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Messaggio Da FedericoChiesa Ven Set 02, 2022 5:12 pm

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Se a otto anni un bambino è abbastanza grande per stare a casa da solo e prendersi cura della sua sorellina di tre, se a otto anni un bambino può andare a scuola da solo e, tornando, fare la spesa, perché non dovrebbe poter organizzare una bella gita in funivia?
 
«Mi raccomando!» gli aveva detto la mamma, senza aggiungere altro. Se ne era uscita, come tutte le mattine, per cercare di portare a casa quei quattro soldi che le permettevano di pagare l’affitto e sfamare le due creature che le erano rimaste a carico. «Vado a comperare le sigarette», le aveva detto il padre dei pargoli due anni prima e, come nella più scontata delle tradizioni, non era più tornato.
«A che ora torni?», aveva chiesto Thiago.
«Subito dopo pranzo».
Sapeva che non era vero: al Franco Assado, la tavola calda dove serviva ai tavoli ci rimaneva sempre di più, per arrotondare con qualche straordinario il misero stipendio da cameriera.
«Che faccio tutto il giorno?»
Le vacanze di Natale erano un bel problema per Marina; scuola e asilo chiudevano un paio di settimane e lei i bambini non sapeva a chi lasciarli.
«Gioca con Esther, guardatevi qualche cartone, fate un giretto ai giardinetti… ma la funivia no! Per quella mi aspetti». Una sosta allo specchio prima di uscire, riordinando i capelli e lisciando le pieghe lise del vestito, poi, con quel “Mi raccomando!” lanciato tra lo speranzoso ed il minaccioso, aveva chiuso il discorso.
 
Thiago guardò la cabina della funivia. Rossa, con il tetto bianco, non proprio un modello di ultima generazione, ma lui ci moriva dietro. Ne aveva viste di moderne alla TV, con vetrate panoramiche, grandi da portare 50 persone per volta; ne aveva vista una rotonda, che girava mentre saliva per offrire ai passeggeri una vista a tutto tondo. Ma a lui piaceva anche quella lì, un po’ vecchiotta; vintage, avrebbe detto la mamma, come quando voleva giustificarsi per gli abiti ormai fuori moda che era costretta ad indossare.
Dopotutto, pensò il bambino, non c’erano molte funivie che, partendo dal verde dei prati, in qualche minuto ti portavano tra i ghiacci e le nevi.
La cabina era appena entrata nella stazione alla base; oscillando aveva colpito le protezioni, ma il conduttore, l’unico a bordo, era rimasto ancorato al pavimento, impettito nella sua divisa blu marine.
Le porte non si aprivano in automatico, bisognava farle scorrere a mano. Thiago sapeva che su quelle moderne bastava premere un pulsante, per lasciare libere decine di passeggeri di entrare e uscire, ma a lui quel rituale di aprire le porte prima dal lato dell’uscita per far scendere gli sciatori e poi, dalla parte opposta, per farli salire, piaceva.
Osservò con attenzione un signore, pronto a salire. Era buffo, con la giacca a vento, il cappello di lana e gli scarponi ai piedi. Teneva stretti un paio di sci, troppo alti per lui, come si usavano parecchi anni fa, vintage. Di sicuro aveva un gran caldo laggiù, con quella roba addosso, ma doveva resistere: ancora qualche minuto e si sarebbe trovato sottozero, nella stazione di arrivo.
C’era anche una ragazza, forse troppo giovane per essere sua moglie, con degli stivali di pelo che facevano sudare solo a guardarli. Il ragazzino che era con loro tirava per la corda un vecchio slittino in legno.
Insieme al conduttore, sempre immobile e impettito, l’allegra famigliola occupava quasi completamente la piccola cabina.
Thiago li guardò con invidia: con la canottiera senza maniche e con i braghini corti sarebbe morto di freddo lassù. Eppure sarebbe stato il suo sogno: rotolarsi nella neve a tremila metri di quota. Lui che la neve, a Belo Horizonte non l’aveva nemmeno mai vista.
 
«Mamma, mammina, vieni a vedere che bello ha fatto Thiago!»
Marina aveva appena girato la chiave nella toppa, che Esther le si era precipitata incontro e l’aveva trascinata verso la cucina.
Cosce di pollo mezzo scongelate, erano sparse sul pavimento, insieme a patatine pronte per essere fritte. Qualche busta di piselli e di fagiolini surgelati era buttata poco lontano. Un rivolo colava lungo la porta del frigorifero, alimentando un laghetto tra le piastrelle.
Su un asciugamano verde, poco lontano, era posizionata la stazione di partenza della funivia che Babbo Natale aveva portato qualche giorno prima. Completamente spalancata, la cella freezer ospitava, tra i ghiaccioli e la brina, la stazione di arrivo.
«Ma ti sei ammattito?» gridò precipitandosi verso il bambino.
Thiago le sorrise, poi con tranquillità, spostò la levetta del comando e la cabina iniziò a salire lungo le funi verso la vetta.


Ultima modifica di FedericoChiesa il Ven Set 02, 2022 5:17 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio Da FedericoChiesa Ven Set 02, 2022 5:15 pm

Nell'inviare il racconto per la Folgore di oggi, ho ritrovato un racconto che avevo preparato per una vecchia Folgore, ma poi non avevo fatto in tempo a mandarlo.
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Messaggio Da Petunia Ven Set 02, 2022 6:37 pm

Ciao  @FedericoChiesa, ricordo bene la folgore della funivia. Peccato tu non abbia fatto in tempo a partecipare.
Leggendo il racconto ho avuto l’impressione di leggere tre storie diverse, anche quattro. 
Il cappelletto iniziale mi ha creato una certa aspettativa. Ho immaginato un tipo di sviluppo del tutto diverso. Ho pensato a un bambino scappato di casa o comunque a una storia drammatica.
Poi introduci un panorama familiare “difficile”. Una madre sola, abbandonata dal compagno (chissà perché) con scarsi mezzi finanziari, un lavoro duro e due figli da crescere (uno addirittura all’asilo). 
La raccomandazione di non salire in funivia da solo mi è sembrata una nota fuori posto. Forse doveva essere creato il contesto con una piccola descrizione. Magari la casa in cui abitano è vicina a una funivia? Non ho capito.
Poi descrivi molto bene la funivia “vintage”. È il passaggio che ho apprezzato di più, anche se continuavo a non capire come avesse fatto il ragazzo ad arrivare fin lì… 
Infine arriva una spiegazione. La funivia è un giocattolo di Natale. Il bambino l’ha montata in cucina utilizzando il frigo come stazione d’arrivo. L’idea é molto tenera e, in sé, mi è piaciuta.
Restano però, a mio avviso, molti “buchi” nella storia. Perché il bambino è affascinato dalla funivia? C’è stato qualche volta con la sua famiglia durante un periodo felice di cui ha conservato il ricordo? 
È tutto un gioco di Thiago o c’è qualcosa di vero? 
Perché c’è il riferimento a Belo Horizonte? Thiago è adottato? La madre si chiama Marina, la sorella Esther… del padre non sappiamo nulla se non che si è dileguato… Insomma, la storia potenzialmente c’è ma potrebbe rendere di più aggiungendo ancora un po’ di battute. Ora puoi farlo!
Ti segnalo questa frase in cui mi sembra manchi qualcosa:

«Mamma, mammina, vieni a vedere che bello ha fatto Thiago!»


A leggerci!
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Messaggio Da FedericoChiesa Ven Set 02, 2022 6:45 pm

Grazie.
Provo a rileggerlo sulla base dei tuoi commenti.
Il racconto è a Belo Orizonte, dove Thiago vive e dove sua mamma lavora; è una famiglia brasiliana.
Fa caldo lì, quando qui è Natale
Grazie ancora.
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Messaggio Da Susanna Lun Set 12, 2022 4:43 pm

Peccato davvero tu non l'abbia spedito!
Devo dire che il racconto l'ho letto tutto d'un fiato, senza una sosta e mi sono immaginata che il bambino abitasse in montagna, vicino a dove partono le funivie. Che poi sia vintage, quelle piccole potrebbero anche aver mantenuto le vecchie "carrozze" anche per una pittoresca attrazione turistica. L'arcano arriva nel finale, che un po' spiazza e questo è proprio il bello di questo racconto: fino alla fine sembra una cosa e poi zac. è un'altra. @Petunia ha elencato elementi che le sono mancati. Io non ci ho ragionato molto a dire il vero: mi è piaciuto immedesimarmi in quel bambino che a otto anni deve essere già "grande" ma ha sogni della sua età; ed è coi sui otto anni che trova modo di giocare, con la fantasia di chi ha poco con cui giocare ma tanta fantasia.
Per un attimo però vederlo salire in canottiera sulla funivia e nessuno dei passeggeri se ne preoccupi... beh, al giorno d'oggi uno osserva, scusa Federico, la marca delle mutande che si intravedono sotto ai jeans ma un bambino che magari chiederebbe l'elemosina (per assurdo eh)... invisibile.
Bel racconto davvero.

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