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Messaggio Da Different Staff Gio Mar 09, 2023 11:26 am

Erano arrivati qualche giorno prima, parlavano poco, pagavano bene e non creavano problemi.
Agnieszka me ne fece subito un’accurata descrizione.
«Sono sette, tutti ben vestiti e di aspetto gradevole». Mi sussurrava all’orecchio per non farsi sentire. «Anche l’età mi sembra quella giusta».
Voleva a tutti i costi trovarmi un marito. Io la lasciavo fare, le volevo bene e poi, da quando erano morti i miei genitori, si era presa cura di me e di mio nonno, anziano e mezzo rimbambito, ma che adoravo.
«Sono Iwona Kowalczyk, proprietaria dell’albergo» dissi, allungando il braccio.
Dall’altra parte sentivo muovere l’aria, nel difficile tentativo di afferrare la mia mano e stringerla nella loro.
«E sono cieca».
Prima che rispondessero con l’accorato mi dispiace, che peccato, una così bella ragazza, i loro muscoli facciali si erano contratti in una smorfia e io me li immaginavo bruttissimi.
Mi divertivo a inventare scuse sempre diverse per giustificare la mia cecità.
A quattro anni ero inciampata cadendo di faccia sopra un forcone, un’altra volta era stata l’esplosione di una lampada a olio, oppure era stato per il calcio del somaro. Si chiamava Vaclav, come Nijinskij il famoso ballerino russo di origini polacche. All’improvviso e senza un’apparente ragione dava colpi di coda, picchiava in terra le zampe e poi scalciava.
Quando ero nelle vicinanze Agnieszka, con tutta la sua grazia, mi urlava: «Occhio che c’è Vaclav che si prepara per il balletto!»
Ma quella volta mi diede una stretta al gomito più forte prima che potessi straparlare e mi minacciò con dolcezza dicendomi: «Sistemati i capelli».
Era una donnona con braccia muscolose da pugile e mani grandi quanto una padella, portava sempre un grembiule allacciato alla vita anche quando aveva finito di sbrigare le faccende. Sistemava le camere, allevava e tirava il collo alle galline, curava l’orto, riparava il tetto della stalla, quando non aiutava Grzegorz in cucina. Era sempre circondata da un tanfo di cipolla che amava mangiare a tutte le ore, compresa la mattina a colazione. Era a servizio dai miei genitori ed era rimasta anche dopo la loro morte da scegliere tra l’avvelenamento da funghi, l’annegamento, o il carretto tirato dal somaro precipitato in un dirupo. L’animale era uscito illeso dall’incidente solo per provocare altri guai.
A Gleiwiz non arrivava molta gente, Era il 1939, i tempi erano difficili ovunque, le attrazioni erano poche, se si includeva la stazione radio appena fuori dal centro abitato. Trasmetteva sempre la stessa musica, la propaganda del regime nazista a favore di Hitler. Tutti lo amavano, così ci facevano credere, tutti tranne mio nonno Michal.
Da quando con l’età gli era partito il cervello ragionava meglio di quando era sano. Era piccolo di statura e per baciarlo in fronte dovevo piegarmi di qualche centimetro. Due occhietti a mandorla dietro spesse lenti rotonde e un naso a patata dovevano dargli un aspetto simpatico. Era claudicante dalla gamba sinistra per la scheggia di una bomba della Prima guerra mondiale, o era stato investito da un carrarmato lasciato incustodito, ma il calcio del somaro alla festa del paese era l’incidente che più preferiva.
Anche se era nato e cresciuto in Polonia, amava l’Italia, terra di poeti e musicisti.
Aveva insegnato per tanti anni storia e letteratura straniera al liceo, ma quella italiana era la sua preferita e Dante il suo poeta.
Tutti lo conoscevano come Minosse perché assegnava il numero della stanza agli ospiti dell’albergo facendo fare dei giri al bastone.
Hitler lo vedeva bene in uno di quei gironi dell’inferno a togliere mosche dalla coda di Lucifero.
Diceva che ci avrebbe portati alla rovina, perché era matto e voleva fare a tutti i costi la guerra e che per colpa sua avremmo dovuto cambiare ogni anno i libri di Storia.
Quando arrivarono i sette bellimbusti era una mattina di fine agosto e l’aria iniziava a essere pungente.
Ci avevano raccontato di essere ingegneri in cerca di materiali da estrarre nella zona.
Solo uno parlava in polacco, Piotr Tarnowski, si presentò, poggiando la sua bocca umidiccia, quando riuscì ad afferrarla, sul dorso della mia mano.
Mi lasciò una scia di bava e di dopobarba al mirtillo. Me lo immaginai alto, biondo, con una leggera peluria al mento, un naso gentile e due grandi occhi azzurri.
«Non sai come ti guarda, Iwona. Non ha occhi che per te!»
«Peccato che io non possa dire la stessa cosa per lui».
Gli altri sei ospiti stavano in silenzio, senza un colpo di tosse o uno starnuto era difficile per me identificarli o distinguerli uno dall’altro, tanto che pensai: «Io cieca e loro muti, sai che bella comitiva!»
Agnieszka dalla reception, attraverso il corridoio che terminava nella sala da pranzo, li accompagnò nelle loro stanze, mentre il nonno citando Dante declamava: «Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente».
Nel pomeriggio del giorno dopo, era il 31 agosto, avvenne un fatto assai strano. Armata di piumino, andavo in cerca della polvere che doveva, per forza di cose, depositarsi sulle poltroncine, sui quadri alle pareti e sulle porte che davano nelle stanze. A un certo punto, proprio in corridoio, sentii Piotr Tarnowski parlare dal telefono fuori dalla sua stanza. Diceva: «La nonna è morta» ma con un tono freddo, distaccato, per niente rattristato.
Dall’altro capo del telefono non sembravano convinti del tutto, tanto che Piotr Tarnowski alzò ancora di più la voce, ripetendo con tono categorico: «È certo, ormai! La nonna è morta!»
Per essere la nonna doveva essere avanti con gli anni, magari nemmeno troppo e poi morta come? Investita in salotto da un treno in corsa, soffocata dalla spina di un pesce o magari anche lei era proprietaria di un somaro?
Alla fine, esausto, Piotr Tarnowski metteva giù la cornetta, ma da parte sua neppure un singhiozzo aveva accompagnato la triste notizia. Avevo pensato che fosse la nonna di un altro e non la sua.
Ne avevo parlato con Agnieszka ma mi aveva ascoltato poco perché troppo occupata per la cena. Invece nonno Minosse, scattando dritto sull’unica gamba buona e brandendo in aria il bastone aveva ammonito: «L’ho detto io! Questi sono cospiratori, usano un linguaggio segreto, in codice, non vi accorgete di niente voi altri giovani. Io che ho insegnato, io sì che la capisco la gente!» Poi come se nulla fosse e con il suo innato candore aveva chiesto: «Che c’è per cena?»
Erano da poco passate le sette, fuori era già scuro e si era alzato un vento fastidioso. I nostri ospiti in tutta fretta avevano lasciato l’albergo.
Agnieszka gli aveva lanciato dietro poche parole che sembravano più una minaccia che un invito: «Non fate tardi! Abbiamo una bella sorpresa per voi».
Da quando avevamo aperto il ristorante la sera, mio nonno voleva che ogni giovedì venisse servita la cena al buio. Anche il menù doveva essere segreto e la sala ermeticamente oscurata.
«Iwona, dai retta a dziadek. Falli cenare al buio vedrai come si divertiranno. Ci sarà da sbellicarsi!»
All'inizio io e Agnieszka pensavamo che fosse l'ennesima stravaganza del nonno poi con il tempo si era sparsa la voce, anche grazie alla bravura di Grzegorz, il cuoco, un bel giovanottone barbuto dai modi gentili, ma decisi e robusti, proprio come i piatti che preparava.
Era arrivato in una tiepida giornata di aprile, di quelle che all’ombra fa ancora fresco, ma si sta d’incanto dove il sole accarezza. Aveva da poco compiuto trent’anni e sapeva cucinare come io a brancolare nelle tenebre. Era stato un pugile dilettante e aveva conosciuto la galera. Lo apprezzavamo per la sua mancanza di scrupoli e per la predisposizione a correre ogni genere di rischi, tra i quali aprire un ristorante con cene al buio, in un posto abbandonato, in un periodo difficile, con una datrice di lavoro cieca, per giunta.
Invece la cosa aveva incuriosito a tal punto che venivano anche da fuori a vivere un'esperienza senza luce ma molto elettrizzante.
Quel 31 agosto era proprio un giovedì e tutto era quasi pronto.
Io e Agnieszka eravamo in cucina ad aiutare Grzegorz per la cena.
Nonno passeggiava avanti e indietro, dall’ingresso alla cucina, perché sulla parete lungo il corridoio era collocato l’apparecchio ricevente e poteva ascoltare la radio.
All’improvviso, il programma che in quel momento andava in onda fu interrotto. Dal microfono furono udite grida, spari e il seguente messaggio: «La stazione radio di Gleiwitz è stata presa d'assalto da un gruppo di insorti polacchi e momentaneamente occupata. Si invita la minoranza etnica della regione polacca a prendere le armi contro la Germania e a opporre resistenza».
Il pendolo aveva appena scoccato la mezza dopo le otto quando nonno Minosse urlò: «È l’ora della rivolta!»
Ad Agnieszka caddero dalle mani lo stufato e le patate lesse che così spiaccicate avevano perso ogni consistenza. Grzegorz non si perse d’animo, riuscì a ripulire il pavimento e a riutilizzarle per preparare Bigos di crauti, una bella Zurek con uova sode e gli immancabili Pierogi al vapore tutti accompagnati da tanta cipolla.
La porta fece uno strano cigolio quando Piotr Tarnowski e gli altri rientrarono.
Sembravano accaldati e con il respiro affannoso, ma solo io lo notai perché andarono di gran fretta in camera a cambiarsi.
L’idea di mangiare al buio non sembrava piacergli troppo, ma Grzegorz ci mise poco a convincerli.
«Ceneremo insieme a voi e sarà un’esperienza che non dimenticherete tanto facilmente».
La sala da pranzo aveva le imposte abbassate, spesse tende alle finestre e quando la porta si chiuse alle nostre spalle, sentii nei loro cuori come un tonfo. Il buio era totale.
Presero posto tastando tavoli e sedie e quando si sistemarono iniziai io a servire la cena.
La zuppa era fumante e dal piatto fino alle bocche fu tutto un volare di schizzi e improperi.
C’era chi avvicinava il cucchiaio all’occhio, chi andava giù di naso versandosi addosso il liquido bollente. Nonno Minosse taceva, ma si sentiva che rideva come un matto. Quasi subito la stanza fu piena del fetore di cipolla emesso dall’alito pestifero di Agnieszka. Le finestre, tappate per bene, non facevano entrare un filo di luce ma nemmeno di aria.
Gli ospiti alzavano i calici ma, non riuscendo a valutare le distanze, li avvicinavano con tanta e tale forza che pezzi di vetro volarono ovunque. Piotr Tarnowski stava per alzarsi da tavola e abbandonare l’allegra comitiva, invitando i suoi amici a seguirlo, quando Grzegorz gli mise una mano sulla coscia, bloccandolo. La cosa non era dispiaciuta al bell’ingegnere, visto che convinse gli altri a restare, mentre ricambiava stringendo nella sua la mano del cuoco.
Ma per quella cena le sorprese non erano ancora finite. Agnieszka quel giorno doveva aver esagerato con la cipolla e non riuscendo più a trattenersi aveva iniziato a emettere peti talmente rumorosi e puzzolenti, tant’è che nonno Minosse esclamò: «Ed ella avea del cul fatto trombetta».
Di bollente non c’era solo la zuppa, l’aria era diventata elettrica, volavano piatti, il vino era ovunque tranne che nei bicchieri. Sembrava un girone dell’inferno di quelli che piacevano tanto a mio nonno. C’erano lanci di posate e gomitate in faccia, pestate di piedi e sedie che cadevano generando altre cadute. C’era chi addentava la mano del vicino, il dito di un altro finiva in un occhio. Un cucchiaio mi colpì in pieno volto e ricambiai nella direzione da cui era arrivato, colpendo sicuramente il bersaglio.
Anche gli altri ingegneri, quelli muti, scoppiarono in una fragorosa risata, che a me non sfuggì, ma era in lingua tedesca.
Attirato dalle risa e dalle urla Vaclav, sfondando la porta, entrò in albergo, trotterellando verso la sala. Irruppe creando lo scompiglio oltre a quello già esistente. Si fece largo tra i tavoli iniziando la sua frenetica ballata. Fu tutta una fuga per cercare di prendere meno calci. I primi a scappare furono Piotr Tarnowski e i suoi compari.
Nella corsa non si erano accorti che il corridoio era un campo minato di cacche lasciate dal somaro.
Sentii scivoloni, rialzate e altri scivoloni e da dietro il nonno che gridava: «Merde, siete delle merde!»
Non si voltarono nemmeno, solo qualcuno in tedesco gli urlò: «Povero pazzo!»
Presero i bagagli e lasciarono l'albergo senza nemmeno salutare.
Dopo quella sera sapevamo che per noi molte cose sarebbero cambiate.
La macchina della propaganda nemica si era già messa in moto e fonti tedesche comunicarono che la Germania aveva dichiarato guerra alla Polonia.
Sapevamo che la cena non era stata perfetta e le circostanze erano precipitate, ma da questo a dichiaraci guerra! Non ce lo meritavamo, bastava fare una recensione non tanto buona e la cosa poteva finire lì. Cosa sarà della nostra reputazione? Chi verrà più al nostro albergo e che ne sarà delle nostre belle cene al buio?
L’unico che non si faceva domande era Vaclav che beatamente leccava sul pavimento gli avanzi e il vino. Quando finì, con passo ancheggiante e non proprio sobrio uscì indisturbato dall'albergo ma non dalle nostre vite.






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Messaggio Da Arunachala Ven Mar 10, 2023 1:36 pm

sono indeciso, francamente.
intanto non mi è chiaro per che motivo ci siano pezzi scritti con colore diverso.
se è fatto per segnalare qualcosa, a mio parere non va bene.
se si tratta di semplice errore, lascio passare.
la storia non è molto chiara, ai miei occhi, e ciò mi lascia appunto indeciso su come valutarla.
è scritto bene, il racconto, su questo non c'è dubbio, però alla fine non è che mi resti molto.
certo, ci sono belle descrizioni e buoni dialoghi, ma il senso della storia mi rimane alquanto oscuro.

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Messaggio Da The Raven Ven Mar 10, 2023 1:42 pm

Confermo che è un errore di caricamento. Al più presto provvederò. Mi scuso con aut

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Messaggio Da Antonio Borghesi Ven Mar 10, 2023 3:38 pm

Questa frase "fragorosa risata, che a me non sfuggì, ma era in lingua tedesca" mi ha colpito: non sapevo delle risate in lingua. E' il solo appunto che ho da fare sulla leggibilità del racconto che scorre bene ma, essendo di genere comico, non mi ha strappato nemmeno un sorriso. Forse perchè hai creato il personaggio principale cieco e questo da subito mi è sembrato fuori luogo. In fatti mi chiedo perchè. C'è poi quella baraonda la buio che non comprendo: hanno difficoltà a mettere in bocca il cucchiaio con la zuppa e poi si tirano addosso (??) piatti posate e quant'altro?
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Messaggio Da Petunia Dom Mar 12, 2023 7:26 am

Ciao autor

in questo racconto c’è qualcosa che non funziona a dovere. Non spieghi il motivo della cecità di Iwona e non si riesce neppure a capire che eta abbia la (ragazzina? donna?). 
Il fatto che lei dichiari di essere cieca (proprietaria dell’hotel) lo fai dire in apertura servendoti di un dialogo non troppo verosimile. Anche perché successivamente (tenuto conto che il racconto è in prima persona) le descrizioni che fai sono tutte estremamente visuali per cui la sospensione d’incredulità cessa all’istante a partire dalla frase


Prima che rispondessero con l’accorato mi dispiace, che peccato, una così bella ragazza, i loro muscoli facciali si erano contratti in una smorfia e io me li immaginavo bruttissimi.

Allora non è cieca è solo un po’ ritardata (perché le considerazioni successive sono quelle di una bambina, non di una donna fatta e finita)

Poi il racconto prosegue con la descrizione di Agniezska e di tutti gli altri personaggi (ma chi è che parla? Iwona? oppure un narratore? 
Si entra in confusione leggendo…

Era una donnona con braccia muscolose da pugile e mani grandi quanto una padella,
Due occhietti a mandorla dietro spesse lenti rotonde e un naso a patata dovevano dargli un aspetto simpatico.

La storia prosegue senza una trama precisa e la cena al buio è proprio messa lì senza alcuna motivazione concreta nel dipanarsi della vicenda.
Il fatto che la cecità di Iwona non sia giustificata (quando è diventata cieca? Se lo è diventata perché sono convinta che ci veda benissimo) mi porterebbe verso un racconto dai toni più drammatici invece la storia credo vorrebbe essere comica ma, per me, non ci riesce, mi dispiace.
Mi sono chiesta quale reazione avrei avuto leggendo questo racconto se fossi stata inconsapevole dei paletti. Francamente sarei ancora qui a chiedermi “cosa ho letto?” Una trama ballerina senza una direzione precisa  inficiata molto dalla premessa iniziale. 
Detto questo la scrittura è buona ci sono delle belle descrizioni e dei momenti simpatici ma non si riesce a goderne appieno per tutta la serie di domande che non trovano una risposta. 
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Messaggio Da Danilo Nucci Dom Mar 12, 2023 11:12 pm

La storia c’è ma ci sono alcune cose da rivedere perché sia più credibile. La cosa più evidente è il racconto in prima persona della cena, fatto da una non vedente con un dettaglio nei particolari che neppure un vedente sarebbe in grado di raccontare, proprio perché tutto si svolge al buio. In questo caso sarebbe stato indispensabile il narratore esterno.
Per quanto riguarda i vincoli dello step.
Il docente è il nonno, ma per un lettore ignaro dei vincoli imposti, che senso può avere il fatto che l’anziano, un po’ andato di testa, sia un ex insegnante di letteratura? Le citazioni dantesche, fra cui quella sulle flatulenze (espediente già riscontrato in un altro racconto), sembrano di poca consistenza per giustificare la presenza dell’ex docente.
Quanto al genere comico, questo è vagamente presente nella descrizione della cena, ma non caratterizza il brano nel suo insieme.
Concludendo: la scrittura è valida e rende gradevole la lettura, ma il racconto necessita di qualche aggiustamento.
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Messaggio Da M. Mark o'Knee Dom Mar 12, 2023 11:31 pm

Direi che siamo di fronte a un altro esempio di quanto sia difficile scrivere un racconto umoristico (o "comico" che dir si voglia). E il fatto che la voce narrante sia un personaggio affetto da cecità non facilita certo il raggiungimento dell'obiettivo: per quanto bravo, l'autore mi sembra molto lontano dai soggettisti che hanno creato una trama divertente e plausibile e cucito addosso a Richard Pryor un cieco comicamente perfetto (Non guardarmi, non ti sento - con Gene Wilder che interpreta il sordo).
Ancora, non credo che un cieco che narra in prima persona possa essere capace di fare descrizioni così particolareggiate e perfettamente "visibili" come quelle di Iwona, nemmeno se avesse perso la vista in tarda età (e, a proposito di età, quanti anni abbia Iwona non ci è dato sapere).
Poco convincenti anche le varie reiterazioni delle "scuse sempre diverse" per i mali che affliggono i vari personaggi, scuse dalle quali sempre emerge la figura del povero somaro Vaclav, tirato dentro per le orecchie nel tentativo - vano - di strappare qualche risata.
Ma il punto più basso si raggiunge nel momento in cui Agnieszka comincia "a emettere peti [...] rumorosi e puzzolenti". Sfortunato quel testo che ha bisogno di peti per far ridere.
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Messaggio Da paluca66 Lun Mar 13, 2023 10:39 pm

Racconto un po' confuso a metà strada tra una comica alla Ridolini e un film cinepolpettone.
I paletti ci sono tutti ma come in quasi tutti i racconti, vista la difficoltà di incastrarli, almeno un paio, il docente di letteratura e il genere comico appaiono un po' troppo gracilini.
È il secondo racconto in cui mi imbatto nei peti di uno dei protagonisti e nella conseguente citazione di Dante: penso che il Sommo poeta meriti di essere ricordato per ben altre citazioni!
Ti segnalo alcune imprecisioni:
A Gleiwiz non arrivava molta gente, Era il 1939, i tempi erano difficili ovunque
Gleiwitz (come scrivi correttamente più avanti); era (con la "e" minuscola)
Tutti lo amavano, così ci facevano credere, tutti tranne mio nonno Michal.
Non capisco se è lo stesso nonno che poi diventa "Minosse".
le circostanze erano precipitate, ma da questo a dichiaraci guerra!
dichiararci (dimenticata una "r")
Un'ultima notazione: stai raccontando un episodio come il finto assalto alla stazione radio, che bisogno c'è di sottolineare, scrivendolo, che quel giorno è il 31 agosto 1939?

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Messaggio Da FedericoChiesa Mar Mar 14, 2023 9:24 pm

L'inizio mi sembrava promettente, forse non comico, ma sicuramente ironico.
Poi scade tutto in una gran caciara, messa lì per inserire i paletti e senza una vera trama.
Ma l'ironia non sfocia in comicità e rimangono scenette fini a se stesse.
Alla prossima.
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Messaggio Da Nellone Ven Mar 17, 2023 9:12 am

Un testo ambientato nella Polonia del ’39 che cosa c’entra con un professore di italiano, una cena al buio o un corridoio? All’apparenza non molto, infatti trovo che i paletti siano abbastanza slegati dallo svolgimento della storia, in sé invece piuttosto interessante. Il genere comico viene invece centrato, ma solo nella parte finale: qualche altra parte divertente e un po’ leggera poteva a mio parere essere inserita anche prima. La scrittura è piuttosto semplice e funzionale, seppur con qualche ripetizione di troppo di “era”, “aveva”, ecc…; è vero che la consecutio temporum talvolta li richieda ma qualche escamotage per eliminarle qualcuno avrebbe alleggerito il tutto. Lessico semplice, anche in questo caso, ma il tutto contribuisce a rendere comprensibile una trama non semplicissima in un testo abbastanza corto. Nel complesso non lo posso giudicare un cattivo racconto, perché l’ho letto volentieri, ma visto lo step non riesco proprio a valutarlo in modo completamente positivo. PS: Credo che qualche anno fa l’autore abbia visto allo sfinimento il video “Sing” dei Travis, la scena è praticamente la stessa: io ho sempre sognato di essere quello che mangia indisturbato mentre intorno succede di tutto!

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Messaggio Da Susanna Ven Mar 17, 2023 10:56 pm

Bello il titolo, adatto sia che lo si intenda come ballo che come ballata musicale, che il somaro potrebbe anche meritarsi.
Un racconto leggero, infarcito di piccole trovate (le tragicomiche disgrazie famigliari), popolato di personaggi che portano il lettore in un ambientino dove di sicuro giornate noiose non ci sono e in cui la Penna ha calato con facilità un evento cui la Storia ha dato ben altri colori.
Siccome lo stiamo leggendo, per il racconto i paletti sono stati rispettati: ognuno di noi potrà dare a ciascuno di essi un peso, in base anche al gradimento di lettura.
La trama: non ho trovato una vera e propria trama, quanto piuttosto un insieme di scene/situazioni create per rispettare i paletti.
Il professore polacco che insegna letteratura italiana, cui piace organizzare cene al buio. Anche questa cena al buio, dopo l’assalto alla stazione che senso ha? Potrebbe averne se ai soldati non fosse permesso poi di andarsene.
Nel corso della lettura - dato anche il genere che la Penna ha scelto - non ho dato troppo peso a qualche incongruenza, ad esempio come può una persona cieca avere visualizzazioni così precise sulle persone, tralasciando quanto le dice la cameriera. Essendo un racconto che vuole essere comico, si può anche soprassedere a qualche esagerazione.
Non ho riso, questo no, ma mi sono divertita a immaginare le varie scene ma prima ancora i personaggi, cercando di assemblarne le caratteristiche (tranne quel che attiene la cipolla…) porte dalle descrizioni.
Una scrittura vivace, frizzantina, qualche momento di punteggiatura zoppicante, ma niente di grave. Il ritmo tiene bene dall’inizio - con la presentazione dei vari personaggi - fino al finale forse un po’ esagerato per come si svolge la cena (tutta quella confusione mi ha lasciata un po’ perplessa, ma siamo in un racconto di fantasia, con un genere da portare a casa legandolo a un evento di certo non divertente).
Un risultato quindi discreto, dati i paletti, ma forse da raddrizzare inserendoci una storia vera e propria o un traccia più precisa, se proposto over Rooms.
Qualche nota:
i loro muscoli facciali si erano contratti in una smorfia - essendo lei cieca, come può vederli
scoppiarono in una fragorosa risata, che a me non sfuggì, ma era in lingua tedesca. - bella la risata in lingua tedesca
creando altro lo scompiglio oltre a quello già esistente

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Messaggio Da tommybe Sab Mar 18, 2023 9:33 pm

Ha tutta la mia simpatia il somarello, soprattutto per  quelle cacche disseminate nell'ennesimo corridoio che ognuno di noi ha interpretato a suo modo
Il racconto mi è piaciuto, molto pittoresco, allegro e divertente.
La mia passione per Raymond Carver è nota, e nel suo racconto migliore ci mostra come un cieco, forse innamorato, riesca a vedere una 'Cattedrale' disegnata com la Bic. Quindi non mi stupisco piu' di tanto se qui, nel tuo racconto, Iwona riesca a decifrare le espressioni facciali. Un abbraccio e complimenti.
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Messaggio Da caipiroska Lun Mar 20, 2023 12:34 am

Ho trovato il personaggio di Iwona davvero interessante!
Mi piace l'ironia che trapela dalle sue azioni e dalle sue considerazioni e la leggerezza con la quale vive la sua cecità: è una donna che appare subito forte, di polso, in grado di superare ogni avversità. Nella lettura non ho mai provato pietà per lei e questo è positivo per il genere scelto, anche se a fine lettura mi sono chiesta che tipo di funzionalità avesse la cecità della protagonista per il racconto...
Forse solo per introdurre qualche scena comica?
Il racconto è impostato in prima persona e questo porta a qualche stranezza considerando che chi racconta è cieca e molte cose non dovrebbe saperle: proprio per questo avrei attinto di più al surreale e al grottesco, riuscendo in questo modo forse a giustificare meglio la scena della cena al buio, che altrimenti rimane in bilico e difficilmente interpretabile.
Il testo è brillante e molto scorrevole, composto da varie scene slegate tra loro, da frammenti ricchi di considerazioni personali che forse non s'incastrano alla perfezione tra di loro, dando la strana sensazione di un testo poco preciso e un po' confuso.

Alla fine, esausto, Piotr Tarnowski metteva giù la cornetta, ma da parte sua... mise al posto di metteva.
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Messaggio Da Molli Redigano Lun Mar 20, 2023 11:06 pm

Piccole imprecisioni già segnalate. La scrittura è corretta, scorrevole, il testo si legge bene.

Due riflessioni sui personaggi: Iwona e la sua cecità sono tutt’uno. Sebbene anch’io mi chieda l’utilità – ai fini del racconto – di creare un personaggio con questo handicap, ritengo che azioni, descrizioni e “sensi” di Iwona siano perfettamente verosimili. Intendo dire che la donna, non vedente, abbia sviluppato tutti gli altri sensi, tali da farle percepire la realtà intorno esattamente come se la vedesse. Particolari compresi.

Quanto al nonno Minosse, a esser pignoli, insegnava letteratura straniera, non solo italiana, che però era la sua preferita. Non ne sono sicuro, ma credo che l’Autore abbia fatto un maldestro tentativo di creare un personaggio comico che personalmente non ho percepito come tale. Visto che nonno Michal era un po’ fuori di testa, sarebbe stato bello sentirlo parlare solo attraverso citazioni letterarie. Dico io eh.

L’assalto alla stazione radio spopola in questo step. Fatto storico, certamente, ma anche qui è stato interessante vedere il contorno creato dalla fantasia dell’Autore.

Ultima considerazione per un racconto che vedo molto poco spendibile oltre DR se non dopo una riorganizzazione generale: alla fine si parla di recensione per l’albergo di Iwona. Che esistesse già una sorta di Tripadvisor non digitale?

Grazie

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Messaggio Da CharAznable Mar Mar 21, 2023 8:29 am

Seconda lettura di questo step e secondo racconto imperniato sulla "provocazione" del finto assalto polacco alla stazione radio. Indubbiamente ben scritto, anche se alcuni passaggi lasciano più di una perplessità. Il punto di "vista" è di chi vista non ha e purtroppo risulta un po' troppo dettagliato per una ragazza cieca. Risulta simpatico il tormentone del somaro calciante, ma il racconto soffre di un tentativo di risultare comico ad ogni costo. Ne capisco la difficoltà, sperimentata sulla mia pelle, ma non sempre questi escamotage funzionano al meglio.
Anche la cena al buio, senza una reale motivazione, prova a inserire un momento di comicità slapstick, ma su carta non scaturisce l'effetto voluto.
Un racconto comunque piacevole, scorrevole, che però non convince appieno il lettore.
Complimenti
Grazie

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Messaggio Da Resdei Mer Mar 22, 2023 7:09 pm

Strappare una risata è molto più difficile che far piangere, ma ci hai provato e ti sei divertito, almeno credo.
è nell’immaginario collettivo che la produzione di peti susciti ilarità, si sa...Mi hai ricordato 
Tognazzi nei panni de Il Petomane, ma quello era un artista!
Anche nel tuo racconto viene scomodato il sommo Dante che rimane nella memoria e nel cuore di chi lo ama anche per questo. 
Riguardo all’età di Iwona, se Agniezska vuole trovarle marito non può essere proprio una bambina.
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Messaggio Da ImaGiraffe Ieri alle 9:41 am

Il racconto in se non mi sembra così comico è la protagonista che lo è. Iwona ha un'ironia giusta e leggera che mi piace molto. L'ironia è il suo modo di affrontare la sua disabilità e va benissimo. Purtroppo per il conteso che il racconto crea non supporta tale qualità anzi a dirla tutta il racconto mi ha lasciato un velo di tristezza.
È pure vero che quasi tutti i personaggi e le scene sono di stampo comico ma purtroppo questo non traspare. Anzi a un certo punto tutto diventa molto confusionario e non ci si capisce molto.

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Un caloroso benvenuto alle persone giunte fino a noi dal futuro. 

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Messaggio Da Arianna 2016 Ieri alle 11:55 pm

Il tono complessivo è simpatico, così come la gag del somaro che torna in ogni narrazione sui vari eventi.
 
Il racconto sembra quasi diviso in due parti; la seconda è tutta la scena della cena, che sembra un po’ scritta in un certo modo solo per creare la situazione comica, risultando così staccata da quello che precede.
 
Il narratore è interno (Iwona) e anche la focalizzazione, in teoria, dovrebbe essere interna, su Iwona, che è cieca. Invece a volte si passa a cose che può sapere solo o un narratore non cieco che non sia Iwona oppure un narratore onnisciente (i loro muscoli facciali si erano contratti in una smorfia, C’era chi avvicinava il cucchiaio all’occhio, chi andava giù di naso, quando Grzegorz gli mise una mano sulla coscia, mentre ricambiava stringendo nella sua la mano del cuoco, C’era chi addentava la mano del vicino).
 
Scritto bene, manca solo qualche virgola.
 
“peti talmente rumorosi e puzzolenti, tant’è che”= peti rumorosi e puzzolenti, tant’è che/peti talmente rumorosi e puzzolenti che
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