornata se poi mi accorgo che lei non è lei ma io sono io, e voglio sapere dov'è la mia bambina? Dov'è?
La mia bambina è di là che dorme serena nel suo letto.
Lei. Dorme. Nel. Suo. Letto.
Punto e a capo. Dario, o chi per lui, ma certo che è Dario, lo so che è lui, o meglio non lo so, ma so che devo saperlo.
Quindi, Dario e basta, si muove piano per non disturbarmi.
Lo ha sempre fatto o forse no, non riesco a ricordare.
Devo prendere le mie pastiglie, prima, sempre prima di affrontare qualunque cosa. Sempre.
O dovrei, sempre.
Devo aspettare che esca Dario. Poi.
Potrò alzarmi dal letto, poi.
Prendere le mie pastiglie.
Poi.
Sento Dario, o chi per lui – basta, basta – uscire dalla stanza.
Fisso lo sguardo sull'orologio. Mi fido dell'orologio, l'orologio è mio amico. L'orologio non può essere un altro orologio, e anche se lo fosse i minuti sarebbero sempre nello stesso modo.
Aspetterò le sette e dodici. Per alzarmi dal letto. Dario, o ch…, è un tipo molto preciso.
Però, meglio non rischiare. Aspetterò fino alle sette e venti. Magari sette e trenta.
Il tempo passa lento, com'è giusto che sia.
Perché non sono già qui tra le mie mani, quelle dannate pastiglie? Se avessi le odiate pastiglie qui, nel palmo della mano, potrei prenderle e poi alzarmi per svegliare Emma adesso, subito, invece di stare immobile a pensare. A pensare a cosa, poi.
Chiudo gli occhi e cerco di ascoltare i rumori della casa.
Ci provo a convincermi che Dario sia davvero Dario. Ci provo davvero.
Ed è per questo che mi arrabbio.
Mi arrabbio.
Tanto.
Vogliono farmi credere di essere pazza. Ma davvero pensano che non mi sia resa conto che Dario, o chi per lui, è più grasso del mio Dario? Ma davvero pensano che non abbia notato quel neo sotto alla narice sinistra, che questo estraneo qui tenta di nascondere con quel brutto filo di barba?
La casa tace ora. I rumori si sono quietati.
La casa tace.
I passi di Dario sono svaniti. I sogni di Emma devono ancora essere accesi, dato il silenzio.
Adesso mi alzo e so che troverò le pastiglie nel piattino accanto alla brioche. Quelle maledette pastiglie che fanno solo danno ma qualcuno dice che devo prenderle. Ma io lo so che il mio Dario è rinchiuso chissà dove, e questo estraneo che mi ronza sempre intorno vuole prendersi Emma. Se non se l’è già portata via.
No, non è possibile! Che cazzo sto dicendo! Le mie solite paranoie. Carla, smettila con le paranoie. Dario è Dario.
Emma è Emma.
Riconosceresti ovunque tua figlia. Lo sai.
Lo sai che è lei.
Devo alzarmi.
Devo alzarmi o mi esploderà la testa.
E i resti del mio cervello imbratteranno i muri.
E Dario, o chi per lui, si prenderà la mia bambina.
Ma io non glielo permetto.
Giuro che se prova a toccarla gli strappo a morsi quella maschera che indossa e gli cavo gli occhi.
Ecco, sto delirando di nuovo.
Ho aspettato. Ora.
Devo alzarmi dal letto. Ora.
Prendere le mie pastiglie. Ora.
Le pastiglie per l’emicrania. E basta.
Questo silenzio mi fa scoppiare la testa.
Ecco fatto. Tra poco l’emicrania sparirà e io potrò iniziare questa giornata che è partita male. Metto le altre pillole nel solito fazzolettino.
- Emma, Emma! È ora di svegliarsi, dai! Sono quasi le sette e mezza, dai! Intanto che tu ti svegli io metto a tostare il pane!


Il pesante orologio a pendolo rintocca sette volte, più un rintocco piccolino.

Calmarmi. Devo calmarmi.
Non devo dare troppo nell’occhio, non devo fargli notare che ho capito. Tanto la conosco, ormai ho imparato a conoscere Emma, o chi per lei.
Starà pensando che stamattina sono in crisi.
Lo so che è già sveglia, al calduccio sotto le coperte del suo ampio letto a una piazza e mezza, a contare i miei passi e i ticchettii della lancetta dell’orologio.
Basta.
Devo dimostrarle che stamattina va tutto bene, che io sto bene.
Che io sono io e che lei è lei.
E che Dario… con Dario devo sforzarmi di più.
Ma ce la posso fare. Devo solo aspettare che passi questo mal di testa.
Cazzo, forse ho sbattuto troppo forte la porta. Ecco, così: i gradini a uno a uno. Il corrimano in legno di mogano è freddo. Il contatto con il legno freddo mi rilassa.
La stupisco, stamattina. Preparo il pane per i toast, spremo le arance e ci mischio anche il succo di un limone, ché a Emma non piacciono le spremute troppo dolci.
Alla vera Emma non piacciono.
Non lo metto il limone.
Eccola che corre per le scale, la piccola indifesa Emma.
Sì che le ho prese le pastiglie. Me lo chiedi ogni cazzo di mattina, mi sono anche stufata di risponderti. Quello sguardo che mi giudica mi fa veramente girare le palle. Ma devo trattenermi.
Non esplodere, Carla. Se esplodi poi passi dalla parte del torto.
Sì che lo so che hai l’interrogazione di storia: ieri sei stata tutto il pomeriggio a fracassare i maroni con sti Sumeri e Babilonesi. Ma tanto sono rassegnata, andrai male come al solito e quel prof. Garufi, o come si chiama, ti darà un sei per compassione.
Questo mi dimostra che non sei Emma, lei avrebbe preso dieci, altrochè.
Giuro su me stessa che se non finisce tutto il toast glielo faccio mangiare a forza, glielo ficco tutto in bocca fino a farla soffocare.
Maledetta mentecatta traditrice. Estranea e usurpatrice del letto della mia povera Emma. Chissà dove l'avranno nascosta, maledetti…
No! Devo smetterla. Emma è qui. E si preoccupa per me. Guarda come mi osserva. Sembra smarrita, spaurita. Amore di mamma, non è possibile che tu abbia paura di me. A meno che tu non sia una sosia. Se sei una sosia allora sì che devi temermi. Ti strappo quella maschera, prima o poi. Con le mie stesse mani te la strappo.
A te e a quel bastardo che finge di essere Dario.
Chissà dove sarà andato a farsi i cazzi suoi…
Inutile provarci, non è Emma. Adesso lo scopriamo subito, se è lei.
Coraggio, Carla: sforza un sorriso naturale, ingoia la rabbia:
- Emma cara, vieni fuori in giardino un attimo, devo farti vedere cosa ho trovato ieri.
- Non posso, mamma, devo scappare. L'interrogazione, sai…
E scappa via, così. Ah ma io l'aspetto, tanto deve tornare. E quando torna, ne riparliamo.



Il pesante orologio a pendolo rintocca tredici volte, più un rintocco piccolino.

Mentre passeggio nel parco, mi fermo ad ascoltare gli uccellini che cantano. Alcuni mi volano vicino, lo sanno che non sono pazza. Sanno del mio segreto ma non lo diranno a nessuno.
Mi avvicino alla grande fontana con i pesci e apro il fazzolettino che tenevo in seno.
Malvagie loro mi guardano, medicine del cazzo create per oscurare la mia mente. Ma io non sono nata ieri, non mi avranno.
Preferisco fare tutti i giorni la strada fino a qui e buttarle nella fontana. Troppe volte ho visto quella serpe che si fa chiamare come la mia bambina guardare nella spazzatura per vedere se le buttavo.
La tua costanza per accertarti che prendo sempre le mie medicine è commovente, mia cara. Potrei anche crederci, nella tua sincerità, se non fosse che ti ho scoperta.
Dispiego il fazzolettino e con un tonfo quasi impercettibile tutte e quattro le compresse vanno a finire nell’acqua, come le quattro del giorno prima e quelle del giorno prima ancora, da settimane ormai.
Mi giro per tornare a casa e sei lì, che dondoli a destra e sinistra con le mani dietro la schiena. Mi hai vista buttare quelle compresse del diavolo e si vede dalla tua faccia che la cosa non ti è piaciuta affatto. Il tuo bel volto da usurpatrice del cazzo è deformato da un’espressione di rabbia che non ti avevo mai visto. Ma mi cogli di sorpresa, con una vocina che è proprio quella della mia Emma.
-Ho preso quattro all'interrogazione, mamma. Mamma, tu non mi aiuti più, ma che ti ho fatto? Ho confuso Babilonia con Uruk e ho preso quattro. E tu dov'eri eh? Almeno abbracciami, mamma.
E io ti stringo, cosa posso fare? Magari non sei Emma, ma sei triste, devo abbracciarti. Non posso farne a meno.

La fitta al ventre arriva improvvisa e mi ritrovo a terra, vedo il coltello della verdura nelle tue mani mentre ti chini su di me.
Ecco la vera Emma, Emma la serpe, qualsiasi sia il tuo vero nome.
E hai pure il coraggio di dirmi che sono stata io a prendervi in giro.
A voi che vi spacciate per altre persone come se non faceste altro da una vita.
Sento la voce di Dario e mi chiedo se sono morta o no. Il dolore terribile alla pancia mi dice che devo ancora essere viva.
Socchiudo appena gli occhi ed eccoti, assassina, sporca di sangue. Del mio sangue.
E piangi pure, bastarda, mentre ti fai abbracciare dal mio Dario. O da un impostore, poco importa, chiunque adesso sarebbe meglio di te.
Ti sento mentre piagnucoli che dovevi farlo… “faceva finta di prendere le pastiglie o non le facevano più effetto, stava per chiamare la polizia. Ormai aveva capito che non eravamo noi…” e non ti accorgi che mi dai solo conferma di ciò che già sapevo e ora devi solo sperare che io muoia davvero, puttana.
Dovete sperare. Anche tu caro il mio Dario, l’impostore fra gli impostori, che te la stringi al petto e le dici che forse è stato meglio così.
Bastardo, l’odio che provo rischia di mantenermi in vita e vi troverò.
Quel pensiero ha un effetto analgesico mentre sento che sto per addormentarmi di nuovo.


In lontananza, il pesante orologio a pendolo rintoccò sedici volte.

- Tesoro, sei sveglia?
Sì. Sono sveglia. Apro gli occhi lentamente. Chi ha parlato?
Sono piena di tubi e di aghi, di tutto il mio corpo riesco soltanto a usare gli occhi.
Risento la stessa voce, una voce familiare, che mi pone di nuovo la stessa domanda. Che io sia sveglia è fuor di dubbio, ma non riesco a capire perché mi trovi in questo stato.
Emma.
- Amore mio, sono io, Dario. Mi riconosci?
Il cuore mi batte forte. Emma. Emma che ha preso quattro. Emma che ha confuso Babilonia con Uruk. Emma che è colpa mia che non l’ho interrogata. Emma che vuole darmi comunque un abbraccio, ché non ce l’ha con me. Emma che mi stringe così forte che mi fa male. Emma che mi brucia lo stomaco, mi brucia forte. Emma che sto perdendo i sensi.

Non ho più tubi in bocca.
Mi manca l’orologio di casa mia. Il mio amico orologio. Quanto vorrei sapere che ore siano, ma anche che giorno sia, da quanto tempo io sia qui.
La signora col camice blu mi parla con accondiscendenza. Mi spiega che in un paio di settimane potrei essere in grado di alzarmi. Di alzarmi dal letto, non di camminare autonomamente. Che, nonostante l’importante perdita di sangue, non ho subito danni cerebrali. Che per questo dobbiamo ritenerci fortunati.
Fortunati.
Perché ho perso solo l’utero. Gli altri organi sono a posto, perfino la milza che appariva in un primo momento compromessa. Quindi siamo fortunati.
Dario passa due volte al giorno. Ogni tanto apro gli occhi. Il più delle volte faccio finta che non esista. Che lui non esista. Che io non esista.

I due uomini in jeans e camicia mi parlano con ancora più accondiscenza.
Emma è in un istituto apposito.
Al momento non possono dirmi dove si trovi, ma non è escluso che in un futuro non troppo lontano non potremo incontrarci.
Emma ha delle problematiche da risolvere. È ancora piccola, col giusto trattamento farmacologico potrà avere, negli anni una vita normale.
È un disturbo che si può tenere sotto controllo, quindi c’è da ritenersi fortunati.
Fortunati, perché Emma guarirà.
Fortunati, perché il disturbo è emerso in giovane età, si può trattare farmacologicamente e non interferirà con il normale funzionamento della sua vita. Capito bene tutto?
E allora sì che dobbiamo ritenerci fortunati.
Io ho perso l’utero e non ho ancora capito che altri danni fisici ho, o avrò. Né che danni psicologici, mi hanno parlato di un possibile disturbo post-traumatico da stress.
Ma c’è una cosa di cui sono sicura: non ho perso mia figlia. Non ho perso Emma.
Non so quanto tempo ci vorrà per alzarmi da questo letto, né per tornare autonomamente a gestire la mia vita. Però mi è chiaro quello che succederà.
Non sprecherò più un secondo del mio tempo in altro modo. Devo trovare Emma: la cercherò per lungo e per largo, e la troverò.
Non importa quanto tempo ci vorrà, ma non possono tenere nascosta una figlia alla madre. Nessuno può.
E allora lascerò questo dannato letto, e mi metterò all’opera.
Perché io la sento la mia bambina che mi chiama. Ha paura. Sento nel vento che mi chiama.
E la troverò, la stringerò tra le mie braccia, la bacerò fino a farla addormentare.
Dario non mi ha creduto, ha creduto a quella sgualdrina.
Non merita di rivedere Emma. Quella vera.
Lui, e tutti gli altri, si tengano pure quella troietta che mi ha accoltellato. Non credo nemmeno che sia in un istituto. L’avranno riprotetta da qualche parte segreta.
Ma a me non mi fottono.
Io lo so che la mia Emma mi sta aspettando.
- Prenda le sue pastiglie, signora.
Certo che le prendo. Credeteci pure.
Non permetterò mai a nessun medico di ottenebrarmi il cervello.
Nessuno potrà più interferire, nessuno manderà a monte i miei piani.
Sto arrivando, amore di mamma.
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Capgras - racconto ottomano scritto da The Raven, Vivonic, Phoenix e Hellionor  Empty Re: Capgras - racconto ottomano scritto da The Raven, Vivonic, Phoenix e Hellionor

Messaggio Da paluca66 Lun Nov 13, 2023 10:24 pm

Caspita, che racconto!
orab sono sicuro che sia antecedente al mio arrivo su sps, un racconto del genere non me lo sarei certo dimenticato.
Non so qualre fosse il contesto in cui è stato scritto, ma se si voleva rendere la confusione di una persone affetta da capgras, ci siete riusciti benissimo.
Vero che a un certo punto anch'io mi sono sentito confuso, mi sono perso, non tutto mi è chiaro (è affetta soltanto la madre o anche la piccola Emma? Quanti anni ha Emma? Sembra una bambina ma ciò mal si accorda con la coltellata; o forse anche la coltellata è frutto della fantasia di Carla?).
Credo, se conosco bene gli autori, che a nessuna di queste domande ci sia una risposta vera e univoca, d'altra parte per chi soffre di capgras, la realtà e l'immaginazione, mi è sembrato di capire, sono assolutamente intercambiabili.
In ogni caso un pezzo geniale nella sua follia.

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Capgras - racconto ottomano scritto da The Raven, Vivonic, Phoenix e Hellionor  Badge-3
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