https://www.differentales.org/t1851-il-piacere-di-chiamarsi-jamal#28571
In un'imprecisata giornata autunnale, dopo aver percorso diverse miglia attraverso una pianura desolata, incolta e priva di alcuna testimonianza della presenza umana, il mio compagno di viaggio e io ci ritrovammo ai piedi di alcune sconosciute colline. L'intero gruppo di rilievi era ricoperto da boschi senza soluzione di continuità. La vegetazione, assai fitta e scura, non disponeva ad alcun sentimento benevolo e, con il suo impenetrabile mantello, contribuiva a creare un senso di paura e di minaccia nell'animo di chiunque avesse preso la sciagurata decisione di attraversare quelle alture. La luce del giorno era filtrata da una lugubre cortina di nuvole dense, basse e grigie. Solo un paio di ore ci separavano dall'oscurità uniforme della sera, così, io e Monsieur Maillard, questo il nome dello sventurato viaggiatore che mi accompagnava, decidemmo, di comune accordo, di perlustrare velocemente solo le prime pendici. Era nostra ferma intenzione ritornare nella pianura prima dell'avvento delle tenebre, per accamparci e trascorrere la notte nella migliore delle condizioni possibili. Prima di prendere il sentiero che si inerpicava su per la prima collina, Monsieur Maillard volle favorire un cordiale. Lo fece con un inusuale e drammatico trasporto, come se quell'offerta di alcol fosse parte di un ancestrale rito propiziatorio. Accettai senza indugio l'offerta e tracannai dalla sua bottiglia d'argento un sorso più che generoso di eccelso Lagavulin ma, al contempo, il gesto di Monsieur Maillard mi diede un certo inspiegabile fastidio e mi presentò la sua persona sotto una nuova luce ambigua.
Dopo solo un centinaio di yard ci ritrovammo come dentro a una immensa cattedrale vegetale. Altissimi abeti neri disegnavano immaginarie e monumentali navate gotiche che ci sovrastavano. Tanto la pianura era stata innaturalmente priva di suoni, quanto il bosco echeggiava ora di misteriosi e singolari rumori. Avanzavamo con prudenza e circospezione, stringendo saldamente le briglie dei nostri cavalli, mentre il sentiero si faceva progressivamente meno ripido e la luce diveniva sempre più lattiginosa e tetra. Giungemmo a un bivio. Da una parte si continuava per un sentiero erboso, dall'altra si proseguiva per un'antica strada carrabile in pietra. Senza neanche consultarci l'un l'altro, scegliemmo, come per istinto, di prendere la strada lastricata. Questa per circa un miglio si dimostrò rettilinea, alternando la salita al piano; poi, si fece tortuosa e discendente. Superata una curva cieca, si stagliò davanti a noi, inaspettata ed enorme, una torre. Le sue pareti imponenti, coperte di muschio e di edera, presentavano crepe profonde che non sembravano però minarne la solidità. La foschia che si era formata in quella parte della valle avvolgeva la rovina come in un sudario e ne aumentava sensibilmente l'aspetto sinistro e spettrale. C'era inoltre uno squilibrio disturbante nelle sue dimensioni che sfidava ogni regola architettonica: la superficie della base della struttura appariva più piccola rispetto alla superficie della vetta merlata che dall'alto dominava minacciosa il bosco. La bizzarria della fortificazione era tale che darne una precisa datazione risultava assai difficile. Anche la sua posizione e la sua funzione erano arcani che né io, né probabilmente Monsieur Maillard, eravamo in grado di spiegare. Scendemmo dai cavalli e ci avvicinammo al grande portone di legno di quercia della torre. Sopra l'arco a sesto acuto dell'ingresso notai, scolpita nella pietra, una misteriosa iscrizione. "Dicebant mihi sodales, si sepulcrum amicae visitarem, curas meas aliquantulum fore levatas." (1) Ne rimasi turbato. Tentai di collegare logicamente i vari elementi a mia disposizione, sforzandomi di trovare delle spiegazioni all'ignoto e al sorprendente che sempre più mi circondavano, ma non giunsi ad alcun risultato. L'eccentrico comportamento di Maillard, che nel frattempo si era lanciato nell'iniziativa stravagante di forzare il pesante chiavistello del portone, approfondì ulteriormente la mia preoccupazione e la mia inquietudine.
Rimasi sorpreso quando questi, senza fatica apparente, riuscì nella sua azione e, con un cigolio infernale, aprì il pesantissimo portone. Un vento si alzò allora improvviso, tutta la foschia svanì e il cupo tonfo di un tuono ammutolì le mille voci del bosco. Maillard, voltandosi verso di me, con una formalità stucchevole e una gentilezza che trovai eccessiva, mi invitò a entrare nell'edificio. Esitai, presi tempo, poi mi feci coraggio ed esplicitai tutta la mia riluttanza.
"L'ora è tarda, presto sarà buio e una perturbazione è in arrivo...Monsieur Maillard sarebbe meglio fare ritorno alla pianura."
"Oh amico mio, non c'è nulla da temere qui. Anche io ero del vostro stesso avviso fino a poco fa, ma proprio l'arrivo del temporale mi ha fatto cambiare idea. Quale rifugio migliore dalla tempesta ci si offre qui!"
"Ma...la struttura è pericolante e priva di illuminazione"
"Non temete, la struttura è solidissima e ho con me una torcia a olio." Maillard la estrasse dalla sua borsa di cuoio, la accese e con crescente convinzione mi invitò a seguirlo. Ogni mia replica risultò vana.
Ci si presentò dinnanzi una grande sala, più grande di quanto ragionevolmente ci si sarebbe potuto aspettare guardando l'edificio dall'esterno. Un lungo tavolo, una cassapanca di rovere, scudi e armi di un altro tempo, un arazzo con scene di caccia arredavano spartanamente l'enorme ambiente. In fondo si potevano scorgere due singolari scale spiraliformi: una saliva, l'altra scendeva. Maillard si fermò davanti alla cassapanca, la aprì, ne estrasse una veste bianchissima e me la porse perché la indossassi, adducendo improbabili ragioni igieniche. Lo assecondai, cogliendo nel suo tono alterato un progressivo scivolamento verso la follia. Procedemmo quindi nella perlustrazione, avvicinandoci alla parete dell'arazzo. A quel punto osservai nel mio compagno qualcosa di ancor più strano e terrificante. La sua figura e i suoi lineamenti sembravano essere mutati: il suo volto era invecchiato, il suo corpo si era come asciugato e la sua statura era incomprensibilmente aumentata. Mi imposi di mantenere la calma. Ero in bilico. Sentivo che l'equilibrio della mia mente presto sarebbe stato sbilanciato e condannato dalla vertigine nell'abisso dell'irrazionale. L'ansia, come un perfido veleno, aveva già incominciato a divorarmi. Mi adoperai con tutte le forze a resistere. Cercai di spiegarmi la metamorfosi imputandola alla mia suggestione e alla luce precaria e tremolante della torcia ma, quando Monsieur Maillard si voltò per indicarmi la deviazione delle scale, un brivido si irradiò lungo tutto il mio corpo. Mi sentii mancare. I suoi occhi, privi di iridi e pupille, fiammeggiavano di una luce vermiglia.
"Quale regno volete visitare, signore?"
Note
(1) "Mi dicevano i compagni che, se avessi visitato la tomba dell'amica, le mie pene sarebbero state alquanto alleviate." Ebn Zaiat
In un'imprecisata giornata autunnale, dopo aver percorso diverse miglia attraverso una pianura desolata, incolta e priva di alcuna testimonianza della presenza umana, il mio compagno di viaggio e io ci ritrovammo ai piedi di alcune sconosciute colline. L'intero gruppo di rilievi era ricoperto da boschi senza soluzione di continuità. La vegetazione, assai fitta e scura, non disponeva ad alcun sentimento benevolo e, con il suo impenetrabile mantello, contribuiva a creare un senso di paura e di minaccia nell'animo di chiunque avesse preso la sciagurata decisione di attraversare quelle alture. La luce del giorno era filtrata da una lugubre cortina di nuvole dense, basse e grigie. Solo un paio di ore ci separavano dall'oscurità uniforme della sera, così, io e Monsieur Maillard, questo il nome dello sventurato viaggiatore che mi accompagnava, decidemmo, di comune accordo, di perlustrare velocemente solo le prime pendici. Era nostra ferma intenzione ritornare nella pianura prima dell'avvento delle tenebre, per accamparci e trascorrere la notte nella migliore delle condizioni possibili. Prima di prendere il sentiero che si inerpicava su per la prima collina, Monsieur Maillard volle favorire un cordiale. Lo fece con un inusuale e drammatico trasporto, come se quell'offerta di alcol fosse parte di un ancestrale rito propiziatorio. Accettai senza indugio l'offerta e tracannai dalla sua bottiglia d'argento un sorso più che generoso di eccelso Lagavulin ma, al contempo, il gesto di Monsieur Maillard mi diede un certo inspiegabile fastidio e mi presentò la sua persona sotto una nuova luce ambigua.
Dopo solo un centinaio di yard ci ritrovammo come dentro a una immensa cattedrale vegetale. Altissimi abeti neri disegnavano immaginarie e monumentali navate gotiche che ci sovrastavano. Tanto la pianura era stata innaturalmente priva di suoni, quanto il bosco echeggiava ora di misteriosi e singolari rumori. Avanzavamo con prudenza e circospezione, stringendo saldamente le briglie dei nostri cavalli, mentre il sentiero si faceva progressivamente meno ripido e la luce diveniva sempre più lattiginosa e tetra. Giungemmo a un bivio. Da una parte si continuava per un sentiero erboso, dall'altra si proseguiva per un'antica strada carrabile in pietra. Senza neanche consultarci l'un l'altro, scegliemmo, come per istinto, di prendere la strada lastricata. Questa per circa un miglio si dimostrò rettilinea, alternando la salita al piano; poi, si fece tortuosa e discendente. Superata una curva cieca, si stagliò davanti a noi, inaspettata ed enorme, una torre. Le sue pareti imponenti, coperte di muschio e di edera, presentavano crepe profonde che non sembravano però minarne la solidità. La foschia che si era formata in quella parte della valle avvolgeva la rovina come in un sudario e ne aumentava sensibilmente l'aspetto sinistro e spettrale. C'era inoltre uno squilibrio disturbante nelle sue dimensioni che sfidava ogni regola architettonica: la superficie della base della struttura appariva più piccola rispetto alla superficie della vetta merlata che dall'alto dominava minacciosa il bosco. La bizzarria della fortificazione era tale che darne una precisa datazione risultava assai difficile. Anche la sua posizione e la sua funzione erano arcani che né io, né probabilmente Monsieur Maillard, eravamo in grado di spiegare. Scendemmo dai cavalli e ci avvicinammo al grande portone di legno di quercia della torre. Sopra l'arco a sesto acuto dell'ingresso notai, scolpita nella pietra, una misteriosa iscrizione. "Dicebant mihi sodales, si sepulcrum amicae visitarem, curas meas aliquantulum fore levatas." (1) Ne rimasi turbato. Tentai di collegare logicamente i vari elementi a mia disposizione, sforzandomi di trovare delle spiegazioni all'ignoto e al sorprendente che sempre più mi circondavano, ma non giunsi ad alcun risultato. L'eccentrico comportamento di Maillard, che nel frattempo si era lanciato nell'iniziativa stravagante di forzare il pesante chiavistello del portone, approfondì ulteriormente la mia preoccupazione e la mia inquietudine.
Rimasi sorpreso quando questi, senza fatica apparente, riuscì nella sua azione e, con un cigolio infernale, aprì il pesantissimo portone. Un vento si alzò allora improvviso, tutta la foschia svanì e il cupo tonfo di un tuono ammutolì le mille voci del bosco. Maillard, voltandosi verso di me, con una formalità stucchevole e una gentilezza che trovai eccessiva, mi invitò a entrare nell'edificio. Esitai, presi tempo, poi mi feci coraggio ed esplicitai tutta la mia riluttanza.
"L'ora è tarda, presto sarà buio e una perturbazione è in arrivo...Monsieur Maillard sarebbe meglio fare ritorno alla pianura."
"Oh amico mio, non c'è nulla da temere qui. Anche io ero del vostro stesso avviso fino a poco fa, ma proprio l'arrivo del temporale mi ha fatto cambiare idea. Quale rifugio migliore dalla tempesta ci si offre qui!"
"Ma...la struttura è pericolante e priva di illuminazione"
"Non temete, la struttura è solidissima e ho con me una torcia a olio." Maillard la estrasse dalla sua borsa di cuoio, la accese e con crescente convinzione mi invitò a seguirlo. Ogni mia replica risultò vana.
Ci si presentò dinnanzi una grande sala, più grande di quanto ragionevolmente ci si sarebbe potuto aspettare guardando l'edificio dall'esterno. Un lungo tavolo, una cassapanca di rovere, scudi e armi di un altro tempo, un arazzo con scene di caccia arredavano spartanamente l'enorme ambiente. In fondo si potevano scorgere due singolari scale spiraliformi: una saliva, l'altra scendeva. Maillard si fermò davanti alla cassapanca, la aprì, ne estrasse una veste bianchissima e me la porse perché la indossassi, adducendo improbabili ragioni igieniche. Lo assecondai, cogliendo nel suo tono alterato un progressivo scivolamento verso la follia. Procedemmo quindi nella perlustrazione, avvicinandoci alla parete dell'arazzo. A quel punto osservai nel mio compagno qualcosa di ancor più strano e terrificante. La sua figura e i suoi lineamenti sembravano essere mutati: il suo volto era invecchiato, il suo corpo si era come asciugato e la sua statura era incomprensibilmente aumentata. Mi imposi di mantenere la calma. Ero in bilico. Sentivo che l'equilibrio della mia mente presto sarebbe stato sbilanciato e condannato dalla vertigine nell'abisso dell'irrazionale. L'ansia, come un perfido veleno, aveva già incominciato a divorarmi. Mi adoperai con tutte le forze a resistere. Cercai di spiegarmi la metamorfosi imputandola alla mia suggestione e alla luce precaria e tremolante della torcia ma, quando Monsieur Maillard si voltò per indicarmi la deviazione delle scale, un brivido si irradiò lungo tutto il mio corpo. Mi sentii mancare. I suoi occhi, privi di iridi e pupille, fiammeggiavano di una luce vermiglia.
"Quale regno volete visitare, signore?"
Note
(1) "Mi dicevano i compagni che, se avessi visitato la tomba dell'amica, le mie pene sarebbero state alquanto alleviate." Ebn Zaiat
Ultima modifica di Andrea Bernardi il Dom Lug 16, 2023 11:56 am - modificato 1 volta.